Cassazione – Sezione terza
penale (up) – sentenza 28 novembre 2002-23 gennaio 2003, n. 3162
Presidente
Savignano – relatore Novarese
Pm Geraci – ricorrente Hoxha
Svolgimento del processo
Hoxha
Gentian ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
appello di Torino, emessa in data 25 gennaio 2002, con la quale veniva
condannato per i reati continuati ed aggravanti di favoreggiamento
dell’illegittimo ingresso nel territorio di una giovane sedicenne al fine di
avviarla alla prostituzione e di sfruttarne i proventi, di violenza sessuale e
di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione in danno di
minore, deducendo quali motivi di travisamento del fatto, poiché, nonostante
l’acquiescienza in ordine al reato di cui agli articoli 600bis e 600sexies
Cp in tema di responsabilità sussisteva la censura circa l’entità della pena
inflitta, la carenza ed illogicità manifesta della motivazione sui delitti di
violenza carnale e di favoreggiamento dell’illegittimo ingresso in Italia,
giacché non erano state valutate le dichiarazioni delle parti offese, in alcune
parti contraddittorie, senza fornire alcuna spiegazione alla differente
ricostruzione difensiva circa la con sensualità dei rapporti, la violazione
dell’articolo 12 primo e terzo comma decreto legislativo 286/98, in quanto il
ricorrente e la giovane erano entrati entrambi clandestinamente ed erano state
vittime degli “scafisti”, sicché non può essere ritenuto il delitto di
favoreggiamento di ingresso clandestino, né può sostenersi che l’introduzione
nel territorio italiano a scopo di prostituzione renda illecito l’ingresso,
giacché, in tal caso, si trasformerebbe una circostanza aggravante del reato in
un elemento costitutivo, e la manifesta illogicità della motivazione sul diniego
delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione
I
motivi addotti sono infondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ed invero, occorre ribadire che l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa
volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativi sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si ?
avvalso per sottolineare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente
cio? di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi
giuridici (Cassazione, Sezioni unite, 24/1999, Spina, rv 214794 e sezione terza
215/99, Forlani, rv 212091 al cui lungo iter motivazionale si rinvia).
Pertanto, non ? denunciabile il vizio di travisamento del fatto, ove lo stesso
non risulti dal testo del provvedimento, giacché ? inibito alla corte di
legittimità di saggiare la tenuta logica della pronuncia mediante un raffronto
tra l’apparato argomentativi che la sorregge ed eventuali altri modelli di
ragionamento mutuati da atti esterni alla pronuncia (cfr. Cassazione, Sezioni
unite 12/2000, Janaki, rv 216260, che ha definitivamente escluso un sindacato
precluso dalla chiara lettera dell’articolo 606 Cpp).
Inoltre, secondo giurisprudenza costante di questa Corte sotto il vigore del
precedente codice di rito (Cassazione, sezione prima, 18 aprile 1985, Madonna
cui adde 19 ottobre 1988, Quattrocchi) e dell’attuale (Cassazione, sezione
prima, 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri e sezione terza, 23 aprile 1994,
Scauri fra tante), le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello,
fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed
inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della
congruità della motivazione, tanto pi? ove i giudici di secondo grado abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo e con frequenti
riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della
decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito
costituiscono una sola entità.
Infine, secondo il prevalente e condiviso orientamento di questo giudice di
legittimità (Cassazione, Sezioni unite, 17/2000, Primavera ed altri, rv 216664,
che contiene un “catalogo” dei requisiti), la motivazione “per relationem”
? sempre ammissibile ove l’atto richiamato sia conosciuto o conoscibile
dall’interessato, appaia congruo in ordine all’esigenza di giustificazione del
provvedimento di destinazione e fornisca la dimostrazione che il giudice ha
preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di
riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione.
Peraltro, secondo un orientamento prevalente di questa Corte, che il collegio
condivide (Cassazione, sezione terza, 766/98, Caggiula rv 209404), al deposizione
della parte offesa, nonostante sia portatrice di un interesse antagonista di
quello dell’imputato, non necessità di riscontri oggettivi e non può essere
valutata con un criterio differente da quello di una persona estranea,
nonostante sia sempre necessario un attento controllo di credibilità e di
attendibilità, particolarmente penetrante solo ove il suo contenuto sia
contrastato da pi? elementi di prova (Cassazione, sezione prima, 7027/00, Di
Tella, rv 216180) ed, in ogni caso, con una specifica caratterizzazione,
qualora si tratti di minori vittime di reati sessuali.
