SE
QUESTA E' UMANITA'....
Cronaca,
grida, riflessioni su una giornata nel LAGER di San Foca, e su ciò che
ne è seguito
(Scusate
la lunghezza - chiedo a tutti/e di leggere fino in fondo, è stata
un'esperienza davvero importante)
Dino
Frisullo - 2.12.002
.........................
1. COSA
ABBIAMO TROVATO
L'ampia
delegazione, una dozzina di persone, entrata il 30 novembre nel Cpt
"Regina Pacis" gestito dalla Curia di Lecce a San Foca, è
rimasta dentro per un'ora e mezza. Abbastanza per uscirne sconvolti dal livello
di abuso ed arbitrio che, certo, fa tutti i Cpt peggiori delle galere - ma che
fa ancora peggiore, se possibile, un Cpt gestito da persone che non devono
neppure rendere conto a un superiore o ad un'istituzione. Perchè, come
pare abbia detto il direttore del centro don Cesare Lodeserto ad un giudice che
l'interrogava sulle "partite doppie" della contabilità,
"rendono conto del loro operato solo a Dio".
a) Le
condizioni materiali.
Circa
185 "ospiti" sopravvivono ammassati in camerate ingombre di letti a
castello, da dodici in su in stanze di quindici mq circa. Un metroquadro a
testa in media! e con finestre scarse e in genere sprangate, tantopiù
quando passano cortei. Sui lettini, materassi nuovi nuovi ignifughi e lenzuola
pulite pulite: hanno cambiato gli uni e le altre ieri, ci dicono, perchè
dovevate arrivare voi, in genere sono lerci. Acqua calda quindici (15) minuti
al giorno per lavarsi tutti. Una scheda telefonica ogni 15 giorni, un pacchetto
di sigarette ogni cinque. L'acqua, dicono, è imbevibile, e quella
minerale chi può deve pagarsela. La mensa sembra povera ma decente. Ma
per il resto, non ci è capitato di vedere una sola attrezzatura, un
cartello, uno spazio, che potessero servire per socializzare e non per
selezionare, stoccare, segregare esseri umani.
b)
L'arbitrio giuridico.
Alcuni
esempi?
- 58
pakistani ci hanno circondati. Volti poveri e disperati. Vengono dal Kashmir o
dalle aree limitrofe, zone di guerra. Hanno perso tutti la casa, molti i loro
parenti. Sbarcati in Sicilia, internati ad Agrigento, trasferiti a Lecce, non
hanno mai potuto chiedere asilo. Lo fanno con noi. Scriviamo in fretta un testo
di richiesta dell'asilo e di denuncia per non averlo mai potuto chiedere, e si
allineano per firmarlo sotto gli occhi impotenti dei guardioni di don Cesare
(poi parleremo anche di loro).
-
quattro cinesi hanno in mano la fotocopia della ricevuta della domanda di
sanatoria. Avevano avuto già prima l'espulsione, è la scusa di don Cesare. Già: ma la
sopravvenuta procedura di regolarizzazione dovrebbe consentire di sospenderla o
revocarla, l'espulsione, e quindi il "trattenimento". Ma chi offre un
avvocato o un interprete ai cinesi, per farlo? Non il Regina Pacis...
- sono
tanti i marocchini (due frequentavano anche movimenti sociali a Padova), gli
indiani ed altri, che ci strattonano per raccontarci, con o senza l'ausilio di
fasci di carte, storie di vita. In Italia, non altrove. Per anni, a volte
decenni, non per pochi mesi. Poi... Un licenziamento o un processo, il mancato
rinnovo, l'espulsione, la recidiva, il fermo casuale, il Cpt. E la prospettiva
del rimpatrio. Uno srilankese che è qui da tre settimane, e in Italia da
undici anni, si dispera per il figlio di cinque anni. Nato in Italia. (E'
sempre bene ricordare che questo circolo vizioso fra assenza anche temporanea
di lavoro e perdita del "right to stay" è stato introdotto dal
centrosinistra: sono trenta-cinquantamila i "nuovi clandestini"
prodotti così dalla Turco-Napolitano, ed ora ovviamente si
moltiplicano). Queste storie andrebbero vagliate una per una, perchè in
ciascuna si può trovare il filo (lavorativo, processuale, familiare) che
può impedire il rimpatrio. Chi lo fa? Non certo gli operatori del Regina
Pacis...
c) La
vera funzione del Regina Pacis
Quasi
nessuna delle persone che abbiamo incontrato era sbarcata in Puglia o era stata
fermata in Puglia. Quasi tutti erano sbarcati in Sicilia o in Calabria, oppure
erano stati rastrellati a Torino o Firenze, e portati qui.
