Nuove
guerre e razzismo contro gli immigrati
Da dieci anni almeno (si può prendere il trattato di Schengen, del 1992, a data-simbolo) l’Europa ufficiale, degli stati, dei governi, dei massmedia presenta l’immigrazione come un problema essenzialmente di ordine pubblico, un problema bellico, si potrebbe quasi dire, da affidare sempre più alle polizie e agli eserciti, o alle marine militari. La massa degli immigrati, che è composta pressoché nella sua totalità di lavoratori salariati forzati alla emigrazione dalla devastazione (“pacifica” o bellica) di crescenti aree del Sud del mondo, viene giorno dopo giorno criminalizzata come un grave pericolo da cui bisogna proteggersi con ogni mezzo. Di qui le politiche di “immigrazione zero”, sperimentate in anticipo nella Francia e nella Gran Bretagna di metà anni ‘70, ed ora estese all’intero continente europeo.
Questa è, però,
solo la immagine pubblica della questione, è la superficie del fenomeno.
Poiché invece in realtà, come tutti sanno, nell’ultimo
decennio il numero degli immigrati presenti in Europa è, nonostante
tutto, di molto aumentato.
E questo è successo perché le imprese europee di tutti i settori
dell’economia hanno un bisogno inesauribile di manodopera a basso costo, priva dei più
elementari diritti, iper-flessibile, costretta ad accettare mansioni, ritmi ed
orari di lavoro tra i più pesanti e disagiati, e nessuna forza-lavoro
quanto quella immigrata risponde (forzatamente!) a tali caratteristiche.
Le politiche di
“immigrazione zero” non sono affatto disfunzionali a queste
necessità delle imprese, come talora si afferma, ma costituiscono un
ottimo strumento proprio per produrre una simile manodopera a zero diritti poiché -con la moltiplicazione dei
divieti e delle restrizioni agli ingressi ed alla permanenza in Europa-
moltiplicano per i nuovi immigrati il rischio della
“illegalità”, e spingono verso
l’“illegalità”, o pongono sotto il permanente ricatto
di cadere nella “irregolarità”, anche quote non indifferenti
di lavoratori regolari. Con effetti negativi a cascata, come è sempre
più evidente, anche sulle condizioni di lavoro e i diritti dei
lavoratori autoctoni.
Con la legge Bossi-Fini, che il
Comitato nazionale degli immigrati ha definito “razzista e
disumana” anche in quanto “introduce elementi di segregazionismo e
di semi-schiavitù”, l’Italia si è posta
all’avanguardia di tale tendenza, di tale produzione intenzionale di “irregolarità”. Che non
riguarda solo o principalmente il piano del diritto, quanto innanzitutto i
rapporti di fatto che vengono prima e contano assai più delle stesse
norme giuridiche, condizionandone l’applicazione.
Non condividendo
l’indifferenza di larga parte del “mondo della cultura” nei
confronti di questo trattamento inferiorizzante e spesso spietato riservato
agli immigrati (pensiamo ai tanti morti annegati nel Mediterraneo o a cosa sono
i cd. Centri di permanenza temporanea), nel dicembre 2001 il Laboratorio di
Formazione e Ricerca sull’Immigrazione prese l’iniziativa di una
giornata di studio e di dibattito pubblico finalizzata ad esaminare e criticare
quella che può essere definita la mondializzazione delle politiche
restrittive e punitive verso gli immigrati. Una giornata che raggiunse in pieno il proprio
scopo, grazie alla intensa partecipazione delle più importanti associazioni
degli immigrati e dei sans-papiers presenti in Italia, Svizzera e Francia, ed al contributo di operatori
e studiosi impegnati attivamente a contrastare le pratiche discriminatorie e
razziste e ad implementare quelle realmente capaci di unire lavoratori
immigrati ed autoctoni.
Sentiamo la necessità di
reiterare quest’anno l’iniziativa, organizzando il giorno 7
dicembre 2002 una nuova giornata di lavoro che non si limiterà ad
aggiornare la situazione sugli stessi temi affrontati lo scorso anno (le condizioni
di lavoro ed i diritti sociali, politici, culturali e religiosi degli
immigrati), ma si misurerà anche con gli effetti che l’“enduring
freedom” proclamata un
anno fa dagli Stati Uniti, e fatta propria in larga misura anche dagli stati
europei, sta avendo sulle condizioni di esistenza della massa degli immigrati.
