Cap. II) Contrasto dell’immigrazione illegale

 

 

Il controllo delle frontiere

Il nostro Paese, al pari degli altri Stati dell’U.E., è da tempo interessato dal fenomeno connesso al massiccio afflusso di popolazioni provenienti dalle aree più depresse del panorama mondiale, favorito ed organizzato spesso dalle organizzazioni criminali che ne traggono alti profitti.

            Tali flussi di immigrazione clandestina utilizzano, per l’ingresso in Italia, il confine con la Slovenia, il versante adriatico della Puglia, la Sicilia sud orientale, il litorale ionico della Calabria, nonché i porti di Trieste, Venezia, Ancona, Bari e Brindisi e riguardano, in particolar modo, le popolazioni provenienti delle regioni balcaniche, ma anche profughi iracheni e turchi di etnia curda e popolazioni provenienti dall’Asia.

 Il traffico illecito attraverso i varchi terrestri del confine nord orientale si serve, per far pervenire a destinazione gli immigrati clandestini, di ogni possibile veicolo, soprattutto commerciale, ma non è raro il passaggio del confine a piedi.

 Le coste pugliesi, siciliane e calabresi si sono rivelate particolarmente vulnerabili, per la loro posizione geografica, al fenomeno degli sbarchi clandestini di extracomunitari, non solo albanesi, che giungono in Italia a bordo di gommoni o motoscafi in grado di percorrere la distanza tra le località di provenienza e le nostre coste a forte velocità, ovvero a bordo di navi di grossa stazza ma in pessime condizioni e sulle quali sono ammassate un gran numero di persone.

 

         Impatto sulla criminalità degli extracomunitari legali

            Al fine di valutare l’incidenza dei fattori criminogeni sugli extracomunitari in regola con le norme di soggiorno, si è provveduto a calcolare – in base a dati estrapolati dalle segnalazioni disponibili al C.E.D. del Dipartimento della P.S. – il numero dei detenuti stranieri titolari di permesso di soggiorno al 30 settembre 2000, in rapporto al totale dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti; i risultati di tale elaborazione sono stati confrontati con il dato relativo all’incidenza percentuale dei detenuti italiani e stranieri regolarmente soggiornanti sul totale della popolazione (Allegato 1).

            Il dato nazionale evidenzia una sostanziale analogia: 0,10% per gli extracomunitari regolari e 0,07% per la popolazione complessiva. Si soggiunge che la differenza di 0,03 punti percentuali è pure dovuta al fatto che, essendo il numero dei soggiornanti notevolmente inferiore alla popolazione complessiva, un aumento di poche unità nel numero di detenuti extracomunitari incide considerevolmente sul calcolo relativo.

 

            Potenziamento delle articolazioni periferiche della Polizia di Frontiera

Lo scambio di informazioni ed un’attività di raccordo delle indagini hanno consentito anche di elaborare specifiche ipotesi evolutive del fenomeno dell’immigrazione clandestina, nell’ottica dell’ottimizzazione delle conseguenti strategie di contrasto.

            Grande rilievo nella lotta all’immigrazione clandestina ha assunto il potenziamento delle articolazioni periferiche della Polizia di Frontiera, sollecitato, oltre che dalla indubbia crescita del fenomeno, anche dall’applicazione dell’Accordo di Schengen.

            Al riguardo, si è ritenuto opportuno, sul piano organizzativo, di superare la tradizionale ripartizione in polizia di frontiera terrestre, aerea e marittima, prevedendo semplicemente Uffici di Polizia di Frontiera con le rispettive articolazioni periferiche minori (sezioni, sottosezioni e porti), con l’incremento di quattro Zone di frontiera, l’istituzione di sei nuovi presidi e, infine, di un notevole potenziamento dell'organico.

            Per quanto riguarda l’adeguamento dei mezzi di supporto tecnico per i presidi di frontiera si prevede l’acquisizione di adeguate infrastrutture e tecnologie avanzate, finalizzate al controllo delle frontiere esterne maggiormente esposte al fenomeno immigratorio, nonché il potenziamento della dotazione di ogni ufficio di apparecchiature informatiche e di automezzi.

 

L’azione di contrasto dell’immigrazione clandestina verrà svolta anche facendo uso di un nuovo sistema di controllo delle frontiere, di recente potenziato con mezzi e supporti tecnico informatici d’avanguardia soprattutto lungo il confine con la Slovenia, e i litorali orientali della Puglia, della Sicilia e della Calabria. In particolare è già attivo un sistema aerostatico, acquistato dalla Difesa in leasing dagli USA, destinato, una volta a regime, alla visione notturna. Tra le nuove tecnologie che presto saranno disponibili vi sarà il nuovo sistema AFIS, capace di gestire, attraverso canali telematici, le impronte digitali, cui è collegata una rete di unità portatili appositamente costruite per il controllo su  strada da parte della polizia. Questo sistema permetterà l’identificazione ed eventualmente l’arresto dei ricercati extracomunitari in base al confronto delle impronte digitali computerizzato

Per ciò che concerne il potenziamento tecnologico, peraltro già realizzato, delle frontiere delle regioni meridionali interessate dal Progetto “Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno”, si deve osservare che, nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno 1994-1999, sono stati acquisiti apparati di sofistica tecnologia, che ricomprendono sistemi di radar fissi e mobili per l’individuazione di piccoli natanti veloci, sistemi di video-ripresa diurna e notturna per la sorveglianza delle coste, apparati di protezione delle comunicazioni fra unità operative fisse e mobili e supporti informatici per la formazione “on line” del personale di polizia operanti nello specifico settore.