"Concentrati" in un campo che ha rinunciato anche alla beffarda
ammonizione che "Arbeit macht frei" (anche se si dice che, come in
quelli, si pratichi anche qui il lavoro forzato e non retribuito), ma non alla
funzione dei lager di anticamera e trampolino della dissoluzione dei corpi. Non
spariranno in un camino ma su un aereo o una nave, comunque sono destinati a
scomparire. E per molti di loro l'espulsione è peggiore della morte.
Questo luogo di concentramento, il Regina Pacis, non ha ormai più nessun
legame con il territorio che lo circonda. Non ha neppure la funzione conclamata
dei Cpt di "identificazione e reperibilità", perchè
tutti coloro che sono portati qui sono già identificati e la polizia
saprebbe perfettamente dove reperirli. Ha, in realtà, la stessa funzione
di Ponte Galeria a Roma: snodo intermedio della catena del rastrellamento e
della deportazione. E' il Viminale, è il pugliese Mantovano grande amico
del vescovo Ruppi, a decidere chi mandare qui e chi/quando prelevare per la
"soluzione finale", da vantare poi snocciolando cifre in
parlamento. La tanto sbandierata funzione di accoglienza di coloro che
arrivano in Puglia, la svolge semma il centro Tonino Bello di Otranto: il
Regina Pacis la va dismettendo, per diventare invece un corridoio e
un'anticamera della deportazione.
d) Il
lager ed i suoi kapò
Questa
è stata l'esperienza più drammatica della delegazione. Che le
forze di polizia usino i manganelli che hanno in dotazione, e che spesso li
usino anche nei Cpt come in tutti i luoghi di detenzione, è grave ma
è in qualche modo "normale". Può e deve indignare, ma
non stupire. Ma gli operatori civili nei Cpt non dovrebbero avere in dotazione
bastoni. Invece ce l'hanno, e li usano.
Il 22
novembre qualche decina di "ospiti" tentarono la fuga dal Regina
Pacis. La maggior parte di loro furono ripresi. Li abbiamo visti. Ad una
settimana di distanza, la camerata dei marocchini sembrava un'astanteria del
Pronto Soccorso. Gambe e braccia fasciate e ingessate, lividi, punti di
sutura... Secondo la direzione quelle ferite erano il risultato del salto dalla
balconata. Ma chi si rompe un braccio o una gamba, non ce la fa a correre e
nascondersi, e questi erano stati ripresi a chilometri ed ore o giorni di
distanza.
I loro
racconti erano univoci. Li avevano condotti a gruppetti nella stanza del
direttore, anzi in uno stanzino adiacente, e li avevano picchiati con bastoni
di legno ed a calci. Chi? Luca, Natascia, i quattro turchi... Il personale
straniero del Regina Pacis. I kapò (anche loro per lo più erano
ebrei come le loro vittime...). Poi, dopo aver cominciato a rompergli le ossa,
avevano passato la mano ai carabinieri con gli anfibi e i manganelli. Il
direttore Lodeserto, il benefattore dell'umanità, il candidato al Nobel
per la pace, c'era? Sì, c'era, confermavano tutti. Uno di loro era stato
denudato, ammanettato e lasciato per una notte legato all'addiaccio. Un altro
era stato massacrato di botte non nello "stanzino" ma in camerata,
davanti a tutti, come umiliazione e ammonimento. E la scena si era ripetuta
pochi giorni dopo, a ridosso della visita di Nichi Vendola e di un'altra
delegazione, per ritorsione. Ed altre volte... Nello "stanzino" si
picchia spesso? Sì, spesso, rispondevano.
Alcune
delle vittime non c'erano più. Quattro o cinque secondo tutti loro, uno
solo secondo la polizia, erano i feriti che facevano parte del gruppo degli
undici maghrebini rimpatriati in tutta fretta proprio alla vigilia della
manifestazione.
