Da
Aggiornamenti Sociali, 1/2002
Solo
lavoratori o anche persone?
Verso la nuova
Legge su immigrazione e asilo
Francesco Occhetta S.I.
Il 12 ottobre
2001 il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo del disegno di legge (ddl) in
materia di immigrazione e asilo 1. Il 14 novembre il testo è
stato assegnato in sede referente alla Commissione Affari Costituzionali del
Senato. Per diventare legge dello Stato sarà necessaria
l’approvazione dei due rami del Parlamento, prevista nei primi mesi dell’anno.
Nella relazione
illustrativa il Governo indica le ragioni della riforma:
«L’esigenza di innovare profondamente l’attuale disciplina in
materia di immigrazione, ad oltre tre anni dall’entrata in vigore del
citato testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
costituisce oramai una necessità ineludibile, unanimemente avvertita tra
coloro che, a vario titolo, operano nelle istituzioni e nella società
civile e che si trovano nell’impossibilità di offrire soluzioni adeguate
alle molteplici problematiche che il fenomeno dell’immigrazione
extracomunitaria ha sviluppato nel nostro Paese. La linea guida seguita dal
provvedimento è quella di giustificare l’ingresso e la permanenza
sul territorio nazionale dello straniero per soggiorni duraturi solo in
relazione all’effettivo svolgimento di un’attività
lavorativa
sicura e lecita, di carattere temporaneo o anche di elevata durata» 2.
A riprova della natura
controversa della materia, le tensioni politiche non si sono
fatte attendere. Poche settimane dopo l’approvazione del Governo, i
Presidenti delle Regioni, convocati alla Conferenza Stato-Regioni per esprimere
un parere obbligatorio ma non vincolante, si sono divisi. Da una parte i
Presidenti delle Regioni a guida di centro-sinistra, più il Presidente della
Calabria, di centro-destra, hanno bocciato il ddl, esprimendo un dissenso di
fondo sul suo impianto culturale, politico e sociale; dall’altra i
Presidenti delle Regioni guidate da uno schieramento di centro-destra (Abruzzo,
Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna,
Sicilia e Veneto) sono riusciti a inserire 7 emendamenti volti a rafforzare la
collaborazione con lo Stato sulla gestione dei flussi migratori.
Dopo questa
prima tappa, il Ministro per gli Affari Regionali, La Loggia, ha assicurato che
il
Governo manterrà al riguardo un atteggiamento di ascolto proficuo e
produttivo: «Come abbiamo fatto con le Regioni, sentiremo la voce dei
parlamentari, non chiudendoci all’eventualità di altre
modifiche» (Dichiarazione all’agenzia ansa, 12 ottobre).
A partire da
questa disponibilità, dopo una sommaria analisi delle principali
modifiche contenute nel ddl, riporteremo alcune voci che hanno espresso
elementi di critica costruttiva.
1) Le principali
modifiche al Testo Unico sull’immigrazione
Il ddl n. 795
andrebbe a modificare il tu in materia di immigrazione che si compone di 49
articoli, raggruppati nei seguenti sei Titoli: Tit. I, Principi generali (artt. 1-3);
Tit: II, Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento
dal territorio dello Stato (artt. 4-20); Tit. III, Disciplina del
lavoro
(artt. 21-27); Tit. IV, Diritto all’unità familiare e tutela
dei minori
(artt. 28-33); Tit. V, Disposizioni in materia sanitaria, nonché di
istruzione, alloggio, partecipazione alla vita pubblica e integrazione sociale (artt. 34-46);
Tit. VI, Norme transitorie e finali (artt. 47-49).
