OSSERVAZIONI
SULLA PROPOSTA TECNICA PER LA DISCUSSIONE SULLE CONDIZIONI DI INGRESSO
E SOGGIORNO PER LAVORO
Con questa Nota si intende contribuire all’elaborazione della Proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno per lavoro. La Nota presenta, nella prima parte, un sommario degli elementi principali della cosiddetta “Proposta tecnica per la discussione”, allegata al “Discussion Paper”. Nella seconda parte sono invece riportate le principali osservazioni critiche derivanti dall’esperienza maturata in Italia dagli organismi attivi nel campo dell’immigrazione.
Puo’ svolgere attivita’ di lavoro subordinato solo chi abbia ottenuto un “permesso di soggiorno – lavoratore”.
Un tale permesso puo’ essere rilasciato sia a persone ancora residenti all’estero (in particolare, in altro Stato membro dell’Unione europea), sia a persone gia’ residenti legalmente per altri motivi nello Stato membro che lo rilascia. Non e’ esclusa, cioe’, la possibilita’ di conversione di altro permesso di soggiorno.
Il “permesso di soggiorno – lavoratore” e’ rilasciato a condizione che siano soddisfatti diversi requisiti. Oltre a quelli standard (possesso di un documento di viaggio valido, certificato di buona condotta, disponibilita’ di mezzi di sostentamento in misura non inferiore all’ammontare al di sotto del quale scatterebbero misure di sussidio pubblico) e a quelli di minor rilievo, e’ richiesto, in relazione all’attivita’ lavorativa,
a) che sia stato stipulato un contratto di lavoro per una precisa attivita’ di lavoro per la quale lo straniero possegga le capacita’ necessarie;
b) che l’assunzione dello straniero risponda ad effettive esigenze economiche del mercato dell’Unione europea.
La verifica di questo secondo requisito si effettua mediante l’accertamento di indisponibilita’ di manodopera comunitaria o straniera (gia’ stabilmente presente nel territorio dell’Unione europea). L’indisponibilita’ si considera accertata se una domanda di lavoro, opportunamente segnalata dai servizi del collocamento europeo, non trova corrispondente offerta in un periodo di sei settimane.
Per specifici settori lavorativi, per un determinato numero di posti, e per un periodo di tempo limitato, uno Stato membro puo’ stabilire che la rispondenza ad effettive esigenze economiche puo’ considerarsi verificata anche senza passare attraverso l’accertamento di indisponibilita’.
Si prescinde dalla verifica della suddetta rispondenza per la stipula di un contratto da parte di uno straniero in possesso di un “permesso di soggiorno – lavoratore” in corso di validita’, ovvero di uno straniero gia’ legalmente soggiornante per lavoro (nota: solo lavoro subordinato o anche autonomo? il testo non e’ chiaro) da almeno tre anni in altro Stato membro.
La durata del permesso deve essere coperta integralmente dal contratto di lavoro, ma non puo’ comunque superare i tre anni.
Il permesso e’ rinnovabile (sempre con durata non superiore a tre anni) a condizione che siano soddisfatte le condizioni per il rilascio. Si prescinde, pero’, dalla verifica della rispondenza ad effettive esigenze economiche dell’Unione europea quando il soggiorno per lavoro subordinato sia durato almeno tre anni.
Per i primi tre anni di soggiorno per lavoro subordinato, il lavoratore puo’ cambiare datore di lavoro, ma non il tipo di attivita’. E’ possibile, inoltre, limitare il permesso allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa in una specifica regione. Successivamente, tali restrizioni sono rimosse.
La stipula di ogni nuovo contratto e’ condizionata all’approvazione (autorizzazione al lavoro) da parte dell’autorita’ competente. Dal testo non e’ chiaro se questa condizione valga solo nel periodo di validita’ del primo permesso, o se si prolunghi anche a valle dei successivi rinnovi.
Il permesso puo’ essere revocato, oltre che per motivi ovvi (documentazione falsa, motivi di sicurezza dello Stato), anche per motivi di “politica pubblica”, ovvero per “eccesso di disoccupazione”: oltre tre mesi negli ultimi dodici, per i primi due anni di soggiorno; oltre sei mesi negli ultimi dodici, successivamente.
