TRIBUNALE DI MILANO
Giudice del lavoro di primo grado
RICORSO EX ART.669 C.P.C.
del signor …………, elettivamente domiciliato in Milano, viale
Regina Margherita n.30, presso lo studio degli avv.ti Alberto Guariso ed
Eugenio Polizzi, dai quali è rappresentato e difeso, in unione con il
dott. Livio Neri, per delega a
margine del presente atto
contro
1.
Il ricorrente,
avendo saputo da un amico che la convenuta ricercava addetti per
…………. da questa gestito, ha preso contatti a fine
maggio del 2001 con il sig. ……… e, all’esito del
colloquio, ha iniziato a lavorare alle dipendenze della stessa in data ………...
2.
Il rapporto di
lavoro non è stato regolarizzato ma si è svolto, sin
dall’inizio, con le seguenti
modalità:
-
mansioni: aiuto
al forno; tali mansioni erano svolte secondo le disposizioni impartite dal sig. ……, sempre
presente nel luogo di lavoro;
-
per lo
svolgimento delle mansioni il ricorrente utilizzava esclusivamente il materiale
e gli strumenti di lavoro messi a sua disposizione dalla società;
-
orari: dal
lunedì al sabato, dalle ore 1.30 alle 10.30, con una pausa di circa
mezz’ora (per un totale di 51 ore settimanali);
-
retribuzione: la
retribuzione mensile pattuita era di L.1.900.000, e veniva corrisposta
mensilmente in contanti dallo stesso sig. ........
3.
In data
10.9.2002 il sig. ………, venuto a conoscenza del provvedimento
di sanatoria di cui al d.l. 195/02, ha chiesto al ricorrente di procurarsi i
moduli ed i documenti necessari per effettuare la c.d. “emersione”
del rapporto di lavoro irregolare.
4.
Il ricorrente
pertanto, come richiesto dal sig. ….., il giorno successivo ha portato
sul lavoro i moduli ritirati all’ufficio postale, compilati per la parte
di propria competenza.
5.
Solo in data
17.9.2002 il sig. ………… ha riferito al ricorrente di
aver chiesto al “ragioniere” un consiglio e di aver deciso, a
seguito di tale consultazione, che non gli conveniva effettuare la
regolarizzazione. Il ricorrente pertanto, temendo di poter perdere la
possibilità di ottenere un permesso di soggiorno, ha insistito
proponendo di pagare egli stesso i contributi nell’importo indicato dal
decreto legge. Il sig. ………, spazientito dall’insistenza
del ricorrente, si è quindi alterato ed ha detto al ricorrente che non
solo non lo avrebbe regolarizzato ma che non lo voleva più vedere,
mandandolo via.
6.
A seguito del
licenziamento verbale di cui sopra, la convenuta ha altresì omesso di
corrispondere al ricorrente le mensilità di agosto (se non per le sole
prime due settimane), di settembre e le competenze di fine rapporto.
4.
Successivamente
il ricorrente, tramite la CISL, ha inviato alla convenuta una lettera con la
quale la invitava a dare avvio alla procedura di sanatoria (doc.2). In assenza
di alcun riscontro a tale missiva il ricorrente, sempre tramite il sindacato di
appartenenza, con ulteriori lettere in data 4.10.2002 ha impugnato il
licenziamento verbale ed attivato la procedura per il tentativo di
conciliazione di cui all’art.410 c.p.c. (docc.3 e 4).
Sul fumus boni juris
1. Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Dalle circostanze sopra esposte emerge che il rapporto
di lavoro intercorso tra le parti a decorrere dall’1.6.2002 è
da considerarsi a tutti gli effetti un rapporto di lavoro subordinato,
poiché non solo sussistono tutti i requisiti di cui all’art.2094
c.c., ma gli stessi appaiono di tale evidenza e così agevolmente
accertabili che ben possono venire in rilievo anche nell’ambito di un
procedimento cautelare.