Tale attività di potenziamento è in continuo sviluppo come dimostrato dall’impegno assunto dall’Amministrazione per munire di adeguate dotazioni tecnologiche le frontiere nord-orientali che appaiono obiettivamente quelle maggiormente permeabili ai tentativi di immigrazione clandestina provenienti da paesi geograficamente distanti quali la Cina e l’Iran.

            Sotto il profilo operativo, grande impulso è stato dato all’attivazione di piani di coordinata vigilanza soprattutto in Puglia e Friuli Venezia Giulia. In particolare, per quest’ultima, il piano è stato integrato a livello esclusivamente operativo, dalla predisposizione di pattuglie operanti sul confine italo-sloveno nell’arco delle 24 ore.

E’ in fase avanzata infine la riorganizzazione delle squadre mobili e la ristrutturazione degli Uffici stranieri delle questure con la separazione delle sezioni amministrative (per il rilascio dei permessi di soggiorno) da quelle investigative (che sono state rafforzate) per aumentare la repressione dei delitti da parte degli stranieri. In questo modo si creerà maggiore efficienza e si eviteranno commistioni di competenze

La strategia perseguita dall’Amministrazione in materia di contrasto dell’immigrazione clandestina investe anche gli altri ambiti certamente precedenti al fenomeno migratorio.

Il Ministero dell’Interno, nel luglio del 1999, ha riorganizzato, impiegando cospicue risorse finanziarie, la presenza del personale della polizia di Stato presso gli “Uffici  visti” delle Rappresentanze Diplomatiche e Consolari italiane nei paesi con più alto rischio di immigrazione illegale, cui è stato affidato lo specifico compito di svolgere attività dirette alla prevenzione e alla repressione del fenomeno migratorio clandestino, collaborando con il personale delle stesse  Rappresentanze Diplomatiche nell’attività di valutazione delle richieste di viso spesso formulate strumentalmente per fare ingresso illegale e definitivo nel territorio nazionale. L’estensione di tale impegno è quanto mai significativa dal momento che il personale, selezionato secondo profili di elevata professionalità, opera presso ben 35 Rappresentanze (Ambasciate e Consolati), di cui 14 in Europa, 13 in Africa, 5 in Asia e 3 in America Latina.

Un rilevante apporto è stato altresì assicurato dalla rete degli Ufficiali di Collegamento Interpol dislocati in numerosi paesi, in particolare dell’area balcanica, ma in fase di ulteriore potenziamento in tutti gli Stati ad elevato rischio migratorio.

Detti funzionari, quantunque assegnati con compiti di collegamento Interpol o di esperti antidroga, espletano un’attività generale i polizia. Essi sono presenti attualmente in Romania, Montenegro, Turchia, Marocco, Libano oltre che in alcuni paesi dell’Unione Europea quali Francia Grecia, Germania e Austria.

Un rilevante contributo al contrasto dell’immigrazione clandestina e delle organizzazioni che la favoriscono è stato offerto dalla Missione Interforze in Albania cui è stata affidata l’attuazione del progetto di consulenza, addestramento e assistenza finalizzata all’organizzazione della polizia schipetara, progetto definito nel Protocollo d’Intesa del 1997, rinnovato, da ultimo, il 5 luglio u.s., con un impegno finanziario complessivo per il nostro paese di oltre 85 miliardi di lire.

Oltre alla fornitura di mezzi e apparecchiature per il funzionamento delle strutture destinate al controllo del territori e delle coste albanesi, nonché alla realizzazione di sale operative e di reti di comunicazioni radio, l’attività della Missione ha contribuito a definire il nuovo ordinamento della polizia del paese balcanico, collaborando in maniera decisiva all’emanazione di provvedimenti di legge finalizzati al contenimento di traffici illeciti. Particolare rilievo assume, sotto tale profilo, la recente approvazione da parte del governo albanese della cosiddetta “legge sui gommoni”.

Il completamento di tutte le attività di consulenza ed assistenza, già previsto per la fine del corrente anno (2000) consentirà di rendere più completo e stabile il rapporto di collaborazione on la costituzione, in via permanente, di un ufficio di collegamento italiano in Albania e il distacco di un funzionario albanese in Italia.

            L’attività di contrasto all’immigrazione clandestina, desumibile dai dati relativi alle persone denunciate per delitti connessi al favoreggiamento del fenomeno de quo – dati che rivelano l’ampiezza del coinvolgimento degli extracomunitari (in particolare degli albanesi) nelle attività illecite in argomento -, è stata agevolata anche dalle specifiche disposizioni normative in materia di immigrazione.

            Infatti, accanto a rigide norme protese alla repressione del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – l’art.12 del D.L.vo 286/98 prevede, tra l’altro, la reclusione per i responsabili, che può arrivare ad un massimo di dodici anni e la multa di trenta milioni per ogni straniero del quale si favorisce l’immigrazione clandestina, nonché l’arresto in flagranza e la confisca dei mezzi di trasporto - , la legge contempla altri strumenti, volti a combattere il fenomeno, che agiscono sulla possibilità di concedere alla vittima l’occasione di affrancarsi dalle situazioni di violenza e sfruttamento a cui sono sottoposte.

