La convalida della espulsione
amministrativa e l’audizione dello straniero
Mario Pavone
(Avvocato
in Brindisi – Patrocinante in Cassazione)
La
espulsione in via amministrativa del cittadino straniero,non in regola con il
permesso di soggiorno,sta costituendo,negli orientamenti giurisprudenziali,un vero
e proprio banco di prova del rispetto di diritti più elementari che ogni legislazione,anche la
più restrittiva,dovrebbe garantire a quanti vengano sottoposti a tale
procedimento.
Invero,dopo avere già segnalato in
passato la necessità di un efficace controllo giurisdizionale dei provvedimenti
di espulsione prefettizi(1), emerge ora da alcune sentenze,di recente
emanazione, l’esigenza di un approfondimento delle tematiche riguardanti la
fase di convalida del decreto di espulsione specie per quanto concerne la
necessaria audizione dell’interessato dinanzi al competente Giudice Unico Monocratico , istituito con la nuova Legge
Bossi-Fini(1-bis).
Sta di fatto che,sul punto,la
Suprema Corte ha più volte statuito la necessità imprescindibile che sia
sentito l'interessato (2),desumibile sia dalle disposizioni normative in
materia sia dal rispetto dello stesso principio del contraddittorio che impone
,in base alla lettura dell’art. 4 del D. Lgs. 13
aprile 1999, n. 113, che ha introdotto l'art. 13 bis nel D. Lgs.
n. 286 del 1998, la notifica,a cura della cancelleria,del ricorso e del decreto
di fissazione dell'udienza in camera di consiglio all'autorità emittente,stante
il carattere indubbiamente contenzioso del procedimento
Tale decreto,come conseguenza
della peculiarità del rito voluto dal Legislatore,va comunicato allo straniero
per ragioni di coerenza con il modello procedimentale
adottato,atteso che gli artt.737 e segg. CPC impongono l'audizione degli
interessati come pure l'art. 3, comma primo, del Regolamento emanato con D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, dispone che "le
comunicazioni dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria relative ai
procedimenti giurisdizionali previsti dal testo unico e dal presente
regolamento sono effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato
dallo straniero o a quello incaricato di ufficio".
Ciò
posto,secondo la stessa Suprema Corte,l’audizione prevista con le modalità e
termini di legge imposti dal rito non può ritenersi soddisfatta da alcun altro
atto equivalente,tanto meno dall'audizione avvenuta ad opera dell'autorità
amministrativa presso il Centro di accoglienza.
Merita di essere segnalata,a tal
proposito,una recente sentenza del Tribunale
di Roma (3),che esaminando la
fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 14
comma 5 ter D.L.vo 286/ 1998, introdotta dall'art. 13
1° comma della legge 30.7.2002 n. 189, ha stabilito che “seppure
la norma all’esame non nomini il decreto
di espulsione,il combinato disposto degli artt. 13 e
14 e l'intero sistema del D.P.R. 286/1998 rendono evidente come elemento
costitutivo del reato in parola sa la violazione dell'ordine del Questore ex
art. 14 comma 5 bis laddove lo stesso risulti fondato su un preesistente valido
decreto di espulsione "amministrativa" emesso dal Prefetto ex art. 13
commi 2 e 3 del T . U.,del
quale l'ordine costituisca strumento di esecuzione”.
Il
decreto di espulsione amministrativa del Prefetto -- " motivato,
immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte
dell'interessato" , art. 13 3° comma T.U. - per poter divenire elemento
normativo della fattispecie di reato in esame deve naturalmente essere stato
emesso,quindi, del tutto legittimamente.
La
sentenza affronta quindi i requisiti essenziali per la legittimità del
provvedimento di espulsione prefettizio.
Secondo
il Giudicante,in primo luogo,il provvedimento deve essere stato emesso in
presenza di una delle situazioni di fatto previste dalla legge come
legittimanti l'espulsione, e "motivato" per quanto sinteticamente in
ordine alla loro sussistenza .