La
risposta a queste accuse da parte del direttore (ma anche del vescovo Ruppi,
accorso al Regina Pacis in serata dopo la nostra visita, e del presidente della
Regione Fitto) è stata isterica. Non è vero, sono invenzioni,
vergognose strumentalizzazioni... Ma che interesse possono avere degli
immigrati totalmente ricattabili, a sfidare le ritorsioni prevedibili o
possibili raccontando nei particolari scene di tortura e terrore?
Ricordo
il Vulpitta di Trapani, all'indomani della strae per fuoco del '98: anche
allora i superstiti sfidavano le guardie raccontandoci l'accaduto fra le
sbarre, magari a voce bassa e parlando tutti insieme, perchè non fosse
uno ma semmai tutti a pagare, dopo. Bene: la stessa scena, in quella camerata
del Regina Pacis. Le stesse voci una sopra l'altra, la stessa paura, gli stessi
volti tirati dall'indignazione...
2. FUORI
DI LA': CHE FARE...
Un
effetto positivo la manifestazione e la visita l'hanno avuto: il questore di
Lecce si è impegnato a consentire, a partire già da lunedì
2 dicembre, l'ingresso periodico di delegazioni, anche con medici e avvocati.
Si è incrinato, forse, il muro irto di filo spinato che isola il Regina
Pacis dal mondo.
Un altro
effetto positivo: i 58 pakistani, la cui domanda di asilo è stata
immediatamente consegnata ai funzionari di polizia presenti, non saranno
deportati all'espero ma trasferiti in un altro centro, in attesa dei permessi di
soggiorno come richiedenti asilo. Sessanta "sommersi" riportati fra i
"salvati": non è poco.
Terzo
effetto positivo: si è bucato il pallone dell'ipocrisia. Anche i Tg, ci
dicono, dando conto della manifestazione hanno definito il regina Pacis per
ciò che è: un Cpt, un luogo di detenzione e non di accoglienza.
Sono uscite fuori anche le denunce dei pestaggi (con un piccolo equivoco da
chiarire: le affermazioni attribuite al deputato verde Bulgarelli, nella
parte relativa alla denuncia specifica del pestaggio e del suo luogo, erano in
realtà mie e attribuite erroneamente a lui da un'agenzia e poi dai
giornali - lo dico per correttezza verso di lui, anche in vista di possibili
azioni penali, e per la dovuta distinzione dei ruoli: ciò che le
associazioni denunciano nella società e nei tribunali, un parlamentare
ha modo, come farà appunto Bulgarelli, di sollevarlo in parlamento).
Tutto
questo ovviamente non basta.
E'
necessario presentare rapidamente un esposto sulla situazione al Regina
Pacis e in particolare sulle violenze (Senzaconfine è disposta a
firmarlo, il Lecce Social Forum ne sta discutendo) per ottenere la
formalizzazione delle testimonianze prima che i testimoni spariscano, e per
costringere i gestori a rispondere
dei criteri di gestione e dei metodi di repressione in uso,
Sarà
necessario proseguire e intensificare le visite coinvolgendo medici e avvocati,
profittando dello spazio aperto dalla manifestazione, perchè ciò
che abbiamo visto e sentito ci carica tutti di una grande responsabilità
verso le vittime attuali e future. Il Social Forum ha già programmato la
prima visita.
Bisogna
allargare lo spazio di mobilitazione: il caso Regina Pacis deve diventare un
caso nazionale, questo centro può e deve essere chiuso. Fra i Cpt a
gestione non statale ma affidata al c.d. privato sociale il Regina Pacis
è quello che ha alle spalle la struttura più potente (la Curia
leccese) e che più a lungo ha trascinato l'equivoco sulla sua reale
funzione, e proprio per questo ha valore simbolico generale. Deve diventare un
monito, un esempio negativo, per impedire che altri settori
dell'associazionismo (come già avviene, da Modena a Trapani) si lascino
coinvolgere in funzioni custodiali.