L’art.18 del D.L.vo 286/98 prevede in favore di tali soggetti il rilascio, d’iniziativa del Questore o con il parere dell’Autorità giudiziaria ovvero delle associazioni o enti che si occupano del reinserimento sociale dello straniero, di uno speciale permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel caso in cui, nel corso di operazioni di polizia o di un procedimento penale, emergano concreti pericoli per la loro incolumità connesse al tentativo di sottrarsi ai condizionamenti delle organizzazioni criminali.

 Gli stranieri beneficiari devono tuttavia sottoporsi ad un programma di assistenza ed integrazione sociale, predisposto da organismi istituzionali o da soggetti diversi riconosciuti ed autorizzati in tal senso dal Dipartimento per gli Affari Sociali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 Il permesso di soggiorno concesso ha durata di sei mesi, rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente per le sottostanti esigenze giudiziarie ed è revocabile nell’ipotesi in cui l’interessato interrompa la partecipazione al predetto programma o mantenga una condotta incompatibile con le finalità del medesimo, nonché quando vengano meno le condizioni che hanno dato luogo al rilascio.

Con il rilascio del titolo, lo straniero viene ammesso al godimento di sostanziali prerogative, quali l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, ma è data facoltà anche di svolgere attività lavorativa, grazie alla quale, alla scadenza del permesso, può essere concessa un’ulteriore proroga, nel caso in cui il rapporto lavorativo sia ancora in corso.

            Decisiva importanza ha assunto la recente istituzione presso il Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri di un numero verde al quale le vittime dello sfruttamento possono rivolgersi, i cui operatori trovano omologhi referenti presso ogni Questura con l’incarico di assicurare canali privilegiati di contatto.

            L’applicazione della norma in argomento ha dato significativi risultati, desumibili dai dati relativi ai permessi rilasciati alla data del 1° ottobre 2000, che ammontano a n.580 unità, di cui 537 in favore di donne.

            L’avvio di un’efficace lotta all’immigrazione clandestina, tuttavia, ha dovuto affrontare, in prima battuta, il problema della consolidata presenza in Italia di un numero rilevante di extracomunitari che spesso da anni, per timore di dover abbandonare il nostro Paese a causa della loro posizione di soggiorno irregolare, hanno accettato situazioni di sfruttamento lavorativo.

 

La regolarizzazione

Ridurre al massimo l’area di irregolarità è stata pertanto la premessa sulla quale basare tutta la politica dell’immigrazione italiana. In tale ottica, è stata avviata la procedura di regolarizzazione (D.P.C.M. 16/10/98) della posizione di soggiorno degli stranieri che, presenti in Italia alla data di entrata in vigore della Legge 6 marzo 1998, n.40, possedessero ben determinati requisiti (lavoro, alloggio).

Il citato D.P.C.M. 16/10/98, nel recepire l’indirizzo tracciato nel documento programmatico approvato con D.P.R.5 agosto 1998, ha integrato il decreto interministeriale 27 dicembre 1997 di programmazione dei flussi di ingresso per l’anno 1998, prevedendo, inizialmente, la regolarizzazione delle posizioni di soggiorno di 38.000 lavoratori extracomunitari.

Le procedure sono state individuate con specifiche direttive con le quali sono state fissate, in particolare, le modalità da seguirsi per la presentazione delle domande, introducendo, anche sulla base dell’esperienza maturata in passato, il sistema delle prenotazioni, da effettuarsi entro il termine prescritto del 15 dicembre 1998.

Con il D.L.vo 13 aprile 1999, n.113, correttivo del T.U. sull’immigrazione, è stata introdotta nel T.U. stesso, all’art.49, comma 1 bis, una norma che ha esteso la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno per motivi di lavoro a tutti coloro che avessero presentato, nei suddetti termini, la domanda di regolarizzazione e fossero in possesso dei prescritti requisiti.

 

            Centri di Permanenza Temporanea ed Assistenza

Sul piano strettamente operativo connesso alle espulsioni ed ai respingimenti adottati dai Questori, fondamentale importanza hanno rivestito i Centri di Permanenza Temporanea ed Assistenza, progressivamente istituiti a norma dell’art.14 del Testo Unico n. 286/98.

            Tali centri, la cui individuazione richiede l’adozione di un decreto del Ministero dell’Interno di concerto con i Ministri del Tesoro e della Programmazione economica e per la Solidarietà Sociale, sono finalizzati al trattenimento (per un massimo di 30 giorni con convalida dell’autorità giudiziaria) dello straniero irregolare già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento qualora non sia possibile, ovviamente, eseguire tale provvedimento con immediatezza.

            Già prima della emanazione della legge n. 40/1998, sulla base del disegno di legge in approvazione, l’allora Ufficio del Commissario Straordinario per l’Immigrazione e, in seguito alla sua soppressione, il Ministero dell’Interno, avevano avviato la ricerca di aree o strutture idonee all’istituzione di tali centri sulla base di una pianificazione di massima che teneva in particolare conto la situazione delle regioni Sicilia, Puglia e Calabria dove era ed è più frequente lo sbarco di clandestini.

