di
organismi ed associazioni di ispirazione religiosa attivi nel campo
delle migrazioni
ACSE
Caritas Italiana
Comunità di
S. Egidio
CSER
Federazione delle
Chiese Evangeliche in Italia
Fondazione
Migrantes della CEI
Jesuit Refugee
Service
UCSEI
Roma, 8.01.2002
OSSERVAZIONI SULLA PROPOSTA DI DIRETTIVA
RELATIVA ALLE CONDIZIONI DI INGRESSO E SOGGIORNO PER LAVORO
Puo’ svolgere attivita’ di lavoro subordinato solo chi
abbia ottenuto un “permesso di soggiorno – lavoratore”.
Un tale permesso puo’ essere rilasciato sia a
persone ancora residenti all’estero (in particolare, in altro Stato
membro dell’Unione europea), sia a persone gia’ residenti o
soggiornanti legalmente per altri motivi nello Stato membro che lo rilascia.
E’ contemplata, cioe’, la possibilita’ di conversione di
altro permesso di soggiorno in permesso per lavoro. Nella Relazione
introduttiva che accompagna la Proposta di direttiva, tra i motivi del
soggiorno legale a partire dal quale si puo’ accedere allo status di
lavoratore vengono citati esplicitamente il turismo e la ricerca di lavoro. Si
afferma pero’ che la richiesta di un “permesso di soggiorno –
lavoratore” non autorizza di per se’ il richiedente a restare nello
Stato membro in cui soggiornano al momento della richiesta stessa. In altre
parole, qualora scadano i termini del soggiorno legale, la pendenza di una tale
richiesta non ne garantisce l’automatico procrastinamento.
Il “permesso di soggiorno – lavoratore” e’
rilasciato a condizione che siano soddisfatti diversi requisiti. Oltre a quelli
standard (possesso di un documento di viaggio valido, certificato di buona
condotta, disponibilita’ di mezzi di sostentamento in misura non
inferiore all’ammontare al di sotto del quale scatterebbero misure di
assistenza pubblica) e a quelli di minor rilievo, e’ richiesto, in
relazione all’attivita’ lavorativa,
a)
che sia stato
stipulato un contratto di lavoro per una precisa attivita’ di lavoro per
la quale lo straniero possegga le capacita’ necessarie;
b)
che
l’assunzione dello straniero soddisfi il requisito di
“necessita’ economica” in relazione al mercato
dell’Unione europea.
La verifica di questo secondo requisito si effettua mediante
l’accertamento di indisponibilita’ di manodopera comunitaria o
straniera (cittadini che hanno accesso al lavoro in base alla normativa vigente
o ad accordi con i paesi di provenienza, cittadini che abbiano svolto attivita’
lavorativa subordinata per almeno tre anni negli ultimi cinque, cittadini di
paesi candidati all’adesione all’Unione europea).
L’indisponibilita’ si considera accertata se una domanda di lavoro,
opportunamente segnalata dai servizi del collocamento europeo, non trova corrispondente
e valida offerta in un periodo di quattro settimane (Nota: non e’ chiaro
a giudizio di chi l’offerta debba essere considerata “valida”
– se, cioe’, sia rilevante l’opinione del datore di lavoro).
Per specifici settori lavorativi, per un determinato numero di posti, e
per un periodo di tempo limitato, uno Stato membro puo’ stabilire che il
requisito di “necessita’ economica” debba considerarsi
soddisfatto (o non soddisfatto) anche senza passare attraverso l’accertamento
di indisponibilita’.
Allo stesso modo, uno Stato membro puo’ stabilire che il
requisito e’ considerato soddisfatto se il reddito annuale offerto al
lavoratore straniero supera una certa soglia (si applica cioe’ un minor
grado di protezione per i settori ad alto reddito), ovvero se il futuro datore
di lavoro ha versato una determinata quantita’ di denaro finalizzata ad
interventi pubblici di integrazione e formazione.
