relazione di Fredo Olivero
Agosto 2001
·
L’immigrazione
estera va considerata nel contesto della globalizzazione crescente e della comunicazione mondiale
che rendono il mondo villaggio globale: spinge a partire chi è vittima
potenziale, chi vede un futuro migliore laddove paiono esserci effetti
economici positivi, fuori dal proprio territorio. La globalizzazione, infatti,
mentre unisce (avvicina la comunicazione la finanza, il commercio), divide
tra beneficiari e vittime.
Essa è letta come “mito ineluttabile, destino del mondo”,
strada su cui mettersi per ottenere la felicità, ma non vengono
esaminati a fondo gli effetti sulle persone più deboli, sulle vittime, né
si vuole costruire
la globalizzazione dei diritti umani.
La globalizzazione premia fortemente chi raccoglie i
benefici ( “i globali”), perché sono loro a fissare le
regole del gioco della vita, ma mette in atto la “localizzazione”
privandola dei
benefici e rendendo “i locali” vittime, partecipi di un destino non
voluto e crudele, segno di inferiorità e degradazione sociale.
Le regole non scritte della vita (finanza, economia,
commercio, cultura, comunicazione, ecc.), sono imposte a tutti dai
“globali”:
reti di rapporti designati che lasciano passare le comunicazioni, la finanza,
il commercio….ma non le persone e quanti generano tensione e
disuguaglianza.
·
Il
flusso migratorio maggiore è interno al sud del mondo, dove si spostano milioni di
persone per fame, siccità, guerre, repressione, speranza di un lavoro
dignitoso. La grande maggioranza dei migranti e dei rifugiati è interna
alle aree mondiali di crisi (Africa Subsahariana, Medioriente, Sud e
Sudestasiatico, Balcani). Noi contiamo solo chi arriva nel ricco occidente e
nelle aree industrializzate e “disturba” il nostro progetto: un mondo
dove tutto è libero di circolare, meno le persone del sud del mondo.
·
L’immigrazione
estera cade in un tessuto (Italia) che ha sperimentato per cento anni
l’emigrazione.
Solo nel periodo 1876 – 1976 sono stati 25.800.000 gli espatri di
italiani, con tre grandi periodi: l’emigrazione fino alla prima guerra
mondiale (1876 – 1915), il periodo tra le due guerre (1916 – 1945)
ed il terzo dal 1946 al 1976, con punte annuali vicine ai 900.000 (1913), pari
al 2,4% della popolazione intera. Solo i 2/5 sono partiti dal sud e dalle
isole, mentre i 3/5 dal centro e dal nord, soprattutto dal nord-est.
Oggi i figli e nipoti di italiani nel mondo, di vario
colore, sono 58.000.000 e di questi oltre 5.000.000 hanno passaporto italiano. Vi
è dunque in terra non italiana una seconda Italia, magari colorata, che è diventata risorsa
positiva nel contesto di altri popoli.
· Una grande esperienza migratoria interna (sud-nord, est-ovest) è avvenuta nelle
nostre città, impoverendo il sud e cambiando la fisionomia del nord:
sono milioni quelli che si sono trasferiti per lavoro. I nuovi immigrati dunque
non incontrano solo nativi, ma un tessuto (riferito a Torino e provincia) dove
il 50% è immigrato o è figlio di immigrati recenti (di seconda e
terza generazione).
· Secondo le anticipazioni del Dossier
Caritas 2001, l’Italia paese di immigrazione conta 1.686.606 di stranieri
soggiornanti in Italia: 1.380.153 hanno un regolare soggiorno. Il
dato comprende anche i soggiorni in rinnovo ed i minori iscritti sul soggiorno
dei genitori. I nuovi soggiorni sono stati 271.000, mentre il numero
complessivo di soggiorni regolarmente validi a fine anno è aumentato di
137.000. I maschi rappresentano il 54,2%, le donne il 45,8%. I cittadini
comunitari ( 151.798) rappresentano il 10,9% del totale. L’Italia (dopo
Germania, Francia, Inghilterra) è ora il quarto paese dell’UE per
numero di immigrati, il cui numero è raddoppiato in 10 anni, ma corrisponde
solo al 2,9% dei residenti, poco più della metà della media
europea (5,1%). Nuovi arrivi e regolarizzazioni cambiano il volto
dell’immigrazione. La prima provenienza si conferma quella marocchina, ma
percentualmente crescono di più (intorno al 25% nel confronto fra
’99 e ‘00) le provenienze dall’Est Europa (Albania, ex
Jugoslavia e Romania), dalla Cina dell’India e dalla Nigeria e dal
Bangladesch. Le provincie con maggior presenza sono: Roma con 222.588, Milano
con 174.460, Torino con 48.737 seguite da Napoli e Firenze, Treviso e Verona ( con oltre 30.000).
· Continua il tendenziale riequilibrio di genere e quindi anche la ricomposizione di
nuclei familiari anche se nel 2000 c’è stata una leggera flessione
(-1%) dei permessi rilasciati a donne. E’ un segno di stabilità,
di un’immigrazione che considera l’Italia non più solo un
bacino di risorse a cui attingere, ma un paese dove ripensare il proprio
futuro a medio e lungo termine.
A conferma di questa lettura ci sono i dati sui permessi di soggiorno per
motivi di famiglia, che insieme a quelli per lavoro rappresentano l’88%
di tutti i permessi.
L’immigrazione in
Italia si presenta con due volti, quello della stabilizzazione,
dell’inserimento nel tessuto socio-economico, dell’integrazione e
quello dell’emergenza, dell’emarginazione, dello sfruttamento e
della marginalità.
Troppo spesso si parla solo
di questo ultimo aspetto, dei
costi in termini di sicurezza e di oneri sociali, di prostituzione e di
traffico di droga, di violenze e di irregolarità e non
dell’aumento del numero dei collocati nell’industria e nel
terziario, dell’assistenza e della cura degli anziani garantita da
migliaia di donne filippine, peruviane, rumene, dell’aumento dei
lavoratori autonomi e della crescita dell’imprenditoria etnica,
dell’aumento di famiglie e delle nascite, della scolarizzazione
crescente.
Chi è il cittadino straniero che arriva e
vive in mezzo a noi? Alcune cose che sappiamo di lui.
Nell’immaginario collettivo, l’immigrato che arriva tra
di noi è il disperato (vedi
gli sbarchi in Puglia o in Calabria o gli arrivi irregolari dai paesi
dell’est attraverso la Slovenia o da nord: Austria, Svizzera, ecc.), il
povero, l’affamato che nel suo paese moriva di fame, il lavavetri senza mestiere, l’ambulante
adulto o ragazzino, il disoccupato,
la donna che lavora in famiglia, la colf,
oppure, se è Africana o albanese, la prostituta.
