ASSIEME NELLA
DIVERSITA'
I LABORATORI SPERIMENTALI DELLE COPPIE
MISTE
INDICE
1 |
INTRODUZIONE |
1 |
1.1 |
PREMESSA |
1 |
1.2 |
DISEGNO
DELLA RICERCA |
2 |
1.2.1 |
ASPETTI
STRUTTURALI E METODOLOGICI |
3 |
1.3 |
CENNI
STATISTICI |
6 |
1.3.1 |
IL
FENOMENO MIGRATORIO |
6 |
1.3.2 |
I
MATRIMONI MISTI |
8 |
1.3.3 |
IL
"MERCATO" MATRIMONIALE |
12 |
2 |
QUADRO
INTERPRETATIVO |
16 |
2.1 |
UN
LAVORO DI COSTRUZIONE |
16 |
2.2 |
LA
GESTIONE DELLE DIFFERENZE: UN
MODELLO INTERPRETATIVO |
17 |
2.3 |
I
"NODI" DELLE DIFFERENZE |
19 |
3 |
ASSIEME
NELLA DIVERSITA'…: |
23 |
3.1 |
UNA
CULTURA "IMPOSTA" |
23 |
3.2 |
UNA
CULTURA "TRALASCIATA" |
26 |
3.3 |
DUE
CULTURE IN "EQUILIBRIO" |
31 |
3.4 |
UNA
CULTURA DEL "POSSIBILE" |
36 |
4 |
PROVENIRE
DA PAESI DIVERSI… |
42 |
5 |
CONCLUSIONI |
52 |
|
RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI |
54 |
Rapporto di ricerca
A cura di
Barbara Bastarelli
Trento, dicembre 2001
1 INTRODUZIONE
1.1 PREMESSA
Scenari nuovi, inediti, bizzarri: le unioni
composte da due individui di cui uno non appartenente alla comunità
nazionale autoctona, vengono configurandosi -anche nel nostro Paese- come fenomeno
sociale in progressiva estensione.
Statisticamente e socialmente le coppie
miste suscitano particolare interesse laddove sono implicate culture,
società, religioni particolarmente differenti; laddove, cioè, la
distanza fra riferimenti simbolici dei partners viene percepita -da una o
da entrambe le comunità d'origine dei soggetti coinvolti- come elemento
costitutivo di presumibili inconciliabilità.
Se riferirsi comunemente a tali unioni come
"coppie miste" rimanda immediatamente l'immaginario più che a
"unioni binazionali" a "unioni biculturali", la pregnanza
di tale espressione sta proprio nella sua capacità di essere
"significante generico", in grado di alludere a blending di ambiti
interpretativi possibili e costituire occasione elettiva per analisi a livello
di micro-interrelazioni.
Da espressione che riferisce alla sfera
intima delle relazioni, l'unione interetnica trasla il suo essere "fatto
privato" per divenire «il barometro più interessante della
nostra società plurale» (Tognetti Bordogna M., 2001, p.29). Il
consenso o l'opposizione della comunità -parentale, amicale,
territoriale- rappresentano indici tangibili degli spazi di comunicazione fra i
gruppi, l'interpenetrazione delle comunità migranti nel tessuto sociale
autoctono.
E' nell'evolversi del fenomeno migratorio,
nelle condizioni di consolidata stabilizzazione che il suo giungere ad una fase
di maturità comporta, che l'entità della presenza di unioni miste
può divenire indice sociologicamente rilevante delle modalità
d'interazione offerte dalla comunità d'accoglienza.
E' nel mutamento dei modelli tradizionali
familiari, nell'affievolirsi dell'influenza familiare sulla scelta matrimoniale
che possono essere colte -individualmente- le occasioni per diversificare
ambiti di vita e d'appartenenza, cambiando i modi di "fare famiglia".
1.2 IL DISEGNO DELLA RICERCA
Studio
volto ad evidenziare e sondare alcune modalità relazionali delle coppie
miste nella gestione delle differenze culturali, in relazione ai vissuti
personali e alle dinamiche extrafamiliari intervenienti nelle strategie e nelle
mediazioni poste in atto dai singoli componenti della coppia interetnica.
Nel quadro generale degli obiettivi della
ricerca le tematiche affrontate hanno mirato all'approfondimento:
a) della gestione delle
differenze nell'organizzazione e nel processo decisionale della coppia negli
ambiti relativi
- allo svolgimento del
ménage familiare
- agli orientamenti
educativi nei confronti dei/delle figli/e
a) dell'integrazione
matrimoniale nelle rispettive comunità di riferimento della coppia
nell'ambito relativo alle relazioni parentali;
dell'integrazione
del/la cittadino/a migrante nella comunità
autoctona.
1.2.1 ASPETTI STRUTTURALI E METODOLOGICI
Nell'estensione del termine alludente
«coppia» e nel suo attributo «misto» sono inclusi una
varietà di significati ed esperienze che risulta necessaria una
definizione preliminare dell'oggetto d'analisi sondato dal lavoro di ricerca.
Il modello di famiglia (intesa come
convivenza) qui considerato è indipendente dal grado di riconoscimento
sociale e di legittimazione giuridica di cui gode nel nostro Paese.
Le
relazioni interpersonali comprendenti l'unione legalizzata fra individui di
sesso differente -modello matrimoniale- e le unioni eterosessuali non normate
giuridicamente -modello di convivenza non-matrimoniale- rappresentano i
rapporti di coppia analizzati nel nostro studio[1].
Discriminante, pertanto, e definitorio nel
circoscrivere precipuamente l'oggetto d'analisi, diviene -nella locuzione
considerata- l'attributo «misto», evocante la trasgressione di
regole o consuetudini di omogamia sociale variamente intervenienti nella
determinazione dei confini dei mercati matrimoniali[2].
Paradigmi
simbolici strutturano -detto altrimenti- la percezione della mésaillance. Mésaillance che, nel nostro
studio, viene individuata come problematizzante l'unione fra cittadini/e
autoctoni/e e cittadini/e migranti appartenenti a
contesti nazionali extracomunitari[3].
Le scansioni temporali che hanno
accompagnato lo sviluppo della ricerca hanno contemplato momenti diversi
d'analisi fortemente intrecciati fra loro.
Al fine di indagare un fenomeno ancora
relativamente recente per il nostro Paese e non supportato -scientificamente-
da una produzione teorica significativa, ci si è avvalsi -nella fase
immediatamente propedeutica dell'indagine- degli spunti raccolti in ricerche
empiriche qualitative condotte in specifiche e circoscritte realtà
territoriali italiane. Lo sviluppo di una traccia interpretativa atta a sondare
alcuni aspetti delle modalità relazionali più ricorrenti nelle
coppie miste ha permesso la realizzazione di interviste in profondità
che hanno consentito l'approfondimento degli ambiti tematici predefiniti e
hanno colto spazi problematici non precedentemente identificati. L'analisi del
contenuto delle testimonianze raccolte è contenuta nel presente rapporto[4].
Al fine di giungere all'approfondimento
delle tematiche oggetto dello studio e per evitare possibili distorsioni, la
ricerca ha previsto il coinvolgimento di soggetti con una "esperienza
matrimoniale" almeno triennale. Laddove possibile si è scelto di
intervistare entrambi i componenti della coppia, separatamente[5].
Nell'insieme i trentacinque soggetti
intervistati riferiscono -complessivamente- a 24 famiglie, tutte residenti -al
momento dell'intervista- nella Provincia Autonoma di Trento. Nello specifico,
sono stati intervistati entrambi i coniugi di 11 coppie, mentre nelle restanti
13 famiglie è stata concessa l'intervista da un solo partner.
Delle 24 coppie di riferimento in 18 casi il
partner
maschile è italiano, coniugato prevalentemente con cittadine originarie
dal Sud-America (9) e dai Paesi dell'Europa dell'Est o Balcanici. Con cittadine
provenienti dal Maghreb, dall'Africa Meridionale e dall'Asia sono coniugati 3
italiani.
Dei 6 cittadini stranieri coniugati con una
donna italiana 4 sono cittadini maghrebini (di cui 2 cittadini marocchini e due
algerini), mentre dal Cile e dall'Albania provengono 2 coniugi stranieri.
1.3
CENNI STATISTICI
1.3.1 IL FENOMENO MIGRATORIO
Considerando
il dato (fonte Caritas, 2001 - su dati del Ministero dell'Interno) relativo ai
permessi di soggiorno validi al 31/12/2000 risultano titolari di permesso di
soggiorno[6]
1.388.153 cittadini/e stranieri/e, con un incremento,
rispetto al 1999 del 10,9%.
Sul
totale dei permessi di soggiorno il 16,5% è da riferirsi a cittadini/e
provenienti dall'Unione Europea, dai Paesi Europei non comunitari, dall'America
del Nord e dalla Nuova Zelanda. Il restante 83,5% risulta costituito da
cittadini/e provenienti dai cosiddetti Paesi in via di Sviluppo.
Scorporando quest'ultimo dato la componente migratoria più
rappresentativa (27,8%) risulta essere quella africana (con il 65,4% di
cittadini/e provenienti dal Maghreb), con un decremento -rispetto
all'anno precedente- dello 0,7%. La componente proveniente dall'Europa dell'Est
(27,4%, con il 65,4% di cittadini/e albanesi) presenta un incremento
dell'1%, similmente alla componente asiatica (20%). I/Le cittadini/e
provenienti dall'America Centro- Meridionale rappresentano l'11,9% del totale
della presenza straniera extracomunitaria.
La
componente femminile rappresenta quasi il 46% degli/delle immigrati/e
soggiornanti in Italia al 31/12/2000, con una marcata differenziazione interna
ai singoli Paesi.
L'Europa
dell'Est risulta essere l'area con maggiore presenza femminile (quasi il 75%
dei/delle cittadini/e provenienti da alcuni Paesi dell'ex
Unione Sovietica sono di genere femminile). La marcata connotazione di genere
è visibile anche fra gli/le asiatici/che (sono
donne oltre l'87% dei/delle thailandesi presenti), fra i/le
cittadini/e provenienti dall'America Centro-Meridionale (sono di
genere femminile l'84,6% di cittadini/e provenienti da Cuba e il
73,8% di quelli/e provenienti dal Brasile), e da alcuni Paesi
Africani (81,3% della popolazione proveniente da Capo Verde è costituita
da donne e il 77,9% di quella proveniente dalla R. Dominicana). In valori
assoluti il Paese asiatico con maggior presenza femminile in Italia è
quello delle Filippine, con il 65,7% di donne.
Confrontando
la consistenza numerica fra i generi la componente femminile risulta
minoritaria fra i/le senegalesi, i/le packistani/e, e i
Paesi dell'Africa Settentrionale (sono di genere femminile il 26% della
popolazione proveniente dal Maghreb).
Oltre
il 25% dei permessi di soggiorno validi al 31/12/2000 risultano rilasciati per
motivi familiari.
1.3.2 I MATRIMONI MISTI
Se nel
nostro Paese «la metà dei soggiornanti si trova in Italia da
più di cinque anni [dati I.S.T.A.T sui permessi di soggiorno al 31/12/1999]
e un quarto da più di dieci anni [… ciò sta ad indicare un
evidente] radicamento del processo di stabilizzazione del fenomeno
migratorio» (Caritas, 2001, p.157). Radicamento che, fra i suoi effetti
meno visibili, ma non per questo meno rilevanti, informa e plasma l'esistenza
di molti nuclei familiari: dalle coppie con entrambi i partners con esperienza
migratoria (stesso continente ma con nazionalità diverse o diverso
continente e diverse nazionalità) alle coppie con un partner con esperienza
migratoria e uno autoctono.
Per lo
più residenti nel nord Italia -contesto in cui risulta più
stabilizzata la presenza emigratoria- l'universo dei matrimoni misti risulta
nel 1997 incrementato -rispetto al 1996- di quasi il 40% di unità
matrimoniali, passando dai 9.785 casi del 1996 ai 13.814 del 1997 (fonte ISTAT,
Caritas 2001).
Dalle
forme sempre più distinte la tipologia formata da un partner autoctono
prevale nettamente sul totale dei matrimoni misti, costituendo nel 1997 quasi
l'80% (10.914) dell'universo dei matrimoni misti (13.814) registrati nel nostro
Paese.
Scorporando
territorialmente il dato, nella nostra regione sono stati registrati nel 1997
317 matrimoni composti da un/a cittadino/a italiano/a
e un/a cittadino/a straniero/a.