In particolare:
-
sussiste la subordinazione
tecnica, in quanto il ricorrente era inserito in una struttura aziendale
che era predisposta esclusivamente dall’imprenditore, il quale
organizzava il lavoro e forniva i mezzi di lavoro necessari; detta
organizzazione aziendale poneva poi vincoli oggettivi alle
modalità della prestazione (la quale non poteva che essere fornita nel luogo
e con gli orari determinati dall’imprenditore) senza alcun margine di
autonomia in capo al ricorrente;
-
sussiste poi la subordinazione
gerarchica, cioè lo svolgimento delle suddette mansioni secondo
modalità e tempi predeterminati
rigidamente dal datore di lavoro: come sopra esposto le direttive erano
infatti sempre impartite dal sig. ......., legale rappresentante della
convenuta, che era sempre presente nel impresa;
-
vi è
stata costanza nel tempo ed esclusività della prestazione:
il ricorrente infatti, nel periodo in questione, non ha lavorato a favore di
terzi;
-
è stata
corrisposta una retribuzione fissa (L.1.900.000), commisurata al tempo
di lavoro e non al risultato della prestazione, senza alcuna assunzione di
rischio a carico del ricorrente;
-
le mansioni
svolte dal ricorrente costituiscono normalmente oggetto di un rapporto di
lavoro dipendente.
D’altra parte, nessun diverso nomen iuris è stato attribuito dalle parti al
rapporto, sicché nessun reale problema di qualificazione può
porsi nel caso di specie, trattandosi palesemente di semplice lavoro
subordinato “in nero”.
2.
Illegittimità del licenziamento per violazione dell’art.2 L.
604/66.
Come esposto al punto 4 della narrativa il ricorrente, in data 17.9.2002, è stato licenziato verbalmente dal sig. ......., legale rappresentante della convenuta. Nei giorni successivi ha formalizzato la sua opposizione con la lettera inviata tramite il sindacato di appartenenza, mettendosi a disposizione per riprendere al più presto servizio; ma la convenuta ha ignorato completamente tale impugnazione e non ha più dato riscontro.
Tale fattispecie si configura evidentemente come un licenziamento verbale, e pertanto inefficace ai sensi dell’art.2 L.604/66.
Come è noto la giurisprudenza è unanime
nel ritenere che il licenziamento intimato senza la forma scritta è
inidoneo ad estinguere il rapporto di lavoro con la conseguenza che il
dipendente, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, conserva il diritto al ripristino del
rapporto e al pagamento delle retribuzioni pregresse (cfr. tra le molte Cass.
23.6.97 n. 5596, nonché
Corte Costituzionale 10/11/94 n. 398 che ha dichiarato infondata la
questione di legittimità dell’art.8 L.604/66, interpretato nel
senso della sua inapplicabilità alle ipotesi di licenziamento verbale).
Il licenziamento del ricorrente deve considerarsi inesistente e comunque privo di effetti e il rapporto di lavoro tra le parti tuttora in corso.
3. Sul diritto del ricorrente alla regolarizzazione del rapporto di
lavoro con la convenuta.
Come noto,
incombe sul datore di lavoro, unitamente all’obbligo di corrispondere al
lavoratore la retribuzione (e con pari carattere imperativo), l’obbligo di
versare i relativi contributi (“l’imprenditore è
responsabile del versamento del contributo” secondo l’art.2115 c.c.). Non vi
è pertanto alcun dubbio in merito al fatto che ogniqualvolta sussista
un rapporto di lavoro subordinato sussiste l’obbligo contributivo in capo
al datore di lavoro.
Non è poi nemmeno il caso di soffermarsi sull’impossibilità, nell’applicazione di tale principio, di un diverso regime a seconda di condizioni personali del lavoratore quali la sua nazionalità o cittadinanza (tali discriminazioni sarebbero infatti palesemente incompatibili tanto con il principio di uguaglianza sancito dall’art.3 Cost. quanto con il divieto di condotte discriminatorie di cui alla Convenzione OIL n.143 del 1975 ed agli artt.2 e 43 del D.Lgs. n.286/98, Testo Unico in materia di condizione giuridica dello straniero).
Di norma il rapporto di lavoro con cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno, essendo illecito e penalmente sanzionato dall’art.22, comma 10, legge cit., non permetta al datore di lavoro la regolarizzazione del rapporto stesso.
Tuttavia a seguito dell’emanazione del d.l. n.195/2002, provvedimento di emersione del lavoro irregolare e sanatoria dei lavoratori irregolarmente soggiornanti, tale impossibilità viene meno ed il datore di lavoro (versando all’INPS un contributo forfettario pari ad Î 700 e consegnando ad un ufficio postale la dichiarazione di emersione con le modalità indicate dai commi 2 e 3 dell’art.1 del d.l.) ha modo di adempiere all’obbligo contributivo ed a regolarizzare il rapporto di lavoro: e trattandosi appunto di adempimento di un obbligo che grava su tutti i datori di lavoro, si tratta pacificamente di un comportamento dovuto e non di una mera facoltà del datore di lavoro.