Tutto questo ha elementi di verità: esiste una realtà
emergenziale, evidenziata dai
media e fatta per lo più da richiedenti asilo e da chi tenta l’avventura migratoria
con i viaggi organizzati dalla criminalità, fatta da chi si lega ad una
catena migratoria “fai da te”, ma non sono l’unica realtà e oggi costituiscono una minoranza degli
arrivi, molti di questi
inoltre ripartono o vengono rimpatriati. L’immigrato estero che viene dal sud del mondo o dall’est
europeo, dall’Africa, dall’America Latina o dal sud - est asiatico è
ben diverso dallo stereotipo proposto, così come sono diversi tra il curdo, il cinese
o il cingalese che sbarcano in Puglia o Calabria.
Fino a tre anni fa
giungeva irregolarmente almeno l’80% dei cittadini stranieri (ora meno di
1/3), che per ottenere
“passaggi” in Italia pagavano agli organizzatori del traffico
clandestino (concittadini o gruppi misti stranieri, italiani conniventi)
compensi che corrispondevano da 1
a 5 anni di salario percepito nel paese e cercavano poi di regolarizzarsi con
le sanatorie. Oggi invece il numero di ricongiungimenti familiari e le chiamate
per lavoro superano il numero degli arrivi irregolari.
Si tratta di giovani e adulti che nel proprio paese hanno casa e lavoro, vivono una condizione
sociale culturale ed economica che
potremmo definire di classe media (sempre in relazione al paese di origine). I disperati, i poveri non
hanno risorse per emigrare e si fermano alle periferie delle città o delle capitali dei
paesi di provenienza, o in aree non occidentali di minor prestigio (vedi Paesi
arabi, sud est asiatico, poli periferici di sviluppo)
Oggi arrivano soprattutto operai qualificati, tecnici, lavoratori
del commercio, giovani diplomati, contadini e piccoli proprietari di terra,
insegnanti, impiegati, tecnici, studenti
universitari o neolaureati.
Molti i minori,
soprattutto adolescenti e preadolescenti, che si ricongiungono al genitori mentre
diminuiscono minori soli.
Quasi la metà degli arrivati sono donne, pur con un leggero calo nel 2000 (-1%).
L’immigrato, in genere, ha in proprio o si è procurato,
con prestiti forzosi, buone risorse economiche soprattutto quando parte
irregolarmente (deve disporre da
10 a 50 salari del proprio paese e di appoggi nel paese d’arrivo).
Ha una buona capacità di adattamento ed è
intraprendente: non ha paura del nuovo
perché conosce altre lingue (talora l’italiano) ed intende
affrontare i rischi del nuovo radicamento. Ci sono fenomeni legati a un’immigrazione
di “transumanza”
o “catena umana” che tocca parti significative della
comunità cinese, rumena, marocchina, peruviana, bengalese: sono intere
aree che trasferiscono gruppi consistenti di singoli e famiglie. Fra questi si
trovano anche persone meno
abbienti perché appoggiate al gruppo già emigrato.
Dall’inizio del 2000 in cui viene praticato il T.U. (legge
268/98), circa i 2/3 degli immigrati arrivano per ricongiunzione famigliare, o
grazie allo sponsor o per chiamata
di lavoro, Questo tipo di immigrazione necessita di minori risorse (è infatti
più cara e rischiosa l’immigrazione irregolare).
Si
tratta dunque di un immigrato giovane, uomo e donna, colto, con laurea o
diploma in percentuale elevata, che ha lavorato fino al mese prima, che ha nel
proprio paese una casa, una
famiglia e ha buona intraprendenza e per lo più una
professionalità esercitata. Inoltre ha una base di conoscenza di altri
immigrati che garantiscono l’auto - aiuto nella prima fase.
Una
categoria a parte sono i rifugiati, i richiedenti asilo con soggiorno umanitario che
fuggono dai paesi dove sono perseguitati o i cosiddetti “sfollati”
(ex Jugoslavia) che fuggono da aree di guerra dove non il singolo ma
l’intera etnia o popolo sono perseguitati. A questi va data
l’unica risposta dell’accoglienza dignitosa, del recupero della
loro libertà.
I disperati, le vittime della povertà, della fame, della
violenza, della disoccupazione si
fermano per lo più nel proprio paese, spostandosi tutt’al
più dalla campagna alla città, da un’area ad
un’altra.
Meno numerosi dei migranti interni– ma ben più di quanti
emigrano nelle aree industriali dell’occidente – sono quelli che
stanno in aree limitrofe di sviluppo (paesi arabi, sud est asiatico, medio
oriente) o non toccate direttamente dalle guerre: gli sfollati in aree
limitrofe alle zone di guerra (in Africa la regione dei grandi laghi e il
Sudan, il medio oriente, la ex Jugoslavia ed ex Unione Sovietica).
Se teniamo conto dell’analisi iniziale sulla
“globalizzazione”, a partire, ad emigrare sono i
“locali” che hanno colto la dimensione della globalità,
della compressione spazio-tempo, e si ribellano alla loro condizione cercando
di passare da vittime a beneficiari.
A spingere alla partenza verso i paesi industrializzati chi nel
proprio paese ha una condizione di vita dignitosa non
è mai una sola ragione; nella maggioranza dei casi non è
la disperazione ma la mancanza di prospettive di ascesa sociale, di vita dignitosa per sé e per la
propria famiglia allargata, insieme al sogno dell’occidente che ti “offre tutto”, alla voglia
di libertà, di facile accesso ai guadagni ed ai consumi diventando, per
la grande famiglia che lo ha spinto a partire, “la gallina dalle uova
d’oro” che non può fallire né rientrare.
Incomincia così un gioco dei ruoli dove l’emigrato deve presentarsi sempre, a
sé ed agli altri, come colui che ha vinto e la famiglia, che è la beneficiaria, chiede
sempre più risorse. E ad ogni rientro temporaneo
le fotografie, le cartoline delle bellezze dell’Italia, le rimesse, i
regali per tutti – non solo simbolici – per i quali
l’emigrato si impoverisce e si indebita, sono elementi importanti che
confermano il ruolo assegnato.
La vera sconfitta
per l’immigrato e per il suo Clan famigliare rimasto al paese di origine,
non è quindi la dura vita di lavoro con orari prolungati,
l’abitare in casa inadeguata, ma il rientro forzato o il rimpatrio che mette fine ad un sogno coltivato dalle due parti:
l’emigrato e la famiglie rimasta nel proprio paese, che ne ha fatto il
simbolo del vincitore, di chi
può e deve far decollare economicamente e socialmente la grande famiglia che rimane.
CARATTERISTICHE
DELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA
I dati delle anagrafi, dei
collocamenti, della scuola, del Ministero dell’Interno, delle ricerche
sul campo, rimandano ad un’immagine di popolazione immigrata che è:
·
Sempre di
più fatta da famiglie consolidate (entrambi i genitori con i figli) e “nuove” (madri sole con figli, ragazzi affidati a
fratelli maggiori o parenti), ricongiunte o formatesi qui, sia riproducendo
comportamenti nuziali tradizionali, sia aprendosi a comportamenti esogamici.
