(Sergio Briguglio 23/11/01)
OSSERVAZIONI
SULLA PROPOSTA DIRETTIVA RELATIVA ALLE CONDIZIONI DI INGRESSO E
SOGGIORNO PER LAVORO
Puo’ svolgere attivita’ di lavoro subordinato solo chi abbia ottenuto un “permesso di soggiorno – lavoratore”.
Un tale permesso
puo’ essere rilasciato sia a persone ancora residenti all’estero
(in particolare, in altro Stato membro dell’Unione europea), sia a
persone gia’ residenti o soggiornanti legalmente per altri motivi nello
Stato membro che lo rilascia. E’ contemplata, cioe’, la
possibilita’ di conversione di altro permesso di soggiorno in permesso
per lavoro. Nella Relazione introduttiva che accompagna la Proposta di
direttiva, tra i motivi del soggiorno legale a partire dal quale si puo’
accedere allo status di lavoratore vengono citati esplicitamente il turismo e
la ricerca di lavoro. Si afferma pero’ che la richiesta di un
“permesso di soggiorno – lavoratore” non autorizza di per se’
il richiedente a restare nello Stato membro in cui soggiornano al momento della
richiesta stessa. In altre parole, qualora scadano i termini del soggiorno
legale, la pendenza di una tale richiesta non ne garantisce l’automatico
procrastinamento.
Il “permesso di soggiorno – lavoratore” e’ rilasciato a condizione che siano soddisfatti diversi requisiti. Oltre a quelli standard (possesso di un documento di viaggio valido, certificato di buona condotta, disponibilita’ di mezzi di sostentamento in misura non inferiore all’ammontare al di sotto del quale scatterebbero misure di assistenza pubblica) e a quelli di minor rilievo, e’ richiesto, in relazione all’attivita’ lavorativa,
a) che sia stato stipulato un contratto di lavoro per una precisa attivita’ di lavoro per la quale lo straniero possegga le capacita’ necessarie;
b) che l’assunzione dello straniero soddisfi il requisito di “necessita’ economica” in relazione al mercato dell’Unione europea.
La verifica di questo secondo requisito si effettua mediante l’accertamento di indisponibilita’ di manodopera comunitaria o straniera (cittadini che hanno accesso al lavoro in base alla normativa vigente o ad accordi con i paesi di provenienza, cittadini che abbiano svolto attivita’ lavorativa subordinata per almeno tre anni negli ultimi cinque, cittadini di paesi candidati all’adesione all’Unione europea). L’indisponibilita’ si considera accertata se una domanda di lavoro, opportunamente segnalata dai servizi del collocamento europeo, non trova corrispondente e valida offerta in un periodo di quattro settimane (Nota: non e’ chiaro a giudizio di chi l’offerta debba essere considerata “valida” – se, cioe’, sia rilevante l’opinione del datore di lavoro).
Per specifici settori lavorativi, per un determinato numero di posti, e per un periodo di tempo limitato, uno Stato membro puo’ stabilire che il requisito di “necessita’ economica” debba considerarsi soddisfatto (o non soddisfatto) anche senza passare attraverso l’accertamento di indisponibilita’.
Allo stesso modo, uno Stato membro puo’ stabilire che il requisito e’ considerato soddisfatto se il reddito annuale offerto al lavoratore straniero supera una certa soglia (si applica cioe’ un minor grado di protezione per i settori ad alto reddito), ovvero se il futuro datore di lavoro ha versato una determinata quantita’ di denaro finalizzata ad interventi pubblici di integrazione e formazione.
Si prescinde dalla verifica del requisito di “necessita’ economica” per la stipula di un contratto da parte di uno straniero in possesso di un “permesso di soggiorno – lavoratore” in corso di validita’, ovvero di uno straniero che sia stato legalmente residente in uno Stato membro e che abbia esercitato legalmente attivita’ di lavoro subordinato per almeno tre anni negli ultimi cinque.
La durata del permesso deve essere coperta integralmente dal contratto di lavoro, ma non puo’ comunque superare i tre anni.
Il permesso e’ rinnovabile (sempre con durata non superiore a tre anni) a condizione che siano soddisfatte le condizioni per il rilascio (salvo, eventualmente – come detto -, il requisito di necessita’ economica).
Per i primi tre anni di soggiorno per lavoro subordinato, il lavoratore puo’ cambiare datore di lavoro, ma non il tipo di attivita’. E’ possibile, inoltre, limitare il permesso allo svolgimento dell’attivita’ lavorativa in una specifica regione. Successivamente, tali restrizioni sono rimosse.