Incrociando
le variabili genere e cittadinanza, oltre i 2/3 dei casi (219) risultano
formati da italiano con straniera, una forbice nella composizione del genere
migrante nelle coppie miste particolarmente visibile anche dall'analisi del
dato nazionale: appartengono al genere femminile il 74,5% dei cittadini
stranieri coniugati con un italiano. Detto altrimenti, solo il 25,5% delle
coppie miste sono formate da una cittadina italiana e un cittadino straniero.
Considerando
che il dato relativo alla quantificazione del fenomeno dei matrimoni misti
testé illustrato è da riferirsi esclusivamente alle coppie unite
dal vincolo giuridico, sembra plausibile considerarlo quale sottoinsieme di un
più variegato fenomeno, comprendente -ad esempio- i matrimoni celebrati
in contesti territoriali extranazionali e le unioni informali. Convivenze non
matrimoniali che, dalle informazioni deducibili dal XIII Censimento della
Popolazione Italiana svolto nel 1991, rappresentavano il 15% del totale delle
famiglie miste censite[7],
una realtà statisticamente rilevante anche considerando la bassa
incidenza che nel nostro Paese hanno le famiglie di fatto composte da entrambi
i partners
italiani.
L'analisi
di alcune caratteristiche del "mercato matrimoniale" delle coppie
miste, fa rilevare una sostanziale "omogeneità religiosa"
nelle coppie in cui è di genere maschile il partner autoctono, con un
ampliamento del mercato matrimoniale dalle cittadine latino-americane e
asiatiche alle cittadine dei Paesi dell'Europa dell'Est e dei Balcani, mentre
più frastagliata sembra essere la situazione in cui è di genere
maschile il partner straniero, con una maggior presenza di unioni con
cittadini maghrebini e mediorentali. Gli autoctoni, pertanto, «si
uniscono più frequentemente con donne che provengono da paesi a
maggioranza cristiana, sia cattolica (Brasile, Polonia, Repubblica Domenicana),
sia ortodossa (Romania, ex URSS). Meno prossima è la similarità
culturale e religiosa quando è lo sposo ad essere straniero. Anche i
dati elaborati dal Cadr circa il numero di dispense, confermano che le
donne italiane di religione cattolica sposano persone di fede islamica, mentre
nei matrimoni interconfessionali sono coinvolti i maschi italiani»
(Tognetti Bordogna M., 2001, II).
Sebbene
siano vari i fattori che influenzano la "distribuzione geografica"
delle preferenze matrimoniali dei coniugi italiani, le caratteristiche
anagrafiche degli/delle stranieri/e presenti sembrano
concorrere incisivamente nel creare -o nel non creare- possibilità di
incontro con gli/le autoctoni/e, le unioni miste,
pertanto, «mostrano una chiara tendenza ad orientarsi in corrispondenza
di qualche nazionalità in cui è più frequente la
migrazione individuale, di un sesso o dell'altro» (Maffioli D., 2001,
p.56).
Polarizzazioni
su specifica nazionalità che, conseguentemente, possono assistere
all'acquisizione della doppia cittadinanza da parte dei/delle propri/e
cittadini/e.
Il
matrimonio con un/a cittadino/a italiano/a
rappresenta, nel nostro Paese, la modalità più semplice per
l'acquisizione -su specifica istanza- della cittadinanza. Nel corso dell'anno
2000 (fonte ISTAT, Caritas 2001) 9.545 cittadini stranieri hanno acquisito la
cittadinanza italiana. Nell'84,1% dei casi l'acquisizione è avvenuta per
matrimonio[8].
Se
l'acquisizione della cittadinanza costituisce -indubbiamente- l'unica
possibilità percorribile dal/dalla cittadino/a
straniero/a per l'esercizio dei diritti politici o per l'accesso ad
alcuni ambiti professionali o, più semplicemente, per "facilitarsi
la vita".
Il
ricorso al matrimonio al fine di ottenere la cittadinanza sembra profilarsi
come una delle possibili strategie d'inserimento nel nostro Paese, una delle
opportunità d'ingresso che il/la cittadino/a
straniero/a ha a disposizione.
Analisi
di tipo demografico e ricerche pilota condotte in alcuni contesti regionali
italiani ipotizzano una non trascurabile relazione fra la tipologia dei
"matrimoni di convenienza o matrimoni per le carte" e l'alto tasso di
separazioni registrato fra le coppie miste. Tasso di separazioni quasi doppio
rispetto a quello fra italiani.
Un
aspetto particolarmente inquietante che può assumere la rottura di una
coppia mista -laddove la conflittualità non è gestita
consapevolmente fra i coniugi- viene a costituirsi nella problematica della
sottrazione internazionale di minore, un fenomeno che sembra essere in costante
crescita, passando da 98 casi del 1999 ai 170 del 2000.
1.3.3 IL MERCATO MATRIMONIALE
La
possibilità di tradurre le differenti combinazioni di alcune tra le
risorse personali dei partners (genere, età, nazionalità,
titolo di studio, professione) in indicatori del modo in cui può venir
preservata la regola sociale dell'omogamia matrimoniale, permette di valutare
l'influenza dei fattori personali che fungono da riequilibratori sociali delle
differenze.
Confrontare
i disegni tracciati dagli indicatori compensativi fra coppie formate da
entrambi i partners italiani e coppie composte da un/a cittadino/a
straniero/a può favorire una prima comprensione di come uno
svantaggio sociale -quale può essere percepita da una determinata
comunità la diversa origine etnica- può venire bilanciato
dall'accentuazione o dalla presenza di altre qualità sociali scarsamente
reperibili -per le risorse personali a disposizione del partner italiano- nel
mercato matrimoniale[9]
autoctono.
Se una certa
cautela nella valutazione degli indici compensativi appare necessaria in
presenza di dati anagrafici ascrivibili alle coppie miste non sufficientemente
articolati, un primo indicatore significativo è osservabile nel dato
relativo alla differenze d'età fra i partners.
Differenza
d'età che, se confrontata con i 3 anni della media italiana, risulta
nettamente maggiore (circa 7 anni) per le coppie in cui è italiano il partner maschile, mentre si
riduce sensibilmente (di poco superiore alla media italiana) nel caso di coppie
in cui è italiana la partner femminile. La risorsa
età e genere d'appartenenza sembrano -pertanto- variabili compensative
della differenza etnica per le coppie formate da cittadino italiano e cittadina
straniera, mentre la risorsa età non appare particolarmente
significativa nel caso opposto[10].
Un
ulteriore, consueto, indicatore di compensazione, è costituito dal
fattore istruzione, la cui distribuzione fra i generi risulta essere -nelle
coppie italiane- significativamente sfavorevole alle donne, mentre, nelle
coppie miste con partner femminile italiano, si assiste ad una notevole
riduzione del divario di istruzione fra i coniugi (sempre, comunque,
sfavorevole alle donne, il 20% delle quali risulta diplomata o laureata a
fronte del 27% degli uomini) e nelle coppie miste con partner maschile italiano
si riscontra un'inversione del fenomeno (appare laureato o diplomato il 21%
degli uomini a fronte del 23% delle donne straniere).
Se tutte
le ricerche disponibili tendono ad evidenziare che nel gioco della
compensazione dell'origine straniera l'appartenenza al genere femminile aggrava
lo squilibrio delle forze contrattuali fra i coniugi[11],
l'alto tasso di nascite fuori dal matrimonio -riscontrabile in particolare
nelle coppie miste formate da cittadino italiano e cittadina straniera (12 ogni
100 nati nel matrimonio, contro 3,2 per le coppie italiane)- risultano di
più complessa lettura. L'insufficienza di una riflessione approfondita e
specifica non permette - infatti - di ascrivere la paternità dei figli
alla coppia o a precedenti unioni della donna. Indirettamente l'alto numero di
convivenze registrato nelle coppie in cui è italiano il partner maschile e il
numero di nascite more-uxorio potrebbe avvalere l'ipotesi della
paternità dei figli al coniuge, nascite pre-nuziali seguite dalla
regolarizzazione giuridica dell'unione.
Pur nel
divario fra le forze contrattuali dei partners, disequilibrio
particolarmente sfavorevole al coniuge straniero di genere femminile, la stessa
esistenza di modalità compensative e del relativo scambio delle risorse
sociali fra persone appartenenti a differenti ambiti nazionali e culturali
sottende e rafforza l'esistenza di processi modellanti i confini sociali del
principio dell'omogamia matrimoniale, ove «simile continuerà a
sposare simile, […] ma i criteri della somiglianza vengono parzialmente
modificati e la somiglianza stessa non è più lasciata solo
all'iscrizione, ma può venir acquisita» (Saraceno C., 1988, p.96).
2 QUADRO INTERPRETATIVO
2.1
UN LAVORO DI COSTRUZIONE
Nelle
metamorfosi del fare famiglia, le unioni interetniche rappresentano
comunità sociali plasmate dall'evento migrazione presente nella vita di
uno dei membri.
Il viaggio, lo spostamento -fisico,
psichico, sociale- da esperienza individuale, privata, intima, trasla
-nell'unità matrimoniale- i suoi significati, reinterpretandoli.
Gli elementi qualificanti tali unioni
sovvertono valori, regole, abitudini, costumi di riferimento di entrambi i partners, generando
comportamenti non pienamente riconoscibili nelle culture di origine, codici di
comunicazione inediti «in cui vi sono pezzi del qui e pezzi del là, ma anche pezzi
nuovi, di un modo di essere nuovo» (Tognetti Bordogna M., 2001, p.28).
Parallelamente l'essere fra culture, storie,
riferimenti religiosi differenti può cedere spazio al conflitto, alla
decostruzione identitaria, all'assimilazione, alla negazione della memoria di
sé o dell'altro.
"Zona di compatibilità fra
differenze", dunque, che richiede - ad entrambi i partners un incessante
lavoro di costruzioni simboliche, di articolazioni non stereotipate del proprio
pensiero. Ed è in un tale luogo, «su questa zona che si può
sviluppare la coppia, mentre rimarranno altre due zone appartenenti ai rispettivi
Io culturali con possibilità di autonomia e continua rivisitazione dei
parametri dell'identità etnica» (Terranova Cecchini R., 2001,
p.150)[12].
E' nel luogo della gestione delle differenze
e delle appartenenze, nelle modalità comportamentali fra partners, che è
possibile rintracciare i significati plurimi concettualmente sottesi
all'orizzonte delle "differenze".
2.2 LA GESTIONE DELLE DIFFERENZE:
UN MODELLO INTERPRETATIVO
La
gestione delle differenze nell'organizzazione e nel processo decisionale delle
coppie può essere letta utilizzando un modello interpretativo (Bertolani
B., 2001) individuante quattro modalità comportamentali: assimilazione,
allargamento del possibile, affermazione e mediazione; modalità
riferibili a due ipotesi analitiche.
La prima
ipotesi sottende un processo (da parte di uno o di entrambi i membri della
coppia) di distacco/elaborazione della propria cultura d'origine e di un
approccio alla cultura dell'altro come possibilità aggiuntiva per
l'unione interetnica. Le scelte comportamentali della coppia vengono, quindi, a
disporsi lungo un continuum, i cui estremi teorici opposti sono costituiti
dalle modalità ideal-tipiche dell'assimilazione e dell'allargamento del
possibile.
L'assimilazione
implica l'abbandono o il rifiuto (sempre reversibile) del sistema valoriale da
parte di un membro della coppia, in favore dell'assunzione di alcuni ambiti di
riferimento culturale del coniuge[13].
L'allargamento
del possibile prevede -per entrambi i partners- un'incessante selezione
delle alternative offerte dai due sistemi culturali d'origine, un ampliamento
delle possibilità e di riferimenti culturali[14].
Le
modalità ideal-tipiche dell'affermazione e della mediazione implicano
l'ipotesi che i partners siano soggetti veicolanti nella relazione valori e
riferimenti della propria comunità etnica d'appartenenza.
Tali
modalità costituiscono, anch'esse, gli estremi opposti di un continuum che, nel caso
dell'affermazione prevede, da parte di uno o entrambi i membri, una costante e
stereotipata riproposizione -nella coppia- di modelli culturali e
comportamentali riferiti alla comunità etnica d'origine[15],
mentre dall'altro estremo la mediazione è scelta come strategia
neutralizzante i conflitti, un compromesso fra "ambiti culturali
concorrenti"[16].
Dinamiche
di riduzione delle differenze e delle complessità della coppia
caratterizzano -pertanto- le modalità comportamentali dell'assimilazione
e dell'affermazione, mentre uno spazio alla gestione, al confronto costruttivo,
al dialogo culturale è accolto dalle modalità comportamentali
dell'allargamento del possibile e della mediazione.
Rappresentando
relazioni gli ideal-tipi accennati sono da considerarsi "modalità
strategiche", e come tali dinamiche, reversibili, spurie, in perenne
sviluppo nel confronto culturale fra i partners.