·
dispersa nel
territorio cittadino,
“abbandonando” le aree classiche di insediamento da primo arrivo
per le aree limitrofe, dalla periferia sino alla prima cintura;
· diffusa nel territorio regionale, al di fuori delle aree urbane, nei paesi
dove è più facile trovare casa;
·
inserita nel
mercato del lavoro con facilità. Negli ultimi anni l’aumento del mercato del
lavoro è stato determinato al 40% da nuovi lavoratori immigrati
regolari; che nel 2000 costituiscono il 3.7% dei lavoratori.
·
composta da
minori il cui numero cresce
più degli adulti sia per ricongiunzione sia per nascita. La scuola
dell’obbligo e i servizi educativi (nidi e materna) sono diventati
laboratorio interculturale dove il raddoppio della popolazione scolastica
straniera avviene ogni 5 anni. Grande ruolo di laboratorio hanno anche i CTP
(Centri Territoriali Permanenti) dove confluiscono gli stranieri appena
arrivati per imparare la lingua e non solo;
·
comprende
ormai anche dalla seconda generazione: nel ’99, i nati
stranieri nelle grandi e medie città hanno raggiunto punte fino
al 12% del totale delle nuove nascite (su una popolazione straniera media del
3%);
·
Ricca di
competenze professionali
pregresse e risorse culturali che nella prima fase del progetto migratorio
“sono state accantonate di fronte all’urgenza di soddisfare bisogni
primari”.
Di
fronte ad una crescita sostenuta del mercato del lavoro italiano, soprattutto
al centro-nord (diminuiscono del 2% i disoccupati, cresce del 2,4
l’occupazione, scende del 4% il numero delle persone alla ricerca di un
lavoro), il mercato del lavoro immigrato nel ‘2000 segna un passo avanti
significativo superando le 800.000 unità(+94275 occupati).
Nell’arco dell’anno gli avviamenti al lavoro hanno superato il
numero dei disoccupati: ciò significa che mediamente ogni disoccupato ha
avuto più di una possibilità. I lavoratori stranieri con permesso
di soggiorno per lavoro dipendente
sono 763.799 (+73.111) mentre i disoccupati scendono a 87.323, a questi vanno
aggiunti 11.748 entrati per ricerca lavoro (con sponsor). Inoltre i lavoratori
autonomi sono86.920 (+20.964 rispetto al 1999).
Inoltre
le chiamate dall’estero stagionali e a lungo termine e attraverso lo sponsor (decreto flussi
2001) sono 83.000 per il 2001 di
cui 33.000 per lavoro stagionale, ma il numero è stato ampiamente
superato dalle offerte (da 1.5 a 5 volte secondo le Provincie).
Il
dato nuovo che sta emergendo è che in molte regioni sono ormai esaurite
le quote di ingresso per lavoro e l’offerta da parte di aziende
industriali, servizi, agricoltura, cura della persona non riesce ad essere
coperta.
Il
lavoro interinale ha reso possibile l’ingresso di uomini e donne nelle
grandi aziende ed i tassi di conferma sono elevati (ad es. degli 800 lavoratori
inviati attraverso l’UPM di Torino alle agenzie interinali e alle aziende
nei 12 mesi del 2000, il 33% ha avuto confermato il posto di lavoro).
Si tratta normalmente
di lavori manuali, con richiesta di tecnici e operai specializzati.
Domanda e offerta nei
servizi alla persona si equivalgono: oltre 400, e le interruzioni riguardano
all85% decessi dell’anziano, guarigioni, cambiamenti di situazioni
familiari.
L’osservatorio
del Ministero del Lavoro del Piemonte dà negli ultimi 24 mesi il
raddoppio degli anni di lavoro dei cittadini esteri.
PER RIFLETTERE:
·
Il lavoro
è il motivo principale per
cui l’immigrato si radica nel nuovo paese; si può parlare di
immigrazione per lavoro;
·
Oggi, la nostra
economia non è più in grado di fare a meno di loro in almeno tre
settori: assistenza agli anziani, industria, agricoltura;
·
Di solito
rispetto all’esperienza lavorativa e alle capacità culturali, il
lavoro immigrato occupa fasce più basse;
·
Con le tasse e i
contributi da loro versati vengono pagate oggi le nostre pensioni: è
insignificante il numero di stranieri che percepisce la pensione.
· Le stesse che potremmo fare ai lavoratori italiani.
· La collaborazione tra Migrantes, Caritas e Pastorale del Lavoro ed altri settori pastorali della Diocesi (catechesi, giovani, famiglia).
· Creazione in parrocchia di gruppi di riflessione di lavoratori (gruppi misti: anche con stranieri) e di gruppi di riflessione di vita nelle comunità etniche affinché si impegnino a scoprire il vangelo come parola da applicare nella vita. Per far nascere questi gruppi può essere necessaria una prima fase di incontri domenicali durante l’eucarestia, con approfondimenti sul significato del lavoro.
4. I VOLTI DELL’EMERGENZA
Non possiamo nasconderci che c’è
anche il volto dell’emergenza, i cui elementi talora vengono letti in modo
sbagliato. Ne accenno brevemente alcuni:
· L’immigrazione irregolare che diventa clandestina, si nasconde, che
giunge con le navi e i tir, senza visti o con visti di turismo, fatta di
disperati (richiedenti asilo) o di “furbi” organizzati,
è l’identikit che i
media accreditano come dominante, anzi quasi unico. Anche se le navi e i
gommoni sono molti e l’Italia ha 3000 Km di coste, ed altri 1000 di
confine terrestre con paesi che convivono volentieri con irregolari che
transitano, gli immigrati irregolari sono una realtà che si ferma solo
in parte per transitare altrove. Tra richiedenti asilo, rifugiati riconosciuti
e autorizzati per protezione sociale non si raggiungono i 26.000
nell’anno 1999 (il 2% di tutti gli immigrati). A queste persone i centri
di prima accoglienza pubblici e convenzionati del volontariato e della chiesa
stanno dando risposte adeguate e dignitose. Gli irregolari vorrebbero
regolarizzarsi quando hanno trovato lavoro ma la legge attuale impone regole precise: il visto di
ingresso per turismo non si può cambiare, senza visto non si può
restare, si può entrare solo con precise garanzie attraverso i decreti
annuali per flussi di lavoro, sponsor (63.000 nel ’99, 83.000 nel 2000, e
per il 2001) ricongiunzione familiare (senza limite definito) o avere il
soggiorno per minore età;
·
i minori: le città hanno conosciuto – e
forse stanno ancora vivendo – un’emergenza minori. Sono adolescenti albanesi, rumeni, kossovari
e marocchini, arrivati soli
o al seguito di connazionali, per cui l’Ente locale, le scuole, ma
soprattutto il volontariato e il privato sociale si sono attivati per dare loro
una risposta: ascolto, accoglienza, accompagnamento nel percorso di inserimento,
supporto educativo. Troppo spesso però si parla solo di questi
adolescenti e si dimenticano gli altri, quelli che apparentemente sono
“più tutelati” perché con la famiglia. Dico apparentemente perché ci troviamo
di fronte a adolescenti stranieri in contrasto con i padri, di cui non riconoscono più il ruolo e