L’analisi
che seguirà spiegherà come cambierebbe il tu se venisse approvato il ddl. Si farà riferimento
alla numerazione dell’articolato del tu
quale risulterebbe se tutte le modifiche proposte fossero approvate.
a)
Regolazione delle politiche migratorie
Il Titolo I
continua a disciplinare i diritti e i doveri dello straniero e a regolare le
politiche migratorie. Tre sono le novità. Nell’elaborazione dei
programmi di cooperazione bilaterale con i Paesi non appartenenti all’ue, il Governo terrà conto della
«collaborazione prestata dai Paesi interessati al contrasto delle
organizzazioni criminali operanti nell’immigrazione
clandestina» (art. 1); viene creato un Comitato interministeriale per il
coordinamento e il monitoraggio dell’immigrazione, assistito da un gruppo
tecnico di lavoro (art. 2 bis); viene innovata la programmazione delle
quote massime di stranieri da ammettere in Italia (art. 4, c.3).
b) Ingressi e allontanamenti
Il Titolo II,
concernente la regolazione dell’ingresso, del soggiorno e
dell’allontanamento dal territorio dello Stato, subirebbe modifiche
significative.
Per poter
soggiornare nel nostro Paese, gli immigrati dovranno avere
un’occupazione. Il permesso di soggiorno verrebbe nei fatti
sostituito dal c.d. contratto di soggiorno (art. 5, c. 3 bis), la cui durata
sarà legata a quella del contratto di lavoro.
Con la normativa
proposta, coloro che hanno già ottenuto un permesso di soggiorno a tempo
indeterminato dovrebbero rinnovarlo ogni due anni, mentre il periodo di
residenza necessario per ottenere la carta di soggiorno 3 passa da 5
a 6 anni (art 9, c. 1). L’aumento di un anno sembra contrastare con la
proposta di direttiva europea sui soggiorni di lunga durata, che fissa in 5
anni la durata massima dei permessi di soggiorno a tempo determinato (cfr.
Proposta della Commissione com
[2001] 127).
Il permesso di
soggiorno per i lavoratori stagionali avrebbe una durata non superiore ai 9
mesi, ai 12 per i contratti a tempo determinato, mentre avrebbe durata biennale
rinnovabile per i contratti a tempo indeterminato (art. 5, c. 3 bis).
Due sono le condizioni previste per la
stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato da parte del
datore di lavoro: garantire un’adeguata sistemazione abitativa e
impegnarsi al pagamento delle spese di rientro dell’immigrato nel Paese
di provenienza (art. 5 bis).
La situazione
dei cittadini stranieri che raggiungono la maggiore età in Italia o che
sono nel Paese per motivi di studio e di formazione si complicherebbe
notevolmente. Per poter rimanere in Italia, essi dovrebbero convertire il
permesso di soggiorno prima della sua scadenza e previa stipula del contratto
di soggiorno per lavoro (art. 6, c. 1). Il lavoro diventa dunque conditio
sine qua non per la permanenza.
Per quanto
riguarda le disposizioni contro l’immigrazione clandestina (art. 12), si
introdurrebbero parecchi cambiamenti. Per gli scafisti e i mediatori che favoriscono
l’ingresso di clandestini è prevista la reclusione da 4 a 12 anni
e la multa di 30 milioni per ogni straniero di cui si è favorito
l’ingresso (art. 12, c. 3). Pene ancora più dure, che vanno da 5 a
15 anni di reclusione e a una multa di 50 milioni, sono previste per coloro che
favoriscono l’ingresso di cittadini o cittadine straniere da destinare
alla prostituzione (art. 12, c. 3 bis) 4.
Queste norme sul
favoreggiamento sembrano conformarsi alla Convenzione contro la
criminalità transnazionale stipulata a Palermo nel 2000 e firmata
dall’Italia e da altri 120 Paesi. Ma le modifiche all’articolo
continuano e prevedono addirittura che le navi da guerra o in servizio di
polizia, se sospettano che un’imbarcazione trasporti clandestini, possano
«fermarla, sottoporla ad ispezione e sequestrarla» (art. 12, c. 9 bis) anche in acque
internazionali e nonostante abbia bandiera straniera.
L’art.
13,
riguardante l’espulsione amministrativa, appare praticamente
riscritto. L’espulsione sarebbe disposta «con decreto nominativo
immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte
dell’interessato» (art. 13, c. 3). Lo straniero espulso che tenti
il rientro sarebbe punito con la reclusione da 6 a 12 mesi e, scontata la pena,
sarebbe espulso con accompagnamento alle frontiere.
