Clandestini nella fabbrica
lager, il pm li aiuta a trovare lavoro
Gli
immigrati costretti a turni di 15 ore al giorno Mangiavano e dormivano in
condizioni disumane
Una «fabbrica lager» dove
decine di operai romeni sono stati sfruttati «come schiavi»
(«14-15 ore di lavoro per sette giorni su sette») e costretti
perfino «a mangiare e dormire in condizioni disumane nei sotterranei
dello stesso capannone industriale». Sembra un drammatico
romanzo-verità dei tempi di Dickens, ma purtroppo è una storia
vera dei nostri giorni, che ha per vittime poveri immigrati spinti dal
bisogno ad accettare le vergognose condizioni di un imprenditore-padrone
della ricca provincia di Varese.
L’INDAGINE L’indagine rivelata ieri dal nucleo regionale della
Guardia di Finanza era partita per caso, un anno fa, dai controlli su un
traffico di cosmetici con marchi contraffatti, e ora si è chiusa con
la regolarizzazione degli sfruttati. «Liberati» dai militari con
un blitz nella fabbrica-lager, dieci stranieri (cinque uomini e cinque donne,
tutti romeni) hanno già ottenuto il permesso di restare legalmente in
Italia «per motivi di giustizia», cioè per il
diritto-dovere di fare i testimoni d’accusa al processo contro il loro
ex «padrone» italiano.
LA FABBRICA LAGER - L’imprenditore, D.B., 46 anni, nato in Puglia ma
trapiantato da decenni nel Varesotto, è stato arrestato il 10 luglio
scorso, dopo la terza irruzione della Finanza nella sua ditta di cosmetici e
detersivi. I militari avevano già ispezionato quella fabbrica in maggio
e in giugno, scoprendo ogni volta una decina di operai romeni senza permesso
e pagati in nero. Allora l’imprenditore era stato solo denunciato alla
Procura di Busto, mentre per i clandestini era scattata implacabile
l’espulsione dall’Italia. Al terzo blitz in tre mesi, i
finanzieri hanno ritrovato al lavoro altri dieci operai romeni, tutti con
permessi risultati falsi: un documento risultava addirittura rilasciato
l’11 luglio, cioè in una data futura. A quel punto
l’imprenditore è finito in carcere e la sua azienda sotto
sequestro.
«I dieci clandestini erano costretti a lavorare sempre, dalle 8 alle
21, con punte di 16-17 ore al giorno, domeniche comprese, per una paga in
nero di 750 euro al mese - ha spiegato ieri il colonnello Stefano Grassi,
comandante del nucleo regionale delle Fiamme gialle di Milano -. Da quella
fabbrica-lager non uscivano mai: mangiavano e dormivano in due misere
stanzette nei sotterranei del capannone industriale, in condizioni disumane,
con un solo bagno per cinque uomini e cinque donne». Tra i dieci romeni
così sfruttati c’erano anche due laureati: un medico e un
avvocato.
L’INDAGATO E LE VITTIME - Dopo la scarcerazione e gli arresti
domiciliari, l’imprenditore italiano è tornato in
libertà. Nei primi interrogatori in Procura, aveva provato a
difendersi sostenendo che voleva solo aiutare i connazionali della sua
convivente romena. La Finanza però ha scoperto che proprio lei aveva
intimato agli operai di non testimoniare contro il padrone: ora la Procura
sta valutando se indagarla per minacce o per favoreggiamento. Caduto
così ogni alibi, l’imprenditore ha confessato e ha chiesto
perdono, dichiarandosi pronto a riassumere, questa volta legalmente, tutti i
clandestini. A quel punto l’azienda è stata dissequestrata e di
recente ha potuto riprendere la produzione con due operai italiani,
ovviamente regolarissimi. L’imprenditore ora è libero, ma
verrà processato per sfruttamento di lavoro nero, agevolazione
dell’immigrazione clandestina e anche per aver venduto prodotti di
bellezza con marchi falsi.
LA LEGGE Per evitare che l’inchiesta potesse ancora ritorcersi contro
le vittime, il pm Giuseppe Battarino ha applicato agli operai romeni della
fabbrica-lager la legge che concede speciali permessi di soggiorno per motivi
di giustizia. I dieci immigrati sono stati affidati a un’associazione
di volontariato, che ha trovato a tutti una casa decente e un lavoro regolare
come falegnami o meccanici. Il pm titolare dell’inchiesta, Giuseppe
Battarino, per inciso, è il magistrato che ha scoperto a Gallarate il
primo covo in Italia di presunti terroristi di Al Qaeda (poi condannati a
Milano) e ha seguito anche l’indagine choc sull’omicidio
dell’operaio romeno Ion Cazacu, ucciso con il fuoco
dall’imprenditore-padrone Cosimo Iannece.
LA PIAGA DEL LAVORO NERO - Lo sfruttamento di manodopera soprattutto
straniera, costretta a turni massacranti senza alcuna copertura sanitaria
nè pensionistica, resta un grave problema sociale anche in Lombardia.
Nell’anno che sta per chiudersi il solo nucleo regionale della Finanza
ha scoperto «ben 2.727 lavoratori irregolari, di cui 1.987
completamente sconosciuti al fisco e agli enti previdenziali». Nelle
statistiche sull’illegalità diffusa, il lavoro nero è
preceduto solo dalle cifre record sui sequestri di droga (6.700 chili) e di
sigarette di contrabbando (42 tonnellate), sui casi di pirateria commerciale
(447 indagati) e sulle violazioni fiscali: i 766 evasori totali scoperti nel
2002 in Lombardia sono il 13 per cento del totale nazionale. C’era una
volta la capitale morale.
|