l’autorità, in rapporto con una madre che tiene lei le redini
della famiglia; a adolescenti, soprattutto ragazzine, maghrebine che vivono il
contrasto fra il mondo della famiglia, della tradizione e della cultura
islamica e quello del gruppo dei pari, che vivono quindi una divisione che le
porta spesso a scappare di casa. Poco si parla inoltre dei minori che con
successo vanno a scuola, dei
ragazzi che, sia pure lentamente, si affacciano alle superiori e non più
solo alle scuole professionali, che restano una risorsa e un riferimento
prezioso anche per i minori non accompagnati di cui dicevano all’inizio;
·
la tratta
delle donne: piaga che si sta
allargando dalla Nigeria all’Europa dell’est (dall’Albania
alla Romania, alla Moldavia, all’Ucraina), lo sfruttamento di donne a
fini di prostituzione è un’emergenza in Italia. La legge consente
un percorso di uscita attraverso il ricorso all’art. 18 del Testo Unico
sull’immigrazione, ma gli operatori del pubblico e del volontariato
conoscono bene la difficoltà per una ragazza di “uscire”, di
denunciare per paura delle ripercussioni sul territorio e al proprio paese. Una
stretta collaborazione fra pubblico e privato e una forte interazione fra i
diversi servizi hanno permesso, nel corso degli ultimi due anni, a diverse
centinaia di queste ragazze di seguire un percorso che dal primo ascolto alla
denuncia, all’accompagnamento sociale, alla formazione linguistica e
professionale le ha portate ad un’autonomia pressoché completa con
il lavoro, la casa e una vita dignitosa;
·
la
criminalità organizzata:
sicuramente legata alla tratta, ma anche al traffico di droga, delle armi, la
criminalità organizzata – straniera, ma anche di casa nostra –
gioca un ruolo forte nella questione dell’immigrazione. Si pensi a chi gestisce il passaggio
dall’Albania, dalla Turchia o dalla Romania attraverso la frontiera
austriaca, dalla Cina, dal Marocco all’Italia, ma ancora a chi si occupa
dei giovani maghrebini e della loro attività di pusher, a chi istruisce
e controlla le donne che sono sulla strada. E’ un aspetto
dell’immigrazione che esiste e di cui si è coscienti, ma è
solo un aspetto. L’altra faccia è rappresentata dalle
attività di controllo delle Questure. Si confermano alte le percentuali degli stranieri
indagati e arrestati (gli stranieri sul totale degli arrestati nel secondo
semestre ‘99 sono il 56%, percentuale enorme considerati che il dato
è riferito al 3,5% dei presenti sul territorio nazionale), così
come degli espulsi e degli accompagnati alla frontiera. Il rischio è
quello di generalizzare e di far di tutta l’erba un fascio: il gran
lavoro delle Questure e delle altre forze dell’ordine non deve distogliere
lo sguardo dai molti che sono inseriti, che sono lavoratori, studenti,
familiari in regola e che si adoperano per un’integrazione dignitosa;
·
la casa
impossibile: se è vero
che l’integrazione passa per il lavoro è anche vero che avere un
lavoro e quindi un permesso di soggiorno non è sufficiente per scalfire
diffidenza e pregiudizio che governano il mercato immobiliare
dell’affitto. La discriminazione nell’accesso alla casa è
ancora forte e raramente viene scalfita dalle garanzie che associazioni o enti del
volontariato possono offrire. E anche laddove le porte si aprono le condizioni
sono più dure rispetto a quelle degli italiani (affitto doppio,
richiesta di garanzie eccessive, controllo continuo dell’alloggio..). Il
legame affettivo che lega il proprietario al suo alloggio e una trasmissione di
informazione da parte dei media sempre centrata sugli aspetti emergenziali e di
ordine pubblico sono barriere troppo alte da scavalcare. Pertanto, si apre, con
grande sforzo e solo per alcuni, la strada dell’acquisto
dell’alloggio;
·
la
fragilità famigliare:
essere famiglia in un nuovo contesto sociale può modificare usi e
consumi, può comportare una diversa divisione di compiti e un
capovolgimento nell’assegnazione dei ruoli, può determinare una
fragilità che si ripercuote sui comportamenti (aumento del consumo
dell’alcool da parte degli uomini, incremento del numero di Ivg,
diminuzione del numero dei figli per famiglia…)
·
Tratta: la presa di coscienza di un fenomeno che era
qualcosa di diverso della prostituzione è stata lenta. Operatori
pastorali e non, nel tempo si sono resi conto di avere a che fare con ragazze “prostituite”, vittime di sfruttamento e di un
traffico di donne che, con l’illusione di un lavoro vengono poi preparate
al lavoro della strada o dei locali notturni. Il primo passo è stato
quello di sostenere una legge che garantisse, tutelasse e ridonasse dignità
alle donne vittime della tratta. Il risultato è stato, come già
accennato, l’art. 18 del T.U. n. 286/98. Contemporaneamente sempre
più associazioni del volontariato e parrocchie, in collaborazione con
gli enti locali, si sono attivate
per progettare percorsi di accoglienza e di sostegno, per aiutare
l’integrazione delle donne che hanno trovato – e trovano – il
coraggio di denunciare o anche solo di “uscire dal giro”.
·
Minori soli: dai primi “colorati, ma
invisibili” degli inizi degli anni ’90 ai minori soli
dell’emergenza freddo del ’97, le risposte che la Chiesa ha dato di
fronte ai nuovi giovani sono state risposte improvvisate, tutte caratterizzate
dall’emergenza e dalla necessità di risolvere bisogni primari.
L’attenzione al ragazzo, alla sua formazione, alla sua crescita interiore
è sempre stata messa in secondo piano. Oggi, il quadro è
mutato. Il tema dei minori
soli, degli adolescenti soli nelle città affidati a tutori, sempre di
più volontari di associazioni cattoliche, è ampiamente noto. Si
inizia a lavorare per progetti, a lavorare a livello di pastorale giovanile.
E’ nato infatti un Comitato Nazionale per minori stranieri e vari
“coordinamenti minori” che mettendo in rete comuni, associazioni e
parrocchie che lavorano su e con minori stranieri. Si propone di confrontarsi
per conoscere meglio, per progettare in maniera più efficace, per far
rientrare l’intervento tra quelli non emergenziali.
CASA
E’
– con il lavoro – lo strumento strutturale più importante.
Si deve fare tutto il possibile perché la famiglia immigrata
trovi casa, possa affittare a prezzi equi, non venga discriminata, possa
accedere secondo criteri uguali agli italiani (senza quota riservata) alla casa
di pubblico patrimonio.
Ma in tempi lunghi e su esperienze consolidate, conta ben di più
lavorare sulla cultura degli Italiani.
Quando i meridionali e i veneti e friulani hanno trovato casa?, quando
i piemontesi si sono convinti che erano seri e affidabili, lavoratori, che la
tenevano bene e che pagavano regolarmente.
5.