Il possesso del permesso garantirebbe al titolare
a) il diritto di fare ingresso e reingresso nel territorio dello Stato membro,
b) il diritto di soggiornare,
c) il diritto di godere dello stesso trattamento dei cittadini dell’Unione in materia di condizioni lavorative, accesso alla formazione professionale, alla previdenza, alla sanita’, alla fornitura di servizi disponibili al pubblico. Riguardo a questi ultimi, il diritto di accesso all’alloggio potrebbe essere limitato a chi soggiorni da un congruo periodo di tempo (da uno a tre anni). Non e’ chiaro se sia garantito il diritto allo studio. Sembra esclusa la possibilita’ di svolgere attivita’ di lavoro autonomo.
Una disciplina specifica e’ prevista per i lavoratori stagionali, per quelli transfrontalieri, e per i lavoratori appartenenti a determinate categorie (dipendenti di societa’ estere, lavoratori in formazione, lavoratori “alla pari”, etc.). I singoli Stati membri possono stabilire norme particolari per altre categorie (religiosi, rifugiati, profughi, richiedenti asilo, nonche’ stranieri per i quali sia stato adottato un provvedimento di espulsione non immediatamente eseguibile).
La struttura delle disposizioni e’ analoga, mutatis mutandis, a quella relativa al lavoro subordinato.
Il permesso e’ denominato “permesso di soggiorno – lavoratore autonomo”.
Quanto ai requisiti, per il rilascio del permesso, relativi all’attivita’ lavorativa, quello dell’esistenza di un contratto e’ sostituito dalla
a) certificazione del soddisfacimento degli atti richiesti per lo svolgimento della specifica attivita’ autonoma programmata (iscrizione agli albi professionali, per esempio, se richiesta) e del possesso delle risorse necessarie.
Il requisito relativo alla rispondenza ad effettive esigenze economiche dell’Unione europea, poi, e’ considerato soddisfatto se, sulla base di una valutazione del piano di attivita’ effettuata da uno studio commerciale internazionale, risultino evidenti effetti benefici per l’occupazione nello Stato membro o per il suo sviluppo economico e culturale. Anche in questo caso, per specifiche attivita’, uno Stato membro puo’ stabilire che tali effetti benefici debbano essere considerati automaticamente verificati (ovvero, verificati a condizione che sia effettuato un investimento di entita’ non inferiore a una soglia minima).
Con queste due sostituzioni, le disposizioni procedono in modo analogo per quanto concerne
- rilascio di un permesso a straniero soggiornante per lavoro in altro Stato membro da almeno tre anni;
- durata del permesso;
- rinnovo del permesso;
- limitazioni relative all’accesso ad altro tipo di attivita’ autonoma o alla regione in cui l’attivita’ e’ svolta;
- revoca del permesso; in relazione a quest’ultimo punto, la condizione di “eccesso di disoccupazione” e’ sostituita da quella di “eccesso di incapacita’ di auto-sostentamento”, con la stessa misura temporale;
- diritti del titolare del permesso;
- disciplina particolare per lavoratori appartenenti a specifiche categorie.
Ogni richiesta di rilascio, rinnovo o modifica del permesso di soggiorno per lavoro deve ottenere risposta entro novanta-centoventi giorni.
Ogni decisione negativa deve essere impugnabile.
Decisioni di singoli Stati membri che impediscano, limitino o facilitino ingressi per certe categorie o per certi periodi (e’ possibile anche l’imposizione di tetti massimi per gli ingressi, o di sospensione del rilascio di permessi) devono essere motivate e comunicate alla Commissione e agli altri Stati membri.
Alle condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori deve essere data pubblicita’ (per esempio su un sito web).
1.
L’impostazione
della proposta e’ accettabile, al limite, solo per attivita’ di
lavoro subordinato ad alta qualificazione o per attivita’ di lavoro
autonomo di notevole impatto economico.
Per attivita’ di lavoro subordinato a bassa
qualificazione, infatti, l’ingresso dall’estero sarebbe precluso
dalla necessita’ della stipula preventiva di un contratto (equivalente,
nella normativa vigente in Italia, alla chiamata nominativa).