Si prescinde dalla verifica del requisito di “necessita’
economica” per la stipula di un contratto da parte di uno straniero in
possesso di un “permesso di soggiorno – lavoratore” in corso
di validita’, ovvero di uno straniero che sia stato legalmente residente
in uno Stato membro e che abbia esercitato legalmente attivita’ di lavoro
subordinato per almeno tre anni negli ultimi cinque.
La durata del permesso deve essere coperta integralmente dal contratto
di lavoro, ma non puo’ comunque superare i tre anni.
Il permesso e’ rinnovabile (sempre con durata non superiore a tre
anni) a condizione che siano soddisfatte le condizioni per il rilascio (salvo,
eventualmente – come detto -, il requisito di necessita’
economica).
Per i primi tre anni di soggiorno per lavoro subordinato, il lavoratore
puo’ cambiare datore di lavoro, ma non il tipo di attivita’.
E’ possibile, inoltre, limitare il permesso allo svolgimento
dell’attivita’ lavorativa in una specifica regione.
Successivamente, tali restrizioni sono rimosse.
La stipula di ogni nuovo contratto e’ condizionata
all’approvazione (autorizzazione al lavoro) da parte dell’autorita’
competente (Nota: dal testo non e’ chiaro se questa condizione valga solo
nel periodo di validita’ del primo permesso, o se si prolunghi anche a
valle dei successivi rinnovi).
Il permesso puo’ essere revocato, oltre che per motivi ovvi
(documentazione falsa, motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato),
anche per prolungata disoccupazione: oltre tre mesi negli ultimi dodici, per
coloro che abbiano svolto regolare attivita’ lavorativa (subordinata o
autonoma) per meno di due anni; oltre sei mesi negli ultimi dodici, per coloro
che l’abbiano svolta per piu’ di due anni.
Il possesso del permesso garantisce al titolare
a)
il diritto di
fare ingresso e reingresso nel territorio dello Stato membro, anche
attraversando altri Stati membri;
b)
il diritto di
soggiornare nello Stato membro che ha rilasciato il permesso;
c)
il diritto di
svolgere le attivita’ autorizzate dal permesso;
d)
il diritto di
godere dello stesso trattamento dei cittadini dell’Unione in materia di
condizioni lavorative, previdenza, sanita’, riconoscimento titoli,
liberta’ di associazione, anche sindacale, accesso alla formazione
professionale e alla fornitura di
servizi disponibili al pubblico. Accesso alla formazione e all’alloggio
con sostegno pubblico possono essere limitati a chi soggiorni da non meno di
uno o tre anni, rispettivamente (Nota: non e’ chiaro se sia garantito il
diritto allo studio; sembra esclusa la possibilita’ di svolgere
attivita’ di lavoro autonomo).
Una disciplina specifica e’ prevista per i lavoratori stagionali
(“permesso di soggiorno – lavoratore stagionale” di durata
massima pari a sei mesi; possibilita’ di rilascio di un “permesso
pluriennale” utilizzabile per cinque anni consecutivi), per quelli
transfrontalieri, e per i lavoratori appartenenti a determinate categorie
(dipendenti di societa’ estere, tirocinanti, lavoratori “alla
pari”).
I singoli Stati membri possono stabilire norme particolari per altre
categorie (religiosi, artisti, sportivi, ricercatori, giornalisti,
rappresentanti di ONLUS, etc.).
Altri provvedimenti disciplineranno l’accesso al lavoro di
rifugiati, profughi, richiedenti asilo, nonche’ stranieri per i quali sia
stato adottato un provvedimento di espulsione non immediatamente eseguibile.
La struttura delle disposizioni e’ analoga, mutatis mutandis, a quella relativa al lavoro subordinato.
Il permesso e’ denominato “permesso di soggiorno –
lavoratore autonomo”.