            Contemporaneamente alla realizzazione di detta pianificazione, subito dopo l’emanazione della legge, fu peraltro necessario attivare tempestivamente centri, anche a carattere provvisorio, per far fronte ai numerosi sbarchi avvenuti durante i mesi di giugno, luglio e agosto del 1998.

            Proprio quell’emergenza consentì al governo di valutare l’efficacia del nuovo strumento di contrasto all’immigrazione clandestina e in questa ottica fu deciso di rivedere, sulla base dell’esperienza maturata, la pianificazione territoriale di dette strutture nonché di approfondire i criteri di attivazione e di gestione.

            Negli anni 1999-2000 è dunque proseguita l’azione del Ministero dell’Interno volta alla creazione di una idonea rete di centri che potessero far fronte alle crescenti esigenze delle questure in materia di esecuzione di provvedimenti di espulsione.

            Alla data del 1° dicembre 2000 risultano attivi 11 centri di permanenza (Torino, Roma, Lecce-Melendugno, Ragusa, Catanzaro-Lamezia Terme, Caltanisetta, Agrigento, Milano e Trapani) per un totale di circa 1.200 posti nonché altri due centri dedicati alle operazioni di primo soccorso, identificazione e successivo smistamento (Lecce-Otranto e Lampedusa) per ulteriori 290 posti.

            Nel triennio 1998-2000, il numero di stranieri che sono transitati nei centri di permanenza temporanea ha avuto il seguente andamento:

-nel 1998 sono stati accolti complessivamente (nei 6 mesi di applicazione della norma) n.5.007 stranieri;

-nel 1999 n.11.269

-nel 2000 (sino al 31 ottobre) 8.068

            Sotto l’aspetto della gestione, le particolari caratteristiche dei centri richiedono che la struttura, pur finalizzata ad una permanenza obbligatoria dello straniero, garantisca condizioni di vivibilità interne non lesive della dignità umana e una completa libertà di corrispondenza verso l’esterno, anche telefonica.

            A tal fine è stata emanata, a firma del Ministro dell’Interno, una Direttiva in cui vengono fissati gli obiettivi da perseguire con riguardo sia agli aspetti di sicurezza connessi al trattenimento, sia al rispetto dei diritti e dei doveri delle persone ospitate.

            L’assistenza degli stranieri è stata affidata, sulla base di specifiche convenzioni, ad enti o organizzazioni con comprovate esperienze nel settore solidaristico e assistenziale. In particolare molte strutture sono state affidate alla Croce Rossa Italiana, nella prospettiva di assicurare uniformi interventi su tutto il territorio nazionale in attuazione di quei profili inscindibili di legalità e solidarietà cui è improntata la normativa sull’immigrazione, evitando altresì la pur facile assimilazione dei centri di permanenza temporanea e assistenza a strutture detentive, accentuandone invece, le caratteristiche umane e sociali.

            La sopra richiamata Direttiva ha in tal senso suggerito percorsi di intervento e di collaborazione tra ente gestore e associazioni di volontariato e cooperative di solidarietà per giungere all’attivazione di servizi di interpretariato, informazione legale, mediazione culturale e supporto psicologico da fornire agli stranieri ospiti dei centri.

            Il coinvolgimento di tutte le forze sociali interessate all’immigrazione deve improntarsi infatti alla consapevolezza che solo il contenimento dei flussi irregolari, di cui i centri rappresentano uno degli strumenti fondamentali, può consentire la regolare gestione del fenomeno immigratorio, assicurando, nel contempo, le condizioni per l’ottimale integrazione delle forme di migrazione regolare.

            Sempre nell’ambito dell’azione svolta dal Ministero dell’Interno nel trascorso triennio, va ricordata l’attivazione di tre strutture di accoglienza  nelle quali vengono soccorsi e assistiti (nella prima fase necessaria della loro identificazione, nelle more dell’adozione del provvedimento di espulsione o del rilascio del permesso di asilo) gli stranieri giunti in modo irregolare sulle nostre coste. Dette tre strutture sono ubicate nelle province di Bari, Crotone e Foggia ed hanno una capacità di massima di circa 4.500/5.000 posti. La loro attivazione e gestione è attuata ai sensi della legge n.563/1995.

 

Accordi di Riammissione e cooperazione internazionale

Sia la lotta all’immigrazione clandestina, che il contrasto della tratta di donne e minori, hanno necessitato di un’ampia collaborazione internazionale, sia a livello informativo, sia con la sottoscrizione di specifici Accordi di Riammissione con gli Stati dai quali provengono con maggior frequenza i clandestini, e di cui si parlerà maggiormente nel terzo capitolo di questo documento.

Pertanto, accanto al determinante ruolo svolto dal Servizio Interpol, punto di riferimento per ogni attività di intelligence nello specifico settore, notevoli risultati, nell’ultimo triennio, sono stati raggiunti in applicazione dei predetti accordi.

Lo Scambio di Note tra il nostro Paese e la Tunisia ha dispiegato effetti di rilevante deterrenza sull’immigrazione clandestina proveniente da quello Stato e che si realizza sulle coste siciliane, portando il numero degli sbarchi da 8828 nel 1998, a 1973 nel 1999 e a 2782 nell’anno 2000.