Strategie
del singolo che possono illuminare la dinamica prevalente delle relazioni nella
coppia, lo "stato" del processo di accomodamento fra i partners, il bilanciamento
delle forze contrattuali e delle reciproche influenze, la qualità della
dinamica relazionale fra la coppia e l'ambiente esterno.
E' nella
"zona di compatibilità" fra differenze, nel luogo del
confronto, che tali processi possono essere definiti e ridefiniti, mentre gli
spazi dell' "Io culturale", identitario, i riferimenti simbolici e
culturali del singolo -incessantemente modellati dall'esperienza, mai statici e
definitivi- sono resi visibili, portati alla consapevolezza individuale.
2.3 I "NODI" DELLE
DIFFERENZE
Negli
ambiti di vita analizzati, relativi allo svolgimento del ménage familiare e all'orientamento
educativo nei confronti dei/delle figli/e, gli aspetti ai
quali si è rivolta particolare attenzione hanno riguardato
-rispettivamente- la scelta dei cibi e la gestione del denaro nelle coppie
miste e la scelta del nome e della lingua utilizzata nel rapporto quotidiano
con i/le figli/e.
L'alimentazione
-ed i significati ad essa associati- costituisce un aspetto delle scelte di
vita quotidiana.
Se
intorno ad essa si costruiscono, culturalmente, i ruoli e le competenze di
genere all'interno della famiglia[17],
l'alimentazione rappresenta, parallelamente, momento di comunicazione fra i
componenti del nucleo familiare. I significati simbolici che, in tutte le
culture e tradizioni sono veicolati nelle scelte dei cibi, assumono, nella
cultura islamica, un particolare spessore, identificandosi anche nell'aspetto
dell'appartenenza religiosa.
E' nei
sapori emanati dai cibi, nelle loro caratteristiche preparazioni, nel loro
essere anche occasioni celebrative, che le memorie, i rimandi, le tradizioni
possono esprimersi.
Altro
punto nodale del ménage familiare sondato è l'amministrazione
del denaro all'interno della coppia interetnica.
La
responsabilità nella gestione delle entrate, la scelta legata alle
priorità nella soddisfazione dei bisogni, il modo in cui allocare il
risparmio, possono essere assunti quali indici della forza contrattuale fra i
generi all'interno della coppia, consentendo inoltre di indicare gli aspetti
culturali intervenienti nella valutazione del bisogno.
Gli
orientamenti educativi nei confronti dei/delle figli/e,
quali riferimenti, valori, religioni, appartenenze trasmettere, sembrano
essere, nelle coppie miste in particolare, «il frutto di una negoziazione
duplice: all'interno della coppia e fra la coppia e l'esterno (o meglio, i due
spazi esterni, rappresentati dai gruppi familiari e sociali d'origine»
(Favaro G., 2001, p.129)[18].
L'importanza
fondamentale del "passaggio" degli elementi culturali del proprio
patrimonio di riferimento, della storia legata alla propria appartenenza, dei
tratti che ci identificano, delinea -anche nelle coppie senza figli- un ambito
cruciale di confronto fra i partners, momento chiave delle
possibili scelte adottabili.
Simbolicamente
rilevante, l'attribuzione del nome ad un/a figlio/a,
necessita, prioritariamente, della scelta dell'universo culturale dei nomi a
cui si vuole attingere e, solo successivamente, rimanda alla scelta dei nomi
all'interno dell'universo di riferimento identificato.
Il nome,
nel rimando della sua immagine, chiarisce l'appartenenza, anche religiosa nella
cultura islamica, il luogo simbolico in cui i genitori -al momento della
nascita- desiderano inserire il/la proprio/a figlio/a.
Nella
sfera educativa il valore della propria identità religiosa implica la
scelta di una serie di comportamenti volti al passaggio della propria fede; e
momenti decisionali rispetto a riti di passaggio di chiara valenza religiosa o
tradizionale e simbolica (il battesimo, la circoncisione …).
La
lingua, quale codice di comunicazione quotidiana utilizzato nei confronti dei/delle
figli/e, rimanda a parole e suoni, a memorie, a modi di pensare e
strutturare il mondo.
La
"trasmissione" della propria lingua diviene elemento fondamentale che
simbolicamente identifica l'aspetto dell'appartenenza e veicola immagini
identitarie profonde, consentendo efficacemente relazioni significative con la
comunità parentale e con il contesto sociale in cui è inserita.
E' nelle
modalità di conciliazione, nella coppia mista, delle singole esigenze,
che si evidenziano le differenti modalità (assimilatrice, affermativa,
mediatrice, allargante il possibile) che può assumere il confronto fra i
coniugi.
Dallo
"svolgimento del quotidiano" alla "trasmissione culturale"
le motivazioni che guidano i comportamenti concreti della coppia possono
-allora- divenire indicativi dello stato, sempre reversibile, del "tipo di
accomodamento culturale" presente nella famiglia (Bertolani B., 2001).
Focalizzare
l'attenzione sulle "scelte" può quindi permettere una lettura
sulla "forza contrattuale" fra i partners, sull'influenza dei
riferimenti culturali e delle appartenenze religiose, sugli
"attributi" che qualificano l'immagine identitaria.
3 ASSIEME NELLA DIVERSITA'…
Raccogliere
le testimonianze di chi, dall'incontro casuale con la diversità, ne ha
fatto progetto di vita, è decifrare -osservando- frammenti di un
patchwork
(Tognetti Bordogna m., 1996).
Laddove
le risorse personali, le relazioni interpersonali e le dinamiche sociali si
incontrano i partners delle unioni interetniche ne esprimono la trama.
Ascoltare
testimonianze viene inteso come il tentativo di leggere i percorsi -a volte
sovrapponibili- che dalla visione di sé e della coppia, dai significati
individualmente definiti/percepiti della "propria differenza",
portano alla pratica quotidiana, alle modalità relazionali utilizzate
per sciogliere i "nodi delle differenze".
3.1 UNA CULTURA "IMPOSTA"
A riproposizione dei colori di un sé,
con raffigurazioni nette a tratti lineari, la mono-culturalità di
riferimento di alcune coppie miste intervistate -tre, nettamente minoritarie
nel nostro studio- sembra rappresentarsi come metro imposto da un solo universo
simbolico: unica e legittima unità di misura praticabile per la coppia.
Per chi adotta modalità relazionali
affermative il "valore" dell'altro/a sembra dipendere
-fondamentalmente- dalla sua tensione alla differenziazione, all'abbandono
-cioè- di regole e riferimenti originari per eleggere a propri i modelli
comportamentali del sistema culturale dell'altro/a:
«Lei non
è che è come le altre, che pensa come qui […] non è
come … italiana»(A. Algerino);
«Io
anche penso gli vado bene come donna, come mentalità perché mi
sono inserita bene, gli vado bene perché mi adatto […] Alle volte
mi offende anche sul fatto che io provengo da un Paese povero con la
mentalità che abbiamo … Lui dice che loro [i connazionali della
donna] faticano a inserirsi perché noi [domenicani] viviamo più
alla giornata […] ma questo non vuol dire che se vivi alla giornata sei
incosciente» (U. Domenicana);
«Gli italiani sono
superficiali e sfruttano… non tutti … cioè … non tu,
non voglio generalizzare … ma … guarda anche la religione, tutti
cattolici e poi … quello che sento […] Anche R. [… il nipote
italiano] ciao, dopo quello [il battesimo] niente …» (H.
Marocchino);
«Il
problema con lui è che è sempre pronto a disprezzare tutto quello
che si fa qui, non gli va mai bene […] Così è come se non
c'è rispetto per me» (F. Italiana, partner Marocchino).
In questo quadro di giudizi di valore
negativo e luoghi comuni che sembrano informare la visione della cultura
d'appartenenza del coniuge, la profonda e radicata convinzione -da parte di uno
dei due partner- dell'intrinseca superiorità del proprio insieme di
riferimento che, nel processo di "gerarchizzazione" delle culture
"ordina" i rapporti interpersonali, nell'ambito delle decisioni di
coppia assume -sostanzialmente- la caratteristica di una negoziazione non
paritaria fra le esigenze identitarie dei coniugi.
Ogni scelta educativa o culturale diviene,
allora, uno scontro fra "appartenenze", costituendo il
"portato" di un processo di contrapposizione fra i coniugi che
necessariamente richiede, per essere risolto, di "un vincitore e di un
vinto".
In questo orizzonte che sia l'attribuzione
di un nome etnicamente connotato ad un/a figlio/a, o la
scelta religiosa o -più semplicemente- il cibo da mangiare, ogni
decisione sembra divenire il frutto di uno scontro diretto fra coniugi:
«Io non volevo quel
nome lì [il figlio della signora ha un nome arabo ed è musulmano]
e neppure che il bambino fosse solo della sua religione […] Tutte quelle
discussioni … anche per la religione … io proprio non lo volevo e
ancora oggi [non sono d'accordo …] Io non penso che sia giusto … io
gli dicevo anche facciamo tutte e due … anche A. fanno tutte e due con i
bambini, ma niente, per quello … abbiamo sempre dovuto litigare anche
adesso ma lui lo ha sempre detto che per queste cose era così
…» (B., Italiana, partner Algerino);
«Alla
fine decide lui su tutto, non possiamo litigare sempre […] Per me non
è facile … anche per la bambina lui non vuole che io vado spesso a
Santo Domingo e che magari porto la bambina con me così conosce i nonni
e la gente» (U., Domenicana);
«La mia cultura, la
mia religione è fatto mio, sono io che mi occupo personalmente di tramandarla
[a mio figlio …] Ci sono discussioni [con la moglie] ma in quelle cose
decido io […] Nel mio paese si educa giusto, non come qui» (H.
Marocchino).
Uno
scontro fra universi che può tradursi anche in una costante
svalutazione/derisione del patrimonio di riferimento dell'altro/a,
"forzandone" -indirettamente- l'abbandono:
«Lui diceva che era
d'accordo [che parlassi in spagnolo con la bambina] ma poi è successo
che lui faceva sempre delle battute "come suona male!" "fa
ridere detto così!' … cose che allora mi sono sentita
frenata» (U, Domenicana).
Seppure
poco frequentato tale sfondo mono-culturale (imposto dal genere maschile nelle
tre coppie riconducibili in quest'ambito) sembra caratterizzarsi -a differenza
di quanto avviene nelle altre modalità del "vivere assieme nella
diversità"- con l'utilizzazione, da parte di un coniuge, di
un'unica e ricorrente modalità di accomodamento culturale a cui fa
ricorso per la gestione delle differenze, mentre le tensioni generate dalle
scelte della coppia sembrano acquistare -per l'altro coniuge, in particolare in
relazione ai/alle figli/e- il sapore della
"sconfitta":
«Io dico che almeno
per il nome del piccolo [la signora è incinta] decido io, lui per la
grande e io per questo […] Lui non è d'accordo, non so se …
[lo convincerò …] Qualche cosa anch'io, che si veda che è
anche mio …» (F. Italiana, partner Marocchino);
«Mia figlia
[… la signora ha una figlia di 10 anni] lei ha poco, troppo poco di
"me" […] Lei capisce, vede la differenza [di] come sono gli italiani
[di] come sono i domenicani ma calca le definizioni. mi dice: "Mamma
guarda i domenicani …" ma lo dice come se lei non lo fosse per
niente …» (U. Domenicana).
3.2 UNA CULTURA
"TRALASCIATA"
Ad
imitazione dei colori dell'altro -seppure mai totalmente e con tonalità
variabili- dallo sfondo tendenzialmente mono-culturale di riferimento di alcune
(cinque, complessivamente) coppie miste incontrate, emerge l'immagine di una
rinuncia, di un'assimilazione: una cultura nell'ombra, posta ai margini per
soddisfare esigenze adattative.
L'abbandono,
il distacco da un patrimonio culturale/tradizionale/valoriale inizialmente
presente e veicolato dai partners nelle coppie interetniche appare -generalmente- come
momento successivo alla formazione del nucleo familiare, un continuo
tralasciare indefinibile nel tempo:
«All'inizio su
tutte le cose facevo una cosa e poi le altre … poi non mi sono poi tanto
accorta e … ho perso tante cose … mi sono accorta quando sono
andata a casa [Albania] ed erano tante cose a cui io ho ricordato …
perché anche se è una cosa stupida se mangi come noi ti ricordi e
ti senti che sei tu» (F. Albanese);
«Noi all'inizio
dovevamo andare alla ricerca [per il mangiare] di tutte le cose che non si
trovano qui […] poi anche la cucina cinese si avvicina a quella
thailandese e andavamo lì spesso [al ristorante cinese …] Poi lei
pian piano ha cominciato a cucinare all'italiana e questa cosa qui si è
persa […] anche se a me piace la cucina thailandese …» (R.