Gli stranieri
trovati con un permesso di soggiorno scaduto da più di 60 giorni, del
quale non fosse stato ancora chiesto il rinnovo, sarebbero espulsi con
intimazione di lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorni (art. 13, c.
5).
Si prevede la
creazione di un rito abbreviato di impugnazione del decreto di espulsione: il
ricorso andrebbe presentato entro 60 giorni e un tribunale in composizione
monocratica lo accoglierebbe o respingerebbe entro 20 giorni dal deposito (art.
13, c. 8).
Per i cittadini
stranieri sottoposti a condanna penale, raddoppierebbe, da 5 a 10 anni, anche
il divieto di rientro. Coloro infatti che commettono reati non gravi, la cui
pena non superi i 2 anni di reclusione, hanno la facoltà di chiedere di
essere espulsi anziché finire in carcere, ma con il divieto di rientrare
in Italia prima di 10 anni dalla data dell’espulsione (art. 13, c. 14).
La riformulazione
dell’art. 13 ha suscitato rilevanti riserve nella dottrina. Da una parte
l’articolo rischia di violare la riserva di giurisdizione prevista
dall’art. 13 della Costituzione, come ha recentemente confermato la Corte
Costituzionale nella sentenza 105/2001, in cui si ritiene che
l’accompagnamento immediato alla frontiera sia una misura limitativa della
libertà personale da sottoporre a convalida dell’autorità
giudiziaria entro 48 ore. Inoltre sembra contrastare con la legge n. 98/1990,
che impone di concedere agli stranieri già regolarmente soggiornanti un
termine per potersi difendere contro l’espulsione, salvo che questa sia
eseguita per gravi motivi di ordine pubblico.
Per i
clandestini la permanenza nei Centri di Permanenza Temporanea potrebbe essere
prolungata su richiesta del questore a 60 giorni, il doppio dei 30 attuali, per
dare più tempo alle autorità di fare accertamenti (art. 14, c.
5).
Non sarebbero
toccati gli artt. 18, 19 e 20, che regolano il soggiorno per motivi di
protezione sociale, i divieti di espulsione e di respingimento e le misure
straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali. Rimarrebbe immutata
quindi, per motivi umanitari, la tutela per gli stranieri soggetti a violenza e
sfruttamento e per soggetti esclusi dai provvedimenti di espulsione (ad es.
minori e donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi al parto).
c) Il lavoro
Il Titolo III si
apre disciplinando il lavoro degli immigrati nel nostro Paese. Anche in questa
parte si propongono modifiche sostanziali. All’interno del meccanismo
delle quote, stabilite annualmente con Decreto del Presidente del Consiglio, si
creerebbe una corsia preferenziale per i figli, nipoti o pronipoti di emigranti
italiani (art. 21, c. 1).
Muterebbero
anche le norme sulle assunzioni. Per assumere un lavoratore straniero,
il datore di lavoro dovrebbe presentarne richiesta allo sportello unico per
l’immigrazione, che il ddl prevede di istituire presso ogni Prefettura,
il quale trasmetterebbe la richiesta all’Ufficio Provinciale del Lavoro.
Questo avrebbe il compito di verificare, per via telematica ed entro 20 giorni,
la non disponibilità di lavoratori italiani o comunitari a occupare il
posto vacante. Solo dopo il completamento di questo iter si potrebbe procedere
all’assunzione del lavoratore straniero (art. 22, c. 4). Risultano
inasprite anche le norme contro chi dà lavoro a clandestini: è
previsto l’arresto da 3 a 12 mesi, più un’ammenda di 5
milioni per ogni straniero (art. 22, c. 5).
Nel caso di perdita
del lavoro,
lo straniero non sarebbe costretto a lasciare immediatamente il territorio
nazionale, ma avrebbe diritto di restare per cercarne un altro. Riducendo
tuttavia il periodo da 1 anno a 6 mesi (art. 22, c. 11), si rischia di impedire
la frequenza a corsi professionali o di aggiornamento.