Anche gli sbarchi in Puglia hanno evidenziato una netta diminuzione a seguito di iniziative di collaborazione con le Autorità albanesi e montenegrine – sancita quest’ultima dalla firma di un  Memorandum of Understanding il 9 dicembre 1999, passando da 28.458 nel 1998, a 46.481 nel 1999 (anno della crisi kosovara), per poi crollare a 18.990 nell’anno 2000.

Per ciò che riguarda la collaborazione internazionale finalizzata all’approfondimento delle indagini sui sodalizi criminali coinvolti nel fenomeno, particolare rilevanza ha assunto il Memorandum d’Intesa sottoscritto ad Ankara il 5 luglio 2000, grazie al quale l’Italia e la Turchia hanno avviato proficue operazioni di polizia.

            Non si è mancato di assumere contatti sia con altri Paesi dell’U.E. per la cooperazione transfrontaliera di polizia, sia con Paesi terzi per un più rapido ed efficace scambio di informazioni, finalizzato alla lotta alle organizzazioni criminali dedite al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Nel corso del 2000, l'Italia ha avviato un dialogo bilaterale con alcuni altri Stati membri dell'Unione europea, al fine di intensificare la cooperazione nel campo della lotta all'immigrazione clandestina e alle organizzazioni criminali dedite al suo sfruttamento. Tali contatti sono stati sviluppati, in primo luogo, con alcuni dei paesi che condividono con l'Italia la condizione di "frontiera esterna" terrestre e/o marittima dell'Unione: Germania, Grecia e Spagna. Da questi contatti sono scaturite intese di cooperazione di polizia che prevedono l'avvio di forme concrete di cooperazione rafforzata, che si spingono oltre il quadro della cooperazione già esistente e disciplinata dall'acquis di Schengen e dagli sviluppi normativi successivi. Di particolare rilevanza è l'accordo raggiunto con la Germania, che prevede, tra l'altro, percorsi di formazione congiunta per le forze preposte al controllo delle frontiere dei due paesi, visite "incrociate" alle infrastrutture finalizzate al controllo di frontiera nei due paesi, scambio di informazione e disseminazione delle best practices. L'accordo italo-tedesco presenta particolare interesse, perché l'esperienza dei due paesi è, in qualche modo, complementare: infatti è previsto l’invio di osservatori specialisti di polizia dell’immigrazione nelle aree di maggiore interesse (Puglia per l’Italia, confine Ceco e Polacco per la Germania) Le esperienze accumulate dall'Italia in materia di controlli sulle migrazioni clandestine via mare è prezioso per la Germania, che ha problemi crescenti nel Mare del Nord, mentre le conoscenze consolidate della Germania sul controllo dei confini terrestri verso est possono fornire indicazioni utili per l'Italia.

Sono state inoltre conseguite intese con le omologhe autorità spagnole per un’efficace attività di controllo e di sorveglianza delle frontiere. Sono stati così individuati specifici punti di contatto, a livello centrale e periferico, per lo scambio, in tempo reale, di tutte le informazioni attinenti a fenomeni migratori illegali, avviando, contestualmente, un programma congiunto di distacco di funzionari di polizia presso i confini dei due paesi maggiormente interessati da flussi di immigrazione clandestina, al fine di procedere ad una conoscenza reciproca delle procedure eseguite per il controllo ed il pattugliamento delle frontiere.

Anche con la Slovenia sono state avviate proficue forme di cooperazione transfrontaliera che contemplano l’avvio, in via sperimentale, di servizi di pattugliamento, con personale di polizia italiano e sloveno, per il controllo di alcuni tratti di frontiera maggiormente permeabili ai tentativi di ingresso clandestino. Le metodologie impiegate per lo svolgimento di detti servizi formeranno oggetto di memorandum d’intesa per definire nel dettaglio le procedure.

Era stato convenuto, inoltre, lo scambio di ufficiali di collegamento per agevolare la cooperazione operativa e investigativa con specifico riferimento alla tratta degli esseri umani.

Più in generale, questi accordi potrebbero rappresentare l'embrione di iniziative più ampie, da sviluppare in ambito europeo. In particolare, la riforma dell'istituto della cooperazione rafforzata permetterà concretamente a un'avanguardia di paesi europei di lavorare per creare il nucleo originario di una futura polizia di frontiera comune, nello spirito di un rafforzamento complessivo della costruzione europea e delle sue frontiere esterne.

            In tale contesto, è auspicabile un impegno futuro volto al consolidamento delle citate iniziative ed allo sviluppo di rapporti di collaborazione con le Autorità di Paesi con i quali ancora non è stata promossa alcun tipo di cooperazione. In particolare, si sottolinea che, a fronte di nuove iniziative già intraprese con la Cina, il Pakistan, lo Sri Lanka, il Senegal, il Bangladesh e la Moldavia, ulteriori sforzi dovranno essere profusi per l’adozione di simili congiunte iniziative con i Paesi geograficamente limitrofi, con quelli dell’Unione Europea e con altre regioni più remote ma direttamente interessate al fenomeno.

 

 

            Lotta alla tratta degli esseri umani e al traffico dei migranti.

E’ importante sottolineare un tema di rilevante spessore sia per gli aspetti di tutela della collettività, sia sotto il profilo della lotta alla criminalità organizzata, non solo nazionale, connessa al settore delle migrazioni.