Quanto ai requisiti, per il rilascio del permesso, relativi
all’attivita’ lavorativa, quello dell’esistenza di un
contratto e’ sostituito dalla
a)
documentazione
relativa al piano d’affari e dimostrazione del possesso delle risorse
necessarie a realizzarlo;
b)
certificazione
del soddisfacimento degli atti richiesti per lo svolgimento della specifica
attivita’ autonoma programmata (iscrizione agli albi professionali, per
esempio, se richiesta).
Deve essere dimostrato l’effetto positivo
dell’attivita’ autonoma sull’occupazione nello Stato membro o
sul suo sviluppo economico. Anche in questo caso, per specifiche
attivita’ e, all’occorrenza, per specifiche regioni, uno Stato
membro puo’ stabilire che tale effetto debba essere considerato
automaticamente verificato (ovvero, verificato a condizione che sia effettuato
un investimento di entita’ non inferiore a una soglia minima).
All’opposto, uno Stato membro puo’ stabilire che per specifiche
attivita’ e, all’occorrenza, per specifiche regioni,
l’effetto debba essere considerato automaticamente non verificato.
Con queste due sostituzioni, le disposizioni procedono in modo analogo
per quanto concerne
-
rilascio di un
permesso a straniero che abbia svolto legalmente attivita’ di lavoro
autonomo in uno Stato membro per almeno tre anni negli ultimi cinque;
-
durata del
permesso;
-
rinnovo del
permesso;
-
limitazioni
relative all’accesso ad altro tipo di attivita’ autonoma o alla
regione in cui l’attivita’ puo’ essere svolta;
-
revoca del
permesso (la condizione di disoccupazione prolungata e’ sostituita da
quella di prolungato ricorso all’assistenza pubblica, con la stessa
misura temporale);
-
diritti del
titolare del permesso (Nota: sembra esclusa la possibilita’ di svolgere
attivita’ di lavoro subordinato).
Ogni richiesta di rilascio, rinnovo o modifica del permesso di
soggiorno per lavoro deve ottenere risposta entro centottanta giorni
(quarantacinque per dipendenti di societa’ estere, tirocinanti,
lavoratori “alla pari”).
Ogni decisione negativa deve essere impugnabile.
Decisioni di singoli Stati membri che impediscano, limitino o
facilitino ingressi per certe categorie o per certi periodi devono essere
motivate e comunicate alla Commissione e agli altri Stati membri.
Alle condizioni di ingresso e soggiorno di lavoratori deve essere data
pubblicita’ (per esempio su un sito web).
1.
L’impostazione della Proposta e’ senz’altro apprezzabile per
quanto riguarda le attivita’ di lavoro subordinato ad alta
qualificazione. Per attivita’ di lavoro subordinato a bassa qualificazione,
pero’, l’esperienza italiana insegna che, nei fatti,
l’instaurazione di un rapporto di lavoro richiede un incontro diretto tra
lavoratore e datore di lavoro. La possibilita’ di un tale incontro (per
esempio - con riferimento al caso italiano - mediante un ingresso per
inserimento nel mercato del lavoro sponsorizzato o
“auto-sponsorizzato”) non e’ esclusa, nella Proposta, dal
momento che e’ ammessa la richiesta di un permesso di soggiorno per
lavoro da parte di persone residenti o soggiornanti legalmente per altri
motivi. Questo punto, anzi, e’ considerato con sufficiente dettaglio
nella relazione introduttiva, dove tra i motivi della presenza legale dello
straniero richiedente un permesso per lavoro si citano esplicitamente il
turismo e la ricerca di lavoro. Tuttavia – dato il carattere di primaria
importanza della questione – occorre che questa considerazione esplicita
trovi spazio nell’articolato. Inoltre, affinche’ questa previsione
non sia vanificata da altre disposizioni (quelle relative ai limiti di tempo
previsti per l’esame delle richieste di permesso), e’ necessario
stabilire che lo straniero legalmente presente ad altro titolo che presenti una
richiesta di permesso di soggiorno per lavoro sia autorizzato a prolungare il
suo soggiorno legale fino al momento del rilascio o del diniego del permesso
richiesto.