Si
tratta delle situazioni di fatto di cui all'art. 13 comma 2 T.U.:
1.entrata nel territorio
dello Stato in elusione del controllo di frontiera,
senza che sia avvenuto respingimento ;
2. trattenimento nel
territorio dello Stato oltre i termini di validità del visto di ingresso
temporaneo senza che si sia richiesto permesso di soggiorno nel termine
prescritto, quando il ritardo non è dipeso da casi di forza maggiore;
3.trattenimento nel
territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è stato revocato o
annullato ovvero è scaduto da più di 60 giorni e non è stato chiesto il
rinnovo;
4.appartenenza del soggetto
ad una delle categorie di soggetti pericolosi di cui agli artt.
1 l. 27.12.1956 n. 1423 e 1 l. 31.5.1965 n. 575, appartenenza da ritenersi
direttamente accertabile da parte del Prefetto, con valutazione sindacabile dal
Giudice Ordinario in sede civile come in sede penale come ogni altra
valutazione relativa al sindacato sulla discrezionalità utilizzata
nell'emissione del decreto di espulsione (4)
Quanto
all’obbligo di motivazione del provvedimento, previsto oltre che dall'art. 13
T.U. dall'art. 3 l. 241 / 1990,secondo l'orientamento della Suprema Corte,esso
richiede una motivazione che non sia
solo apparente ma che contempli una
esposizione delle circostanze di fatto che hanno dato luogo all'adozione del
provvedimento tale da consentire di comprendere le ragioni dell'espulsione e a
quale delle ipotesi previste dalla Legge si sia voluto fare riferimento anche
al fine di assicurare,quindi ,una adeguata ed efficace difesa dall'interessato
in sede giurisdizionale( 5)
Pur
tuttavia,secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, il decreto di
espulsione amministrativa del Prefetto non deve essere preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 l. 7.8.1990 n.
241,avendo il decreto emanato nei casi previsti dalla legge natura "di
atto ad emanazione vincolata e non discrezionale" ed essendo per altro
verso garantito il contraddittorio seppure differito in sede giurisdizionale
(6) secondo un più recente orientamento che appare più convincente sul punto,a
differenza di altre pronunce che,per motivare la non necessità della
comunicazione,fanno piuttosto riferimento -- oltre alle "esigenze di
celerità" , pure considerate dall'art. 7 in questione e certamente
apprezzabili nella fattispecie in esame -- alla tesi invero discutibile secondo
la quale il decreto di espulsione non seguirebbe ad un seppur scarno
procedimento amministrativo "andando a formarsi nel momento in cui la P.A.
ne verifica i presupposti"(7)
La questione
appare peraltro risolvibile nel senso opposto con riferimento all’espulsione
dello straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato “quando il
permesso è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato
chiesto il rinnovo” – art. 13 comma 5 T.U. -- , caso in cui l’espulsione segue
diversa e meno scarna procedura , con intimazione del Prefetto a lasciare il
territorio dello Stato entro il termine di 15 giorni , e nel quale da un lato
vi è certo un procedimento amministrativo volto ad accertare il presupposto
dell’espulsione e dall’altro non si pongono esigenze particolari di celerità
che impediscano il contraddittorio anticipato garantito dall’art. 7 medesimo .
In secondo luogo,
il decreto del Prefetto deve essere stato emesso nei confronti di persona
riguardo la quale non operi uno dei divieti di espulsione amministrativa
previsti dalla legge per ragioni legate alla richiesta di riconoscimento dello
status di rifugiato politico o comunque per ragioni legate al soggetto , alla
sua provenienza , alla sua età e condizione personale
Infatti,benché in
presenza di provvedimento "motivato" sia pure sinteticamente,in base
all’art.19,primo comma, del T. U.:"in
nessun caso può disporsi l'espulsione…verso uno Stato in cui lo straniero possa
essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di
cittadinanza, di religione,di opinioni politiche, di condizioni personali o
sociali,ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione", come pure in base al 2° comma
,"non è consentita l'espulsione" amministrativa nei confronti
"degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il
genitore o l'affidatario espulsi",nonché degli
stranieri in possesso di carta di soggiorno non revocata ex art. 9 per condanna
definitiva per i reati di cui all'art. 380 CPP o per quelli non colposi di cui
all'art. 381 CPP , come pure degli stranieri conviventi con coniuge o con
parente entro il quarto grado "di nazionalità italiana" ovvero delle
donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio
cui provvedono e - per effetto della sentenza emessa dalla Corte Costituzionale n. 376 / 2000 - di chi
sia coniuge di donna in tali condizioni.
