(Sergio Briguglio 6/6/2001)
OSSERVAZIONI SULLA PROPOSTA TECNICA PER LA
DISCUSSIONE SULLE CONDIZIONI DI INGRESSO E SOGGIORNO PER LAVORO
1)
Sommario della
Proposta tecnica
Puo’
svolgere attivita’ di lavoro subordinato solo chi abbia ottenuto un
“permesso di soggiorno – lavoratore”.
Un
tale permesso puo’ essere rilasciato sia a persone ancora residenti
all’estero (in particolare, in altro Stato membro dell’Unione
europea), sia a persone gia’ residenti legalmente per altri motivi nello
Stato membro che lo rilascia. Non e’ esclusa, cioe’, la
possibilita’ di conversione di altro permesso di soggiorno.
Il
“permesso di soggiorno – lavoratore” e’ rilasciato a
condizione che siano soddisfatti diversi requisiti. Oltre a quelli standard
(possesso di un documento di viaggio valido, certificato di buona condotta,
disponibilita’ di mezzi di sostentamento in misura non inferiore
all’ammontare al di sotto del quale scatterebbero misure di sussidio
pubblico) e a quelli di minor rilievo, e’ richiesto, in relazione
all’attivita’ lavorativa,
a)
che sia stato stipulato
un contratto di lavoro per una precisa attivita’ di lavoro per la quale
lo straniero possegga le capacita’ necessarie;
b)
che l’assunzione
dello straniero risponda ad effettive esigenze economiche del mercato
dell’Unione europea.
La
verifica di questo secondo requisito si effettua mediante l’accertamento
di indisponibilita’ di manodopera comunitaria o straniera (gia’
stabilmente presente nel territorio dell’Unione europea).
L’indisponibilita’ si considera accertata se una domanda di lavoro,
opportunamente segnalata dai servizi del collocamento europeo, non trova
corrispondente offerta in un periodo di sei settimane.
Per
specifici settori lavorativi, per un determinato numero di posti, e per un periodo
di tempo limitatato, uno Stato membro puo’ stabilire che la rispondenza
ad effettive esigenze economiche puo’ considerarsi verificata anche senza
passare attraverso l’accertamento di indisponibilita’.
Si
prescinde dalla verifica della suddetta rispondenza per la stipula di un
contratto da parte di uno straniero in possesso di un “permesso di
soggiorno – lavoratore” in corso di validita’, ovvero di uno
straniero gia’ legalmente soggiornante per lavoro (solo lavoro subordinato
o anche autonomo? il testo non e’ chiaro) da almeno tre anni in altro
Stato membro.
La
durata del permesso deve essere coperta integralmente dal contratto di lavoro,
ma non puo’ comunque superare i tre anni.
Il
permesso e’ rinnovabile (sempre con durata non superiore a tre anni) a
condizione che siano soddisfatte le condizioni per il rilascio. Si prescinde,
pero’, dalla verifica della rispondenza ad effettive esigenze economiche
dell’Unione europea quando il soggiorno per lavoro subordinato sia durato
almeno tre anni.
Per
i primi tre anni di soggiorno per lavoro subordinato, il lavoratore puo’
cambiare datore di lavoro, ma non il tipo di attivita’. E’
possibile, inoltre, limitare il permesso allo svolgimento
dell’attivita’ lavorativa in una specifica regione.
Successivamente, tali restrizioni sono rimosse.
La
stipula di ogni nuovo contratto e’ condizionata all’approvazione
(autorizzazione al lavoro) da parte dell’autorita’ competente. Dal
testo non e’ chiaro se questa condizione valga solo nel periodo di
validita’ del primo permesso, o se si prolunghi anche a valle dei
successivi rinnovi.
Il
permesso puo’ essere revocato, oltre che per motivi ovvi (documentazione
falsa, motivi di sicurezza dello Stato), anche per motivi di “politica
pubblica”, ovvero per “eccesso di disoccupazione”: oltre tre
mesi negli ultimi dodici, per i primi due anni di soggiorno; oltre sei mesi
negli ultimi dodici, successivamente.