L’art. 23
sarebbe completamente modificato. Si sopprimerebbe la figura del c.d.
sponsor,
utile per un contatto diretto tra datore di lavoro e lavoratore straniero prima
dell’assunzione e per favorire il suo inserimento nel mondo del lavoro.
In due anni 30.000 stranieri sono entrati in Italia con questa procedura.
Per sostituire
la figura dello sponsor, il ddl prevede corsi di formazione nei Paesi
d’origine: chi li frequenterà, avrebbe più
possibilità di essere assunto in Italia attraverso le nostre Ambasciate.
In concreto le Regioni potranno istituire corsi di formazione nei Paesi non
appartenenti all’ue per
preparare lavoratori da inserire eventualmente in aziende italiane operanti sia
sul territorio nazionale sia nello Stato dove viene svolta la formazione.
Questa proposta manca tuttavia di copertura finanziaria e rischia di rimanere
teorica.
d) I ricongiungimenti familiari
In base al tu
attualmente in vigore i ricongiungimenti familiari sono possibili, in alcuni
casi, anche fino al terzo grado di parentela. La proposta del Governo li
limita al coniuge e ai figli minori. I genitori dell’immigrato
potrebbero raggiungerlo solo se questi è figlio unico e se non
dispongono di fonti di sostentamento nel loro Paese (art. 29).
Posto il diritto
a vivere con la propria famiglia, riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo, non si esclude che le
nuove disposizioni possano essere impugnate presso la Corte dei Diritti
dell’Uomo di Strasburgo, in quanto contrastanti con questo diritto.
La dottrina
avverte inoltre che facilmente si potrebbe incorrere nella violazione del
diritto di formare una famiglia, garantito dalla Costituzione e dalle norme
internazionali, per es. dall’art. 16, c. 3, della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo e dall’art. 12
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Rimarrebbero
immutate le norme di carattere sociale comprese nei Titoli V e VI, quali la
partecipazione dello straniero al Servizio Sanitario Nazionale,
l’integrazione scolastica e il diritto alla casa.
2. Valutazioni
generali
L’impianto
delle modifiche proposte dal Governo pare focalizzarsi esclusivamente su due
obiettivi:
la repressione dell’immigrazione clandestina e il contributo del
lavoratore immigrato al sistema produttivo. Regolare l’ingresso e il
soggiorno solo con questi criteri ci induce a domandarci quale visione
d’uomo e di società soggiaccia a questo ddl, e soprattutto quali
effetti concreti produrrà questa scelta.
Il modo di
procedere adottato dal Governo lascia adito a non poche perplessità:
basti pensare che la Consulta sull’immigrazione - l’organismo
rappresentativo di tutte le organizzazioni che si occupano di immigrazione -
non è mai stata convocata durante la fase di elaborazione del ddl.
Il ddl prevede
che, nell’elaborazione dei programmi di cooperazione, il Governo debba tener
conto della collaborazione dei Paesi di origine alla repressione
dell’immigrazione clandestina. La politica di cooperazione del nostro Paese
risulterebbe asservita strumentalmente a un obiettivo che non le è
proprio,
senza che vengano aumentate le già scarse risorse disponibili. Parrebbe
più adeguato prevedere invece programmi specifici di collaborazione per
la repressione del traffico di esseri umani, dotati dei fondi aggiuntivi
necessari. Esiste certamente un legame fra immigrazione e cooperazione, ma nel
senso che una cooperazione efficace e dotata delle risorse adeguate può
ridurre la pressione migratoria aumentando il livello di vita e di benessere
nei Paesi di origine.
Una normativa
che voglia contrastare l’immigrazione clandestina deve innanzi tutto evitare
di costringere alla clandestinità quegli immigrati che
aspirano a un inserimento legale 5. Cancellando l’istituto
dell’ingresso per inserimento nel mercato del lavoro - non condizionato
alla stipula di un contratto di lavoro - si precluderebbe ogni
possibilità di immigrazione legale per chi vuole inserirsi in settori a
bassa qualificazione (ad es. imbianchino, manovale, bracciante agricolo). Si
stima che almeno 150 mila stranieri vivano da anni in Italia in questa
condizione, oppure lavorando in nero: con l’irrigidirsi della normativa
sarebbero immediatamente considerati clandestini ed espulsi.