LE RELIGIONI DEGLI IMMIGRATI: POLICENTRISMO DI PAESI E RELIGIONI
La stima dell’appartenenza religiosa degli immigrati regolarmente soggiornanti in Italia, che la Fondazione Migrantes e la Caritas di Roma effettuano ormai da dieci anni, con il supporto tecnico del "Dossier Statistico Immigrazione", acquista una particolare rilevanza nell’anno del Grande Giubileo del 2000 da ritenersi un invito al dialogo con i seguaci delle diverse fedi. Prendendo come base di calcolo al 31 dicembre dello scorso anno, 1.490.000 stranieri regolari e utilizzando le percentuali dell’appartenenza religiosa riscontrata nei paesi d’origine si perviene a questa mappa delle diverse religioni:
Stima Migrantes |
Fine 1998% |
Stima totale |
Fine 1999% |
Stima totale 1999 |
Cattolici |
29 |
363.000 |
27,4 |
407.000 |
Altri cristiani |
21,9 |
274.000 |
22,1 |
328.000 |
Musulmani |
34,9 |
436.000 |
36,5 |
544.000 |
Ebrei |
0,3 |
4.000 |
0,3 |
5.000 |
Religioni orientali |
6,6 |
83.000 |
6.5 |
96.000 |
Religioni tradizionali |
1,4 |
18.000 |
1,4 |
22.000 |
Altri/non classificati |
5,9 |
72.000 |
5,9 |
88.000 |
Totale |
100,0 |
1.250.000 |
100,0 |
1.490.000 |
Tutti i gruppi religiosi sono aumentati
numericamente: i cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti) di circa
100.000 unità e altrettanto i musulmani; per gli altri gruppi
l’aumento è più contenuto. I musulmani sono aumentati anche percentualmente (quasi
due punti) rispetto allo scorso anno e costituiscono un terzo del totale. A
questo aumento ha certamente influito il provvedimento di regolarizzazione del
1998, in quanto ai primi posti per numero di prenotazioni risultano gruppi
nazionali a prevalenza musulmana (Albania, Marocco, Senegal, Bangladesh,
Pakistan, Tunisia, Egitto, Algeria).
I cristiani nel loro complesso sfiorano, comunque, la maggioranza
assoluta (735.000 persone) con questa ripartizione interna ogni 10 presenze: 6
cattolici, 2 protestanti e almeno 2 ortodossi. Se i protestanti di cittadinanza
italiana sono, secondo la stima riportata dall’agenzia di stampa
religiosa SIR, 350.000/430.000, aggiungendovi i 140.000 protestanti stranieri,
anche questa confessione religiosa si attesta in Italia sul mezzo milione di fedeli.
I musulmani, quanto ai paesi di provenienza, si concentrano per i due terzi
nella fascia del Nord Africa e per le successive quote in alcuni paesi del
Subcontinente Indiano e dell’Est europeo.
I cattolici rivelano una provenienza più diversificata,
che spazia dall’Estremo Oriente (le Filippine sono, infatti, la prima
comunità cattolica con circa il 15% del totale), all’Europa
dell’Est e dell’Ovest (circa la metà), all’America
Latina (più di un quarto del totale). I protestanti provengono per lo
più dai paesi dell’Europa occidentale e dall’America del
Nord (così anche gli ebrei), mentre gli ortodossi sono originari dei
paesi balcanici e dell’Est europeo. Le principali comunità
nazionali sono le seguenti:
cattolici: |
Filippine, Polonia, Francia, Perù, Brasile, Spagna, Usa
Croazia; |
protestanti: |
Usa, Gran Bretagna, Germania, Svizzera, Ghana; |
ortodossi: |
Romania, Jugoslavia, Grecia, Albania, Macedonia, Serbia; |
musulmani: |
Marocco, Albania, Tunisia, Senegal, Egitto, Algeria, Bangladesh,
Somalia; |
religioni orientali: |
prevalgono i buddisti e gli indù, ciascun gruppo con 30-35.000 unità. |
A differenza di quanto avviene in altri paesi europei, l’Italia
si presenta non come una babele, bensì come una realtà
policentrica anche sotto l’aspetto religioso. Secondo alcuni studiosi le
migrazioni costituiscono l’opportunità per un più profondo
radicamento del rispetto della libertà di coscienza (anche
nell’ipotesi di coppie multireligiose) e per una comune accettazione
della società laica da intendere come contenitore rispettoso di tutte le
differenze religiose.
q
Il messaggio
guida potrebbe essere quello di Giovanni Paolo II: “Nella Chiesa
nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno”.
q
La presenza di
comunità straniere è l’occasione (l’avvenimento in
senso biblico) per conoscere la nostra stessa fede vissuta in realtà e
culture diverse e per conoscere esperienze religiose diverse, nuove per noi. Il
primo atteggiamento dunque è l’accoglienza dell’altro: senza
paure, con rispetto perché è una nuova risorsa che arriva in
mezzo a noi e ci interpella.
q
Benché
siamo convinti della nostra fede, la testimoniamo ed aderiamo alla Chiesa
Cattolica, accogliere chi viene
come fratello vuol dire sapere che il fratello immigrato che giunge tra noi
pensa la stessa cosa della sua religione: pensa sia “la religione”
e dunque la migliore.
q
L’aspetto
spirituale di qualsiasi cultura che si esprime nella forma religiosa è
un elemento positivo per la persona e la società: dunque è
importante e necessario conoscere
i contenuti delle fedi “altre” e l’esperienza delle Chiese
che hanno fatto cammini diversi (pensiamo alle tanta Chiese Cristiane rinate in
mezzo a noi che oggi ci chiedono spazi per esprimersi).
q
Non esiste un
solo modo, quello italiano o
occidentale, di vivere la fede comune: ogni esperienza va valorizzata (vedi comunità etniche)
e, qualora sia possibile, integrata per arricchire il patrimonio dei nativi.
q
Ogni fede ha
bisogno di spazio fisico per esprimersi. La società civile deve trovare
la forza per permettere l’espressione delle diverse fedi nel rispetto
della legalità.
In ambito cattolico:
Ø
Accoglienza
dei nuovi credenti: valorizzare chi arriva in mezzo a noi, farlo sentire a casa sua, inserirlo
attivamente nella comunità. Ad es. quando la comunità non
è grande trovare l’occasione per presentare il gruppo dei nuovi
arrivati. Quando ci sono laici preparati inserirli nei gruppi, tra i catechisti
o operatori pastorali, nel consiglio pastorale diocesano o parrocchiale
affidando loro ruoli precisi;
Ø
Quando una
comunità è numerosa e vi sono risorse sufficienti (chiesa
disponibile, sacerdote di lingua madre o con esperienze nel paese di
provenienza), creare comunità etniche o almeno esperienze di preghiera stabile in lingua;
Ø
Ogni diocesi si
dia innanzitutto uno strumento pastorale che coordini la pastorale dei
migranti, lavori in modo
progettuale, mirando a dare strumenti alle comunità e agli operatori;
crei una rete di rapporti con le parrocchie e i movimenti ecclesiali. Il lavoro
venga fatto in coordinamento con i settori pastorali interessati (lavoro,
catechesi, giovani, famiglie….);
Ø
Le parrocchie
ripensino la propria pastorale alla luce dell’avvenimento migratorio:
formino operatori con una
specifica preparazione;
Ø
L’apertura
di sportelli di accoglienza e di servizio si ritiene necessario che avvenga con
attenzione, con operatori preparati, in collegamento con la comunità
parrocchiale. Si eviti qualsiasi forma di isolamento ed ancor
più di assistenzialismo,
che gratifica ma rende dipendente
chi è nel bisogno.