Italiano, partner Thailandese);
«Non so … in
sei anni sono cambiata tanto che non so bene, prendi tutto e ti abitui anche al
modo di pensare di qui anche sulle cose importanti […] Non so … si
anche nella religione che è la stessa ma da noi è diverso più
sentita più che credi … anche fuori si vede … la messa
sempre ogni giorno[…] No, no, non è che ora non credo, ma non
è più come prima andare in chiesa e le preghiere è
un'altra cosa … qui non è così e uno poi si adatta»
(S. Polacca).
Una
graduale presa di distanza dal proprio patrimonio normativo che sembra fondarsi
su una concezione (del singolo e della coppia) dell'integrazione quale processo
di assimilazione della cultura minoritaria in quella maggioritaria.
"Strategia
funzionale" alle richieste -a volte pressanti- dell'ambiente familiare e
sociale in cui si è inseriti ed è inserita la coppia,
"strategia adattativa" che sembra richiedere -quotidianamente- la
rinuncia -sempre reversibile- di una parte della memoria identitaria d'origine,
sia essa formata da tradizioni, stili di vita, abitudini o sapori:
«Anche se si
è integrata qui la sua cultura rimane, solo che sta qui e deve
integrarsi qui […] Lei si è dovuta adattare anche alla cucina
italiana, e a tutto quello di diverso del suo Paese» (R. Italiano,
partner Thailandese);
«Io vivo qua e
quindi mi sono dovuta adeguare a questa cultura, a questa società. Sono
del parere che quando uno vive in un posto deve adeguarsi agli usi e costumi, a
tutto di quel posto […] Ritorno a quello che ti ho detto prima, a casa
predomina il suo modo di gestire la vita» (R. Cilena);
«E' così
perché io vivo qui, se fossimo in Ucraina non era così» (L.
Ucraina);
«Faccio sempre
italiano perché nessuno mangia il mio» (F. Albanese).
La
percezione stessa delle "diversità identitarie d'origine dei partners", dei differenti
bagagli culturali/tradizionali di riferimento sembrano orientarsi alla
"negazione", al processo di "neutralizzazione" che comporta
il parallelismo con le "differenze" esistenti in tutte le coppie:
«Non c'è
differenza, solo problemi che tutti hanno» (R., Cilena);
«Non esiste il
problema della differenza di nazionalità, o di religione [la signora
è musulmana, partner cattolico] con O., diciamo che ci sono
difficoltà che in ogni coppia sorgono, che poi è come in
tutti» (F. Albanese);
«Non ci sono differenze
[culturali] siamo uguali» (L. Ucraina);
«Penso che questo
sia un discorso che coinvolge non solo le coppie italo-straniere ma anche
coppie italiane o dello stesso paese. Ogni coppia è diversa, questo vale
per tutti, in modo uguale […]Non esiste il problema della differenza di
nazionalità, diciamo che ci sono difficoltà che in ogni coppia
sorgono, che poi ci si mischia dentro anche la difficoltà di culture
differenti Ok, ma comunque penso che si avrebbero anche per le coppie solo
italiane, basta pensare ad un milanese ed a un romano … ecco fatto che ci
sono delle differenze» (R. Italiano, partner Cilena).
Unica
problematica riferita sembra essere quella -iniziale- della diversità
linguistica, a cui sembrano ricollegarsi le "diversità", le
"incomprensioni":
«C'era solo il
discorso [problema] della lingua, perché lei quando è arrivata
sapeva due parole in croce di italiano e anche dopo qualche anno venivano fuori
i problemi per la lingua con mia madre […] Ecco perché lei anche
quando aveva ragione stava zitta […] E poi non è per fare un
complimento a mia moglie, ma i miei non avrebbero potuto trovare di meglio
[…] Nella sua cultura [thailandese] è così anche […
con me] sua mamma le diceva: "stai zitta, quando hai ragione stai zitta,
quando hai torto stai zitta" in modo di non creare attriti […] Io
penso che con lei sia principalmente un discorso di lingua, anche se le culture
sono così diverse» (R. Italiano, partner Thailandese);
«Mah! … non
siamo tanto diversi … lui parla poco e non si capisce tanto […] Per
il diletto, magari mi dice qualche cosa e penso che sia dialetto e poi anche
lui. Nelle piccole cose … magari mi dice delle cose e che bisogna
prendere per la spesa e io non capisco. Allora lui pensa che non voglio
prendere e pensa perché? E poi non dice niente subito, ma dopo magari si
arrabbia […] Se c'è un problema che magari non è un
problema è solo la lingua diversa» (L. Ucraina);
«La prima cosa
è la lingua, tu non capisci e da lì sorgono i problemi […]
Con O. non ci sono tante differenze anche perché se tu stai in un Paese
non tuo devi essere il più uguale …» (F. Albanese).
Una
conformità all'ambiente in cui si vive che sembra indurre queste coppie
anche a scelte educative nei confronti dei/delle figli/e
fortemente indirizzate all'assimilazione: dal nome alla lingua trasmessa o ai
riferimenti quotidiani proposti, tutto sembra volto alla "negazione delle
differenze":
«Lei non mangia
carne di manzo per una questione religiosa, io non la mangio perché non
mi piace la carne in genere. Solo ai bambini ogni tanto la diamo perché
pensiamo che gli faccia bene […] Vivono qui e sono della mia, [religione]
anche se io non è che credo … lei di più … ma vivono
qui e allora […] Mia moglie parla sempre in Italiano con i miei figli,
perché insegnare a loro una lingua che non sentono … I bambini
vanno a scuola, parlano con i nonni, con gli amici in italiano, quindi è
inutile che gli si parla in thailandese» (R. Italiano, partner
Thailandese);
«Il nome è
italiano perché è nata qui, è italiana […] Io le ho
sempre parlato in italiano, viviamo qui, lei è italiana … non
è che deve sentirsi diversa, in nessuna cosa » (R. Cilena);
«Mia moglie ama
moltissimo il suo Paese […] ma anche lei ormai si sente italiana. Quindi
non ha trasmesso niente delle sue usanze a nostra figlia […] Lei ha
sempre pensato che [la figlia] è nata qui, ha le sue origini qui e che
quindi lei avesse le usanze e il modo di pensare di qui […] Si, anch'io
la penso così, mia figlia è italiana, non deve sentirsi
"differente"» (R. Italiano, partner Cilena);
«Se avessi un
figlio parlerei in italiano perché tutti parlano in italiano […]
Sarebbe italiano perché è nato qui, perché vive qui»
(L. Ucraina).
La monoculturalità e il monolinguismo possono anche
considerarsi strategie di "minimizzazione delle differenze",
strategie di difesa da un ambiente fondamentalmente percepito come
discriminatorio ed ostile:
«Si chiama F. [la
signora albanese, musulmana ha un figlio con nome italiano e religione
cattolica] perché siamo in Italia, i miei non volevano, da noi per
tradizione si mette un nome nostro ma siamo in Italia, anche a scuola non
può sentirsi diverso dagli altri, con quello che si dice di noi non
può far vedere che [ha un genitore albanese …] Si anche per la
religione … i miei non volevano e neppure io pensavo: "ma sta qui,
con quello che si dice" … anche se da noi non è che la
religione non è molto forte come per quelli altri musulmani […] Ma
io non potevo e anche O. diceva che è meglio per quello che pensano qui
è meglio non far vedere» (F. Albanese).
Ma il
monolinguismo e la monoculturalità comportano -inevitabilmente- una
scarsità di relazioni significative con la comunità parentale di
riferimento del genitore straniero. Genitore che, nel guardare una cultura
trascurata, abbandonata, tralasciata, sembra osservare la storia
"sfilacciata della propria appartenenza":
«Purtroppo fino a
poco fa [la signora ha una figlia di 15 anni] non lo sapeva [percepiva] nemmeno
[che era per metà cilena] o se lo sapeva non ci ha mai fatto caso
… Noi non ne abbiamo mai parlato di questa cosa qui, ma non credo che per
mia figlia sia importante avere una mamma di un altro Paese» (R. Cilena);
«Loro [i figli]
parlano italiano […] Io cerco di insegnargli qualche cosa in thailandese,
quando abbiamo tempo […] Anche per i miei, quando andiamo in vacanza
almeno possono parlare tra loro e conoscersi se hanno imparato qualche cosa ma
… hanno ben poco della mia cultura, forse la più grande …
Crescendo forse capiranno e apprenderanno di più» (S.
Thailandese);
«Il bambino non
vuole venire [in Albania] perché là non ci sono giochi [parchi
gioco] e pensa che è tutto … più brutto […]
perché sente alle cose in televisione … e allora … Forse
quando sarà grande capirà che non è solo importante i
soldi che un Paese ha … ma è piccolo [la signora ha un figlio di
10 anni] e che anche là vale … c'è solo una cultura
diversa» (F. Albanese).
3.3 DUE CULTURE IN
"EQILIBRIO"
A colori
diversi -di sé e dell'altro/a- a tratti marcati ma con
tonalità concilianti, due mani tracciano lo sfondo per mostrare immagini
di culture che, nel perenne sforzo dell'evitamento del cono d'ombra, formano un
tendenziale non-penalizzante equilibrio di immagini.
Nello
scenario bi-culturale praticato da molte coppie incontrate -otto, numericamente
simile a quello composto dalle unioni pluriculturali "dell'allargamento
del possibile"[19]-
la percezione della "differenza d'origine" sembra tradursi nella
"non-negazione" della propria immagine identitaria, identificata
spesso con l'appartenenza Nazionale:
«Siamo differenti,
per religione no, ma per tutto il resto si […] e tanto: tradizioni,
nazioni, di questo ne abbiamo parlato e anche di come fare [a conciliare] prima
ancora di sposarci, ma che domande fai? …» (V. Ucraina);
«La differenza di
mentalità è vera, è ovvio che c'è una
differenza» (F. Albanese);
«Noi la pensiamo in
modo diverso perché io dico abbiamo avuto storie diverse. Lui non
può capire: il suo Paese ha colonizzato, il mio è stato colonia.
Questo forma … nessuno vuole essere schiavo di nessuno. Noi discutiamo
spesso, ma rispettiamo le idee e le cose dell'altro» (V. Brasiliana);
«Due figli sono
nati in Italia, a Trento e sono italiani e l'ultimo abbiamo fatto in modo che
nascesse proprio in Ecuador e ha la cittadinanza doppia e ne è molto
fiero. Loro hanno un sangue misto, slavo di mio marito e basco il mio. Il
carattere di tutti i figli sono baschi e ne vado fiera» (E. Equadoregna).
Entrambi
i coniugi veicolano nella coppia -negli atti della vita quotidiana, come in
quelli educativi- messaggi ed immagini caratterizzanti i rispettivi sistemi
valoriali di riferimento: "messaggeri culturali" che solo nel
rispetto degli spazi e delle reciproche esigenze possono trovare
possibilità di espressione:
«Se ognuno sta al
suo posto, cioè senza voler prendere il posto dell'altro, penso che tu
stai bene […] Cioè … non voglio dire che non è che
nelle altre famiglie non ci sia questo ma qui deve esserci di più
… E', però, anche un'altra cosa […] dico della cultura,
della religione … di quelle cose lì … che non è come acqua»
(R. Tunisina);
«Devo fare una
premessa: si deve scendere a compromessi nel Paese che ti ospita. Allora mio
marito ha accettato delle cose e io altre, ci veniamo incontro a metà
[…] Nella cultura di mio marito non si beve alcool, ma per me è stata
una rinuncia ragionevole» (T. Italiana, partner Marocchino);
«Lui fa le sue cose
e io le mie e possiamo andare insieme, ma nel rispetto […] Lui passa le
sue cose alla bambina che è una cosa importante per tutti e due e io
passo le mie […] Le religioni tutte e due perché sono importanti
per tutte e due [come?] beh … lui passa le sue preghiere e io le mie
tutte e due» (L. Italiana, partner Algerino).