Il
possesso del permesso garantirebbe al titolare
a)
il diritto di fare
ingresso e reingresso nel territorio dello Stato membro,
b)
il diritto di
soggiornare,
c)
il diritto di godere
dello stesso trattamento dei cittadini dell’Unione in materia di
condizioni lavorative, accesso alla formazione professionale, alla previdenza,
alla sanita’, alla fornitura di servizi disponibili al pubblico. Riguardo
a questi ultimi, il diritto di accesso all’alloggio potrebbe essere
limitato a chi soggiorni da un congruo periodo di tempo (da uno a tre anni).
Non mi e’ chiaro se sia garantito il diritto allo studio. Sembra esclusa
la possibilita’ di svolgere attivita’ di lavoro autonomo.
Una
disciplina specifica e’ prevista per i lavoro stagionali, per quelli
transfrontalieri, e per i lavoratori appartenenti a determinate categorie
(dipendenti di societa’ estere, lavoratori in formazione, lavoratori
“alla pari”, etc.). I singoli Stati membri possono stabilire norme
particolari per altre categorie (religiosi, rifugiati, profughi, richiedenti
asilo, nonche’ stranieri a carico dei quali sia stato adottato un
provvedimento di espulsione non immediatamente eseguibile).
La
struttura delle disposizioni e’ analoga, mutatis mutandis, a quella relativa al lavoro subordinato.
Il
permesso e’ denominato “permesso di soggiorno – lavoratore
autonomo”.
Quanto
ai requisiti, per il rilascio del permesso, relativi all’attivita’
lavorativa, quello dell’esistenza di un contratto e’ sostituito
dalla
a)
certificazione del
soddisfacimento degli atti richiesti per lo svolgimento della specifica
attivita’ autonoma programmata (iscrizione agli albi, per esempio) e del
possesso delle risorse necessarie.
Il
requisito relativo alla rispondenza ad effettive esigenze economiche
dell’Unione europea, poi, e’ considerato soddisfatto se, sulla base
di una valutazione del piano di attivita’ effettuata da uno studio
commerciale internazionale, risultino evidenti effetti benefici per
l’occupazione nello Stato membro o per il suo sviluppo economico e
culturale. Anche in questo caso, per specifiche attivita’, uno Stato
membro puo’ stabilire che tali effetti benefici debbano essere
considerati automaticamente verificati (ovvero, verificati a condizione che sia
effettuato un investimento di entita’ non inferiore a una soglia minima).
Con
queste due sostituzioni, le disposizioni procedono in modo analogo per quanto
concerne
-
rilascio di un permesso
a straniero soggiornante per lavoro in altro Stato membro da almeno tre anni;
-
durata del permesso;
-
rinnovo del permesso;
-
limitazioni relative
all’accesso ad altro tipo di attivita’ autonoma o alla regione in
cui l’attivita’ e’ svolta;
-
revoca del permesso; in
relazione a quest’ultimo punto, la condizione di “eccesso di
disoccupazione” e’ sostituita da quella di “eccesso di
incapacita’ di auto-sostentamento”, con la stessa misura temporale;
-
diritti del titolare del
permesso;
-
disciplina particolare
per lavoratori appartenenti a specifiche categorie.
Ogni
richiesta di rilascio, rinnovo o modifica del permesso di soggiorno per lavoro
deve ottenere risposta entro novanta-centoventi giorni.
Ogni
decisione negativa deve essere impugnabile.
Decisioni
di singoli Stati membri che impediscano, limitino o facilitino ingressi per
certe categorie o per certi periodi (e’ possibile anche
l’imposizione di tetti massimi per gli ingressi, o di sospensione del
rilascio di permessi) devono essere motivate e comunicate alla Commissione e
agli altri Stati membri.
Alle
condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori deve essere data
pubblicita’ (per esempio su un sito web).
2)
Osservazioni
critiche
1.
L’impostazione
della proposta e’ accettabile, al limite, solo per attivita’ di
lavoro subordinato ad alta qualificazione o per attivita’ di lavoro
autonomo di notevole impatto economico.