La
necessità di non rimanere senza lavoro rischia di peggiorare
ulteriormente le condizioni di molti cittadini stranieri, che saranno
disposti ad accettare condizioni di sfruttamento pur di evitare
l’espulsione. La nuova flessibilità del lavoro ha creato anche per
gli italiani lavori temporanei e a tempo determinato, possibilità che
rischia di rimanere preclusa ai lavoratori stranieri. In concreto questa
proposta spingerà gli immigrati che perderanno il lavoro a diventare
irregolari, con il rischio che aumentino la microcriminalità o la
criminalità organizzata. La soppressione dell’istituto dello sponsor renderà
molto difficile la gestione del lavoro di cura degli anziani e di
collaborazione familiare, entrambi in forte crescita nel nostro Paese.
Le Questure
rischierebbero di trovarsi congestionate dalla necessità di rilasciare
frequentemente (ogni 9, o 6, o addirittura 3 mesi), e in tempi brevissimi, i
rinnovi del permesso di soggiorno legati ai rinnovi contrattuali. Il ddl non
prevede infatti un aumento degli organici a fronte delle accresciute
necessità.
Anche le
modifiche al Tit. III domandano una riflessione. Si impongono infatti pesanti
oneri burocratici per i datori di lavoro: rinnovo annuale del
contratto e obbligo di provvedere un’abitazione all’immigrato, pena
la nullità del contratto di soggiorno. Pare evidente il tentativo di
scoraggiare il più possibile il ricorso a manodopera immigrata,
aumentandone notevolmente il costo. Tra l’altro, resta da verificare se
misure di questo genere non rischino di strangolare alcuni settori produttivi
di alcune parti del Paese; si introducono infatti forti rigidità nel
reperimento di manodopera, diminuendo la competitività del sistema, e
proprio in un momento in cui la flessibilità del lavoro viene indicata
come ricetta vincente. In caso di rallentamenti produttivi dovuti a carenza di
manodopera, a farne le spese sarebbero non soltanto gli immigrati non assunti,
ma anche le imprese, costrette a limitare la produzione, e di conseguenza
l’intero sistema economico 6.
Particolarmente pesante risulterebbe
anche la normativa per le famiglie che intendano assumere una collaboratrice
familiare
extracomunitaria: dovrebbero rivolgersi ai Consolati italiani nei Paesi
d’origine e sperare che con la persona «assegnata» si
costruisca un rapporto positivo. Ogni anno inoltre si dovrebbe rinnovare il
contratto di soggiorno, con tutta la trafila burocratica che questo comporta.
Una
preoccupazione molto concreta è suscitata dalla soglia di reddito che
gli anziani soli dovranno dimostrare di avere per assumere un lavoratore
straniero per la loro cura: in base alle nuove circolari di riferimento del
Ministero del Lavoro in applicazione del ddl, si tratta, ad esempio, di 99 milioni
a Milano e 93 a Roma. Molti anziani risulteranno esclusi da questa soglia
minima, e si calcola che, all’entrata in vigore delle modifiche al tu, 150.000 persone rischiano di
rimanere senza assistenza 7.
Parallelamente aumenterebbe
il peso burocratico a carico degli immigrati, costretti a rinnovare
il contratto di soggiorno ogni anno, in una condizione di forte e crescente
precarietà. Ma come si potrà allora favorire
quell’integrazione sociale dell’immigrato, tanto importante per
assicurare stabilità e pace all’intera società, oltre che
un armonico sviluppo delle sue potenzialità personali?