In ambito cristiano:
Ø
Favorire il
dialogo ecumenico: gli
immigrati ci costringono a lavorare in rete con le chiese evangeliche (il
numero dei nuovi credenti è quasi pari a quello dei nativi);
Ø
Creare una rete
di relazioni in settori specifici (es. rifugiati, donne vittime di
tratta….) e su servizi condivisi;
Ø
Durante la
giornata dei migranti ed altri momenti (settimana dell’unità dei
cristiani) trovare spazi comuni di
preghiera.
Con le altre religioni:
Ø Grande rispetto di ogni espressione di fede
consolidata e radicata in altre culture: ad es. musulmani, ebrei, religioni orientali e
tradizionali, apertura allo scambio interreligioso e sostegno perché
trovino spazi per il culto, favorire il loro riconoscimento da parte dello
Stato;
Ø In particolare con i musulmani che sono
l’espressione più numerosa trovare forme di dialogo che portino
alla tolleranza ed al rispetto reciproco;
Ø In occasione di matrimoni misti (cattolici
– musulmani) spiegare il significato diverso del matrimonio e introdurre
elementi di rispetto della parità dei coniugi;
Ø Non fare gesti di ingenuità (quale la
concessione stabile di un luogo parrocchiale per la preghiera) perché
diventa per l’Islam “consacrato ad Allah” e dunque non
può tornare ad altro uso;
Ø L’obiettivo principale deve essere il
rispetto della fede liberamente scelta e praticata. Proponiamo a tutti, con le nostre scelte di vita, i
valori del Vangelo, vissuti in comunità, ma, accogliendo i nostri
credenti, aiutiamoli anzitutto a vivere la propria fede in terra straniera,
a farla crescere o rinascere. L’obiettivo
è essere buoni credenti e semmai sarà Dio a cambiare il cuore
dell’uomo, a convertirlo.
Con i non credenti con esperienza di ateismo:
sono sempre più numerosi e sovente ci chiedono di “rendere
ragione della nostra fede”. Proponiamo a loro seri cammini di fede, inseriti in comunità, affiancati da un
gruppetto o da una famiglia che sostenga il loro cammino.
6.1
IL LAVORO CON I NATIVI
Occuparsi di immigrazione significa prima di tutto occuparsi dei nativi e occuparsi delle relazioni interculturali
E’ noto che l’immigrazione può creare, tra vecchi e
nuovi cittadini, conflitti per
vari motivi:
Ø mette in evidenza i problemi irrisolti della
società quali la carenza e l’inadeguatezza dei servizi;
Ø peggiora la situazione delle aree degradate
della città (es. i quartieri intorno alle stazioni..);
Ø rende drammatica la carenza di case;
Ø evidenzia piaghe quali la prostituzione e lo
sfruttamento.
Un aspetto determinante inoltre gioca la percezione del fenomeno da
parte dei nativi. I conflitti rischiano di esplodere quando larghi settori dell’opinione pubblica e
i mass-media descrivono il fenomeno in minaccioso, incontrollabile aumento.
In un
clima di questo tipo la stragrande maggioranza degli immigrati che ha
faticosamente trovato una via
per l’inserimento
sociale, sparisce tra le cifre ufficiali delle statistiche e nel lavoro quotidiano,
mentre ben altra visibilità hanno il lavavetri o il parcheggiatore, la
prostituta, i manovali della microcriminalità...
Altro fattore causa di tensioni sociali è la disoccupazione che crea tra le persone incertezza e timori e
fa percepire, nella presenza degli immigrati, un ulteriore elemento di concorrenza, anche se i dati
emergenti da varie ricerche
dimostrano che i segmenti di mercato in cui sono occupati gli immigrati sono
in genere diversi da quelli cui si rivolgono i nativi: servizi alla persona - in particolare anziani non
autosufficienti o soli -, lavori manuali quali edilizia, terziario inferiore,
settore produttivo dell’industria, lavoro interinale o in cooperative,
agricoltura ed allevamento.
A queste problematiche di tipo sociale in un processo d’immigrazione si aggiungono difficoltà
di tipo culturale che vanno
dal non capire perché “l’altro” assume certi comportamenti, al sentirsi
inadeguati o minacciati nella propria identità.
I problemi culturali quindi sono da tenere in seria considerazione
in un processo d’integrazione che voglia essere serio e reale.
Ci sono persone native, giovani e adulte, che possono manifestare
timore e ostilità verso le differenze o genericamente incapacità
a comprendere forme culturali diverse dalle proprie.
In realtà, ciascuno rischia di analizzare e giudicare
sé e gli altri a partire dai modi di giudicare che i gruppi sociali ai
quali appartiene gli hanno imposto, senza che egli se ne sia accorto.
Esiste un primo modo, molto semplice, per superare la paura del
diverso ed è quello di incontrarlo, di conoscerlo da vicino, di
stabilire relazioni di prossimità. Tutte le ricerche ci dicono che mentre nei nativi
è diffusa la paura dello straniero in senso lato, si riconosce e si
valorizza nel singolo straniero la
“persona” quando questo diventa il compagno di scuola o di lavoro,
il vicino di casa, di banco, l’amico e si stabiliscono con lui relazioni
alla pari.
Incontrarsi e conoscersi quindi è fondamentale per superare
generalizzazioni e stereotipi e per scoprire che dietro ad ogni straniero
c’è un volto, una storia, un “prima” e un
“ora”, una famiglia, degli affetti, delle speranze, dei valori.
Questo primo passo del conoscersi da vicino è fondamentale anche
se non sufficiente per costruire relazioni interculturali tra le persone. Una relazione interculturale è basata
sul riconoscimento reciproco dell’altro e sul suo rispetto.
Cosa
può fare una comunità, una parrocchia per favorire relazioni
interculturali e far superare o ridurre atteggiamenti di intolleranza al
proprio interno?
Sappiamo
che gli immigrati sono come l’acqua su un terreno secco : evidenziamo le
fratture esistenti, penetrandovi.
· PARLARE AI NATIVI: far capire loro il fenomeno e far comprendere che l’immigrazione non è
un fatto emergenziale ma un fenomeno che ci interroga e con cui ci dobbiamo misurare per generazioni.