2. Il criterio della
“preferenza comunitaria”, quale condizione per l’accesso
dello straniero al lavoro subordinato e’ in linea di principio
accettabile. Non e’ accettabile, tuttavia, che si prescinda, al riguardo,
da un elemento fondamentale, per il funzionamento di un rapporto di lavoro,
quale la fiducia tra datore di lavoro e lavoratore: non e’, infatti, la
posizione occupata dal lavoratore in una lista di disoccupazione o la sua offerta
formale di fronte a una domanda di lavoro a garantire tale fiducia.
3. I tempi fissati
per l’accertamento di indisponibilita’ di manodopera e,
soprattutto, per l’accoglimento o il diniego della richiesta e del
rinnovo del “permesso di soggiorno – lavoratore” (ma anche
del “permesso di soggiorno - lavoratore autonomo”) appaiono
irragionevolmente lunghi, e del tutto inadatti alle esigenze del mercato del
lavoro.
In generale,
comunque, dovrebbe essere esplicitamente stabilito che in pendenza di una
richiesta di rinnovo il lavoratore mantiene inalterati diritti e facolta’
connessi alla titolarita’ del permesso di soggiorno, fino a che un
eventuale diniego sia diventato definitivo (inclusi cioe’ i tempi
necessari per la decisione su una eventuale impugnazione).
4.
L’esperienza italiana mostra come una parte importante delle
attivita’ che vedono un positivo inserimento lavorativo di immigrati
rientrino nella categoria delle prestazioni di piccoli servizi. Dato il
carattere saltuario delle prestazioni offerte dal lavoratore e della richiesta
di servizi da parte del committente, tali attivita’ non sembrano
assimilabili ad attivita’ di lavoro subordinato: l’idea che per
avvalersi saltuariamente di tali servizi si debba assumere il lavoratore con un
contratto di lavoro subordinato appare, evidentemente, non realistica. Si
tratta piuttosto di attivita’ di lavoro autonomo per le quali il
lavoratore straniero e’ imprenditore di se stesso. L’impostazione
della Proposta, che appare adeguata per quanto riguarda le attivita’ di
notevole impatto economico, non sembra esserlo in relazione a quelle di
dimensioni ridotte. L’accesso di lavoratori autonomi e’ reso,
infatti, in questo caso, praticamente impossibile dal requisito relativo alla
dimostrazione dei positivi effetti sull’occupazione e sullo sviluppo
dello Stato membro, nonche’ dalla necessita’ di produrre un
dettagliato piano d’affari, di fornire informazioni dettagliate
sull’attivita’ svolta o di notificare all’autorita’
ogni cambiamento di attivita’. E’ opportuno che si prescinda, per
attivita’ di piccole dimensioni, dall’imposizione di tali
condizioni, anche in considerazione del fatto che il criterio stabilito per la
revoca del permesso di soggiorno relativo al prolungato ricorso
all’assistenza pubblica rappresenta uno strumento sufficiente ad evitare
che si incancreniscano situazioni di lavoro autonomo del tutto improduttivo.
5. Sembrano del pari
trascurate, dalla Proposta, figure intermedie – tra lavoratore
subordinato e lavoratore autonomo – quali i soci-lavoratori di
cooperative gia’ operanti (positivamente considerate dalla normativa
italiana). Coerentemente col principio di “concorrenza verso modelli di
successo”, dovrebbero essere incluse – con un ingresso condizionato
alla solidita’ economica della cooperativa – nell’ambito
delle alternative alla dimostrazione del requisito di necessita’
economica.
6. Ai fini
dell’ingresso per lavoro autonomo, la dimostrazione del requisito di
soddisfacimento delle condizioni previste per i lavoratori nazionali dovrebbe
essere temperato, in relazione al riconoscimento dei titoli e
all’iscrizione agli albi professionali, da una clausola che consenta
esplicitamente l’accesso al riconoscimento e all’iscrizione anche a
stranieri non ancora residenti negli Stati membri. In mancanza di tale
clausola, potrebbe crearsi un circolo vizioso per il quale lo straniero si vede
rifiutata la possibilita’ di soddisfare la condizione richiesta per
l’ingresso per il solo fatto di trovarsi ancora nel proprio paese.