La proposta
non tiene adeguato conto del diritto della persona a vivere con la propria
famiglia,
intesa secondo la cultura di cui ciascuno fa parte: il limite ai soli parenti
di primo grado impone infatti un modello di famiglia occidentale che non
considera la situazione di altre culture, in cui, ad esempio, il legame verso i
fratelli e le sorelle minori è particolarmente forte. In ogni caso,
è difficile giustificare il divieto di ricongiungimento con i genitori a
carico, i quali, al pari dei figli, sono parenti di primo grado del lavoratore
residente in Italia. Anche nel caso di parenti inabili al lavoro è
evidente che il ricongiungimento costituisce una necessità vitale ed
è in sintonia con i principi del diritto umanitario. Un caso di
particolare gravità si verificherebbe qualora un ragazzo giunto in
Italia con i genitori, forniti di regolare permesso, all’età di 14
o 15 anni, non riuscisse a ottenere un contratto di lavoro o un permesso di
soggiorno per proseguire gli studi fino al compimento della maggiore
età: sarebbe obbligato a fare ritorno nel proprio Paese in cui ormai non
avrebbe più forti legami.
3. La disciplina
dell’asilo
Il Titolo II del
ddl andrebbe a modificare l’art. 1 della c.d. Legge Martelli. Il Governo
intende in questo modo evitare la strumentalizzazione delle richieste di asilo
da parte di immigrati già allontanati per irregolarità di
soggiorno. Nessuna misura è infatti prevista per coloro a cui è
riconosciuto lo status di rifugiato.
Si introdurrebbe
una procedura accelerata di pre-esame svolta da istituende commissioni
territoriali, che potranno adottare decisioni immediatamente esecutive e
difficilmente impugnabili. Si prevede anche l’istituzione di Centri di
accoglienza per richiedenti asilo in cui attendere l’accoglimento o il
rifiuto della domanda.
L’opportunità
politica ancor prima che giuridica, suggerirebbe di separare le due parti del
ddl in base alla fondamentale distinzione tra migranti e richiedenti asilo. I primi
infatti abbandonano generalmente il loro Paese per cercare una vita migliore e
al loro eventuale ritorno continuerebbero a godere della protezione del proprio
Governo. I secondi invece fuggono da una minaccia da parte del Governo del
Paese di cui sono cittadini e presentano a uno Stato straniero domanda di asilo
per ottenere lo status di rifugiato. Evidentemente il loro forzato ritorno in
patria li esporrebbe a rischi particolarmente gravi. Invece le norme in
esame rischiano di assimilare il richiedente asilo al semplice immigrato.
In Italia un
osservatorio privilegiato sul tema dell’asilo politico, che offre ogni
anno formazione e informazioni a più di 8.000 richiedenti asilo,
è la Fondazione Centro Astalli, con sede a Roma, legata alla Compagnia
di Gesù e al suo impegno per i rifugiati in tutto il mondo. In tabella,
a pagina seguente, ne sintetizziamo le proposte.
Un altro autorevole
contributo
di riflessione e di proposta su questa parte del ddl viene dal cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati). In una lettera
firmata da Giovanni Conso e indirizzata al Vicepresidente del Consiglio, on.
Fini, in data 31 ottobre 2001, viene ribadito che una legge organica dovrebbe
curare i seguenti aspetti:
- attuare il
dettato costituzionale sul diritto di asilo;
- abolire il
doppio binario (asilo costituzionale e status di rifugiato ai sensi
della Convenzione di Ginevra del 1951), introducendo un’unica procedura
per ambedue le forme di tutela;
- stabilire
regole certe sulla presentazione di domande di asilo;
- introdurre il
pre-esame delle domande da svolgersi rapidamente;
- garantire
l’accoglienza e l’assistenza ai richiedenti asilo con delega ai
Comuni e copertura dello Stato;
- prendere
misure per l’integrazione dei rifugiati;
- istituire programmi
per il rimpatrio volontario non appena esso diventasse possibile.
Proposte
apprezzabili sul diritto di asilo esistono già in Parlamento. Del tutto
condivisibile è il progetto di legge n. 1554, presentato dall’on.
Trantino (an). Pertanto, alla luce
di queste riflessioni, parrebbe più opportuno attendere la
legislazione europea e procedere poi a una riforma organica della materia 8.