Per
attivita’ di lavoro subordinato a bassa qualificazione, infatti,
l’ingresso dall’estero sarebbe precluso dalla necessita’
della stipula preventiva di un contratto (l’equivalente della chiamata
nominativa). L’esperienza italiana insegna che, nei fatti,
l’instaurazione di un rapporto di lavoro richiede un incontro diretto tra
lavoratore e datore di lavoro. La possibilita’ di un tale incontro (per
esempio – con riferimento al caso italiano -mediante un ingresso per
“inserimento nel mercato del lavoro” sponsorizzato o
auto-sponsorizzato) non e’ esclusa, ma – dato il carattere di
primaria importanza della questione e l’apertura in tal senso della
Comunicazione della Commissione – meriterebbe una esplicita menzione.
Per
le attivita’ di lavoro
autonomo in cui lo straniero sia imprenditore solo di se stesso (ad esempio, le
prestazioni di piccoli servizi), l’accesso sarebbe reso impossibile dal
requisito relativo ai “benefici effetti” sull’occupazione e
sullo sviluppo dello Stato membro. D’altra parte, l’esperienza
italiana mostra come una parte importante delle attivita’ che vedono un
positivo inserimento di immigrati siano difficilmente riconducibili ad
attivita’ di lavoro subordinato, dato il carattere saltuario delle
prestazioni offerte dal lavoratore e della richiesta di servizi da parte del
committente. Si pensi al proverbiale giardiniere: l’idea che un potenziale
giardiniere faccia certificare dallo studio commerciale internazionale la
rilevanza dell’attivita’ programmata sullo sviluppo o
sull’occupazione del paese di immigrazione e’ francamente ridicola;
come pure e’ ridicola l’idea che per far tagliare un prato una
volta ogni venti giorni si debba assumere in pianta stabile il suddetto
giardiniere.
2.
Il criterio della “preferenza comunitaria”, quale condizione per
l’accesso dello straniero al lavoro subordinato e’ in linea di
principio accettabile. In Italia pero’ e’ stato in vigore, senza
utilita’ alcuna per i disoccupati nazionali, fino al 1998 (sancito dalla
legge 943/86). Nei fatti, finche’ e’ stato applicato, ha solo
ostacolato l’ingresso di lavoratori stranieri per mansioni comunque
scoperte, inducendo i rapporti di lavoro, nella migliore delle ipotesi, a
camuffarsi da rapporti relativi a collaborazione domestica (esonerati
dall’obbligo di accertamento di indisponibilita’) o, nella
peggiore, a nascere e restare sommersi.
L’idea
di far valere un diritto di prelazione per i lavoratori comunitari (o stranieri
gia’ soggiornanti nell’Unione europea da almeno tre anni per lavoro
subordinato) di sei settimane necessiterebbe, poi, di una profonda riforma
delle strutture di collocamento. Limitarsi a trasferire su scala europea quello
che non ha funzionato su scala nazionale o locale non sembra ragionevole.
Ne’ sembra ragionevole prescindere – ancora una volta – da
uno degli elementi fondamentali per il funzionamento di un rapporto di lavoro:
la fiducia tra datore di lavoro e lavoratore; non e’ la posizione
occupata in una graduatoria o la risposta formale ad una domanda di lavoro a
garantire tale fiducia.
Per
contro, l’ostacolo introdotto dall’accertamento di
indisponibilita’ sarebbe di portata ridotta (sei settimane di attesa)
rispetto agli altri ostacoli burocratici cui l’esperienza italiana ha
purtroppo abituato datori di lavoro e immigrati. Se oggi, ad esempio, fosse
imposto l’accertamento di indisponibilita’ quale condizione per l’effettivo
accesso al lavoro degli stranieri soggiornanti in Italia per inserimento nel
mercato del lavoro, l’aggravio, in termini di tempo, rappresentato da
tale accertamento sarebbe largamente ammortizzato dai tempi richiesti dalla
emanazione del decreto di programmazione dei flussi e dal disbrigo delle altre pratiche
necessarie.
3.
Le limitazioni relative alla possibilita’ di utilizzare, nei primi tre
anni, il permesso di soggiorno per attivita’ di lavoro diverse da quelle
originariamente autorizzate o, addirittura, in regioni diverse da quella per
cui l’attivita’ e’ stata autorizzata contrastano con
qualunque criterio di allocazione ottimale delle risorse; lo stesso si
puo’ dire della preclusione del passaggio da attivita’ di lavoro
subordinato ad attivita’ di lavoro autonomo e viceversa. Paradossalmente,
poi, tali disposizioni restrittive sono affiancate alla previsione di esonero
da ogni ulteriore verifica dei criteri di rispondenza alle effettive esigenze
economiche (l’accertamento di indisponibilita’ per il lavoro
subordinato, la verifica degli effetti benefici su occupazione o sviluppo per
il lavoro autonomo) nel periodo di validita’ del permesso di soggiorno.