Sul periculum in mora.
Quanto al periculum in mora si rileva che l’illegittima
estromissione dal posto di lavoro compromette innanzitutto la dignità
personale del dipendente e (soprattutto nel caso di specie ove trattasi di
lavoratore con bassa retribuzione ed in precarie condizioni economiche) la sua
possibilità di soddisfare i bisogni vitali.
Il che è ampiamente sufficiente a
giustificare il richiesto provvedimento cautelare.
Ma vi è di più. Il ricorrente
– che, come noto a parte convenuta, è attualmente privo di
regolare permesso di soggiorno – rischia, a causa dell’intervenuto
licenziamento, di veder vanificata l’unica possibilità di regolare
permanenza nel nostro Paese.
Come è noto, infatti, il 10 settembre
2002 è entrato in vigore il decreto legge n.195/2002 che, per soli
trenta giorni a decorrere da tale data, consente ai datori di lavoro che
occupano alle proprie dipendenze cittadini stranieri “in posizione
irregolare” di dar
luogo alla c.d. “emersione dal lavoro irregolare”, la quale ha
l’effetto, nei confronti del datore di lavoro, di sanare le
irregolarità commesse di ordine fiscale, contributivo e penale (si
ricorda infatti che occupare alle proprie dipendenze uno straniero privo di
permesso di soggiorno costituisce reato ai sensi dell’art.22, comma 10,
D.Lgs 286/98) e nei confronti dello
straniero di ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno che gli permetta
di regolarizzare il rapporto di lavoro denunciato.
Tale “emersione” in quanto pone
termine ad una situazione di irregolarità sanzionata addirittura
penalmente, costituisce ovviamente un obbligo del datore di lavoro; e in
relazione a ciò, l’immediata
ricostituzione della funzionalità del rapporto, che non potrebbe
più essere disposta decorsi vanamente i termini per la sanatoria stessa,
costituisce condizione indispensabile per l’avvio della relativa pratica.
E’ dunque evidente, anche sotto questo profilo, la sussistenza del periculum.
* * *
Il giudizio di merito sarà inteso all’accertamento del rapporto di lavoro subordinato tra le parti e della illegittimità del licenziamento di fatto, con conseguente ordine alla convenuta di ripristinare la funzionalità del rapporto, riammettendo il ricorrente nel posto di lavoro e pagando le retribuzioni pregresse; il tutto oltre alle differenze di retribuzione maturate, al pagamento delle ultime due mensilità non corrisposte e al risarcimento del danno.
* * * * *
In considerazione di quanto sopra esposto il ricorrente, domiciliato e rappresentato come indicato in epigrafe chiede che il Giudice, previa fissazione di udienza per le eventuali sommarie informazioni, voglia accogliere le seguenti
Voglia il Tribunale,
a)
ordinare a ......., in persona del legale rappresentante pro tempore, di presentare, con le modalità di cui
all’art.1 d.l. n.195/02, la domanda di regolarizzazione del rapporto di
lavoro con il ricorrente;
b)
ordinare a ......., in
persona del legale rappresentante pro tempore, di
riammettere in servizio il ricorrente, dando seguito al rapporto di lavoro,
nonché di corrispondere allo stesso le retribuzioni maturande dal 17
settembre 2002 in avanti, e comunque un assegno di carattere alimentare pari
almeno a Î 600 al mese, sino alla definizione del giudizio di
merito;
c) concedere termine non inferiore a 30 giorni per
l’instaurazione del giudizio di merito.
Si indicano a sommarie informazioni l sigg. Si deposita fascicolo di parte contenente i seguenti documenti:
1. visura CCIAA
2.
lettera
…CISL / ....... del 19.9.2002
3.
lettera di
opposizione al licenziamento
4. lettera di richiesta per il tentativo di conciliazione ex art.410 c.p.c.
5. D.L. n.195 del 6.9.2002
Milano, 8 ottobre 2002
avv. Eugenio Polizzi avv. Alberto Guariso
dott. Livio Neri