Secondo
l’estensore della rilevante sentenza i commento (3) “sarebbe,quindi,preferibile
adottare la tesi per cui la legge,nell’affermare che l'espulsione "non è
consentita",non ponga tali divieti solo con riguardo alla fase esecutiva
ed all'ordine del Questore, ma altresì con riguardo alla fase deliberativa
della medesima ed al decreto del Prefetto”.
In terzo luogo,
deve trattarsi di decreto di espulsione valido perché emesso nei confronti di
persona - "non pericolosa per la sicurezza dello Stato" -- nei cui
confronti non sia in corso la procedura di sanatoria/ emersione del lavoro
irregolare di cui alle leggi 30.7.2002 n. 189 e 9.10.2002 n. 222 ( art. 2 commi
1 e 4 Legge. 222 / 2002 ) .
Come è noto,infatti,l'art. 33 della legge 189
/ 2002 e l'articolo 1 della legge 9.10.2002 n. 222 hanno istituito una
complessa procedura di sanatoria-emersione del lavoro irregolare di tutti gli
stranieri extracomunitari occupati nel periodo 10.6.-10.9.2002 nelle
"attività di assistenza a componenti della famiglia affetti da patologie o
handicap che ne limitano l'autosufficienza " ovvero "nel lavoro
domestico di sostegno al bisogno familiare".
Tale
procedura,invero,inizia con la dichiarazione di emersione presentata dal datore
di lavoro alla Prefettura e si conclude con la comunicazione della sussistenza
di motivi ostativi al rilascio ovvero con il rilascio di permesso di soggiorno
con contestuale revoca ex art. 2 comma 2 l. 222 cit. degli eventuali
provvedimenti di espulsione già adottati.,
Inoltre in base
al combinato disposto dei commi 1 e 4 dell'art. 2 della legge 222 cit. risulta
stabilito dal Legislatore che "fino alla data di conclusione della
procedura" di sanatoria "non possono essere adottati provvedimenti di
allontanamento dal territorio nazionale" nei confronti dei lavoratori
interessati,"salvo che risultino pericolosi per la sicurezza dello
Stato", con la conseguenza che le due leggi,nell'istituire ed organizzare
la sanatoria per gli irregolari,hanno inteso introdurre nell'ordinamento un
nuovo divieto di espulsione, ulteriore rispetto a quello previsto da entrambi i
commi dell'art. 19 del T.U. 286 /1998 .
Ancora, il decreto di espulsione deve
essere valido perché contenente l'indicazione delle modalità di sua
impugnazione (8)
Infine, deve
trattarsi di decreto valido perché “sintetizzato” nel suo contenuto(“anche
mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati”) e tradotto “allo
straniero che non comprende la lingua italiana” “nella lingua a lui
comprensibile” ovvero,“se ciò non è possibile”, “in una delle lingue inglese,
francese e spagnola”, “secondo la preferenza indicata dall’interessato”ed
inoltre deve ritenersi valido perché “motivato” in ordine alle scelte al
riguardo adottate.
Si tratta del combinato
disposto degli artt. 13 comma 7 T.U. e 3, 3° comma
seconda parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394 del Regolamento di attuazione della legge
e di uno dei requisiti di legittimità dell’atto previsto da tali disposizioni
per tutte le “comunicazioni allo straniero”,preordinato ad assicurare
l’effettiva conoscibilità dei diversi provvedimenti ivi indicati ,requisito che
per la Corte Costituzionale (9) e per la Corte di Cassazione(10) costituisce un
presupposto di quell’esercizio in concreto del diritto alla Difesa che l’art.
24 della Costituzione garantisce a “tutti” e quindi anche allo straniero non
regolarmente soggiornante.
