Resoconto
della visita al Centro accoglienza per richiedenti asilo Lorizzonte
Nel pomeriggio di sabato
16 novembre, dopo aver visitato il Cpt Regina Pacis, la delegazione si è
portata verso le 16 e 30 presso il centro di accoglienza per richiedenti asilo
Lorizzonte (sic, si chiama proprio così, senza apostrofo). La
composizione era più o meno uguale alla mattina con l’aggiunta di
due compagni del Lsf (un’insegnante e un avvocato).
Lorizzonte è in aperta campagna tra Squinzano e Casalabate, in provincia
di Lecce. Il centro è gestito da operatori del Ctm-movimondo, il
direttore Vinicio Russo, non c’è (un’abitudine dei
direttori?). Veniamo accolti da un nutrito gruppo di operatori che
immediatamente (si erano ben preparati…) ci descrivono le loro
attività, soprattutto la dottoressa direttrice del centro sanitario.
Cosa strana: l’unica emittente televisiva presente è Top Video, creata dal Ctm, che intervista,
inevitabilmente, Niki Vendola. La telecamera di Stefano Menchierini,
però, deve restare spenta. Evitiamo di fare troppa polemica,
perché in ogni caso le cose che vedremo in otto non le dimenticheremo.
La presenza militare, anche se più discreta nei nostri confronti,
è forte e si tratta di guardia di finanza.
All’arrivo troviamo il questore di Lecce in persona, che, al solito,
vuole un colloquio privato, anche se all’aperto, con Niki Vendola. Sembra
che sia la giornata dei misteri e delle confessioni. Pazientemente aspettiamo
circa un quarto d’ora prima di muoverci. Veniamo fatti entrare direttamente
nel settore dove i reclusi (anche qui in definitiva gli “ospiti”
non possono uscire, gli esterni possono entrare col contagocce) hanno le loro
“stanze”. I migranti dormono in androni disadorni su letti a
castello (dieci per stanza) con materassi in stato relativamente migliore che
al Regina Pacis, in ogni caso impregnati di umidità e senza coperte e
guanciali. Alla domanda sulla mancanza di lenzuola, la dottoressa e la
vicedirettrice del centro si lanciano in una spiegazione arzigogolata su
“abitudini diverse”, per le quali i migranti userebbero le lenzuola
come accappatoi…Ci assicurano che ogni giorno (!?) i materassi vengono
messi all’aria e trattati in modo particolare.
Queste spiegazioni convincono poco. Quei materassi non sembrano essere stati
all’aria poche ore prima. Due componenti della delegazione si avvicinano
ad una finestra, tentano di aprirla, resta loro in mano! Evidentemente, almeno
in quel dormitorio (non ne vedremo altri), le persone che ci vivono e dormono,
non possono aprire la finestra (immaginiamo che in estate debba essere un vero
problema col caldo). I muri sono stracolmi di scritte, in diverse lingue, molto
sporchi. Alla domanda: che costerebbe una riverniciata? Una risposta poetica:
possiamo impedire loro di “fare murales”? Però osserviamo noi
i locali della mensa sono stati riverniciati molto di fresco. Ancora è
fortissimo l’odore di vernice, che prende alla gola. A quel punto la
dottoressa ci invita a non “credere ai cattivi reportages su di loro” in cui si è detto
anche che nelle toilettes non c’era carta igienica. La carta non
c’era, sostiene, perché “hanno l’abitudine di buttare
i rotoli nel water”. Insistiamo, e allora? Allora hanno preferito dare un
rotolo a testa. Domanda cattiva: e che cambia? Non possono ugualmente gettarlo
nel water? Gesto insofferente della vicedirettrice, che ci spiega che
addirittura hanno tentato inizialmente di installare dei water che poi
“loro hanno rotto perché hanno una cultura diversa” (!!),
sicché hanno dovuto rimettere i bagni alla turca. Anche qui però
il dubbio che le latrine siano state rotte per reagire a condizioni di vita
inaccettabili si insinua nelle nostre menti. Altre volte Lorizzonte è
stato teatro di rivolte interne, c’è anche una denuncia penale di
due ex reclusi. A questa vita sono costretti anche molti bambini. Alcuni
piccolissimi. Che fanno durante il giorno? Giocano, ci dicono. Dove? Qui. Con
cosa non si capisce. I più grandicelli vanno a scuola? No. Aiutano. Chi
e a fare cosa? Nessuna risposta. Tutti ci facciamo la stessa domanda: ma per questi
bambini vivere in questi condizioni non equivale a crescere in una cella? Loro
e i loro genitori di cosa sono colpevoli?
Veniamo invitati a parlare con un gruppo, scelto da loro, di ragazzi iracheni.