La stipula di ogni nuovo contratto e’ condizionata all’approvazione (autorizzazione al lavoro) da parte dell’autorita’ competente (Nota: dal testo non e’ chiaro se questa condizione valga solo nel periodo di validita’ del primo permesso, o se si prolunghi anche a valle dei successivi rinnovi).
Il permesso puo’ essere revocato, oltre che per motivi ovvi (documentazione falsa, motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato), anche per prolungata disoccupazione: oltre tre mesi negli ultimi dodici, per coloro che abbiano svolto regolare attivita’ lavorativa (subordinata o autonoma) per meno di due anni; oltre sei mesi negli ultimi dodici, per coloro che l’abbiano svolta per piu’ di due anni.
Il possesso del permesso garantisce al titolare
a) il diritto di fare ingresso e reingresso nel territorio dello Stato membro, anche attraversando altri Stati membri;
b) il diritto di soggiornare nello Stato membro che ha rilasciato il permesso;
c) il diritto di svolgere le attivita’ autorizzate dal permesso;
d) il diritto di godere dello stesso trattamento dei cittadini dell’Unione in materia di condizioni lavorative, previdenza, sanita’, riconoscimento titoli, liberta’ di associazione, anche sindacale, accesso alla formazione professionale e alla fornitura di servizi disponibili al pubblico. Accesso alla formazione e all’alloggio con sostegno pubblico possono essere limitati a chi soggiorni da non meno di uno o tre anni, rispettivamente (Nota: non e’ chiaro se sia garantito il diritto allo studio; sembra esclusa la possibilita’ di svolgere attivita’ di lavoro autonomo).
Una disciplina specifica e’ prevista per i lavoratori stagionali (“permesso di soggiorno – lavoratore stagionale” di durata massima pari a sei mesi; possibilita’ di rilascio di un “permesso pluriennale” utilizzabile per cinque anni consecutivi), per quelli transfrontalieri, e per i lavoratori appartenenti a determinate categorie (dipendenti di societa’ estere, tirocinanti, lavoratori “alla pari”).
I singoli Stati membri possono stabilire norme particolari per altre categorie (religiosi, artisti, sportivi, ricercatori, giornalisti, rappresentanti di ONLUS, etc.).
Altri provvedimenti disciplineranno l’accesso al lavoro di rifugiati, profughi, richiedenti asilo, nonche’ stranieri per i quali sia stato adottato un provvedimento di espulsione non immediatamente eseguibile.
La struttura delle disposizioni e’ analoga, mutatis mutandis, a quella relativa al lavoro subordinato.
Il permesso e’ denominato “permesso di soggiorno – lavoratore autonomo”.
Quanto ai requisiti, per il rilascio del permesso, relativi all’attivita’ lavorativa, quello dell’esistenza di un contratto e’ sostituito dalla
a) documentazione relativa al piano d’affari e dimostrazione del possesso delle risorse necessarie a realizzarlo;
b) certificazione del soddisfacimento degli atti richiesti per lo svolgimento della specifica attivita’ autonoma programmata (iscrizione agli albi professionali, per esempio, se richiesta).
Deve essere dimostrato l’effetto positivo dell’attivita’ autonoma sull’occupazione nello Stato membro o sul suo sviluppo economico. Anche in questo caso, per specifiche attivita’ e, all’occorrenza, per specifiche regioni, uno Stato membro puo’ stabilire che tale effetto debba essere considerato automaticamente verificato (ovvero, verificato a condizione che sia effettuato un investimento di entita’ non inferiore a una soglia minima). All’opposto, uno Stato membro puo’ stabilire che per specifiche attivita’ e, all’occorrenza, per specifiche regioni, l’effetto debba essere considerato automaticamente non verificato.
Con queste due sostituzioni, le disposizioni procedono in modo analogo per quanto concerne
- rilascio di un permesso a straniero che abbia svolto legalmente attivita’ di lavoro autonomo in uno Stato membro per almeno tre anni negli ultimi cinque;
- durata del permesso;
- rinnovo del permesso;
- limitazioni relative all’accesso ad altro tipo di attivita’ autonoma o alla regione in cui l’attivita’ puo’ essere svolta;
- revoca del permesso (la condizione di disoccupazione prolungata e’ sostituita da quella di prolungato ricorso all’assistenza pubblica, con la stessa misura temporale);
- diritti del titolare del permesso (Nota: sembra esclusa la possibilita’ di svolgere attivita’ di lavoro subordinato).