Ma da
San Foca il discorso deve allargarsi anche in una direzione più
specifica: la moltiplicazione dei centri in Puglia, Sicilia e Calabria,
cioè nelle regioni teatri di sbarchi (e di tragedie) e destinate ora
dall'Ue ad essere frontiera europea non solo contro l'immigrazione ma anche
nella prospettiva della "guerra infinita" (non a caso in Sicilia, ma
anche in Puglia e non di rado proprio per bocca di Ruppi, si è insistito
sulla visione propagandistica di un intreccio fra migranti, criminali e
terroristi, creando allarme proprio per giustificare misure altrimenti
impresentabili). Sarebbe molto positivo un coordinamento specifico e iniziative
comuni delle tre regioni "frontaliere" del Sud.
3.
L'ALTEZZA DELLA SFIDA E LE RITORSIONI POSSIBILI
Una
situazione come quella del Regina Pacis non consente che due vie. O si sceglie
di conviverci con una strategia di "riduzione del danno", o si
sceglie di affrontarla di petto in tutto il suo spessore. E' chiaro che questa
seconda scelta, che secondo me va assunta da tutto il movimento antirazzista
pugliese e nazionale, deve comunque salvaguardare un livello di intervento e
controllo all'interno, e dunque non può limitarsi all'invettiva - anche
per il senso di responsabilità nei confronti dei migranti. Ma la
denuncia documentata non è un'invettiva. E' inaccettabile che esistano
zone franche dal diritto, incluso il diritto di critica.
Invece
è ciò che sta avvenendo. La denuncia delle violenze e la
successiva azione simbolica sul sagrato del Duomo di Lecce ha sollevato un
vespaio di polemiche. Dalla Regione Puglia ai parlamentari salentini del Polo
ed alla stampa locale, tutti sono insorti non per chiedere chiarezza, ma per
assolvere pregiudizialmente il Regina Pacis (ossia il potennte vescovo Ruppi)
condannando la "speculazione politica" e invertendo il ruolo delle
vittime.
Dietro
Ruppi non ci sono solo interessi materiali. C'è una concezione del
volontariato pronta a mettersi al servizio di ogni potere, purchè paghi
(e non solo fra i cattolici!). C'è la parte di Chiesa che si sta
acconciando a convivere con il governo di destra ed a gestirne gli affari ingestibili,
come i Cpt. C'è l'Opus Dei. C'è Mantovano e quindi il nuovo
potere pugliese, laboratorio per l'intero Meridione.
Ma in
Puglia, dalla Chiesa otrantina a Pax Christi agli evangelici, esistono altri
interlocutori nel mondo cristiano. Se il centrosinistra scelse di
marginalizzarli per dialogare con Ruppi, ora è tempo di ricostruire un
rapporto fra queste aree ed i Social Forum. E la pietra dello scandalo
può essere proprio il Regina Pacis.
Ed
è tempo di costruire una mappa dei luoghi dell'orrore in Puglia, a
partire dal lager (ex carcere) di Restinco.
Una
volta alzata la pietra, non si può rimetterla a posto come se niente
fosse: bisogna schiacciare il serpente che si è snidato (citazione del
Vangelo...)
Per
questo credo che sia stato giusto presidiare il Duomo, quando in assemblea
abbiamo avuto notizia di ritorsioni dopo la delegazione. Aldilà
dell'attendibilità di quella e delle successive convulse segnalazioni,
era giusto chiedere conto alla Chiesa leccese di ciò che fa. Abbiamo
verificato una situazione di arbitrio così totale, che le ritorsioni
fisiche e psicologiche sono possibili in qualsiasi momento.
Del
resto ci sono state. Forse non la sera stessa, sicuramente il giorno dopo,
quando sono stati convocati nell'ufficio di don Cesare Lodeserto prima i
pakistani neo-richiedenti asilo, per dirgli che "quella richiesta è
un insulto al Regina Pacis, stracciatela e scrivetene un'altra in cui date atto
della buona accoglienza ed avrete il soggiorno in due giorni", poi i
maghrebini feriti nel pestaggio, per annunciargli minacciosamente l'imminente
rimpatrio. Entrambe le cose non avevano (speriamo) fondamento, ma puntavano
evidentemente non solo a intimidire ma ad alzare artificiosamente la tensione -
magari per giustificare operazioni che facciano sparire, con le vittime, la
memoria dei fatti.
Il rapporto diretto con le persone dentro ha consentito di verificare e rassicurare. Questo è fondamentale. Il valore più grande di questi due giorni è forse questo: non sono più soli, dietro quelle mura e quei fili spinati.