Parlano poco italiano, scarso inglese, quindi aspettiamo che arrivi il
“mediatore culturale”, ossia un marocchino che ha deciso di restare
a lavorare nel centro. Alla domanda se hanno chiesto l’asilo politico in
Italia, i ragazzi rispondono in coro di no. Ma soprattutto non hanno intenzione
di chiederlo. Ci dicono di essere scappati per fame e non per sfuggire alla
dittatura di Saddam Hussein. Non vogliono chiedere l’asilo politico
perché se non lo ottenessero per loro tornare in Iraq significherebbe
finire in carcere, se lo ottenessero non potrebbero tornare in patria per
cinque anni. Sono convinti di poter ottenere un foglio di via che gli consenta
di raggiungere la Germania. Ci guardiamo frastornati: ma lo sanno che il foglio
di via con la Bossi-Fini è stato cancellato e che esiste solo l’accompagnamento
alla frontiera? Che oggi la legge “entro cinque giorni” impone
l’espulsione? E che se vengono catturati finiscono in un carcere italiano
e poi vengono espulsi, con tanto si segnalazione alle autorità del loro
paese? Significativamente non rispondono, mentre un’altra
operatrice si affretta a “chiarire” che per loro anche se
chiedessero l’asilo politico si aprirebbe una prospettiva da incubo:
anche se ascoltati dalla commissione nazionale fino al riconoscimento
definitivo dello status di rifugiato non possono lavorare, né sposarsi,
né fare alcunché (le strade che restano loro aperte sono quelle
del lavoro nero o del delinquere per sopravvivere). Hanno diritto teoricamente
a un sussidio miserrimo (circa duecentomila delle vecchie lire al mese) che in
pochi, inoltre, ottengono e riscuotono con regolarità. Che possono fare
una volta che la commissione dice si ? O tornare nel centro (per sopravvivere:
in molti casi sono intere famiglie con bambini piccoli) o
“arrangiarsi”. Che futuro hanno se la commissione dice di no?
Nessuno. L’espulsione.
Anche qui le risposte alle questioni tecniche sono più rilassate: la
retta giornaliera è di trentacinquemila delle vecchie lire. Chiediamo
perché tanta differenza col Cpt? Come colmate la differenza, che
evidentemente significa meno servizi? Col volontariato. E’ una risposta?
No.
La discussione con gli operatori prosegue: non vi sembra un carcere? Si, ma
cerchiamo di renderlo più umano. Perché il Ctm, una Ong, ha
accettato di gestire un centro di detenzione? Perché altrimenti finiva
in mani peggiori. Ma cosa c’è di peggio di un carcere con dentro
anche minori dagli zero anni ai diciassette? Colpevoli solo di essere venuti al
mondo?
Le risposte tecniche, sono l’alibi. Ne sono passati 24.000 di richiedenti
asilo dal centro. Che fine hanno fatto? Molti sono stati espulsi, altri, pochi,
hanno ottenuto l’asilo politico, altri sono riusciti, per loro fortuna a
fuggire dall’Italia.
La vicedirettrice insiste sul fatto che si sono battuti per rendere più
“umano” il centro. Hanno rifiutato di mettere le sbarre alle
finestre del piano terra. A quelle del primo piano, escluso dalla nostra visita
(nessuno riesce a chiamarci e a farci salire come al Regina Pacis), le hanno
messe per sicurezza, ci dicono. O per evitare tentativi di fuga o suicidio?
Resta la sensazione fortissima che a Lorizzonte, la nostra
“protezione” sia stata organizzata in modo capillare. Ci si sente
come i giapponesi in gita organizzata.
Il fiore all’occhiello de Lorizzonte è il centro Don Milani per i
minori non accompagnati. Nell’avviarci vediamo un immenso campo di
carciofi. Chi li coltiva? Fanno finta di non sentire. Si vendono? Si, sono i
“carciofi della solidarietà”. A chi vanno i proventi delle
vendite? Al centro. Chi li coltiva? Il dubbio che i cosiddetti ospiti vengano
trasformati in contadini forzati resta.
Il centro per i minori è sicuramente più accogliente, di recente
costruzione. Anche qui i responsabili chiedono un colloquio privato con Vendola
che dura una ventina di minuti. Cosa gli hanno chiesto? Forse di intercedere
presso chi ha fatto denuncia contro di loro?
Anche qui resta il buco nero del rapporto con gli avvocati. Anche qui
assicurano che il Cir gestisce le pratiche dell’asilo. E per coloro che
non intendono chiedere asilo? Perché non ci fanno rispondere da loro?
Altra questione: gli operatori si rendono conto che tra poco, dopo
l’estinzione dei centri di seconda accoglienza, quel centro si
trasformerà in Cpt? Come intendono muoversi? Non lo sanno. Tirano a
campare. E la militarizzazione sempre più evidente del centro? Non
sanno. La visita si conclude dopo circa due ore. Cosa abbiamo visto? Un altro
carcere a cielo aperto. Dove, per carità, siamo stati invitati a tornare
e dove noi torneremo. Anche lì e come in Palestina per fare un’azione
di “protezione di civili”.
Le considerazioni finali sono che tra il Cpt e il centro per richiedenti asilo
non c’è differenza sostanziale. La cosiddetta “politica
dell’accoglienza” in realtà altro non mira che
all’espulsione.
Le proposte che ci vengono in mente a fine giornata sono:
- a livello
nazionale deve essere preso contatto con il Cir e l’Acnur per capire bene
che tipo di rapporto esiste fra i reclusi e gli avvocati, che sembrano ombre;
- al livello
parlamentare, dopo la raccolta di materiale specifico, occorrerà fare
una battaglia per risolvere il problema dei richiedenti asilo e del limbo
indecente in cui sono costretti a vivere per anni;
- richiesta
anche per Lorizzonte di visite a “sorpresa”, con l’obbligo da
parte del centro di far entrare le persone delle associazioni impegnate nella
solidarietà;
- monitoraggio
anche per Lorizzonte, come per il Cpt, da parte di un gruppo stabile di
parlamentari del nostro partito, innanzitutto (senza escludere chi si rende
disponibile di altri gruppi), sistematico e possibilmente mensile.
Cinzia Nachira (responsabile provinciale immigrazione Prc federazione di Lecce)
17/18/11/02