       Si tratta del fenomeno del traffico di migranti e della tratta degli esseri umani, che secondo alcuni studi di settore sarebbe causa principale dell’incremento della criminalità riferibile agli stranieri, spesso oggetto di sfruttamento da parte delle organizzazioni criminali o comunque di utilizzo e “reclutamento” da parte delle stesse.

            Al fine di intervenire non solo con la repressione penale del fenomeno criminale, ma sotto il profilo della sua prevenzione, sembra necessario sviluppare ogni iniziativa di studio del fenomeno.

       La particolare vulnerabilità dell’Italia alle rotte del traffico illegale di migranti, per evidenti ragioni geografiche, deve far porre attenzione al problema, in relazione al quale sono già in corso fonti normative, iniziative e progetti che sono certamente avanzati nel panorama internazionale.

       Già è stata fatta una scelta politica originale e innovativa, nell’ambito del Testo Unico sull’immigrazione. All’interno di questo corpus è stata considerata la particolarità della posizione dello straniero che sia coinvolto  in un progetto migratorio illegale.

       Nella consapevolezza che la lotta contro i trafficanti di persone dovesse essere in primo luogo rivolta all’individuazione dei vari segmenti del fenomeno, in mano ad organizzazioni criminali con ramificazioni, complicità, connivenze oltre i confini nazionali, è sembrato necessario perseguire una strategia di accertamento a ritroso e quindi porre l’attenzione sulle necessità di tutelare la vittima nel caso di tratta a fini di sfruttamento, incentivandone la collaborazione con le autorità.. In tale ottica è stato configurato l’istituto del permesso di soggiorno a fini di protezione sociale (previsto dall’art. 18 del T.U.). Secondo la norma è possibile che il Questore conceda un breve permesso di soggiorno (6 mesi rinnovabile fino ad 1 anno) per quegli stranieri che, benché irregolarmente entrati o presenti nel territorio italiano, si trovino in situazioni di violenza o di grave sfruttamento, tanto che sia concreto il pericolo per la loro incolumità, causato dal tentativo di sottrarsi al condizionamento dell’associazione criminale, oppure connesso alla circostanza di aver rivelato particolari conosciuti delle fenomenologie criminose (collegate al traffico di migranti oppure alla consumazione di gravi delitti) all’autorità giudiziaria.

       I possibili destinatari dello strumento sono invero non solo i migranti vittime della tratta (costretti con violenza minaccia od ingannati ad entrare irregolarmente nel territorio per essere sottoposti a gravi forme di sfruttamento quali la prostituzione ed il lavoro forzato), ma anche gli stranieri che sono indotti, a motivo dalla situazione di sottosviluppo e disagio dei Paesi di provenienza e sulle persuasioni delle organizzazioni malavitose, a iniziare un progetto migratorio “oltre le regole”, ossia facendo clandestino ingresso nel territorio italiano, per realizzare facili guadagni, con arruolamento nei ranghi inferiori delle bande criminali. In tale situazione il percorso dello strumento si configura come marcatamente “premiante” per la collaborazione giudiziaria offerta, ma arricchito, rispetto al ristretto ambito di permesso a fini di giustizia, di una connotazione sociale, incentrata sulla tutela dei diritti umani fondamentali quali la vita e l’integrità fisica, rispetto alla minaccia diretta costituita dai gruppi criminali.

      Come appare evidente il fenomeno è stato affrontato sotto un duplice aspetto: tutela delle vittime dei reati, ma anche strategia investigativa volta a far emergere il numero oscuro del fenomeno, incentivando la collaborazione da parte delle vittime del traffico e quindi la rilevazione di elementi utili ai fini delle indagini, con l’obiettivo di rendere più agevole la scoperta e la repressione del fenomeno. La possibilità di regolarizzare la posizione di soggiorno diviene così, per lo straniero non un premio per la collaborazione, ma un incentivo alla stessa, correlato alla nascita di una fiducia nei confronti delle istituzioni, che si manifestano in grado di proteggere e nel contempo ottenere gli elementi  necessari a perseguire in via concreta il crimine.

Il sistema normativo vigente prevede che il progetto di protezione sociale sia attuato da istituti iscritti in un apposito registro presso il Dipartimento degli Affari sociali. Contenuti , finalità, modalità di attuazione dei progetti, finanziati con risorse espressamente destinate a tali finalità dalla legge, sono verificati tramite la Commissione sulla tratta ex art. 18 istituita presso il Dipartimento delle Pari Opportunità, che dispone altresì delle risorse che il T.U. espressamente riserva a tale scopo. Il lavoro svolto finora ha portato a discreti risultati anche solo dopo il primo anno di attivazione del sistema (entrato a regime dopo l’emanazione del regolamento di attuazione al T./U. sull’immigrazione). Infatti, al 1 ottobre 2000 i permessi di protezione sociale rilasciati dalle questure erano 580.

Iniziativa di importanza sul tema è rappresentata dalla recente istituzione presso il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri di” un numero verde” al quale le vittime dello sfruttamento possono rivolgersi e l’individuazione presso gli uffici stranieri delle questure di “referenti “per i procedimenti relativi ai permessi di soggiorno di protezione sociale, aventi l’incarico di assicurare canali privilegiati di contatto.