7. Le limitazioni
relative alla possibilita’ di utilizzare, nei primi tre anni, il permesso
di soggiorno per attivita’ di lavoro diverse da quelle originariamente
autorizzate o, addirittura, in regioni diverse da quella per cui
l’attivita’ e’ stata autorizzata contrastano con i criteri di
allocazione ottimale delle risorse; lo stesso si puo’ dire della
preclusione del passaggio (senza ulteriore autorizzazione) da attivita’
di lavoro subordinato ad attivita’ di lavoro autonomo e viceversa.
Paradossalmente, poi, tali disposizioni restrittive sono affiancate alla
previsione di esonero da ogni ulteriore verifica dei criteri di rispondenza
alle effettive esigenze economiche (l’accertamento di
indisponibilita’ per il lavoro subordinato, la verifica degli effetti
positivi su occupazione o sviluppo per il lavoro autonomo) nel periodo di
validita’ del permesso di soggiorno. Qualora, infatti, si volesse evitare
che lo straniero ammesso a svolgere una determinata attivita’
“utile” si dedichi ad altra attivita’ “inutile” o
concorrenziale nei confronti dei lavoratori gia’ presenti, piuttosto che
impedire il cambiamento di attivita’, sarebbe sufficiente - e piu’
coerente - condizionarlo alla verifica prevista per i nuovi accessi.
8. I requisiti per
il rinnovo e il mantenimento del “permesso di soggiorno –
lavoratore” sono troppo rigidi, per il rilievo che danno alla presenza di
un rapporto di lavoro in corso (ai fini del rinnovo), ovvero – in
negativo – all’occorrenza di periodi di disoccupazione (in
relazione alla revoca del permesso). L’esperienza
italiana mostra come un atteggiamento eccessivamente fiscale in materia non fa
altro che produrre illegalita’ formale, il cui sanzionamento e’, al
contempo, vessatorio, costoso e inutile. Deve essere poi osservato come una
simile penalizzazione della condizione di disoccupazione
a) rischi di vanificare l’obiettivo, dichiarato nella Proposta, di
definire “un percorso che conduca in ultima
istanza ad uno status permanente per coloro che intendono restare”;
b) contrasti con l’idea che un quadro flessibile in materia di ingressi
debba rispondere anche ai cambiamenti della situazione demografica (che
ovviamente presentano esigenze diverse da quelle del pieno e costante
inserimento lavorativo);
c) rechi danno al paese d’origine, in contrasto con l’obiettivo,
dichiarato dalla recente Comunicazione della Commissione su un metodo aperto
per il coordinamento della politica comunitaria in materia di immigrazione, di
valorizzare l’effetto positivo dell’immigrazione come fattore dello
sviluppo di tale paese;
d) appaia inaccettabile, nella misura in cui, vincolando eccessivamente il
diritto a soggiornare al mantenimento del rapporto di lavoro, priva il
lavoratore di una parte rilevante della propria forza contrattuale e lo espone
al possibile ricatto da parte del datore di lavoro (in contrasto sostanziale
con la parificazione del lavoratore straniero a quello nazionale circa il
godimento dei diritti in materia sindacale).
Sotto
quest’ultimo aspetto, e’ ancora messa a repentaglio
l’allocazione ottimale delle risorse. Inoltre, il lavoratore migrante,
completamente assorbito dallo sforzo di mantenere il proprio diritto al
soggiorno, finisce con l’avvertire come estranei i percorsi che
dovrebbero condurlo ad un pieno inserimento sociale.
Sarebbe opportuno
sostituire i criteri per la revoca del permesso con quelli previsti nel caso
del “permesso di soggiorno – lavoratore autonomo” (prolungato
ricorso all’assistenza pubblica). In tal modo, si eviterebbe di
penalizzare inutilmente i lavoratori impegnati in rapporti di lavoro
caratterizzati da breve durata ma alta retribuzione, come pure i lavoratori
capaci di sviluppare forme positive di mutuo sostegno (nell’ambito, per
esempio, della comunita’ nazionale).