Qualora, infatti, si volesse evitare che lo straniero ammesso a svolgere una
determinata attivita’ “utile” si dedicasse ad altra
attivita’ “inutile” o concorrenziale nei confronti dei
lavoratori gia’ presenti, piuttosto che impedire il cambiamento di attivita’,
lo si dovrebbe, al piu’, condizionare alla verifica prevista per i nuovi
accessi.
4.
I requisiti per il rinnovo e il mantenimento del permesso di soggiorno sono
troppo rigidi, per il rilievo che danno alla presenza di un rapporto di lavoro
in corso ai fini del rinnovo (per lavoro subordinato), ovvero – in
negativo – all’occorrenza di periodi di disoccupazione o di scarsa
disponibilita’ di mezzi ai fini della revoca del permesso.
L’esperienza italiana mostra come un atteggiamento eccessivamente fiscale
in materia non fa altro che produrre illegalita’ formale, il cui
sanzionamento e’, al contempo, vessatorio, costoso e inutile. Inoltre, la
penalizzazione della condizione di disoccupazione appare
a)
anacronistica, in una
fase in cui si auspica una maggior flessibilizzazione del mercato del lavoro;
b)
inaccettabile, nella
misura in cui priva il lavoratore di una parte rilevante della propria forza
contrattuale.
Sotto
entrambi i punti di vista, risulta ancora messa a repentaglio l’
allocazione ottimale delle risorse.
Benche’
poi sia accettabile, in linea di principio, il condizionare il soggiorno per
lavoro alla disponibilita’ di mezzi di sostentamento per un ammontare non
inferiore al minimo al di sotto del quale dovrebbero essere adottate misure di
assistenza sociale, dovrebbe essere stabilito
a)
che la dimostrazione di
tale disponibilita’ puo’ essere richiesta solo in sede di rinnovo
del permesso (non si dovrebbe, cioe’, dar luogo a revoca di un permesso
in corso di validita’ per ragioni legate al sostentamento o alla
disoccupazione);
b)
che la
disponibilita’ puo’ essere dimostrata nel modo piu’ ampio:
titolarita’ di risparmi, reddito maturato nel periodo di soggiorno per
lavoro trascorso, reddito attuale o prevedibile, garanzia di terzi, etc.
Quest’ultima
previsione, in particolare, dando comunque un rilievo parzialmente positivo
alle attivita’ di lavoro sommerso (in linea, per altro, con certe
osservazioni contenute nella Comunicazione della Commisisone), eviterebbe di
far gravare il mancato o insufficiente contrasto di tali attivita’ sul
solo lavoratore straniero. Inoltre, consentirebbe di valorizzare
attivita’ saltuarie o precarie, comunque non prive di rilevanza
economica.
5.
L’impossibilita’ di svolgere attivita’ lavorativa in mancanza
di apposito “permesso di soggiorno – lavoratore (o lavoratore
autonomo)”, benche’ non vieti di per se’ a titolari di altri
permessi (per studio o per motivi familiari, ad esempio) di convertire il
proprio permesso di soggiorno, li costringe ad entrare in una diversa categoria,
con riferimento, per esempio, alle condizioni di rinnovo del permesso. In
questo modo, lo studente-lavoratore o il familiare precariamente occupato, che
sarebbero in grado di rinnovare il permesso di soggiorno per i motivi
originali, rischiano di veder destabilizzata, senza vantaggio di alcuno, la
propria posizione.
La
cosa, poi, con riferimento alla condizione degli studenti, e’
ulteriormente aggravata dalla mancata previsione di un diritto allo studio per
il titolare di un permesso per
lavoro: la conversione del permesso per studio in un permesso per lavoro
precluderebbe la prosecuzione degli studi.
6.
La possibilita’ di revoca del permesso per “motivi di politica
pubblica” (cosi’ recita il testo italiano) sembra assurda, salvo
che non debba intendersi “motivi di ordine pubblico”.