Alla luce dei questi principi, rilevato che la dosimetria della pena ?
esaminata con riguardo a tutti i reati, appaiono inammissibili i motivi,
esclusa la censura relativa alla pretesa violazione dell’articolo 12 decreto
legislativo 286/98.
Infatti, in ordine al vizio motivazionale inerente al delitto di violenza
sessuale ed al diniego delle attenuanti generiche, la Corte della città della
Mole esamina in maniera ineccepibile le risultanze processuali e le deduzioni
difensive, svalutando la portata di questa ultime, attese la sostanziale
uniformità del narrato della parte offesa, le poco rilevanti incongruenze,
derivanti dalla condizione della giovane, dall’ambiente da cui proviene dalle
violenze patite, e le possibili differenti e logiche alternative alle poco
credibili ricostruzioni difensive, già confutate in primo grado.
Inoltre il diniego delle attenuanti generiche ? adeguatamente motivato con
riferimento al «comportamento particolarmente odioso, tenuto dal prevenuto sia
durante che dopo la commissione dei gravi reati di cui ? stato ritenuto
colpevole, comportamento che si ? sostanziato nell’approfittarsi delle
condizioni psicologiche e fisiche della vittima – che al tempo a cui risalgono
i fatti aveva 16 anni – e nel non tenere in alcuna considerazione la dignità
della ragazza che veniva costretta con qualsiasi forma di coercizione a subire
di voleri del prevenuto».
Per quanto attiene alla pretesa violazione dell’articolo 12 decreto legislativo
286/98 appare opportuno in via preliminare svolgere un breve excursus sulla
legislazione in materia di immigrazione ed in particolare sulle leggi 40/1998 e
189/02, rilevando che le modificazioni apportate con quest’ultima legge non
hanno inciso sul delitto in esame ed hanno solo accentuato il carattere di
tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica di alcune disposizioni, in parte
capovolgendo la visione solidaristica in una esclusivamente repressiva, con la
quale, però, appare ancor pi? condivisibile l’analisi esegetica della norma
avanzata da questo giudice di legittimità (cfr. Cassazione, sezione terza,
udienza 18 giugno 2002 dep. 9 agosto 2002, Tolkachov).
In via generale, può affermarsi che la legge 40/1998 aveva ulteriormente
marcato alcuni caratteri peculiari rilevabili già nella legge 943/86, sicché le
finalità di ordine pubblico, di sicurezza e di razionalizzazione, di controllo
e di regolamentazione della presenza e dell’attività dei cosiddetti
extracomunitari, venivano filtrate attraverso i principi di pari opportunità e
trattamento, di regolazione del mercato del lavoro al di fuori degli schemi
della pubblica sicurezza, di generale impegno degli stati aderenti alle
convenzioni internazionali e comunitarie di cui ? attuazione per combattere le
migrazioni clandestine, l’occupazione illegale ed i responsabili dei traffici
illegali mediante la predisposizione di misure di politica attiva ed attraverso
strumenti sanzionatori di vario tipo.
Pertanto l’anticipazione di tutela dell’ordine pubblico e della pubblica
economia, collegato ad un fenomeno di illegalità di massa e di rilevanti
dimensioni, non perdeva neppure di vista il legame esistente fra immigrazione,
povertà o indigenza e cosiddetto lavoro nero ed i principi solidaristici
espressi nella nostra Costituzione, ma, già nella legge 40/1998, assumeva un
ruolo pi? marcato, sotto alcuni aspetti, la funzione di sicurezza ed ordine
pubblico, divenuto il tema centrale con la legge 189/02 con un’unilaterale
lettura della normativa europea.
La necessità di una regolamentazione tendenzialmente definitiva di un fenomeno
quale quello dell’immigrazione destinato a perdurare nel tempo trovava la sua
attuazione in tutta l’impostazione della normativa, in cui, accanto ad una
definizione della nozione di “straniero” ed alla sua considerazione quale
soggetto titolare di diritti e di doveri, esisteva una serie di disposizioni
tese ad agevolare l’integrazione nel contesto sociale in cui vie, ad
assicurargli condizioni di vita civile ed un’adeguata assistenza non solo
sanitaria, regolandone i flussi e la permanenza in una visione accentuata di
legificazione rispetto a quella precedente affidata maggiormente al settore
amministrativo.