 

Il rinnovato dibattito sul fenomeno del traffico di persone ha già spinto il Governo a rimeditare la normativa penale in vigore, alla luce dei caratteri peculiari del fenomeno. Il 23 marzo 1999 è stato presentato il disegno di legge governativo (5350/C in discussione alla Camera) che definisce una nuova fattispecie di delitto di traffico di persone, specificando le modalità della condotta (violenza, minaccia o inganno), l’evento (costrizione o induzione di persone a muoversi da o verso lo Stato o all’interno di esso) e la finalità specifica ed ulteriore della volontà lesiva (scopo di riduzione in condizione analoga alla schiavitù, determinando in via specifica come condizione analoga alla schiavitù, lo sfruttamento anche non sessuale della persona),  ora unificato con altre iniziative legislative parlamentari.

Quanto alle specifiche problematiche in ambito investigativo, si deve inoltre sottolineare come la transnazionalità delle rotte del traffico, ossia la raccolta o "arruolamento" nei Paesi d'origine delle vittime, il cross-border, la gestione a destinazione e lo smistamento nei diversi mercati di sfruttamento (prostituzione, lavoro forzato, ecc.) sono gli elementi che possono venire alla luce solo attraverso un'attività d'indagine attenta e professionale che, prendendo le mosse da un singolo episodio (spesso la vittima che riesce a "rompere" il muro di violenza e sopraffazione sottraendosi alla malavita) risalga i percorsi attraversati dalla vittima nel suo viaggio di migrazione coatta, individuando i personaggi coinvolti. Tale indagine attenta non può fare a meno della cooperazione internazionale.

E' quindi inevitabile proiettarsi in un'ottica di indispensabilità di cooperazione giudiziaria, anche  alla luce dei risultati che saranno percorribili prima attraverso la firma, poi con la ratifica della Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale ed in particolare con i Protocolli relativi alla tratta di persone ed al traffico di migranti.

Con l’adozione di tali strumenti gli Stati è stato raggiunto l’importante  obiettivo di omogeneizzazione dei fatti delittuosi di carattere organizzato transnazionale, individuando gli opportuni strumenti di cooperazione giudiziaria, di polizia ed anche di collaborazione tra gli Stati al fine di prevenire tale tipo di criminalità .

Ulteriore effetto dello strumento è rappresentato dal reciproco riconoscimento della normativa in materia di immigrazione attraverso la considerazione del pari disvalore alla condotta di procurare l’illegale ingresso nel territorio nazionale e quello illegale nel territorio di altro Stato parte, elemento che lungi dal riguardare solo l’aspetto tecnico della descrizione delle offese, pone in primo piano la considerazione di rapporti di reciproca equiparata considerazione tra gli Stati.

Tali strumenti rappresentano un indubbio risultato e i loro contenuti dovranno indirizzare il dibattito delle iniziative da attuare sul tema, cominciando dagli adeguamenti legislativi.

      L’esigenza di una analisi scientifica del fenomeno è indifferibile . Per questo il Ministero della Giustizia ha ideato, e ne sta promuovendo l’attivazione tramite il meccanismo dell’“azione di sistema” specificamente finanziabile attraverso i fondi previsti dal T.U. sull’immigrazione, un progetto – il cui obiettivo finale è l’instaurazione di un monitoraggio stabile ai fini di raccolta dei dati e delle informazioni sul fenomeno - che ha come scopo, non solo lo studio di esso in ambito giudiziario (con esame degli stessi risultati processuali), ma anche la rilevazione degli ambiti di cooperazione giudiziaria od investigativa, intercorsa con i Paesi di origine delle vittime - e anche degli autori individuati del delitto di traffico. Il progetto mira inoltre ad evidenziare i profili di interesse in relazione al contributo fornito nel corso delle investigazioni dalle organizzazioni non governative che si occupano della tutela degli stranieri. Il monitoraggio dovrebbe riguardare tutti i flussi e tutti i fenomeni di traffico, ovunque individuati in Italia, e oltre alla raccolta di dati, intende raccogliere suggerimenti e proposte dalle autorità giudiziarie impegnate concretamente nelle investigazioni sul fenomeno, per attuare tutte le iniziative operative, di eventuale modifica normativa, e di promozione o intese a livello bilaterale, europeo ed internazionale, che si renderanno opportune per una maggiore efficacia della risposta dello Stato al fenomeno criminale, non solo sotto l’aspetto della repressione dei delitti,  ma anche in relazione all’esigenza di tutelare le vittime e i diritti umani degli stranieri migranti.

Questo progetto potrà dare un contributo di innegabile rilievo anche agli studi attualmente in corso in ambito di Unione Europea, favorendo una migliore raccolta di informazioni  sul traffico di persone, in relazione a quei Paesi di emigrazione con traiettorie dei flussi in transito o in destinazione finale in Italia. L’ottica è quella di farsi promotori, in quanto Paese di transito di flussi migratori, di un “processo attivo” di cooperazione generale, con particolare riferimento alla cooperazione in campo giudiziario.

 

Obiettivi:

-       implementare i Protocolli Onu relativi alla tratta di persone ed al traffico di migranti, non solo predisponendo la ratifica in tempi rapidi della Convenzione e dei relativi strumenti aggiuntivi, ma curando in via diretta le iniziative  conseguenti che risultino affidate dalla legge al Ministero della Giustizia.