In proposito va sottolineato
che,se l’omessa traduzione in lingue diverse dall’italiano renderà sempre
illegittimo l’atto redatto solo in italiano comunicato a persona che l’italiano
non comprende, non può non condividersi quella giurisprudenza di
legittimità (11) che, nell’interpretare
l’art. 3 in esame, ritiene che la traduzione dell’atto nella lingua del paese
d’origine dello straniero o in altra lingua da lui ben conosciuta,da
effettuarsi anche in presenza del solo dubbio in ordine alla comprensione della
lingua italiana, possa essere omessa, in favore della prevista traduzione in
una delle lingue “inglese, francese o spagnola”,secondo preferenza, solo nelle
ipotesi di mancata identificazione del Paese di provenienza dello straniero o
delle lingue a lui note, ovvero di accertata provenienza da un Paese la cui
lingua “per la sua rarità non consenta l’agevole reperimento di un
traduttore”(11-bis).
Il decreto di espulsione emesso dal Prefetto
dovrà,quindi,dare conto nella motivazione,con clausole non di stile bensì con
riferimenti concreti alle fonti dalle quali si è tratto il relativo
convincimento, di come si sia accertata la conoscenza della lingua italiana da
parte dello straniero così come di ogni altra situazione connessa alla lingua o
alle lingue in cui il provvedimento è stato formato .
In
definitiva,secondo l’orientamento espresso dal Tribunale di Roma,una totale
carenza di motivazione renderà certamente illegittimo il decreto di espulsione
per violazione di legge – vale a dire per violazione dell’obbligo di
motivazione statuito in generale dall’art. 3 l. 241/1990 ed in particolare
dall’art.13,3 ° comma T.U.– mentre non può dubitarsi
che competa al Giudice Ordinario di sindacare il contenuto della motivazione
sul punto e di ravvisare l’illegittimità per eccesso di potere da travisamento
di fatto ogniqualvolta si dia atto in motivazione di situazione legittimante la
mancata traduzione che positivamente o per fatti notori risulti infondata.
Deve ritenersi
tale,ad esempio,il caso di una motivazione che dichiari “lingua rara che non
consente l’agevole reperimento di un traduttore”non potendosi in alcun modo
condividere un orientamento pure minoritario(12)che non riconosce tale
sindacato al Giudice Ordinario,poiché non si tratterebbe ,come si ritiene, di
sindacare “scelte della P.A. in termini di concrete possibilità di effettuare
immediate traduzioni nella lingua dell’espellendo “ ma di valutare nel merito
in base ai dati noti agli atti o a fatti notori la insussistenza di una
situazione di fatto riconosciuta al contrario come sussistente dalla P. A..
Anzi, si ritiene che l'accertamento
del Giudice sull’efficacia della traduzione del provvedimento di espulsione
debba essere particolarmente rigoroso,dopo la prima fase di
"rodaggio" della legge,non potendosi ammettere sul piano della
legittimità e della tutela dei diritti degli stranieri,tenuto conto anche del
fatto che si tratta della traduzione di atti dal contenuto "seriale",
che si impiantino prassi che, ad es.,considerando idiomi "particolarmente
rari" le lingue europee non comunitarie o quelle dei Paesi dell'ex Urss e si pongano,di
fatto,da parte delle Prefetture,come ingiustificata disapplicazione
della legge e della volontà garantista del Parlamento
. Sul piano processuale,già in
sede di convalida,costituiranno presupposti rilevanti dell’esame di legittimità
del provvedimento di espulsione,la nazionalità dell'arrestato,la sua lingua
madre, in generale quali siano le lingue da lui conosciute nonché,laddove
l'atto sia stato tradotto in una sola delle lingue francese inglese o spagnola
per impossibilità di traduzione in altra lingua conosciuta
dall'interessato,l’accertamento se lo
straniero abbia espresso preferenza per una delle tre, e quale di esse (13).
In definitiva,sebbene ogni vizio
del decreto di espulsione può naturalmente essere fatto valere in sede di
ricorso in opposizione al Tribunale in composizione monocratica
del luogo di emissione del provvedimento, l'illegittimità del decreto di
espulsione del Prefetto per emissione al di fuori dei casi previsti dalla legge
ovvero per emissione nei confronti di persona che non può per una qualche
ragione essere espulsa o per difetti formali legati all'assenza di
comunicazione delle modalità di sua impugnazione o alla sua mancata traduzione
in lingua comprensibile all'interessato (per violazione di legge per difetto di
motivazione in ordine alla sussistenza di tutti tali requisiti) rende il
decreto emesso disapplicabile nel giudizio di
convalida del provvedimento medesimo ovvero di impugnazione secondo i principi
generali dell'Ordinamento (14),estendendo i suoi effetti anche sulla
conseguente illegittimità dell'ordine del Questore emesso ex art. 14 comma 5
bis T.U..
