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Percorso: Prima pagina/Immigrazione

Spetta allo straniero certificare il momento dell’arrivo in Italia
Immigrati, provare la data d’ingresso contro l'espulsione PAGINA PRECEDENTE
(Cassazione 7668/2004)
   
   
La Corte di Cassazione ha dettato le modalità alle quali l'immigrato deve attenersi per non essere espulso. La Prima Sezione Civile ha stabilito che lo straniero sorpreso in Italia senza titolo di soggiorno che intenda per opporsi al decreto di espulsione amministrativa ha l'onere di provare la data di ingresso sul territorio nazionale attraverso la certificazione necessaria che si ottiene mediante apposizione sul passaporto, da parte dell'Autorita' italiana all'atto dell'attraversamento della frontiera, del timbro d'ingresso. Secondo la Suprema Corte tale onere non è escluso dal fatto che il cittadino extracomunitario abbia già conseguito il visto d'ingresso da un altro Paese dell'area di Schengen, in quanto il diritto di accesso in base al visto uniforme previsto dalla convenzione internazionale è una cosa diversa rispetto alla semplice registrazione della data di ingresso, registrazione necessaria affinché, entro otto giorni da quella data, il soggetto regolarmente entrato possa chiedere il permesso di soggiorno. (25 maggio 2004)  


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.7668/2004

 

Spetta allo straniero esibire la certificazione dell’arrivo nel territorio nazionale Immigrati, provare la data d’ingresso per non essere espulso (Cassazione 7668/04) La Corte di Cassazione ha dettato le modalità alle quali l'immigrato deve attenersi per non essere espulso. La Prima Sezione Civile ha stabilito che lo straniero sorpreso in Italia senza titolo di soggiorno che intenda per opporsi al decreto di espulsione amministrativa ha l'onere di provare la data di ingresso sul territorio nazionale attraverso la certificazione necessaria che si ottiene mediante apposizione sul passaporto, da parte dell'Autorita' italiana all'atto dell'attraversamento della frontiera, del timbro d'ingresso.

Secondo la Suprema Corte tale onere non è escluso dal fatto che il cittadino extracomunitario abbia già conseguito il visto d'ingresso da un altro Paese dell'area di Schengen, in quanto il diritto di accesso in base al visto uniforme previsto dalla convenzione internazionale è una cosa diversa rispetto alla semplice registrazione della data di ingresso, registrazione necessaria affinché, entro otto giorni da quella data, il soggetto regolarmente entrato possa chiedere il permesso di soggiorno. Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.7668/2004 (Presidente: G. Losavio; Relatore: L. Macione) LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE SENTENZA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 12/6/2002 il Prefetto di Foggia disponeva l’espulsione dal territorio nazionale del cittadino bulgaro F. A.B. ai sensi dell’art. 13 c. 2 lett. b) del D.Leg. 286/98 [1] per mancata richiesta del permesso di soggiorno negli otto giorni previsti.

Lo straniero si opponeva e l’adito Tribunale di Foggia con decreto 10/7/2002 rigettava il ricorso affermando in motivazione: che era priva di fondamento l’affermazione per la quale lo straniero sarebbe stato sorpreso in Italia quando ancora non erano trascorsi gli otto giorni dal suo ingresso; infatti in difetto di visto di ingresso valeva quello apposto dal paese dell’area Schengen nel quale lo straniero era entrato e comunque era stato lo stesso straniero a confermare di essere entrato in Italia il 26 maggio 2002; che non sussisteva violazione dell’art. 13 c. 7 del T.U. perché iol decreto era stato tradotto in lingua inglese e l’eventuale nullità era stata sanata dalla presentazione del ricorso.

Per la cassazione di tale decreto il F. ha proposto ricorso il 6/9/02 al quale ha resistito l’Amministrazione con atto di costituzione notificato, ai fini delle eventuali future difese orali, il 21/10/02.

Il ricorso deve essere rigettato non essendo fondate le censure esposte nei due motivi sui quali esso si fonda.

Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 5 c. 2 del D.Leg. 296/98 per non aver il Tribunale di Foggia affermato, come avrebbe dovuto, che incombeva sull’Autorità l’onere di dimostrare la data di ingresso in Italia dell’extracomunitario.

Il motivo non merita accoglimento.

Rammentano che, come questa Corte ha più volte affermato, l’onere di provare la data di ingresso sul territorio nazionale, al fine di verificare la decorrenza del termine per la richiesta del titolo di soggiorno ai fini di cui agli artt. 5 c. 2 e 13 c. 2 lett. b) del T.U. emanato con D.Leg. 296/98, incombe sullo straniero che venga colto in Italia senza il permesso in questione (Cass. 5650/03, 5267/03, 10911/03), va anche osservato che la certificazione della data di ingresso (art. 7 c. 2 regolamento di attuazione del T.U. approvato con D.M. 394/99) da parte delle Autorità italiane all’atto dell’attraversamento della frontiera.

Ne, come assume il ricorrente, l’avere lo straniero già conseguito visto di ingresso da altro paese dell’area Schengen può esimere il beneficiario dall’osservare l’onere in discorso, posto che altro è il suo diritto all’accesso in base al visto uniforme di cui all’art. 13 c. 2 legge 388/93 di ratifica dell’accordo di Schengen 14/6/85 ed altro è la mera registrazione della data del suo ingresso, necessaria perché, da quella data ed entro otto giorni, il soggetto regolarmente entrato possa chiedere il titolo di soggiorno.

D’altro canto, e venendo al caso sottoposto, il Tribunale ha affermato che la prova della data di ingresso (26/5/02), idonea a far ritenere superato, al momento del controllo, lo spatium concesso per la richiesta, sarebbe stata direttamente desumibile dalle ammissioni dell’interessato rese alla Polizia all’atto del suo controllo, e dalla stessa inserite nella scheda di identificazione: avverso tale accertamento la difesa della parte ricorrente prospetta la inutilizzabilità della scheda stessa, essa non sarebbe stata tradotta ne le dichiarazioni raccolte ritualmente e verbalizzate ne il tutto debitamente inserito nel processo attraverso la produzione da parte del Prefetto.

Tale profilo di censura appare irricevibile, posto che i rilievi sulla scheda de qua (mera sintesi di informative acquisite dal Tribunale come informazioni rese dalla P. A.) avrebbero dovuto dall’interessato essere formulati innanzi al Giudice del merito e non certo proposti per la prima volta, in sede di legittimità.

Quanto al secondo motivo, con il quale di denunzia la violazione dell’art. 13 c. 7 del T.U. per avere il Tribunale mancato di rilevare che non era stata dal Prefetto dichiarata la ragione per la quale il decreto non si era potuto tradurre nelle lingua conosciuta dall’espellendo, esso è affatto inammissibile: parte ricorrente, infatti, nel richiamare il consolidato indirizzo di questa Corte (cui adde da ultimo Cass. 11958/03, 12811/03, 9091/03) manca del tutto di farsi carico di esaminare e contestare, anche alla stregua di tali statuizioni, l’affermazione formulata dal Tribunale e per la quale la traduzione in inglese sarebbe stata operata con riguardo alla specifica indicazione data dall’espellendo alla Polizia che procedeva al controllo.

Ditalchè, essendo la ratio della decisione fondata sulla valutazione per la quale l’inglese sarebbe la sua lingua conosciuta, la mancata specifica impugnazione di tale ratio comporta l’inammissibilità della censura che coinvolge profili ulteriori e non pertinenti al decisum.

Respinto il ricorso non è luogo a provvedere sulle spese: l’intimata Autorità ha notificato non già controricorso ma mero atto di costituzione in vista di futura, e non espletata, difesa orale, atto da dichiararsi inammissibile.

PQM Rigetta il ricorso.

Roma, 10/10/03.

Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2004.

 
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    GRUPPO ESPRESSO