Diversamente, per tentare di arginare un abuso, si rischia di ledere un diritto
garantito dall’art. 10, c. 3, della Costituzione.
Occorre infine
considerare che si tratta di una tutela rivolta a un numero relativamente
ridotto di persone particolarmente esposte. Ogni anno vengono riconosciuti
dallo Stato circa 2.500 rifugiati politici. Per quanto importante, non basta
lanciare iniziative di raccolta di fondi per l’allestimento di campi
profughi in Paesi lontani: un Paese come il nostro deve dotarsi degli strumenti
giuridici necessari per accogliere chi ha bisogno di particolare protezione.
4. Alcune posizioni e
proposte della società civile
Riteniamo molto
significativo che associazioni tra di loro diverse per tipo di impegno e
collocazione, abbiano espresso posizioni critiche rispetto al ddl di cui stiamo
occupandoci.
Un punto di
riferimento è stato dato dalla Conferenza Episcopale Italiana. Nella
prolusione al Consiglio permanente del 24 settembre 2001, il card. Camillo
Ruini, Presidente della cei, ha
affermato: «Una questione aperta e assai delicata è quella delle
normative che devono regolare l’immigrazione, sulle quali il Governo ha
da pochi giorni licenziato un disegno di legge orientato in senso piuttosto
restrittivo
e già ora fortemente discusso, in attesa del confronto nelle sedi
istituzionali. Occorre in realtà trovare un non facile punto di
sintesi
che contemperi da una parte le esigenze di accoglienza - motivate
dalla solidarietà umana e dalle stesse necessità della nostra
economia - e il rispetto dei diritti inalienabili delle persone e delle
famiglie, dall’altra i criteri di un efficace contrasto
dell’immigrazione clandestina e della possibilità di una
proficua integrazione nel nostro tessuto sociale» 9.
Significative
sono anche le critiche e le proposte espresse dall’associazionismo e dal volontariato
cattolico:
a) La Caritas italiana e la Fondazione
Migrantes
10 riconoscono la necessità di promuovere il lavoro regolare,
ma esprimono preoccupazione per:
- lo stretto
collegamento tra titolo di soggiorno e contratto di lavoro;
- la restrizione
dei ricongiungimenti familiari;
-
l’immediata applicazione dell’espulsione amministrativa con
accompagnamento alla frontiera;
- il difficile
accesso al diritto all’asilo.
b) La Comunità
di Sant’Egidio è favorevole a non creare sanatorie
indiscriminate, ma chiede di regolarizzare tutti gli immigrati già
inseriti nel mondo del lavoro, in particolare quelli impegnati nel lavoro
domestico.
c) In occasione
della Giornata Nazionale delle Migrazioni, che la Chiesa ha celebrato il 18
novembre, acli, agesci, focsiv, masci,
Missionari Scalabriniani e «Nessun luogo è lontano», hanno
presentato un appello perché in sede di discussione parlamentare si
proceda a una sostanziale revisione del ddl. Si legge nel documento:
«Considerare il cittadino immigrato solo alla stregua di soggetto di
forza lavoro, magari a costi inferiori a quelli di un cittadino italiano, non
può essere la cultura di riferimento degli strumenti legislativi di cui
si dota un Paese avanzato come l’Italia».
Anche dal
sindacato si levano voci critiche. Oberdan Ciucci, responsabile del
dipartimento politiche migratorie della cisl
e presidente dell’anolf, la
più grande associazione di lavoratori immigrati del Paese, ha
dichiarato: «Il progetto di riforma del Governo Berlusconi non è
frutto di un confronto preventivo con il sindacato e con le associazioni degli
immigrati. […] Il contratto di soggiorno provocherà
precarietà e ricatti dei datori di lavoro» (Comunicato stampa del
15 settembre 2001).
A chiedere anche
una diversa cultura politica dell’accoglienza è il documento
interreligioso scritto e firmato dall’Associazione Martin Buber-Ebrei
per la pace, dall’Associazione musulmana Arab-Roma,
dall’Associazione Confronti e dalla Fondazione Centro Astalli.