In tale ottica,non va sottaciuta la
rilevanza della sentenza emessa dalla Cassazione(15) da cui trae spunto il
commento che ci occupa, atteso che la Suprema Corte,pur attingendo ai principi
della legislazione sugli stranieri,di recente modificata dalla Legge
Bossi-Fini, ha nuovamente affermato la necessità che sia sentito l'interessato
laddove l’audizione prescritta nei modi di legge non può ritenersi soddisfatta
da alcun altro atto equivalente, tanto meno dall'audizione avvenuta ad opera
dell'autorità amministrativa presso il Centro di accoglienza.
Tale principio,desunto dalla
necessità di assicurare il necessario contraddittorio in sede di convalida
della espulsione,pure previsto dalle nuove norme in vigore,finisce con
l’assicurare il pieno soddisfacimento della esigenza di un effettivo controllo
giurisdizionale del provvedimento prefettizio in base ad una puntuale verifica
dei requisiti di legittimità del provvedimento come innanzi evidenziati con ciò
assicurando una piena ed effettiva
tutela dei diritti dell’espulso fino al punto in cui essa sia necessaria nei
confronti dell’autorità emanante.
Pertanto,secondo la Suprema Corte,la
violazione dell'obbligo di audizione dell'espulso comporta la cassazione del
provvedimento impugnato,con effetto assorbente rispetto agli altri
motivi,attesa la rilevanza che tale obbligo riveste per la efficacia del
provvedimento e per la conseguente esecuzione dello stesso a cura del Questore.
NOTE
(1)v.dello stesso autore,Problemi di controllo giurisdizionale
della espulsione amministrativa,in Filodiritto.com , dicembre 2002
(1-bis) v. Legge 30/7/2002
n.189
(2) tra le varie, cfr. Cass. 16 luglio
2002, n. 10303; 5 dicembre 2001, n. 15413; 9 novembre 2001, n. 13865;
17 novembre 2000, n.
14902
(3)Tribunale di Roma, VII Sezione Penale, in composizione monocratica, Sentenza 2 /1– 20/2/2003
(4) cfr. Cass. Sez.
I Civ. n. 12721 del 30.8.2002
(5) v. Cass. Sez. I Civ.,sent.
6535 del 7.5.2002 , Ponych;v.
ord.Cass.Sez.I Civ.8513 del 14.6.2002,Gjetay
(6)v. ora comma 8 dell’art.
13 T.U. e per ultima Cass. Sez. I Civile n. 5050 del
9.4.2002
(7)v. Cass. Sez. I Civile 19.12.2001 n.
16030
(8) v. artt.. 13 comma 7 T.U. e art. 3
3° comma 3 prima parte D.P.R. 31.8.1999 n. 394 , ripetitivi della generale
regola di cui all’art. 3 4° comma l. 7.8.1990 n. 241.
(9) Corte Cost. sentenza 198 del 16.6.2000
(10)Cassazione, sentenza 9138 del 6.7.2001
(11) v. ad es. Sent. Cass. Sez.
I, n. 879 del 25.1.2002
(11-bis)v.dello stesso autore,La traduzione degli atti, diritto
dell’imputato straniero,in Filodiritto. com,ottobre
2002
(12) Cass. Civ. Sez.I
n, 5465 del 16.4.2002
(13)v. art.
3, 3° comma DPR 394 / 1999,in relazione all'art. 13 comma 7 T.U., nella parte
in cui stabilisce che ove non sia possibile tradurlo nella lingua madre od in
altra lingua conosciuta, l'atto debba essere tradotto in una delle lingue
inglese, francese o spagnola appunto "secondo la preferenza indicata dall'interessato"
che costituisce una indicazione della quale ove espressa dovrà darsi
documentazione ed alla quale dovrà farsi riferimento nel decreto di espulsione
in motivazione.
(14) ex
plurimis, cfr. Cass. Sez. I , n. 29543 del 20.7.2001
(15)
Cassazione – Sez. Prima Civile,sentenza 4 marzo
2003 n. 3154
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