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Se i diritti passano per gli immigrati
A Forlì un convegno di Magistratura democratica sottolinea i rischi legati alle legge Bossi-Fini
MANUELA CARTOSIO
INVIATA A FORLI'
Bizzarro. Tocca andare a Forlì, un posto un po' fuori mano, e per di più a un convegno di magistrati di sinistra che ha fatto il pelo e il contropelo alle politiche sull'immigrazione (comprese quelle uliviste), per capire che ai padroni la legge Bossi-Fini, diversamente dalle apparenze, nella sostanza non dispiace. Il disvelamento è autorevole, essendo venuto dal direttore di Confindustria Stefano Parisi. Lui, di suo, pensa che i problemi non si risolvono con le leggi, ma «gestendoli» (cioè fornendo assistenza e sostegno al «libero» gioco del mercato). Ma di una legge, su un tema che alimenta grande «tensione sociale», non si può fare a meno. E allora, domanda Parisi, perché scandalizzarci per il «contratto di soggiorno», introdotto dalla Bossi-Fini, che vincola strettamente il permesso di soggiorno al lavoro? «E' così dappertutto, si entra solo se si ha un lavoro». Già, è così ovunque. Ma è appunto questa l'ipocrisia originaria smascherata dagli altri intervenuti al convegno, la fonte perenne di clandestinità assorbita da obbligatorie sanatorie, palesi o mascherate, sollecitate dagli stessi imprenditori. Un'ipocrisia che Confindustria è disposta a perpetuare, pur di salvare il nocciolo che le sta a cuore: gli immigrati li facciamo venire quando ci servono, li rimandiamo a casa quando non ne abbiamo più bisogno. Nell'intervallo di utilità, devono essere sottoposti a ricatti plurimi, a trattamenti differenziati rispetto ai lavoratori autoctoni. E', né più né meno, la filosofia della Bossi-Fini che Parisi corregge solo su un punto, quello dell'incontro tra la domanda e l'offerta nei paesi d'origine. Invece di irrealistiche e lunghissime procedure affidate alle ambasciate, il lavoro di selezione e di spedizione della merce facciamolo fare da chi ha esperienza. Da agenzie private, quelle che attuamente forniscono i lavoratori interinale e che a breve si ricicleranno in agenzie di collocamento. «In dieci giorni loro ti mandano la figura professionale che ti serve e che sa già parlare l'italiano», assicura Parisi, senza precisare a chi tocchi, prima, insegnare l'italiano alla «figura professionale». Il convegno «Immigrazione: sentire e ragionare» era organizzato dalla Fondazione Carlo Maria Verardi (magistrato di Md scomparso prematuramente lo scorso anno, aveva lavorato a lungo a Forlì) e dalla rivista «Diritto, immigrazione e cittadinanza». Gli amici che hanno ricordato Verardi con stima, affetto e commozione, della Bossi-Fini, diversamente da Parisi, hanno detto tutto il male possibile. Don Vinicio Albanesi, della Comunità di Capodarco, pensa che «di leggi come questa possiamo solo vergognarci; quando faranno la storia, diranno che ci siamo comportati peggio degli schiavisti». Giovanni Palombarini sa che anche le altre legislazioni europee - l'esempio più crudo è quello della Spagna - si spingono molto avanti nel considerare gli immigrati «non persone». Ma il mal comune non autorizza a passare sotto silenzio le «novità negative» della Bossi-Fini, sperando che il pragmatismo corregga in futuro le ferite inferte al diritto. «Anche le parole contano. Quando si dice contratto di soggiorno, quando si pretende che il padrone garantisca i soldi per il ritorno in patria dell'immigrato, significa che una persona esiste solo per il tempo che ci serve». Pur non facendo sconti alla Turco-Napolitano, diversi intervenuti (Massimo Pastore, Marco Paggi, Lorenzo Trucco, Annamaria Casadonte, Sergio Briguglio, Angelo Caputo, Giuseppe Casadio) hanno sottolineato quanto la Bossi-Fini peggiori la situazione esistente, eliminando lo sponsor, rendendo ancor più difficile il diritto d'asilo, allungando la detenzione amministrativa, riducendo la validità dei permessi di soggiorno. Livio Pepino, presidente di Magistratura democratica, ha completato l'opera demolitoria della Bossi-Fini con fulminanti e chiarissime conclusioni, articolate in cinque punti. L'immigrazione non è un'emergenza, ma un fenomeno strutturale. Va guardata per quello che è, non per quello che vorremmo che fosse: le politiche di stop invece di bloccare gli arrivi, aumentano le presenze di irregolari. Ciò nonostante, si persevera con quelle politiche perché viviamo nella società della paura. Le paure vanno curate, non assecondate. L'immigrazione ha ricadute gravissime su tutto il resto: «è la vera questione democratica del presente e del futuro» e ha già cambiando la geografia politica dell'Europa, rendendo pressochè indistinguibili destra e sinistra. Le politiche e le leggi sull'immigrazione stanno ridisegnando i modelli sociali e le regole, sia internazionali che nazionali. Si creano diritti ad hoc, differenziati e sminuiti, per i migranti. Dopo 200 anni è stata ripristinata la detenzione amministrativa (questo sono i centri di permanenza obbligatoria). «Chi ci assicura che prima o poi non tornerà in auge anche per noi italiani?». Facciamoci un pensierino.
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