Ogni richiesta di rilascio, rinnovo o modifica del permesso di soggiorno per lavoro deve ottenere risposta entro centottanta giorni (quarantacinque per dipendenti di societa’ estere, tirocinanti, lavoratori “alla pari”).
Ogni decisione negativa deve essere impugnabile.
Decisioni di singoli Stati membri che impediscano, limitino o facilitino ingressi per certe categorie o per certi periodi devono essere motivate e comunicate alla Commissione e agli altri Stati membri.
Alle condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori deve essere data pubblicita’ (per esempio su un sito web).
1. L’impostazione della Proposta e’
senz’altro apprezzabile per quanto riguarda le attivita’ di lavoro
subordinato ad alta qualificazione. Per attivita’ di lavoro subordinato a
bassa qualificazione, pero’, l’esperienza italiana insegna che, nei
fatti, l’instaurazione di un rapporto di lavoro richiede un incontro
diretto tra lavoratore e datore di lavoro. La possibilita’ di un tale
incontro (per esempio - con riferimento al caso italiano - mediante un ingresso
per inserimento nel mercato del lavoro sponsorizzato o
“auto-sponsorizzato”) non e’ esclusa, nella Proposta, dal
momento che e’ ammessa la richiesta di un permesso di soggiorno per
lavoro da parte di persone residenti o soggiornanti legalmente per altri
motivi. Questo punto, anzi, e’ considerato con sufficiente dettaglio
nella relazione introduttiva, dove tra i motivi della presenza legale dello
straniero richiedente un permesso per lavoro si citano esplicitamente il
turismo e la ricerca di lavoro. Tuttavia – dato il carattere di primaria
importanza della questione – occorre che questa considerazione esplicita
trovi spazio nell’articolato. Inoltre, affinche’ questa previsione
non sia vanificata da altre disposizioni (quelle relative ai limiti di tempo
previsti per l’esame delle richieste di permesso), e’ necessario
stabilire che lo straniero legalmente presente ad altro titolo che presenti una
richiesta di permesso di soggiorno per lavoro sia autorizzato a prolungare il
suo soggiorno legale fino al momento del rilascio o del diniego del permesso
richiesto.
2. Il criterio della “preferenza comunitaria”,
quale condizione per l’accesso dello straniero al lavoro subordinato
e’ in linea di principio accettabile. Non e’ accettabile, tuttavia,
che si prescinda, al riguardo, da un elemento fondamentale, per il
funzionamento di un rapporto di lavoro, quale la fiducia tra datore di lavoro e
lavoratore: non e’, infatti, la posizione occupata dal lavoratore in una
lista di disoccupazione o la sua offerta formale di fronte a una domanda di
lavoro a garantire tale fiducia.
3. I tempi fissati per l’accertamento di
indisponibilita’ di manodopera e, soprattutto, per l’accoglimento o
il diniego della richiesta e del rinnovo del “permesso di soggiorno
– lavoratore” (ma anche del “permesso di soggiorno -
lavoratore autonomo”) appaiono irragionevolmente lunghi, e del tutto
inadatti alle esigenze del mercato del lavoro.
In generale, comunque, dovrebbe essere esplicitamente
stabilito che in pendenza di una richiesta di rinnovo il lavoratore mantiene
inalterati diritti e facolta’ connessi alla titolarita’ del
permesso di soggiorno, fino a che un eventuale diniego sia diventato definitivo
(inclusi cioe’ i tempi necessari per la decisione su una eventuale
impugnazione).
4. L’esperienza italiana mostra come una parte
importante delle attivita’ che vedono un positivo inserimento lavorativo
di immigrati rientrino nella categoria delle prestazioni di piccoli servizi.
Dato il carattere saltuario delle prestazioni offerte dal lavoratore e della
richiesta di servizi da parte del committente, tali attivita’ non
sembrano assimilabili ad attivita’ di lavoro subordinato: l’idea
che per avvalersi saltuariamente di tali servizi si debba assumere il
lavoratore con un contratto di lavoro subordinato appare, evidentemente, non
realistica. Si tratta piuttosto di attivita’ di lavoro autonomo per le
quali il lavoratore straniero e’ imprenditore di se stesso.