Nel
tentativo di "non far prevalere una cultura sull'altra" la strategia
della mediazione -come "compromesso" fra universi simbolici
differenti- può esprimersi -nel mènage quotidiano di
queste coppie, come nell'ambito educativo o religioso- come scelta intermedia
fra le due opposte esigenze identitarie:
«La settimana
è di sette giorni così abbiamo fatto il lunedì riso
italiano o sudamericano, martedì zuppe che sono uguali per Italia e
America Latina, mercoledì pasta italiana, giovedì il mangiare
della Valle di Non -polenta, funghi eccetera- venerdì pesce cotto in
modo italiano o sudamericano sabato cucina mista e domenica tutti
insieme» (E., Equadoregna);
«Mangiamo a
metà, un po’ mia e un po’ sua così non
litighiamo» (Q. Argentina);
«Per questa cosa
[il nome della figlia] abbiamo litigato molto perché io volevo chiamarla
come mia nonna […] lui aveva scelto un nome arabo. Poi abbiamo scelto
Sara perché va bene in tutti e due [le culture]» (L. Italiana,
partner Algerino);
«Cucino io
italiano, solo durante il Ramadan cucina lui, con i cibi propri della loro
cultura» (T. Italiana, partner Marocchino).
Ma la
dinamica dell'equilibrio può essere raggiunta anche su ambiti
differenti: "alternando" fra i coniugi la "cessione" su un
ambito con la vittoria su un altro:
«Si media cedendo,
tutti e due, magari su cose diverse e importanti. Il fatto che io avrei voluto
adottare dei bambini per scelta mia, e io so che per lui sarebbe un ripiego e
non una scelta, per via del sangue. Ecco, il fatto è che io so che nella
sua cultura è così, l'adozione è un ripiego per coppie
sterili, ecco, io ho sempre pensato, da quando sono donna, che mai avrei ceduto
su questo e ora … io sto cercando con tante cure di avere un figlio
biologicamente mio. Ecco, questa è mediazione, in questo ho ceduto io,
in altre cose lui» (G. Italiana, partner Albanese).
L'identità,
l'appartenenza sembrano costituirsi come bagagli culturali/tradizionali
simbolici da "tutelare" e "tramandare", pur nella profonda
consapevolezza dei "limiti" del "passaggio" della propria
cultura vivendo in un ambiente ad essa esogeno:
«Siamo qua, saranno
italiani, è inevitabile che prenderanno tanto da qua […] Ma
anch'io con la lingua [insegnandola ai figli] tu puoi passare la tua cultura e
quello che credi ed io mi occuperò personalmente di passare ciò
che c'è per me di importante» (S. Marocchino);
«Una cosa è
il desiderio, un'altra la realtà. Se la mamma è straniera
è tutto più fattibile, lei sta di più con i figli, crea la
cucina, crea il modo di accogliere gli amici e i parenti e tutto il resto
[…] Io parlerò la mia lingua però non so se riuscirò
perché mio figlio sentirà fuori solo italiano. Quando
parlerò con mia moglie sarà in italiano e non è che
può imparare solo se sente le mie richieste. Io potrò chiedere in
albanese ma lui deve sentire parlare anche altri … ma io ci proverò
[…] Lascerò anche l'estate mio figlio in Albania, così
impara e conosce, se io solo mi rivolgerò a lui non basta […] Mia
moglie è d'accordo, lei vuole che impari la mia lingua» (F
Albanese);
«E' importantissimo
avere tutto dell'ambiente dove si sta, ma è anche importante che si
abbai anche dell'altro» (E. Equadoregna).
Una
consapevolezza identitaria da "trasmettere" ai/alle figli/e
anche come "strategia difensiva", una "forza" su cui essi
possano attingere per "tutelarsi" da un ambiente esterno percepito
come pregiudiziale nei confronti della comunità etnica d'origine del
genitore straniero:
«Passare una lingua
è importantissimo […] Io so che i miei figli saranno
"marcati" dall'esterno perché saranno figli di un albanese e
sempre più albanesi che italiani … E' così, sono figli di
un uomo albanese e porteranno il suo cognome […] Se io fossi la mamma
albanese e lui il padre italiano sarebbe solo una questione di costume. Secondo
me ci sarà un pregiudizio, spetterà al padre e a me passare
l'orgoglio di essere figli di due culture, che si rafforzino e che sappiano
gestirsi questa cosa. […] Se continueranno i pregiudizi rispetto a queste
persone sarà inevitabile» (G. Italiana, partner Albanese);
«Un giorno [la
signora ha un figlio di 8 anni] è venuto a casa piangendo perché
lo avevano chiamato "Marocco" e altre cose brutte e mi parlava in
italiano cosa che lui non ha mai fatto … Ed è come che aveva
dentro come una rabbia […] Il padre poi lo ha preso e gli ha spiegato che
deve andare fiero per quello che è, perché ha due cose e non una
uguale e cose così gli ha detto … che gli altri sono ignoranti e
invidiosi che lui può andare al mare in un posto bello tutte le
estati» (R. Tunisina).
Messaggi
ed immagini della propria origine, della propria storia, delle proprie
tradizioni, da veicolare anche utilizzando -nel rapporto quotidiano con i/le
figli/e- la lingua materna:
«Certo che parlo
nella mia lingua, è fondamentale loro sono anche per metà
argentini […] Hanno quello che io riesco a passare, come io sono …
e vanno [in Argentina] e conoscono anche la loro gente» (Q. Argentina);
«Lei è
bilingue, è per metà mia» (H. Algerino);
«Parliamo a seconda
di come vogliono loro, italiano o spagnolo. All'inizio, quando erano piccoli
per non fare confusione tra due lingue simili un insegnante mi aveva
consigliato di parlare italiano. Poi sui 10 anni allora abbiamo parlato lo
spagnolo. Ora parlano tutte e due» (E. Equadoregna).
La
lingua come valore fondamentale e centrale percepito anche da chi, non ha
perseguito nel tempo il bilinguismo dei/delle figli/e, e
-a volte- può ricorrere a strategie educative "alternative"
tendenti a "colmare" il senso di tale mancanza:
«Purtroppo loro
parlano in italiano. Alle volte adesso un pochino in portoghese, ma ora,
perché hanno interesse ad imparare [la signora ha due figli di 11 e 13
anni] Purtroppo in questo non sono riuscita a continuare, ma sono pochi gli
stranieri che vivono in Italia e riescono a insegnare due lingue ai figli
[…] Mio marito mi ha sempre detto di insegnargli il portoghese,
così anche quando andavamo a trovare i nonni potevano comunicare …
Purtroppo … è difficile» (V. Brasiliana);
«Avevo iniziato ma poi
ho smesso, ci vuole volontà perché in casa con mio marito
parliamo italiano […] Anche con i nonni hanno poco perché devo
sempre fare da interprete. Adesso abbiamo messo l'antenna e prendo la
televisione Ucraina, così mi tengo informata e gli faccio vedere i
programmi per i bambini lì, così guardando imparano» (V.
Ucraina).
Un
bilinguismo che facilita relazioni significative con la comunità
parentale e familiare del genitore straniero e che può permettere al
senso identitario dei/delle figli/e delle coppie miste il
consolidarsi e lo strutturarsi della "duplice appartenenza":
«Per i figli è
una questione di formazione identitaria, non si possono negare le doppie
origini» (T. Italiana, partner Marocchino);
«E' per metà
algerina, di questo lo sa ne deve andare fiera […] La vengono a prendere
[i nonni] e la portano con loro [in Francia] così parla e sta con loro e
prende da loro […] Ma si … lei crescerà qui ma sarà
anche di là, di tutti e due» (L. Algerino);
«Loro hanno un
rapporto di comunicazione data la distanza, un oceano ci divide, chi comunica
con la zia, chi con la cugina e altro, per preferenza. Ho fatto tanti viaggi in
Ecuador per lavoro e li portavo a turno. Qualche volta abbiamo fatto dei viaggi
di famiglia a trovare i miei familiari» (E. Equadoregna).
3.4 UNA CULTURA DEL
"POSSIBILE"
Con
rifrazioni multiple, un caledoscopio di colori e immagini,
nell'elaborazione/distacco delle culture d'origine, due mani esprimono il
divenire di una trama "terza": un tessuto delle possibilità e
delle occasioni.
Nello
sfondo multiculturale di molte coppie incontrate, il riconoscimento identitario
con le culture d'origine sembra apparire sfumato, frutto di un processo
elaborativo precedente all'unione. Una presa di distanza da "marcate"
identificazioni nazionali o etniche:
«Io non so, non mi
sono mai sentita di avere una … cultura forte, mia» (M. Argentina);
«Il mio senso di
personalità prescinde da considerazioni di nazionalità, dalla
cultura del Paese d'origine. Ho vissuto anche in altri paesi Europei, in
qualche modo mi servo delle varie appartenenze che ho avuto nel tempo»
(H., Cileno);
«Mio marito
è vissuto all'estero per molti anni, quindi non è così
legato [alle sue origini …] e anch'io, come carattere, non siamo
così … Noi abbiamo un diverso modo di vedere le cose rispetto alla
gente, diamo più importanza ad altre cose» (D. Lettone);
«Sentirsi figli di
un Paese d'origine non è una cosa che fa parte di me» (I.
Italiana, partner Cileno);
L'unione
interetnica è qui considerata fonte per nuove conoscenze, un
arricchimento, un fattore di crescita personale, un patrimonio -anche
simbolico- da cui attingere:
«La variante
culturale è sempre una cosa molto importante. Io credo che arricchisca
le persone e non le impoverisca. Credo che maggiore sia l'apertura culturale,
non solo per me o per mia moglie, ma certamente anche per mia figlia, e
più piacevole può essere il dialogo con altre persone» (F.
Italiano, partner Lettone);
«La nostra è
come una nuova cultura familiare … come i trentini con il loro dialetto e
i loro modi di fare» (O. Venezuelana);
«Secondo me se non
si è "fondamentalisti" è una ricchezza lo scambio di
culture, sarei pronto a farlo anche con una cultura più diversa della
sua (Argentina). C'è modo di conoscere cose nuove, di viverle più
da dentro, di cambiare» (Z. Italiano, pertner Argentina).
Le
considerazioni stesse sul costrutto di "differenza d'origine"
sembrano acquistare -in queste unioni e per entrambi i partners- il senso della
"riflessione":
«Io penso che tra
noi non ci siano differenze sostanziali, ma tutto è relativo, dipende
sempre da quanta importanza gli diamo alle cose» (N. Italiano, partner
Venezuelana);
«Non sento che ci
sia dentro di me un peso delle abitudini italiane, è come se io le
cercassi fin dall'inizio» (M. Argentina);
«Mio marito si
è abituato al mio modo di pensare, e io al suo. E' diverso, non nego
… ma in fondo le nostre radici sono Europee. E comunque, in senso profondo,
ci capiamo bene » (B. Polacca);
«Anche se la mia
radice non è tanto diversa, io ho una formazione di profonde radici
cattoliche, simile all'italiana, c'è differenza […] Ma dipende
anche da diversi fattori, non credo che sia uguale per tutti […] Comunque
i modelli culturali e sociali predominanti sento che mi appartengono, in
parte» (O. Venezuelana).
Il
"distacco mediato dalle culture d'origine" (Bertolani B., 2001)
sembra -pertanto- schiudersi -nelle scelte di vita quotidiane come in quelle
educative- all'allargamento delle possibilità, alla scelta fra le
opportunità (comportamentali, normative, tradizionali e religiose)
offerte da entrambi i patrimoni simbolici di riferimento dei partners:
«Riguardo a valori
e tradizioni all'età di mia figlia [sette anni] tu cerchi di darle tutte
le informazioni possibili sia da una parte che dall'altra. Questo non
rappresenta un problema» (F. italiano, partner Lettone);
«Per fortuna mi
sembra che la cultura si sta evolvendo a livello globale, allargata […] Secondo
me anche le piccole tradizioni sono simpatiche, perché ti danno l'idea
di sapere da dove veniamo. A me piace l'idea "siamo cittadini del
mondo", ma anche dire che a Trento si fa lo "smacafam" è
importante» (Z. Italiano, partner Argentina);
«Per i nostri figli
sceglieremo anche fra nomi polacchi, lui è d'accordissimo» (B.
Polacca).
E'
questa una ricerca delle "ulteriori possibilità" per la
coppia, ricerca visibile anche nell'interesse alla conoscenza del mondo
culturale dell'altro/a: usi abitudini, riti, cibi fra i partners diventano momenti
di scambio, di elaborazione, di ibridazione:
«Cerchiamo di
amalgamare insieme tutto … di prendere il meglio … delle due
culture. Ho cercato di imparare, di informarmi sulla storia polacca, insieme a
quella italiana di cui mi interessavo una volta … Da ogni cultura impari,
ogni cultura ha qualcosa di buono […Anche nel cibo?] Non è che io
cucino, comunque lei fa un po’ di tutto … un po’ misto,
diciamo così … pastasciutta … piatti polacchi …
alternando un pò» (A. Italiano, partner Polacca);
«Le ricette
è un misto, poi prendiamo ciò che è più buono, in
modo naturale» (N. Italiano, partner Venezuelana);
«Abbiamo gusti
diversi. A me piace tantissimo la carne e a lei non piace. Lei mangia sempre
pasta, le piace molto, a me no. A lei piace lo "zelten", che è
una bomba calorica, e a me no. Io quando andiamo in Argentina mangio solo
carne, che lì è buonissima […] Loro usano molte salse, che
sono come i nostri sughi, per condire la carne. Buonissime … Beh! …
con il mangiare è stata una salvezza incontrarci!» (Z. Italiano,
pertner Argentina).