L’esperienza italiana insegna che, nei fatti, l’instaurazione di un
rapporto di lavoro richiede un incontro diretto tra lavoratore e datore di
lavoro. La possibilita’ di un tale incontro (per esempio - con riferimento
al caso italiano - mediante un ingresso per “inserimento nel mercato del
lavoro” sponsorizzato o auto-sponsorizzato) non e’ esclusa, ma
– dato il carattere di primaria importanza della questione – merita
una esplicita menzione. E’ necessario, cioe’, coerentemente con
quanto affermato dalla Comunicazione della Commissione su una politica
comunitaria in materia di immigrazione (paragrafo 3.4.2, “Procedure di
presentazione delle domande e di valutazione”), che siano consentite
forme di ingresso per soggiorni di durata relativamente (ma non eccessivamente)
breve finalizzati alla ricerca di occupazione sul posto.
Per le attivita’
di lavoro autonomo in cui lo straniero sia imprenditore solo di se
stesso (ad esempio, le prestazioni di piccoli servizi), l’accesso sarebbe
reso impossibile dal requisito relativo ai “benefici effetti”
sull’occupazione e sullo sviluppo dello Stato membro. D’altra
parte, l’esperienza italiana mostra come una parte importante delle
attivita’ che vedono un positivo inserimento di immigrati siano
difficilmente riconducibili ad attivita’ di lavoro subordinato, dato il
carattere saltuario delle prestazioni offerte dal lavoratore e della richiesta
di servizi da parte del committente. L’idea che un prestatore di piccoli
servizi faccia certificare dallo studio commerciale internazionale la rilevanza
dell’attivita’ programmata sullo sviluppo o sull’occupazione
del paese di immigrazione e’ evidentemente non realistica; come pure
e’ scarsamente realistica l’idea che per avvalersi saltuariamente
di tali servizi si debba assumere il lavoratore con un contratto di lavoro
subordinato.
2. Il criterio della “preferenza comunitaria”,
quale condizione per l’accesso dello straniero al lavoro subordinato
e’ in linea di principio accettabile. In Italia pero’ e’
stato in vigore per dodici anni, senza utilita’ alcuna per i disoccupati
nazionali, fino al 1998 (sancito dalla legge 943/1986). Nei fatti,
finche’ e’ stato applicato, ha solo ostacolato l’ingresso di
lavoratori stranieri per mansioni comunque scoperte, inducendo i rapporti di
lavoro, nella migliore delle ipotesi, a camuffarsi da rapporti relativi a
collaborazione domestica (esonerati dall’obbligo di accertamento di
indisponibilita’) o, nell’ipotesi peggiore, a nascere e restare
sommersi.
L’idea di far valere un diritto di prelazione per i
lavoratori comunitari (o stranieri gia’ soggiornanti nell’Unione
europea da almeno tre anni per lavoro subordinato) di sei settimane
necessiterebbe, poi, di una profonda riforma delle strutture di collocamento.
Limitarsi a trasferire su scala europea quello che non ha funzionato su scala
nazionale o locale non sembra opportuno. Ne’ sembra opportuno prescindere
– ancora una volta – da uno degli elementi fondamentali per il
funzionamento di un rapporto di lavoro: la fiducia tra datore di lavoro e
lavoratore; non e’ la posizione occupata in una graduatoria o la risposta
formale ad una domanda di lavoro a garantire tale fiducia.
Per contro, l’ostacolo introdotto
dall’accertamento di indisponibilita’ sarebbe di portata ridotta
(sei settimane di attesa) rispetto agli altri ostacoli burocratici cui
l’esperienza italiana ha purtroppo abituato datori di lavoro e immigrati.
Se oggi, ad esempio, fosse imposto l’accertamento di
indisponibilita’ quale condizione per l’effettivo accesso al lavoro
degli stranieri soggiornanti in Italia per inserimento nel mercato del lavoro,
l’aggravio, in termini di tempo, rappresentato da tale accertamento
sarebbe largamente ammortizzato dai tempi richiesti dalla emanazione del
decreto di programmazione dei flussi e dal disbrigo delle altre pratiche
necessarie.
3. Le limitazioni relative alla possibilita’ di
utilizzare, nei primi tre anni, il permesso di soggiorno per attivita’ di
lavoro diverse da quelle originariamente autorizzate o, addirittura, in regioni
diverse da quella per cui l’attivita’ e’ stata autorizzata
contrastano con i criteri di allocazione ottimale delle risorse; lo stesso si
puo’ dire della preclusione del passaggio da attivita’ di lavoro
subordinato ad attivita’ di lavoro autonomo e viceversa. Paradossalmente,
poi, tali disposizioni restrittive sono affiancate alla previsione di esonero
da ogni ulteriore verifica dei criteri di rispondenza alle effettive esigenze
economiche (l’accertamento di indisponibilita’ per il lavoro
subordinato, la verifica degli effetti benefici su occupazione o sviluppo per
il lavoro autonomo) nel periodo di validita’ del permesso di soggiorno.