L’impostazione della Proposta, che appare adeguata per quanto riguarda le
attivita’ di notevole impatto economico, non sembra esserlo in relazione
a quelle di dimensioni ridotte. L’accesso di lavoratori autonomi e’
reso, infatti, in questo caso, praticamente impossibile dal requisito relativo
alla dimostrazione dei positivi effetti sull’occupazione e sullo sviluppo
dello Stato membro, nonche’ dalla necessita’ di produrre un
dettagliato piano d’affari, di fornire informazioni dettagliate
sull’attivita’ svolta o di notificare all’autorita’
ogni cambiamento di attivita’. E’ opportuno che si prescinda, per
attivita’ di piccole dimensioni, dall’imposizione di tali
condizioni, anche in considerazione del fatto che il criterio stabilito per la
revoca del permesso di soggiorno relativo al prolungato ricorso
all’assistenza pubblica rappresenta uno strumento sufficiente ad evitare
che si incancreniscano situazioni di lavoro autonomo del tutto improduttivo.
5. Sembrano del pari trascurate, dalla Proposta, figure
intermedie – tra lavoratore subordinato e lavoratore autonomo –
quali i soci-lavoratori di cooperative gia’ operanti (positivamente
considerate dalla normativa italiana). Coerentemente col principio di
“concorrenza verso modelli di successo”, dovrebbero essere incluse
– con un ingresso condizionato alla solidita’ economica della
cooperativa – nell’ambito delle alternative alla dimostrazione del
requisito di necessita’ economica.
6. Ai fini dell’ingresso per lavoro autonomo, la
dimostrazione del requisito di soddisfacimento delle condizioni previste per i
lavoratori nazionali dovrebbe essere temperato, in relazione al riconoscimento
dei titoli e all’iscrizione agli albi professionali, da una clausola che
consenta esplicitamente l’accesso al riconoscimento e
all’iscrizione anche a stranieri non ancora residenti negli Stati membri.
In mancanza di tale clausola, potrebbe crearsi un circolo vizioso per il quale
lo straniero si vede rifiutata la possibilita’ di soddisfare la
condizione richiesta per l’ingresso per il solo fatto di trovarsi ancora
nel proprio paese.
7. Le limitazioni relative alla possibilita’ di
utilizzare, nei primi tre anni, il permesso di soggiorno per attivita’ di
lavoro diverse da quelle originariamente autorizzate o, addirittura, in regioni
diverse da quella per cui l’attivita’ e’ stata autorizzata
contrastano con i criteri di allocazione ottimale delle risorse; lo stesso si
puo’ dire della preclusione del passaggio (senza ulteriore
autorizzazione) da attivita’ di lavoro subordinato ad attivita’ di
lavoro autonomo e viceversa. Paradossalmente, poi, tali disposizioni
restrittive sono affiancate alla previsione di esonero da ogni ulteriore verifica
dei criteri di rispondenza alle effettive esigenze economiche
(l’accertamento di indisponibilita’ per il lavoro subordinato, la
verifica degli effetti positivi su occupazione o sviluppo per il lavoro
autonomo) nel periodo di validita’ del permesso di soggiorno. Qualora,
infatti, si volesse evitare che lo straniero ammesso a svolgere una determinata
attivita’ “utile” si dedichi ad altra attivita’
“inutile” o concorrenziale nei confronti dei lavoratori gia’
presenti, piuttosto che impedire il cambiamento di attivita’, sarebbe
sufficiente - e piu’ coerente - condizionarlo alla verifica prevista per
i nuovi accessi.
8. I requisiti per il rinnovo e il mantenimento del
“permesso di soggiorno – lavoratore” sono troppo rigidi, per
il rilievo che danno alla presenza di un rapporto di lavoro in corso (ai fini
del rinnovo), ovvero – in negativo – all’occorrenza di
periodi di disoccupazione (in relazione alla revoca del permesso). L’esperienza italiana mostra
come un atteggiamento eccessivamente fiscale in materia non fa altro che
produrre illegalita’ formale, il cui sanzionamento e’, al contempo,
vessatorio, costoso e inutile. Deve essere poi osservato come una simile
penalizzazione della condizione di disoccupazione
a)
rischi
di vanificare l’obiettivo, dichiarato nella Proposta, di definire
“un percorso che conduca in ultima istanza ad
uno status permanente per coloro che intendono restare”;
b)
contrasti
con l’idea che un quadro flessibile in materia di ingressi debba
rispondere anche ai cambiamenti della situazione demografica (che ovviamente
presentano esigenze diverse da quelle del pieno e costante inserimento
lavorativo);
c)
rechi
danno al paese d’origine, in contrasto con l’obiettivo, dichiarato
dalla recente Comunicazione della Commissione su un metodo aperto per il
coordinamento della politica comunitaria in materia di immigrazione, di
valorizzare l’effetto positivo dell’immigrazione come fattore dello
sviluppo di tale paese;
d)
appaia
inaccettabile, nella misura in cui, vincolando eccessivamente il diritto a soggiornare
al mantenimento del rapporto di lavoro, priva il lavoratore di una parte
rilevante della propria forza contrattuale e lo espone al possibile ricatto da
parte del datore di lavoro (in contrasto sostanziale con la parificazione del
lavoratore straniero a quello nazionale circa il godimento dei diritti in
materia sindacale).