Parallelamente
gli orientamenti educativi nei confronti dei/delle figli/e
si manifestano in una costruzione quotidiana di legami e di appartenenze
"plurali", nella «convinzione secondo la quale l'appartenenza a
due culture, tra loro in ibridazione, è più arricchente di quanto
non sia il riferimento ad un solo mondo culturale» (Favaro G., 2001,
p.138):
«Noi a casa
parliamo spagnolo […] Per i ragazzi essere figli di due culture, perché
hanno dentro molto della madre, e meno male, sono più ricchi […]
Una ricchezza e grazie a questo sono più aperti, pronti ad adattarsi
senza traumi ai cambiamenti. Una famiglia come la nostra è forte
[…] e se si gestisce bene le diversità, in modo adeguato, una
famiglia così favorisce lo sviluppo delle persone che la formano »
(N. Italiano, partner Venezuelana);
«Mia figlia non
è differente dagli altri bambini, né immagino che si senta tale
[…] Lei invece certamente ha una conoscenza in più: la conoscenza
di una variante culturale» (F. Italiano, partner Lettone).
E' nel
sostenere l'appartenenza del/della figlio/a all'ambiente
culturale e sociale in cui è inserito/a e nell'integrarlo
significativamente con i riferimenti simbolici e culturali del genitore straniero
-in una soluzione di continuità culturale- che i genitori offrono ai/alle
figli/e la "doppia autorizzazione" ad appartenere a due
culture:
«Loro [i figli]
abitando qui si sentiranno, in senso lato, figli di questo Paese, ma avendo
ancora un riferimento in Polonia» (A. Italiano, partner Polacca);
«Vivendo qua mio
figlio si sentirà argentino non come appartenenza ad un Paese, ma come
identità che lui sente per sé» (M. Argentina);
«Noi sempre abbiamo
preparato e sostenuto bene i nostri figli a capire che la loro diversità
è un valore. E ora hanno coscienza di questo, capiscono la ricchezza di
avere due origini, gli appartengono, » (O.,Venezuelana).
Legami e
riferimenti multipli che sembrano considerati, dunque, come fonti di
opportunità aggiuntive, visibile anche nella scelta -praticata (o da
praticare) da tutte le coppie miste riconducibili in quest'ambito- del
bilinguismo dei/delle figli/e:
«Parliamo in
italiano io e lei, mia figlia parla in italiano con me e in russo con la madre
[…] Mia figlia parla correttamente anche l'inglese [la bambina, 7 anni,
frequenta un corso di lingua inglese] … E' un esperimento … ben
riuscito!» (C. Italiano, partner Lettone);
«Di questo [del
bilinguismo] ne abbiamo già parlato con mia moglie [non hanno ancora figli]
I bambini dovranno avere entrambe le lingue, sia il polacco che l'italiano.
Stando qua e andando in Polonia d'estate bisognerà che imparino entrambe
le lingue» (A. Italiano, partner Polacca);
«Beh, per forza
devono imparare l'italiano vivendo qui … allora perché no [la
mia]? Ma è naturale» (B. Polacca).
Una
pluriculturalità e un bilinguismo che permette ai/alle figli/e
di queste coppie miste relazioni significative con la comunità d'origine
del genitore straniero, in un'ottica di apertura delle possibilità e di
crescita personale:
«E' naturale che i
miei figli mantengono un costante rapporto con la mia famiglia d'origine.
Spessissimo si sentono per telefono, raccontano … e ogni volta che vado
in Venezuela mi porto a turno uno dei miei figli» (O. Venezuelana);
«Certamente lei
vede meno i suoi nonni in Lettonia rispetto a quelli qui, ma un rapporto con i
nonni esiste eccome! Quando si telefonano … vedi … tu vedi il conto
che va alle stelle …!» (C. Italiano, partner Lettone).
4 PROVENIRE DA PAESI DIVERSI…
Aspetti variamente comunicanti con le
modalità di gestione delle differenze e delle appartenenze nelle
famiglie interetniche sono rappresentati dal tipo e dalla qualità delle
relazioni instaurate fra i partners e i rispettivi contesti
(familiari, parentali, comunitari) d'origine e dall'integrazione del/della
cittadino/a migrante nella comunità d'accoglienza.
Se tutto sembra partire -dalle parole dei
protagonisti- dall'incontro amoroso, è solo l'esistenza di
un'elaborazione personale -non sempre consapevole- di presa di distanza dai
valori condivisi e dai modi di pensare dominanti, che può permettere
all'incontro con l'altro/a di trasformarsi in un rapporto stabile,
che può permettere la scelta di unirsi "al di fuori del proprio
gruppo d'appartenenza".
Scelta
personale ma anche sociale, fatto concreto da riferire.
Le caratteristiche delle
comunità familiari di riferimento, il genere l'età e l'origine
del partner determinano -in maniera rilevante- le modalità di
comunicazione dell' "incontro amoroso".
Nelle
testimonianze da noi raccolte, a contatto con unità familiari
considerate "aperte", "non tradizionali",
"cosmopolite", o inseriti in contesti sociali ove la diversa
nazionalità del partner non è socialmente percepita come fattore
di "lontananza" -per provenienza nazionale o diversità
religiosa- la "trasmissione dell'informazione" ha utilizzato
modalità di comunicazione aperta e diretta:
«L'ho presentata
… senza grosse formalità … e dopo abbiamo detto …
"ci sposiamo". [… Come è stata accolta la notizia?]
Benissimo, mia madre è una cosmopolita … nella mia famiglia
abbiamo già altre nazionalità e religioni, mio cugino era sposato
prima con un'australiana e poi con una thailandese … Sia come
internazionalità sia come multi-religiosità non abbiamo nessuna
remora» (C. Italiano, partner Lettone);
«Non c'è mai
stata difficoltà con i miei, non c'era difficoltà per uno
sconosciuto [straniero] … di cui non si conosce la famiglia … la
mia famiglia è abbastanza aperta. [… E poi come li ha informati
che si sposava?] Un giorno ho parlato ai miei … ho detto …
"l'ho fatto", e loro "cosa hai fatto?" "mi sono
fidanzata". E dopo G. gli ha telefonato ed ha chiesto la mia mano, proprio
come si fa da noi ma … tramite telefono! Gli ho scritto tutte le frasi in
polacco perché capiscano … e ci ridono ancora adesso di come
pronunciava … Ma comunque prima lo conoscevano già … non
è che ha telefonato all'improvviso!» (B., Polacca).
In altri
casi, in particolare se l'omologazione matrimoniale è percepita come
significativamente rigida o se le stigmatizzazioni sociali verso una
determinata comunità sono particolarmente negative, si è ricorso
a tecniche di neutralizzazione o a modalità di comunicazione mediata o
posticipata:
«Non
l'ho detto subito che stavo con F., proprio per quello che si sente […]
Li ho "preparati" … proprio perché c'è diffidenza
nei confronti degli albanesi» (G. Italiana, partner Albanese);
«Ho sempre detto
tutto … io sono un tipo aperto. Ma questa cosa non ho avuto subito il
coraggio … ci ho messo tre anni per dirla […] Sapevano che avevo un
tipo qui ma non sapevano che non era italiano e mi dicevano sempre: "ma
perché non ce lo porti?" [i genitori vivono a Milano]e io dicevo
"si, si, la prossima volta" […] Tre anni per dire che H. era
algerino» (L. Italiana, partner Algerino);
«Convivevo con F.
ma loro non lo sapevano […] Anche oggi, dopo tanti anni [che siamo
sposati] non sanno che ho convissuto, non lo ammettono, da noi non è
permesso» (H., Marocchino).
La
possibile compresenza, nel partner, di alcune caratteristiche (classe sociale,
livello d'istruzione, età) considerate qualità sociali, sembrano
costituirsi quali fattori "mitigatori" della diversità, e
possono essere anche sfruttati -utilmente- nella comunicazione:
«All'inizio
c'erano molte perplessità da parte di mia madre […] ma dopotutto
… il ceto sociale e … la scuola è simile, si è
mostrata comprensiva» (O., Venezuelana);
«Da
parte di mio padre e di mia madre non ci sono stati problemi, anche
perché io ho detto subito che lui era laureato come me, ricercatore al
suo Paese … era in una posizione di prestigio» (G., Italiana,
partner Albanese);
«Si,
problemi … da parte dei miei suoceri … più che altro per la
religione [musulmana] per quello che si dice qui […] Ma poi … non
tanti …il fatto che i miei sono in Francia da tanti anni e che insegnano
all'università […] che ero laureato in Francia … anche i
miei fratelli … tutti, allora queste cose qui, anche loro insegnano
… queste cose li ha … diciamo … come più uguali
… tranquillizzati» (H., Algerino).
Una
qualche forma di appartenenza e di garanzia può essere richiesta al partner vissuto come
"diverso", potenziale fattore di "disgregazione" di codici
culturali o religiosi:
«In
Thailandia con il rito buddista […] Perché anche i suoi
chiaramente mi dicevano: "Con chi la mandiamo, dove la mandiamo …
cosa la mandiamo a fare … cosa … " […] cercavano delle
garanzie … è anche giusto» (R. Italiano, partner
Thailandese);
«Quando l'ho detto
[che mi sarei sposato con una italiana] non l'hanno presa bene … volevano
una donna come noi […] della nostra religione […] Ci siamo sposati
con il rito musulmano» (H., Marocchino);
«La cosa più
assurda è che i miei volevano proprio che ci sposassimo in chiesa, con
il rito cattolico e i suoi … con il rito musulmano […] Uguali,
dicevano le stesse cose, per la religione, per la gente, per i figli, …
una cosa … difficile … da una parte dovevamo scegliere …
» (B. Italiana, partner Algerino).
Stereotipie
e luoghi comuni possono -altresì- informare commenti che dalla sfera
dell'affettuosità traggono la forza di essere esplicitati:
«Mia
sorella all'inizio, mi ha detto cose … che potevano alludere al fatto che
mi sposava per il permesso di soggiorno … secondo lei me le diceva per il
mio bene … Anche mio cognato […] ho percepito che c'era diffidenza
perché era albanese, discorsi non chiari, tanto che né io
né F. abbiamo risposto … » (G. Italiana, partner Albanese);
«Tante
persone … parlavano solo di difficoltà [che avrei potuto trovare],
… si c'erano tante persone, non a casa mia, ma fra i miei amici e anche
fra persone importanti per me, come i miei professori … ed il
prete» (B. Polacca);
«Mi
dicevano "ma proprio un italiano ti devi sposare con tanti bravi ragazzi
albanesi che ci sono …" […] Avevano paura che … la
stessa cosa che dite voi sui giornali … per quelle cose della prostitute
… loro pensavano che O. potesse … [indurmi alla
prostituzione]» (F., Albanese);
«Raccontai
ad un amico che mi sposavo [con una cilena] e lui fece delle battute abbastanza
volgari alle quali stupidamente non risposi. Glielo raccontai e la offesi. Ho
capito dopo di averla offesa perché non ho neanche reagito […] sai
quei discorsi che si fanno tra uomini, stupidi […] Poi tante altre
battute … da amici … fatte in modo ironico … discorsi che
finivano sempre nella sfera sessuale» (R. Italiano, partner Cilena).
Il
legame affettivo fra la comunità familiare/parentale/amicale dei partners sembra, comunque,
fungere -generalmente, anche laddove erano visibili
"perplessità" iniziali- da "collante" per
l'accettazione o l'integrazione dell'altro/a nelle comunità
di riferimento:
«C'era
solo mia suocera … suo padre era già morto … era un pochino
allarmata per tanti motivi … non mi conosceva bene … italiano
… allarmata … sua figlia lavorava e quindi portava un aiuto in casa
[…] Per tante cose, ma non so bene […] Però poi questa
reazione è passata … non è stata eccessiva» (R.
Italiano, partner Cilena);
«All'inizio
i miei genitori erano un po’ … titubanti … diciamo
così … i miei sono anziani sono così Poi l'hanno conosciuta [… è andata] bene.