Parliamo al plurale di
“nuove guerre” poiché prendiamo sul serio la
“promessa” di una “guerra senza fine” al
“terrorismo”, che a non pochi, a cominciare dagli stessi Stati
Uniti, appare invece come una catena di guerre dagli evidenti obiettivi
economici e politici di dominazione, per così dire, neo-coloniale sulle
popolazioni di colore, sia fuori che dentro l’Occidente, una catena di
guerre intrinsecamente legata a quello che per solito si definisce come
processo di mondializzazione.
Queste “nuove
guerre”, infatti, vedono da un lato i paesi più ricchi e
sviluppati e dall’altro paesi più poveri o meno sviluppati esterni
al mondo occidentale, o quanto meno al “cuore” di esso (come
l’Iraq, la Jugoslavia, l’Afghanistan, la Colombia, la Palestina,
ieri la Libia, la Somalia o Panama, domani, a quel che pare, l’Iran o la
Corea del Nord), e si accompagnano ad un rilancio massiccio di vecchi
stereotipi di tipo razzista
nei confronti delle popolazioni “di colore”. Che sarebbero naturalmente inclini alla guerra, ad ogni forma di
barbarie, alla follia sterminista, al terrorismo, al traffico di droga, al
servilismo verso i dittatori ed a quant’altre belle
“inclinazioni” si possano loro attribuire. (A conferma della nostra
convinzione che il razzismo non è affatto una eterna malattia dello
spirito dovuta alla ineliminabile “paura dell’altro”,
è bensì la espressione storicamente determinata di dati rapporti
sociali di oppressione, di razza, di nazione, di sesso e di classe, ed è
da questi di continuo alimentato.)
Le conseguenze sugli immigrati
di queste “nuove guerre” e di questo “nuovo” rilancio
del razzismo sono pesanti. La vita quotidiana si è fatta più
difficile innanzitutto per gli immigrati di origine araba ed
“islamica”. La diffidenza, l’ostilità, il clima di
sospetto generalizzato stanno pesando però in modo crescente
sull’intera massa degli immigrati, su una “scena pubblica” in
cui si fa sempre più forte la richiesta di una immigrazione selezionata per nazionalità (preferenza nazionale
per le popolazioni bianche), per religione (preferenza per le popolazioni di
“religione” cristiana), per fedeltà politica (preferenza per
le nazionalità che non hanno avuto contenziosi con le vecchie potenze
coloniali). Ciò che ha fatto parlare degli studiosi quali A. Morice di
una sorta di selezione sistematica tra elementi buoni e cattivi
dell’immigrazione, di un rilancio del “razzismo europeo” o,
anche, di “una accentuata tensione razzista della gestione della
manodopera”.
Un allarme del genere non ci
appare affatto ingiustificato. E non solo per quel che riguarda gli immigrati
arabo-musulmani (o per quelli di origine albanese e jugoslava, che sono
già sotto “tiro” dei mass media da anni), ma anche per quel
che riguarda gli immigrati cinesi (a misura che la Cina viene sempre più
raffigurata come il possibile, o certo, “avversario strategico”
dell’Occidente) e, si può prevederlo, quelli sud-americani, a
misura che dai loro paesi salga, come sta salendo, una resistenza ad accettare
le atroci conseguenze che ha sulle aree sotto-sviluppate il processo di
mondializzazione in corso.
Su questi temi abbiamo invitato il giorno 7 dicembre p.v. ad intervenire: Comitato nazionale degli immigrati, Centre de contacts Suisses-Immigrés/Sos Racisme, Coordination nationale des sans-papiers (Francia), studiosi di livello internazionale del processo di mondializzazione e dei rapporti Occidente-Asia quali Michel Chossudovsky ed Edoarda Masi, Alain Morice e Peter Kammerer e quanti altri (operatori, studiosi, studenti o lavoratori) siano interessati alla questione. Arrivederci a presto, a Venezia!
aLa
giornata di studio si svolgerà all’università di Venezia,
nell’aula grande di San Basilio con inizio alle ore 9.30 e si concluderà
alle ore 17.00.
aDalle ore 18 in poi ci sarà
spazio per incontri informali volti allo scambio di esperienze e a stabilire
momenti e forme di collegamento tra le strutture di lavoro omogenee.
aSan Basilio può essere raggiunto dalla
Stazione ferroviaria muovendo prima in direzione di piazzale Roma e poi delle
Zattere (20 minuti di cammino), e si può raggiungere in modo ancora
più agevole da piazzale Roma (chiedendo di San Sebastiano, o di San
Basilio).
aPer ogni informazione (inclusa la possibilità
di alloggio per la serata di venerdì 6), ci si può rivolgere al Laboratorio
Immigrazione:
tel. 041-2346011/8; e-mail: labimm@unive.it