Si dovrebbe poi
consentire, almeno a chi perde il posto di lavoro in seguito a licenziamento,
di intraprendere attivita’ di lavoro diverse da quelle originariamente
autorizzate (incluse attivita’ di lavoro autonomo o attivita’
svolte in qualita’ di socio di cooperativa) o di svolgerle in regioni
diverse da quella per cui l’autorizzazione e’ stata rilasciata.
9. Benche’ sia
accettabile, in linea di principio, il condizionare il soggiorno per lavoro
alla disponibilita’ di mezzi di sostentamento per un ammontare non
inferiore al minimo al di sotto del quale dovrebbero essere adottate misure di
assistenza sociale, dovrebbe essere stabilito che la disponibilita’ possa
essere dimostrata nel modo piu’ ampio: titolarita’ di risparmi,
reddito maturato nel periodo di soggiorno per lavoro trascorso, reddito attuale
o prevedibile, garanzia di terzi, etc. Questa previsione, in particolare, dando
comunque un rilievo parzialmente positivo alle attivita’ di lavoro
sommerso (in linea, per altro, con alcune osservazioni contenute nella recente
Comunicazione della Commissione in materia di politica comune di immigrazione),
eviterebbe di far gravare il mancato o insufficiente contrasto di tali
attivita’ sul solo lavoratore straniero. Inoltre, consentirebbe di
valorizzare attivita’ saltuarie o precarie, comunque non prive di
rilevanza economica.
10. Ad ogni lavoratore
dipendente dovrebbe essere concesso un tempo congruo, alla scadenza (naturale,
o in seguito a licenziamento o dimissioni) del permesso, per trovare
un’altra occupazione. La cosa e’ di rilievo soprattutto nei casi di
scadenza naturale del rapporto di lavoro a tempo determinato (in base alla
Proposta tale scadenza coinciderebbe con la scadenza del “permesso di
soggiorno – lavoratore”) e in quelli di licenziamento o dimissioni
troppo ravvicinate alla scadenza del permesso di soggiorno. In entrambe queste circostanze,
il lavoratore perderebbe il proprio diritto al soggiorno non a causa di una
prolungata condizione di disoccupazione, ma per la scadenza naturale del
permesso: sarebbe, cioe’, gravemente penalizzato, rispetto al lavoratore
licenziato con congruo anticipo rispetto a tale scadenza, a dispetto del fatto
di essere stato, possibilmente, pienamente occupato per l’intera durata
del soggiorno.
11.
L’impossibilita’ di svolgere attivita’ lavorativa in mancanza
di apposito “permesso di soggiorno – lavoratore (o lavoratore
autonomo)”, benche’ non vieti di per se’ a titolari di altri
permessi di lunga durata (per studio o per motivi familiari, ad esempio) di
convertire il proprio permesso di soggiorno, li costringe ad entrare in una
diversa categoria, con riferimento, per esempio, alle condizioni di rinnovo del
permesso. In questo modo, lo studente-lavoratore o il familiare precariamente
occupato, che sarebbero in grado di rinnovare il permesso di soggiorno per i
motivi originali, rischiano di veder destabilizzata, senza vantaggio di alcuno,
la propria posizione.
La cosa, poi, con
riferimento alla condizione degli studenti, e’ ulteriormente aggravata
dalla mancanza di una esplicita previsione del diritto allo studio per il
titolare di un permesso per lavoro: la conversione del permesso per studio in
un permesso per lavoro precluderebbe allo straniero la prosecuzione degli
studi.
ACLI
ACSE
ADRA
Caritas Italiana
Comunità di S.Egidio
Federazione delle Chiese Evangeliche
Federazione Migrantes della CEI
Jesuit Refugee Service
UCSEI
Segreteria di
coordinamento:
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