Non c'erano problemi insomma. [E i suoi suoceri …] Mah … insomma,
anche loro avevano qualche titubanza ecco, uno straniero … sai, …ma
… all'inizio era un po’ … ma poi è andato tutto normale»
(A. Italiano, partner Polacca);
«Quando H. li ha informati
… erano ostili, molto ostili … è gente anziana e … la
religione [musulmana] lì è molto sentita. Non volevano insomma
[…] Adesso … beh, non è che li vedo tanto e poi c'è
il problema della lingua, però non è che posso dire … Forse
lo fanno per H. o per i nipoti non so … ma non è che posso dire
che non sono accolta» (F. Italiana, Partner Marocchino).
La
cerchia amicale non appare modificarsi sostanzialmente. Non si tende -a
differenza di quanto evidenziato in altri studi[20]-
a preferire relazioni con altre coppie interetniche o a frequentare luoghi di
possibili incontri:
«Amici miei, connazionali,
li frequenta anche lui ma non tutti […] e io i suoi […] Si, una
è che lei è brasiliana e lui italiano … ma non è che
li frequentiamo per quello … lei è una amica mia …»
(V., Brasiliana);
«Per il mio carattere
… non è che io sia una che ha tanti amici […] A. no, siamo
diversi, lui ha tanti amici è di carattere […] No, non conosciamo
coppie miste» (B. Italiana, partner Algerino);
«Li conosco ma per caso
… abitano qui [ …nello stessa palazzina] Io ho le mie amiche, lui
non le frequenta perché sono donne» (V., Ucraina);
«Il mio lavoro [traduttore]
mi porta a conoscere tanta gente, anche straniera […] Con alcuni siamo
amici [… Coppie miste?] Fammi pensare … si penso due … tre,
con O. li frequentiamo come frequentiamo altre coppie italiane, non
perché sono coppie miste» (N. Italiano, partner Venezuelana).
Se
nel contesto familiare/amicale è accolta la "differenza"
dell'altro/a, il contesto sociale di inserimento del/la
cittadino/a migrante appare caratterizzarsi -nelle testimonianze da
noi raccolte, anche nella percezione dei partners italiani- in orientamenti
ed atteggiamenti "ambivalenti", connotanti "una società
fondamentalmente incline alla diffidenza"[21].
Parallelamente,
processi di generalizzazione privi di discrezionalità e giudizi di
valore negativo sembrano sostenere la differenziazione dell'"altro"
dalla comunità d'appartenenza:
«Nella
società italiana si sono creati degli schemi generali sugli stranieri:
uno è cattivo per la sua religione, altri sono slavi e albanesi e sono
delinquenti che vengono per rubare […] o per la prostituzione e basta.
Un'amica qui per cena mi ha detto che lei non mi considera albanese …
allora nella sua mente l'albanese è "un'altra cosa". Cosa devo dire io
…» (F., Albanese);
«Mi
è stato detto, da gente molto "intellettuale", molto impegnata
socialmente, che è un "pericolo" l'aver sposato un albanese
[…] Mi è stato detto chiaramente, più volte, da persone che
conoscevo appena, una cosa …» (G. Italiana, partner Albanese);
«Qui
c'è il Papa, salvate solo il Papa […] Qui si vede tutti come
poveri e senza cultura. Sempre con quell'occhio lì. Un Paese è
povero e pensate […] che è senza storia o ha una storia meno
importante […] E' buono, ha una civiltà […misurata] solo con
il metro del denaro. Un Paese per la sua storia non ha avuto … allora
possono venirti a dare anche le cose vecchie …» (S., Polacca).
Per la
realtà del soggetto migrante più sono visibili/percepibili i suoi
tratti somatici, il colore della pelle, la lingua o la religione, più
essi tracciano i confini simbolici (e culturali) in base ai quali la
comunità autoctona percepisce "ciò che è diverso da
sé" (Bertolani B., 2001), in base ai quali, cioè, costruisce
stereotipizzazioni o immagini inferiorizzanti dell'altro:
«Lui
ha sempre difficoltà, quando la gente vede il suo aspetto esotico gli
chiede: "ti piace la pastasciutta?" delle cose assurde
succedono» (I. Italiana, partner Cileno);
«Quando
parlo sento che la gente mi guarda spesso. Prima mi scambiano per un'italiana
perché ho la pelle chiara, sono chiara di capelli, alta con gli occhi
azzurri e mi muovo bene nelle cose italiane [la signora è ], sono come
mie ormai. Poi mi sentono parlare e capiscono che non sono italiana, forse non
subito ma dopo si. Ecco, io sento questo passaggio tra il prima e il dopo
… Si chiedono, ma è italiana o straniera? da dove viene questa
… Dopo tanti anni questo mi pesa ancora» (M., Argentina);
«Non
mi hanno mai detto cose così brutte come alle volte fanno a quei ragazzi
… i "Vu cumprà" come li chiamano … che devono
lavorare, li deprimono proprio. Ma come a loro no» (V., Brasiliana);
«Tante di quelle
parole ho sentito … tante parole che mi hanno fatto star male […]
Anche nei negozi, quando entravo per comprare qualche cosa sentivo una
differenza rispetto ad un'italiana […] non è cambiato, è
che ora non ci faccio più caso perché ormai mi sono
abituata» (S., Thailandese).
Gli
atteggiamenti pregiudiziali o i comportamenti discriminatori conseguenti, che
siano piccolezze o meschinità o atti e atteggiamenti xenofobi, si
incuneano negli interstizi della maggioranza delle testimonianze raccolte:
«Si, tanti episodi
[mi sono capitati], soprattutto negli uffici […] All'INPS mi dicevano che
non potevo avere l'aspettativa perché non c'erano i contributi. E io
… lì a spiegare che i contributi c'erano, e loro mi hanno detto
che noi donne ucraine vogliamo stare in nero per guadagnare di più e che,
allora, che cosa vogliamo di più. Io ho litigato molto quel giorno
… non ero contenta di essere in Italia» (L. Ucraina);
«Nella scuola, con
i miei figli, gli altri bambini li chiamavano "marocchini" con
l'intenzione di offenderli […] Loro [le maestre] sapevano … ma
prima niente … [Dicevano] che è una cosa di bambini […] Poi
ho discusso, anche F. si è molto arrabbiata […] è una
questione di civiltà» (H., Marocchino);
«Ho sentito …
si, ho sentito certe battute rivolte ad A. … […], ad esempio nelle
file davanti agli uffici, una vecchietta una volta gli ha detto: "Ma
come! Mi ha rubato il posto, voi ci prende il posto e sempre di
più!". Ha generalizzano in un contesto di razzismo […] Ci
sono tanti esempi, ma non mi vengono in mente … fammi pensare,
perché sono piccole cose che succedono tutti i giorni […]. Lui si
sente sempre un po’ sotto esame» (I. Italiana, partner Cileno);
«Si sente di
più nelle relazioni formali […] Piccoli atteggiamenti […] ad
esempio nella scuola di mia figlia i bambini vengono schedati rapidamente come
"diversi", "straniero" … hanno, sotto sotto, un
atteggiamento di superiorità molto fastidioso» (Q., Argentina).
La
"richiesta di cittadinanza", quale "strategia di riduzione"
dei "sempre possibili" atteggiamenti discriminatori, sembra assumere
il suo esclusivo significato nell'essere "facilitatore della vita".
Un mezzo
aggiuntivo che, nello stesso significato attribuito dalla totalità delle
testimonianze raccolte, rinvia, inevitabilmente, ad un'immagine della
società locale costellata da chiusure e indifferenze:
«
Ho la cittadinanza perché così mi sono semplifica la vita. I
documenti, le pratiche burocratiche. E' stato per opportunità che ho
fatto questo, non c'è nessuna altra ragione» (M. Argentina);
«L'ho
richiesta perché ero stufa […] ogni cosa il permesso di soggiorno
… ero stufa» (S., Thailandese);
«Tutto
è più semplice ora, l'ho presa per interesse» (S.,
Polacca);
«Non
volevo prima […] ma sempre quella burocrazia … e ti guardano come se chiedessi
un favore … allora mi sono decisa» (V., Ucraina).
Specularmente,
sembra indicativo che solo tre testimonianze (sulle 35 raccolte) riferiscono
anche ad altre motivazioni sottostanti la richiesta della cittadinanza:
«Per
viaggiare, per lavorare … E poi, perché mi sembra più di essere
una concittadina italiana se ho i documenti italiani» (B., Polacca);
«Mah!
… vivendo in questo paese … pagando le tasse … vuoi anche
sentire che appartieni … Le cose che succedono, nella politica per
esempio, hanno effetto su di me e allora, avendo la possibilità di
votare mi permette di partecipare a questo, anche per senso civico. Poi, dal
punto di vista dei documenti … noi viaggiamo tanto … e con il
passaporto di prima era una cosa molto difficile. Dopo che è nata mia
figlia … penso che sia meglio anche dal punto burocratico … Anche
con mio marito ci sentiamo più … alla pari … » (F.,
Lettone)
«Ho
fatto la domanda [della cittadinanza] perché decidendo di vivere in
Italia è utile avere anche la cittadinanza, per il lavoro ma anche per
altri motivi […] Mi da maggiori opportunità, anche se non cambia
tanto. Sei cittadino italiano ma sei albanese, ti senti albanese e lo sei sulla
carta. Ma [se hai la cittadinanza] puoi fare concorsi e puoi votare, almeno ti
senti partecipe della vita di dove abiti» (F., Albanese).
Processi
di difesa/minimizzazione che sembrano traducibili in una sorta di
"accettazione della realtà in cui si vive", realtà che
appare mossa -nella percezione degli intervistati- più dalla
"leggerezza" data dall'ignoranza (intesa nel suo significato di non
conoscenza) e alla paura della diversità che da sedimentate o profonde
ideologie razziste o xenofobe:
«Tante
critiche ho sentito [perché ho sposato un marocchino], ma ho preferito
dimenticarle e non prenderle in considerazione […] Sono solo il prodotto
di una società alquanto "stretta"» (T. Italiana, partner
Marocchino);
«Alcuni
miei parenti ebbero molto da dire [… perché mi sposavo con una
cilena] perché apparteneva ad una cultura diversa … Colpa
dell'ignoranza di questi miei parenti … Qui in Italia, secondo me,
c'è una forma di razzismo latente […] è più
ignoranza … tanta gente neanche sa dove sta [… con la testa] senza
una cattiveria precisa … qualcuno ha sempre qualche cosa da dirle»
(R. Italiano, partner Cilena);
«Basta
avere la pelle un po’ piu scura che trattano, o tentano di trattare come
servo […]è questione di una forte ignoranza di fondo» (Q.,
Argentina).
La
diversità del partner e la propria, relativa, differenza -«mah
… io no so … lei è straniera ma anche io lo sono per
lei» (U. Italiano, partner Ucraina)- sembrano generalmente
vissuti nella loro dimensione più gratificante, punto di forza che
arricchisce la coppia nello stesso elemento che la differenzia:
«Insomma
… può sembrare stupido … ma io devo dire che sono orgogliosa
… Non so come dire … no, non è proprio orgoglio … ma
sono contenta … ho di più» (L. Italiana, partner Algerino);
«E' proprio questo
[l'essere diversi] che è bello» (F. Italiana, partner Marocchino);
«Siamo come un
crocevia …» (R., Tunisina).
5
CONCLUSIONI
L'analisi
da noi compiuta -volta a sondare alcune modalità relazionali delle
coppie miste incontrate nella gestione delle differenze culturali e i rapporti
instaurati con le comunità di riferimento- ha permesso di evidenziare
che -pur in presenza di culture familiari ove il sistema valoriale di
riferimento di un partner appare prioritario (sia esso il portato di approcci
relazionali orientati all'assimilazione o all'affermazione)- prevalentemente la
trama delle relazioni di coppia appare volgersi al confronto e al compromesso -paritario- fra entrambi i
sistemi simbolici di riferimento dei partners (siano essi il frutto di
strategie relazionali orientate alla mediazione o all'allargamento del
possibile).
Non scevre da difficoltà, endogene ed
esogene al nucleo familiare (in particolare appaiono problematici i rapporti
dei cittadini stranieri con la comunità autoctona), le coppie miste, le
famiglie meticce incontrate, nello sperimentare quotidianamente il gioco degli
incontri, scontri, contaminazioni culturali del vivere "assieme nella
diversità", modellano -parallelamente- inediti orizzonti culturali,
ove l'ibridazione delle culture d'origine -schiuse, vissute, ridefinite-
formano una nuova composizione, una trama inedita.
E' nelle
strategie attuate per la valorizzazione delle differenze culturali fra i partners -considerate un
patrimonio da cui attingere- che questi "luoghi di osservazione
privilegiata della realtà" mostrano le loro
"potenzialità". Modelli da cui attingere per una
società "plurale" che voglia essere tale.
RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
Barbagli M., Saraceno C, Lo stato della
famiglia italiana, Bologna, Il Mulino, 1997.
Bertolani B., « Coppie miste nel
Reggiano: strategie di gestione delle differenze», in Osservatorio
Comunale delle Immigrazioni di Bologna (a cura di), Coppie
Miste, Ricongiungimenti Familiari e Diritto d'Asilo: Nuove sfide per la
società multietnica, Torino, L'Harmattan Italia, 2001, pp.15-83.
Caritas, Immigrazione. Dossier
Statistico 2001, Roma, Nuova Anterem, 2001.
Cesareo V., «Famiglia e
migrazione: aspetti sociologici» in Scabini E., Donati P., La famiglia
in una società multietnica, Milano, Vita e Pensiero, 1993, pp.77-102.
Colasanto M., «Oltre la dicotomia
tra cittadinanza sociale e cittadinanza economica», in Colasanto M.,
Ambrosini M. (a cura di), L'integrazione invisibile, Milano, Vita e
Pensiero, 1993, pp.207-232.
De Filippo E., «Le lavoratrici
"giorno e notte» in Vicarelli G., Le mani Invisibili, Roma, Ediesse,
1994, pp.65-72.
Delle Donne M., Lo specchio del
"non sé", Napoli, Liguori Ed., 1994.
Delle Donne M. (a cura di), Relazioni
etniche, stereotipi e pregiudizi, Roma, Ed. U.P., 1998.
Eco U., «Schtroumpf und
Drang», in Alfabeta, n°5, 1979, pp.11-12.
Favaro G., «Le donne migranti tra
continuità e mutamento» in Demetrio D., Favaro G., Melotti U.,
Ziglio L. (a cura di), Lontano da dove, Milano, Franco Angeli,
1990, pp.159-177.
Favaro G., Tognetti Bordogna M., Donne dal
mondo. Strategie migratorie al femminile, Milano, Guerini e
Associati, 1991.
Favaro G., «Da radici diverse.
Famiglia mista e scelte educative» in Tognetti Bordogna M (a cura di), Legami
Familiari e immigrazione: I matrimoni misti, Torino, L'Harmattan Italia,
2001 - IIa ed., pp.127-138.
Gallissot R., Rivera A., L'imbroglio
etnico,
Bari, Dedalo, 1997.
Grasso M., Donne senza confini, Torino,
L'Harmattan Italia, 1994.
Guidicini P., Landuzzi C., Tra nomadismo e
radicamento,
Milano, Franco Angeli, 1993.
IRES Piemonte, Uguali e diversi, Torino, Rosenberg
& Sellier, 1991.
I.S.T.A.T., La presenza straniera
in Italia negli anni '90: caratteristiche demografiche, Roma, I.S.T.A.T., 1999.
Kosinski L.A., Birindelli A.M., Bonifazi
C.
(a cura di), Impact of migration in the receiving countries. Italy, Ginevra, Iom-Cicred,
1993.
Macioti M. I. (a cura di), Per una
società multiculturale, Napoli, Liguori Ed., 1995.
Maffioli D., «I comportamenti
demografici delle coppie miste» in Tognetti Bordogna M (a cura di), Legami
Familiari e immigrazione: I matrimoni misti, Torino, L'Harmattan Italia,
2001 - IIa ed., pp.49-76.
Mazzara Bruno M., Stereotipi e
pregiudizi,
Bologna, Il Mulino, 1997.
Melucci A., Culture in gioco.
Differenze per convivere, Milano, Il Saggiatore, 2000.
Mezzadra S., Petrillo A. (a cura di), I
confini della globalizzazione. Lavoro, culture, cittadinanza, Roma,
Manifestolibri, 2000.
Osservatorio Comunale delle Immigrazioni
di Bologna (a
cura di), Coppie Miste, Ricongiungimenti Familiari e Diritto d'Asilo: Nuove
sfide per la società multietnica, Torino, L'Harmattan
Italia, 2001.
Pizzini F. (a cura di), L'Altro:
immagine e realtà, Milano, Franco Angeli, 1996.
Pugliese E. (a cura di), Rapporto
immigrazione,
Roma, Ediesse, 2000.
Reginato M. (a cura di), La famiglia
immigrata: interpretazioni sociodemografiche di una realtà in crescita, Torino, Cicsene,
1994.
Saraceno C., Sociologia della
famiglia,
Bologna, Il Mulino, 1988.
Tognetti Bordogna M. (a cura di), Identità
cangianti. Nascita, ruoli femminili e legami familiari nelle migrazioni, Milano, franco Angeli,
1995.
Tognetti Bordogna M., «Matrimoni
patchwork» in Pizzini F. (a cura di), L'Altro: immagine e
realtà,
Milano, Franco Angeli, 1996, pp.176 - 189.
Tognetti Bordogna M (a cura di), Legami
Familiari e immigrazione: I matrimoni misti, Torino, L'Harmattan Italia,
2001 - IIa ed.
Tognetti Bordogna M., «I
ricongiungimenti familiari e la famiglia» in Zincone G. (a cura di)
Secondo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Bologna, Il
Mulino, 2001, pp.453-508.
Vicarelli G., Le mani Invisibili, Roma, Ediesse,
1994.
Zincone G. (a cura di), Secondo
rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Bologna, Il Mulino, 2001.
[1] Nel testo, per esigenze d'esposizione, i sostantivi - unione, coppia, famiglia - sono da considerarsi sinonimi.
[2] «Un tempo, come del resto oggi, una regola fondamentale per la scelta del coniuge era quella della omogamia, per cui di sposava il/la simile socialmente, onde evitare mésaillances e garantire quella stabilità e equilibrio del rapporto necessari alla sua efficacia: che lo scopo fosse quello di trasmettere un patrimonio ad "eredi" adatti […] o anche, come si sostiene oggi, soddisfare i bisogni affettivi e sessuali di entrambi i coniugi» (Saraceno C., Sociologia della famiglia, Bologna, Il Mulino, 1988, p.94).
[3] con esclusione dei/delle cittadini/e del Nord - America e dei Paesi Europei non comunitari.
[4] E' all'approfondimento della realtà esaminata che mirano metodologie di tipo qualitativo. Gli spunti desumibili dall'indagine svolta non hanno - pertanto - la pretesa di essere esaustivi o generalizzabili all'universo delle coppie miste. Le osservazioni sono da ritenersi attendibili rispetto allo spaccato analizzato.
[5] Le interviste, della durata media superiore agli ottanta minuti, sono state condotte da personale preparato in alcuni incontri di briefings. I brani delle interviste riportati nel presente studio sono contrassegnati da una lettera che - progressivamente - ha siglato le testimonianze raccolte e dall'indicazione della nazionalità della persona incontrata. Nel caso di cittadini/e italiani/e è stata indicata anche la nazionatà del/la partner.
[6] I permessi di soggiorno risultano
comprensivi dei permessi rilasciati per lavoro stagionale, ma non fotografano
il dato sui permessi validi ma non ancora registrati e su quello relativo ai
minori, che non sono titolari di un permesso di soggiorno autonomo.
Pur senza addentrarci nell'argomento riteniamo utile ricordare che la capacità informativa fornita dai dati sui permessi di soggiorno o sulle iscrizioni alle anagrafi comunali possiede - allo stato attuale - una serie di limiti connaturati alla rilevazione dei dati. Questi limiti, comunque, non inficiano la loro attendibilità come indicatori della presenza straniera sul territorio nazionale. (ISTAT, 1999)
[7] Nel 1991 le famiglie miste, con un/a componente italiano/a, risultavano essere 65.100 (Maffioli D., 2001, p.59).
[8] In caso di matrimonio con cittadino/a italiano/a il/la cittadino/a straniero/a può far richiesta di cittadinanza trascorsi 6 mesi dalla celebrazione del matrimonio se il/la cittadino/a italiano/a risulta residente in Italia o dopo 3 anni se residente all'estero. In tale lasso temporale la separazione dei coniugi o l'annullamento del matrimonio precludono la possibilità di presentare l'istanza di cittadinanza (L. n°91 del 05/02/1992 e regolamenti attuativi DPR n°572 del 1993 e DPR n°362 del 1994)
[9] Analogamente al concetto economico, la locuzione "mercato matrimoniale" è usata negli studi demografici e sociologici per indicare lo spazio ideale in cui avviene il confronto fra individui "matrimoniabili". Sono studiate le condizioni di equilibrio e gli aggiustamenti, in particolare utilizzando la struttura per età e genere. In alcuni casi, come nelle coppie miste, sono considerate altre variabili, che devono essere in equilibrio o che provocano aggiustamenti. Tali variabili, culturalmente determinate, devono, comunque, verificare un elevato grado di omogamia.
[10] I dati contenuti in questa sezione, se non diversamente specificato, sono riferibili a una complessa ricerca a carattere nazionale basata sull'analisi del comportamento demografico e procreativo delle coppie miste nell'arco temporale 1986-1989: Kosinski L.A., Birindelli A.M., Bonifazi C (a cura di), Impact of migration in the receiving countries. Italy, Ginevra, Iom-Cicred, 1993; Reginato M. (a cura di) La famiglia immigrata: interpretazioni sociodemografiche di una realtà in crescita, Torino, Cicsene, 1994; Maffioli D., «I comportamenti demografici delle coppie miste», in Tognetti Bordogna M., Legami familiari e immigrazione: I matrimoni misti, Torino, L'Hartmattan Italia, 2001 pp. 49-76.
[11] «Come risultato della probabile migliore posizione socioeconomica del partner italiano, la donna straniera originaria di un Paese in via di sviluppo, nello sforzo di ritagliarsi uno spazio nella società italiana, può essere indotta ad accettare situazioni per qualche lato svantaggiose sul piano personale, mentre per lo stesso motivo la donna italiana potrà più facilmente dettare le sue condizioni al partner straniero» (Maffioli D., 2001, p. 65).
[12] Terranova Cecchini R., «Crisi dell'incontro etnico di coppia» in Tognetti Bordogna M., op. cit., 2001, pp.139-154.
[13] «Nelle scelte educative, come in quelle quotidiane, tale atteggiamento si tradurrà in un processo di rimozione o occultamento di una parte degli elementi culturalmente specifici presenti in origine nella coppia, con conseguente diminuzione del grado di diversità interna e di possibile conflittualità fra i partner» (Bertolani B., 2001, p.55).
[14] Ciò si traduce, nelle scelte educative, in strategie di "doppia autorizzazione" (Favaro G., 2001), la doppia cultura come capitale di opportunità.
[15] «Ogni scelta culturale o educativa può così costituire il risultato di un processo di contrapposizione che genera, di volta in volta, dei vincitori e dei vinti» (Bertolani B., 2001, p.56).
[16] «L'ambito "mediazione" implica un genere di accomodamento che assomiglia al compromesso e che può essere di due tipi: a) la scelta che ciascun coniuge compie si colloca a metà strada tra le proprie e le altrui preferenze; b) le dinamiche di riequilibrio si giocano su fronti diversi [ … Tale modalità] implica l'accettazione ed il rispetto delle reciproche diversità, nonché la ricerca di un divisore comune, di punti di partenza condivisi cui fare riferimento» (Bertolani ., 2001, p.57).
[17] E' al genere femminile che tradizionalmente compete l'acquisto e la trasformazione del "bene cibo", «nulla [infatti] può essere consumato se prima non è trasformato: se il cibo acquistato non è cucinato e servito, se la tavola non è preparata, i piatti non sono lavati …» (Saraceno C., 1988, p.186).
[18] Favaro G., «Le radici diverse. Famiglia mista e scelte educative» in Tognetti Bordogna M., op.cit., 2001, pp.127-138.
[19] Si rimanda al successivo paragrafo per l'approfondimento delle dinamiche relazionali e dello sfondo culturale caratterizzanti tali unioni.
[20] Cfr. in particolare Tognetti
Bordogna M., 1996, 2001; Bertolani B., 2001, Vicarelli G., 1994.
[21] La percezione dei soggetti intervistati non appare dissimile da quanto già evidenziato in altri studi condotti sul territorio provinciale. Cfr. in particolare: Bastarelli B., Invisibili ma presenti. Fra i luoghi del vivere quotidiano, l'appartenenza etnica e le espressioni della comunità ospitante. Percorsi di partecipazione delle donne migranti, Rapporto di ricerca, Ass. Uyamaà, Trento, 2000; Lonardi N., Jabbar A. (a cura di), Immigrati e partecipazione in un contesto multietnico. Il caso del Trentino-Alto Adige, Dipartimento per gli Affari Sociali - Presidenza del Consiglio dei Ministri, Working Paper n°2, Roma, 1999.