In ultimo,
proprio in seguito all’approvazione del ddl, rappresentanti del
volontariato, intellettuali ed esponenti delle società civile, tra cui
Norberto Bobbio, don Luigi Ciotti, Furio Colombo, Ernesto Olivero, Giovanna
Zincone e il Forum del terzo settore hanno lanciato un appello perché
gli slogan non impediscano di costruire nel nostro Paese una politica ragionevole
dell’immigrazione.
5. Conclusioni
L’onu stima che nel giro dei prossimi 50
anni arriveranno in Europa 160 milioni di migranti per adempiere alcune
mansioni lavorative e colmare la denatalità. è sufficiente questo
dato per dire come il fenomeno migratorio sia strutturale e non
congiunturale nella nostra società. Scoraggiare l’immigrazione
significherebbe rallentare la nostra economia.
Tuttavia non
sono unicamente le considerazioni economiche che possono giustificare una
maggiore sicurezza nel Paese. è indubbio che questa vada garantita
attraverso giuste sanzioni per gli immigrati che delinquono. La sicurezza dei
cittadini
e lo sviluppo economico devono essere certamente tutelati, ma senza
mettere a repentaglio i diritti e la dignità degli immigrati, che già
partono da una posizione di grave svantaggio. Semplicistiche generalizzazioni
possono servire forse a guadagnare consensi elettorali, ma non possono trovare
posto nella cultura di una democrazia matura, quale dovrebbe essere
l’Italia.
NOTE:
1 Il ddl
contiene modifiche al Decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998 (Testo
Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero) e al Decreto legge n.
416 del 30 dicembre 1989, convertito nella Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (c.d.
Legge Martelli).
2 La
relazione è reperibile in <www.senato.it>.
3 La carta di
soggiorno è un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Dopo 5 anni
di residenza in Italia, il tu
attualmente in vigore offre agli immigrati la possibilità di convertire
il permesso di soggiorno, soggetto a frequenti rinnovi, in carta di soggiorno,
che riconosce all’immigrato e alla sua famiglia particolari garanzie in
ordine alla permanenza in Italia, abilita allo svolgimento di ogni
attività e non è soggetto a revoca per il venir meno delle fonti
di reddito.
4 Stupisce
l’indicazione dell’importo delle sanzioni pecuniarie solo in lire e
non anche in euro in un ddl che, se approvato, entrerà in vigore nei
primi mesi del 2002.
5 Per i dati
statistici più recenti rimandiamo a Femminis
S., «Immigrazione in Italia», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2001)
802-805.
6 A riguardo
pare interessante la posizione assunta dalla Confindustria:
«Confindustria considera necessario [...] tener conto del fatto che vi
è una vasta gamma di lavori a modesto contenuto professionale per i
quali la risorsa “immigrazione” extracomunitaria si rivela
indispensabile e per i quali occorre effettuare una programmazione che si basi
sulle reali richieste del mondo delle imprese» (Comunicato stampa del 27
luglio 2001, in <www.confindustria.it>).
7 Per
sensibilizzare i parlamentari su questo punto, il 22 novembre 2001 la
Comunità di Sant’Egidio ha organizzato di fronte alla Camera la
manifestazione «Ho bisogno di te», cui hanno partecipato circa
1.000 persone, in larga parte anziani. Cfr Dietrich
R., «Gli anziani in piazza per difendere chi li assiste», in
L’Osservatore Romano, 24 novembre 2001, 12.
8 Direttiva
2001/55/ce del Consiglio, 20
luglio 2001. Proposte della Commissione: com
(2001) 528, recante norme sulla procedura comune agli Stati membri per il
riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato; com (2001) 181, sull’accoglienza di richiedenti
asilo.
9
<www2.chiesacattolica.it>. Per un quadro generale in cui si colloca
questo intervento, cfr Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni - Documenti
magisteriali ed ecumenici sulla pastorale della mobilità umana
(1887-2000), EDB, Bologna 2001.
10 Organismo
della cei per l’assistenza
religiosa ai migranti.