Qualora, infatti, si volesse evitare che lo straniero ammesso a svolgere una
determinata attivita’ “utile” si dedicasse ad altra
attivita’ “inutile” o concorrenziale nei confronti dei
lavoratori gia’ presenti, piuttosto che impedire il cambiamento di
attivita’, lo si dovrebbe, al piu’, condizionare alla verifica
prevista per i nuovi accessi.
4. I requisiti per il rinnovo e il mantenimento del permesso
di soggiorno sono troppo rigidi, per il rilievo che danno alla presenza di un
rapporto di lavoro in corso ai fini del rinnovo (per lavoro subordinato),
ovvero – in negativo – all’occorrenza di periodi di
disoccupazione o di scarsa disponibilita’ di mezzi ai fini della revoca
del permesso. L’esperienza italiana mostra come un atteggiamento
eccessivamente fiscale in materia non fa altro che produrre illegalita’
formale, il cui sanzionamento e’, al contempo, vessatorio, costoso e
inutile. Inoltre, la penalizzazione della condizione di disoccupazione appare
a)
anacronistica,
in una fase in cui si auspica una maggior flessibilizzazione del mercato del
lavoro;
b)
inaccettabile,
nella misura in cui, vincolandolo eccessivamente al mantenimento del rapporto
di lavoro, priva il lavoratore di una parte rilevante della propria forza
contrattuale.
Sotto entrambi i punti di vista, risulta ancora messa a
repentaglio l’ allocazione ottimale delle risorse.
Benche’ poi sia accettabile, in linea di principio, il
condizionare il soggiorno per lavoro alla disponibilita’ di mezzi di
sostentamento per un ammontare non inferiore al minimo al di sotto del quale
dovrebbero essere adottate misure di assistenza sociale, dovrebbe essere
stabilito
a)
che la
dimostrazione di tale disponibilita’ puo’ essere richiesta solo in
sede di rinnovo del permesso (non si dovrebbe, cioe’, dar luogo a revoca
di un permesso in corso di validita’ per ragioni legate al sostentamento
o alla disoccupazione);
b)
che la
disponibilita’ puo’ essere dimostrata nel modo piu’ ampio:
titolarita’ di risparmi, reddito maturato nel periodo di soggiorno per
lavoro trascorso, reddito attuale o prevedibile, garanzia di terzi, etc.
Quest’ultima previsione, in particolare, dando
comunque un rilievo parzialmente positivo alle attivita’ di lavoro
sommerso (in linea, per altro, con certe osservazioni contenute nella citata Comunicazione
della Commissione), eviterebbe di far gravare il mancato o insufficiente
contrasto di tali attivita’ sul solo lavoratore straniero. Inoltre,
consentirebbe di valorizzare attivita’ saltuarie o precarie, comunque non
prive di rilevanza economica.
5. L’impossibilita’ di svolgere attivita’
lavorativa in mancanza di apposito “permesso di soggiorno –
lavoratore (o lavoratore autonomo)”, benche’ non vieti di per
se’ a titolari di altri permessi (per studio o per motivi familiari, ad
esempio) di convertire il proprio permesso di soggiorno, li costringe ad
entrare in una diversa categoria, con riferimento, per esempio, alle condizioni
di rinnovo del permesso. In questo modo, lo studente-lavoratore o il familiare
precariamente occupato, che sarebbero in grado di rinnovare il permesso di
soggiorno per i motivi originali, rischiano di veder destabilizzata, senza
vantaggio di alcuno, la propria posizione.
La cosa, poi, con riferimento alla condizione degli
studenti, e’ ulteriormente aggravata dalla mancata previsione di un
diritto allo studio per il titolare di un permesso per lavoro: la conversione del permesso per
studio in un permesso per lavoro precluderebbe allo straniero la prosecuzione
degli studi.
6. La possibilita’ di revoca del permesso per
“motivi di politica pubblica” (cosi’ recita il testo
italiano) sembra inaccettabilmente generica, salvo che non debba intendersi
“motivi di ordine pubblico”.