Il primo compito di una Chiesa che dialoga con la
società è quello di parlare alla comunità dei nativi (e alla società civile). Dobbiamo
aiutarli a capire che il fenomeno dell’immigrazione estera è e
sarà un fatto non emergenziale, ma normale e continuativo, un avvenimento
che ci interpella,
che non si ferma né con leggi drastiche né con atteggiamenti di
chiusura. Occorre aiutare a distinguere gli aspetti di disagio, di
criminalità, dal tessuto generale dell’immi-grazione che
è sano, fatto di lavoratori, di famiglie che hanno scelto il loro futuro
tra noi.
L’immigrazione non si può fermare, derivando da spinte che oggi non
sono bloccabili, ma può essere gestita senza paura, con intelligenza
e apertura mediante i flussi di programmazione, previsti dal T.U. 286/98 e dal Regolamento
394/99, dentro un programma pluriennale che tiene conto delle ragioni di spinta
ma soprattutto delle capacità di accoglienza del sistema produttivo,
sociale, culturale, nonché della necessità di concludere
l’integrazione della famiglia.
È uno dei segni concreti attraverso cui la
comunità dei nativi dimostra di aver capito il fenomeno e tenta –
anche attraverso accordi intergovernativi – di dare risposte serie.
· OFFRIRE INFORMAZIONE SERIA: fare contro informazione rispetto a dati e episodi
riportati in modo allarmistico dai mass media. Far capire che la sicurezza
pubblica, che molti pensano sia messa in crisi dai nuovi cittadini, è
anzitutto un fatto di coscienza personale, di sensazione di star bene, di viver bene nella realtà in cui ci
si trova: senza lucidità ed un grande sforzo positivo, non arriva mai.
Infatti nulla può garantire la sicurezza totale, e solo gli illusi possono
pensarlo.
La nostra sensazione è che sulla
sicurezza pubblica ci siamo fatti prendere la mano: non distinguiamo più
realtà e proiezione della realtà, fatti, avvenimenti e lettura
unilaterale dei fatti. I media (TV, giornali, riviste e personaggi della politica,
dell’informazione, della Chiesa, del sociale che cercano spazi di
protagonismo) sono stati i grandi sponsor sia nel gonfiare i fatti sia nel
deviare l’attenzione.
Quando si parla di sicurezza pubblica e sociale si
suggerisce o si sottintende sempre un’unica soluzione possibile: il
controllo sul territorio con la repressione di polizia (vedi le centinaia di
poliziotti, carabinieri e vigili sulle strade nei momenti “caldi”,
o i furgoni alla “guardia dei bidoni”. Lo dissi fin dal primo
giorno della “grande campagna di San Salvario” a Torino: investiamo
in lavoro sul territorio, in educazione, in cultura, in dialogo e ricupero
almeno quanto in repressione mirata su cose vere, controllabili.
Se diamo un’immagine negativa, se disprezziamo
un quartiere, una città, la gente comincia a credere che gli elementi
di degrado non hanno ritorno.
Aiutiamo la gente a non avere paura ma a superarla, a darsi strumenti per
superare il disagio e ritrovare la serenità della vita nella
città, soprattutto alle fasce deboli ed agli anziani, sempre più
numerosi.
Spieghiamo che il colore diverso della pelle, la
lingua, la provenienza non sono simboli di pericolo, ma segni di una diversità che può
arricchire di risorse giovani la nostra società (come lo fu
l’immigrazione dal sud, dal Veneto e Friuli e dalle campagne). Anche allora
si gridò al meridionale con grande allarmismo.
Le Parrocchie (e la chiesa locale, diocesi) devono divenire
segno specifico dell’annuncio evangelico, luogo di dialogo e di nuova
evangelizzazione. E’ il luogo privilegiato, dove si prende coscienza
dell’avvenimento immigrazione, si ripensa la pastorale e si rielaborano i piano pastorali
tenendo conto delle nuove presenze. La pastorale migratoria dovrà essere uno degli
elementi della pastorale normale.
·
SVILUPPARE
STRATEGIE DI CONTATTO:
creare occasioni d’incontro e conoscenza. Attenzione però alla
natura del contatto! Incontrare l’altro, lo straniero in situazione di
parità o comunque in situazioni favorevoli attiva un processo di
identificazione e modifica positivamente atteggiamenti di rifiuto o stereotipi,
al contrario incontrare l’altro in situazioni sfavorevoli può
rafforzare sentimenti di “rigetto”. E’ quindi compito di chi
svolge attività educativa e “pedagogica” nella
comunità creare incontri favorevoli identificando persone che hanno
valori e esperienze da scambiare e superare quindi le occasioni di incontro in
genere basate sull’aiuto, sull’assistenzialismo.
·
SOSTENERE
L’INCONTRO: non
solo favorire l’incontro, con tutti gli elementi di spontaneità e
genuinità, ma anche sostenerlo con una serie di interventi indiretti e
di sottolineature (evidenziare somiglianze, condivisione di valori comuni..).
·
LAVORARE PER
UNO SCOPO COMUNE:
la diminuzione dell’ostilità o la sua scomparsa sono sovente
favoriti dal lavoro per uno scopo comune. E’ l’obiettivo comune ad
unire le persone diverse intorno a valori universali (il rispetto e la difesa
dei più deboli) o a beni comuni (la tutela del proprio ambiente di vita,
il quartiere, il caseggiato, la sede della comunità…).
6.2
L’ACCOGLIENZA DEI NUOVI CITTADINI
Il nostro compito è garantire ai nuovi cittadini i diritti essenziali (diritto alla salute, al lavoro, alla casa, allo studio, alla libertà, alla stabilità, a vivere nella famiglia, a vivere una vita dignitosa nel nostro paese, a progettarsi un futuro. Tutto questo possiamo farlo creando una cultura dell’accoglienza, stimolando lo Stato a fare leggi adeguate ed applicabili, gli enti locali a creare le condizioni per l’inserimento e l’integrazione nel tessuto della società civile.
6.2.1. A livello
di Chiese (diocesi) le indicazioni della Migrantes e della CEI sono date da
tempo:
Ø la creazione in ogni diocesi di un servizio
che coordini la pastorale dei migranti sia negli aspetti specifici che normali;
Ø aprire il dialogo ecumenico ed interreligioso;
Ø far diventare gli immigrati cattolici soggetti
attivi negli organismi pastorali (ad es. consiglio pastorale della diocesi) e
nei servizi per gli immigrati;
Ø creare una comunità etniche quando il
numero dei credenti della stessa etnia è numeroso;
Ø interpellare la comunità, le parrocchie
etniche e servizi i sulle linee del piano pastorale;
Ø preparare operatori pastorali per le
comunità loro e nostre per favorire uno scambio positivo;
Ø creare servizi per l’integrazione: ricerca lavoro, casa, per la
tutela di vittime della violenza….;
Ø aver momenti ecclesiali in cui si evidenzi il
loro contributo: giornate dei migranti integrate nella pastorale.
6.2.2. IL LATO PIÙ PROBLEMATICO È A LIVELLO DI COMUNITÀ PARROCCHIALI: QUALI ORIENTAMENTI PROPORRE SULLA BASE DI ESPERIENZE CONO-SCIUTE SIA IN POSITIVO CHE IN NEGATIVO?