-       Instaurare un monitoraggio dei fenomeni di criminalità riconducibili alla immigrazione latu sensu illegale., con la prospettiva della stabilità della rilevazione dei dati.

-       rafforzare il dialogo interistituzionale non solo al fine di confrontare dati ed elementi conoscitivi del fenomeno, ma per attuare sinergie di intenti e perseguire l’obiettivo finale di un’efficace lotta contro tale forma di criminalità.

-       Incrementare i rapporti bilaterali in ambito europeo ed internazionale, per agevolare la cooperazione giudiziaria e lo sviluppo di progetti di scambi di best practises.

 

 

          Immigrazione e criminalità nel sistema penitenziario

          Dalle statistiche sulla popolazione detenuta in Italia, risulta sempre più importante la presenza di immigrati extracomunitari, per lo più irregolari. Non sempre la permanenza in carcere è conseguenza della gravità del reato: le difficoltà di accesso alle misure alternative hanno il loro peso, molti condannati stranieri “pur essendo in possesso dei requisiti di pena, non si trovano nelle condizioni di seguire un progetto trattamentale esterno in relazione ad oggettive carenze di riferimenti familiari, lavorativi e logistici derivanti nella maggior parte dei casi dalla totale assenza di soluzioni abitative e di adeguate strutture di accoglienza di tipo residenziale”. La situazione descritta, di precarietà sociale, rimane invariata, malgrado sia stato tentato, e in parte ottenuto, un miglioramento dell’accesso alle informazioni relative ai presupposti per la fruibilità delle misure alternative, alla luce della legge 165/98, cd. Legge Simeone.

Non si sottovalutano le istanze di sicurezza sociale espresse dalla comunità, alle quali già risponde l’azione di governo e parlamento, secondo le rispettive competenze; ma, per fini di chiarezza, si tiene presente che le problematiche legate alla “certezza della pena” riguardano la delinquenza in generale, anche italiana.

La questione del “come” gestire il fenomeno all’interno degli istituti, dove esso si manifesta ed è probabilmente destinato a crescere, è forse ancora più urgente. La risposta è stata trovata, molte volte, attraverso “buone prassi” messe in atto ad opera di direttori e staff penitenziari, in situazioni locali particolarmente stimolate. Nel quadro delle iniziative di tipo “trattamentale” si stanno promovendo convenzioni con agenzie accreditate di mediazione linguistico-culturale, per interventi in tutti gli istituti che vedono una massiccia presenza di detenuti extracomunitari.

Particolare la situazione degli stranieri detenuti minorenni. La gestione dei minori stranieri, sia nell’ambito dei programmi strutturati, sia nell’ambito della risposta alle urgenze, è una questione che investe direttamente le competenze di diverse amministrazioni (Ministero della Giustizia, dell’Interno, degli Esteri, della Sanità, degli Affari Sociali, della Pubblica Istruzione, del Lavoro, delle Finanze) nella ricerca e nella predisposizione di interventi da realizzare a breve termine, per contenere gli effetti immediati, e di programmi strutturati per iniziative a medio e lungo termine.

      L’intervento operativo si realizza invece nelle singole aree territoriali e, in tale direzione, è soltanto a livello decentrato che si possono trovare soluzioni efficaci, attraverso la definizione di accordi tra i diversi uffici (Ufficio Minori ed Ufficio Stranieri delle questure, degli enti locali e delle aziende sanitarie locali) per realizzare un’offerta di servizi corrispondente alle esigenze.

      La presa in carico del problema stranieri da parte del territorio risulta una necessità, per garantire anche all’utenza penale minorile straniera la fruizione di un sistema di opportunità e, quindi, la possibilità di accedere a tutte le misure e ai benefici previsti per i minori, in custodia cautelate o in esecuzione di pena, e di garantirne la prosecuzione al termine dell’iter penale.

     Il problema di attivare una rete di servizi riguarda anche la possibilità di dare piena attuazione ai provvedimenti civili, disposti parallelamente o in prosecuzione ai provvedimenti penali, riducendo, inoltre, il ricorso alla custodia cautelare quale intervento surrogatorio di attività di sostegno e di assistenza di natura penale.

      Dai risultati delle analisi effettuate sulla base dei dati estratti dal sistema informatico dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, per gli anni 1998 e 1999 e per il periodo gennaio/ottobre 2000, risulta purtroppo che l’utenza degli istituti penali per minorenni è composta in prevalenza da minori di provenienza extracomunitaria.

      In particolare, l’incidenza di questi ultimi sul totale dei transiti è risultata maggiore del 50% in tutti  i periodi considerati ed è aumentata nell’anno in corso, risultando pari al 59,4%. Ed inoltre quasi tutti i soggetti stranieri che vengono a contatto con i Servizi della Giustizia minorile sono privi di permesso di soggiorno

 

Gli obiettivi in campo penitenziario:

 

·      garantire agli stranieri l’esercizio dei diritti riconosciti ai condannati e detenuti , anche durante la custodia in carcere e comunque nella fase di esecuzione della pena. Di grande rilievo è il problema dei colloqui difensivi, la necessità che le barriere linguistiche per i detenuti stranieri possano essere superate con l’utilizzazione delle figure dei mediatori culturali nelle strutture carcerarie, che vengano a coadiuvare anche il difensore facilitando l’esercizio di una difesa tecnica effettiva.