Il legislatore del 2002 continua a perseguire, inasprendo le pene, il fenomeno
della agevolazione o dello sfruttamento della migrazione clandestina, rendendo
penalmente rilevanti simili attività parassitarie e lucrative.
La legge 40/1998, in attuazione di normative comunitarie (accordo di Schengen,
la cui ratifica ? stata autorizzata con legge 388/93, il trattato di Amsterdam
e le proposte del Consiglio dell’Ue) forniva una risposta articolata e globale
al complesso fenomeno per porre le basi di una regolamentazione e di una civile
convivenza con un flusso migratorio ormai costante, ma anch’essa puniva con
l’articolo 12 primo comma decreto legislativo 286/98 (articolo 10 legge
40/1998) l’ingresso clandestino, ulteriormente chiarendo, sulla base
dell’esegesi giurisprudenziale già consolidatasi, la natura di circostanze
aggravanti di alcuni comportamenti, pure topograficamente distinti dalla
fattispecie base, perché contemplati nel comma terzo con la individuazione di
altre condotte.
L’impianto argomentativi ed i connotati della legge 40/1998ed anche di quella
del 2002 sul punto su evidenziati fanno ritenere non condivisibile la esegesi
avanzata dal ricorrente, secondo cui il delitto in esame riguarderebbe soltanto
gli “scafisti” o coloro che organizzano la tratta e non chi pone in essere una
serie di comportamenti: dal pagamento del costo del viaggio alla giovane
vittima, all’inganno circa le ragioni del trasferimento in Italia ed allo
sfruttamento della prostituzione, tesa a favorire l’ingresso clandestino di un
altro soggetto con la finalità dell’induzione, del favoreggiamento e dello sfruttamento
della prostituzione, esistente sin dall’inzio in chi si accolla i costi del
viaggio.
Tutta la normativa del Testo unico, quindi, dimostra come non possa essere
accolta un’interpretazione restrittiva dell’articolo 12, in quanto il tenore
letterale e logico della norma ? nel senso di punire anche chi, pur essendo
anch’egli clandestino, compia attività dirette a favorire l’ingresso degli
stranieri nel territorio dello Stato in violazione della disposizione del
citato decreto legislativo.
Peraltro, se la finalità del reclutamento di persone da destinare alla
prostituzione costituisce un’aggravante dell’agevolazione dell’ingresso
irregolare per il disfavore, anche in relazione all’ordine pubblico, con cui ?
considerato il meretricio e soprattutto il sistema repressivo concernente la
prostituzione, collegata, a volte, ad organizzazioni criminali internazionali,
non possono escludersi altre ipotesi di ingressi irregolari, che non
configurino le fattispecie aggravate contemplate dal terzo comma dell’articolo
12 Testo unico sicché detta argomentazione non assume rilievo.
Pertanto, nella fattispecie in esame, non si pongono le problematiche diverse e
pi? complesse relative alla possibilità di configurare il reato di
favoreggiamento dell’ingresso irregolare di stranieri nel territorio dello
Stato anche nelle ipotesi di ingresso in violazione delle disposizioni del
Testo unico, nelle quali vanno incluse quelle relative ai requisiti sostanziali
del visto e del permesso di soggiorno, sempre che le predette inosservanze
avvengano in epoca antecedente o concomitante all’ingresso.
Infatti, le decisioni dei giudici di merito evidenziano i connotati propri o
del favoreggiamento dell’ingresso clandestino, i quali non richiedono
l’esistenza di una violenza fisica o psichica, ma solo il compimento di atti
che, in qualsiasi modo, agevolino l’ingresso irregolare, potendo tale fatto
essere commesso anche da chi trovasi in posizione di clandestino.
Nella fattispecie «il viaggi era stato organizzato ed intrapreso solo grazie» al
pagamento effettuato dal ricorrente, «il quale aveva già conoscenze in Italia»
tali da consentirgli una prima accoglienza ed un aiuto nella ricerca di una
sistemazione e, soprattutto, aveva già previsto di sfruttare la prostituzione
della giovane vittima, tratta in inganno da uno studiato atteggiamento di
amorevole interessamento senza che esistessero effettive ragioni di un diverso
motivo per detta liberalità e per tale organizzazione.
PQM
Rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.