1.
La
comunità parrocchiale accogliente, non chiusa, non paurosa del nuovo,
del diverso, oltre a lavorare sulla cultura dei nativi, dà vita ad
alcuni servizi o iniziative per gli immigrati. Si tratta per lo più di sportelli assistenziali
(contributi economici, distribuzione di alimenti o vestiario, mense, ricerca
alloggio per rifugiati o donne in difficoltà, progetti per minori). Qui
si ferma la maggioranza delle realtà, ma è un quadro inadeguato.
2.
Un livello di
intervento diverso e più qualificato in alcune parrocchie e istituti
religiosi radicati sul territorio è la creazione e la formazione di
laici impegnati che danno vita a
forme associative stabili e organizzate. Talora diventa uno sportello di
servizio ma con un salto di qualità: l’associazione, il gruppo
incomincia a lavorare per progetti ed interviene in un settore specifico con
competenza (due esempi
significativi a Torino sono “Un progetto al femminile” per le donne
vittime della tratta e “Camminare insieme” che è un
poliambulatorio per la tutela della salute dei senza fissa dimora e degli
immigrati non tutelati). Senza un investimento significativo e continuativo
nella formazione, non possono essere attivati servizi di qualità. Altri
esempi possono essere:
Ø parrocchie con un gruppo di volontari (Caritas
parrocchiale) che aprono un centro
d’accoglienza; lo gestiscono investendo la comunità intera.
Ø istituti religiosi che mettono a disposizione locali con
comodato gratuito per donne in difficoltà e minori non accompagnati e
ritrovano il loro carisma in questo tipo di servizio.
Ø oratorio che apre ai minori immigrati: dal
cammino di vita nascono un’associazione, una comunità per minori
non accompagnati, un progetto educativo di territorio.
3.
Un terzo livello
è il lavoro in rete tra parrocchie, istituti religiosi, associazioni. E’ una fase presente in diverse
città, purtroppo solo ancora in alcuni settori:
Ø Donne vittime della tratta e donne con
bambini;
Ø Minori adolescenti soli;
4.
Il quarto
livello è il lavoro in rete per progetti integrati tra pubblico e
privato. Essenziale è
che la comunità dei credenti (espressa nell’associazionismo) sia
in grado di dialogare, di fare progetti educativi e di realizzare progetti
mirati senza farsi usare dall’ente locale. Per realizzare questo bisogna
avere in mente obiettivi, metodi di lavoro, risorse economiche ed umane.
5.
Inserimento a
pieno titolo degli immigrati nelle comunità parrocchiali. Tutto questo è molto raro ma incomincia
ad avviarsi in diverse
comunità. La presenza di laici preparati e formati diventa una risorsa
ed abbatte i pregiudizi;
6.
La pastorale
migratoria entra a far parte della pastorale ordinaria. L’aver accolto i nuovi cittadini costringe i
.laici a richiedere nuovi strumenti, a ripensare la propria fede alla luce
dell’avvenimento migratorio. I laici richiedono formazione di sostegno,
vogliono dialogare con le nuove culture e fedi, e la parrocchia – dopo
aver fatto progetti specifici – ripensa la pastorale ordinaria alla luce
dell’immigrazione.
7.
Progetti
nuovi anche negli oratori interculturali. Quando l’immigrazione entra negli oratori
attraverso la presenza di ragazzi stranieri, li sconvolge. Diventa
necessario ripensare l’oratorio e progettarlo interculturale. Le esperienze in atto ci dicono che è
necessario fermarsi e analizzare il contesto, cercare strade più
opportune per dare significato alla vera vocazione dell’oratorio: luogo
pastorale, di formazione, per i ragazzi e i giovani al di là della
provenienza e del credo religioso. Questo ci obbliga a coinvolgere le famiglie,
presentare il contesto multietnico in cui avviene la formazione e offrire
particolare attenzione al mondo degli adolescenti. Un oratorio per dare un
servizio agli stranieri deve affrontare alcuni problemi di questi adolescenti:
vivere “TRA” i nuovi modelli famigliari e la crisi di queste
relazioni all’interno della famiglia, la formazione professionale, la
ricerca lavoro…..Tutto questo comporta formazione degli educatori e
operatori, dei genitori e volontari impegnati.
Le esperienze ci dimostrano la possibilità
di momenti formativi e di
preghiera comuni.
IN CONCLUSIONE
Raccolgo i suggerimenti del “I° documento programmatico” triennale (1998-2000) del governo, che accompagna la nuova legge sull’immigrazione, mettendoci come chiesa tra i soggetti in gioco:
· Evitare che i cittadini italiani percepiscano
gli immigrati come persone di cui diffidare.
· Evitare che gli immigrati e le minoranze
percepiscano l’Italia come paese ostile, ingiusto, da temere e
disprezzare.
· Evitare che entrambi (cittadini ed immigrati)
percepiscano lo Stato come agente di discriminazione, la pubblica
amministrazione e le forze dell’ordine come interlocutori ostili, la
multiculturalità come minaccia alle rispettive integrità fisica,
culturale, sociale.
Caritas di Roma, Immigrazione - Dossier statistico ’99, Anterem, 1999.
G. Garatto – F. Olivero, Immigrati. La sfida di una
società multietnica,
Ed. Piemme, 1997.
G. Zincone, Primo rapporto sull’integrazione degli immigrati
in Italia, Il Mulino, 1999.
G. Zincone, Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati
in Italia, Il Mulino 2001
L. Balbo, L. Manconi, I razzismi reali, Ed.
Feltrinelli, 1992.
Taguieff P.A., La forza del pregiudizio, saggio sul razzismo e
sull’antirazzismo, Ed.
Il Mulino, 1994.
Caritas – Migrantes, Immigrati: quali percorsi di cittadinanza, schede tematiche a cura di Bonetti e
Molteni, Roma, 1998
Garelli Franco e gruppo Migranti Torino “ La presenza islamica a Torino e in
Piemonte”, in uscita, 2001 a Torino.
Quaderni CEI “ Nella
Chiesa nessuno è straniero” supp. n° 33- Roma dicembre 2000
A cura di Walter RUSPI, ed. Paoline 2000
* * * * * * * * * * * *
http://www.stranieri.it (raccolta
facilmente consultabile delle norme nazionali, internazionali e comunitarie, la
giurisprudenza relativa e la prassi amministrativa in materia di immigrazione e
diritto d’asilo)
http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/
(raccolta di documenti su immigrazione e asilo dal 1992. Si segnala la
tempestività con cui il sito viene aggiornato)
http://www.provincia.torino/xatlante/ (banca dati
organizzata per argomenti sul tema dell’immigrazione).
http://cestim.org
(sito del Centro Studi sull’immigrazione, dove è possibile
reperire un elenco di siti, materiale didattico e informativo sul tema)
http://www.torino.chiesacattolica.it/migranti/
(Sito del Servizio Migranti Caritas di Torino).
http://www3.chiesacattolica.it/caritasroma/ (Sito della Caritas di Roma)