Sotto quest’ultimo aspetto, e’ ancora messa a
repentaglio l’allocazione ottimale delle risorse. Inoltre, il lavoratore
migrante, completamente assorbito dallo sforzo di mantenere il proprio diritto
al soggiorno, finisce con l’avvertire come estranei i percorsi che
dovrebbero condurlo ad un pieno inserimento sociale.
Sarebbe opportuno sostituire i criteri per la revoca del
permesso con quelli previsti nel caso del “permesso di soggiorno –
lavoratore autonomo” (prolungato ricorso all’assistenza pubblica).
In tal modo, si eviterebbe di penalizzare inutilmente i lavoratori impegnati in
rapporti di lavoro caratterizzati da breve durata ma alta retribuzione, come
pure i lavoratori capaci di sviluppare forme positive di mutuo sostegno
(nell’ambito, per esempio, della comunita’ nazionale).
Si dovrebbe poi consentire, almeno a chi perde il posto
di lavoro in seguito a licenziamento, di intraprendere attivita’ di
lavoro diverse da quelle originariamente autorizzate (incluse attivita’
di lavoro autonomo o attivita’ svolte in qualita’ di socio di
cooperativa) o di svolgerle in regioni diverse da quella per cui
l’autorizzazione e’ stata rilasciata.
9. Benche’ sia accettabile, in linea di principio, il
condizionare il soggiorno per lavoro alla disponibilita’ di mezzi di
sostentamento per un ammontare non inferiore al minimo al di sotto del quale
dovrebbero essere adottate misure di assistenza sociale, dovrebbe essere
stabilito che la disponibilita’ possa essere dimostrata nel modo
piu’ ampio: titolarita’ di risparmi, reddito maturato nel periodo
di soggiorno per lavoro trascorso, reddito attuale o prevedibile, garanzia di
terzi, etc. Questa previsione, in particolare, dando comunque un rilievo parzialmente
positivo alle attivita’ di lavoro sommerso (in linea, per altro, con
alcune osservazioni contenute nella recente Comunicazione della Commissione in
materia di politica comune di immigrazione), eviterebbe di far gravare il
mancato o insufficiente contrasto di tali attivita’ sul solo lavoratore
straniero. Inoltre, consentirebbe di valorizzare attivita’ saltuarie o
precarie, comunque non prive di rilevanza economica.
10. Ad ogni lavoratore dipendente dovrebbe essere concesso
un tempo congruo, alla scadenza (naturale, o in seguito a licenziamento o
dimissioni) del permesso, per trovare un’altra occupazione. La cosa
e’ di rilievo soprattutto nei casi di scadenza naturale del rapporto di
lavoro a tempo determinato (in base alla Proposta tale scadenza coinciderebbe
con la scadenza del “permesso di soggiorno – lavoratore”) e
in quelli di licenziamento o dimissioni troppo ravvicinate alla scadenza del
permesso di soggiorno. In entrambe queste circostanze, le disposizioni che
limitano la possibilita’ di revoca del permesso di soggiorno al caso di
prolungata disoccupazione non sarebbero sufficienti a consentire un adeguato
lasso di tempo al lavoratore per trovare un nuovo inserimento lavorativo.
11. L’impossibilita’ di svolgere attivita’
lavorativa in mancanza di apposito “permesso di soggiorno –
lavoratore (o lavoratore autonomo)”, benche’ non vieti di per
se’ a titolari di altri permessi di lunga durata (per studio o per motivi
familiari, ad esempio) di convertire il proprio permesso di soggiorno, li
costringe ad entrare in una diversa categoria, con riferimento, per esempio,
alle condizioni di rinnovo del permesso. In questo modo, lo studente-lavoratore
o il familiare precariamente occupato, che sarebbero in grado di rinnovare il
permesso di soggiorno per i motivi originali, rischiano di veder
destabilizzata, senza vantaggio di alcuno, la propria posizione.
La cosa, poi, con riferimento alla condizione degli
studenti, e’ ulteriormente aggravata dalla mancanza di una esplicita
previsione del diritto allo studio per il titolare di un permesso per lavoro:
la conversione del permesso per studio in un permesso per lavoro precluderebbe
allo straniero la prosecuzione degli studi.