(Sergio Briguglio
28/5/2004)
NORMATIVA
SUGLI STRANIERI E DIRITTI IN CAMPO ECONOMICO E SOCIALE
Nota: Le principali fonti normative cui si fa
riferimento in questa nota sono il Testo unico di cui al D. Lgs. 286/98 (T.U.),
come modificato dalla L. 189/2002, e il corrispondente Regolamento di
attuazione di cui al DPR 394/1999.
La normativa attuale impone, per lÕingresso legale in Italia per motivi di lavoro, la dimostrazione di una preventiva promessa di assunzione da parte di un datore di lavoro (art. 22 T.U.). LÕimpossibilitaÕ di dar luogo a forme legali di incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro costringe, nei fatti, i lavoratori stranieri che aspirino a migrare in Italia ad avvalersi di un periodo di soggiorno illegale che consenta loro di porre le basi per la costituzione di un rapporto di lavoro, altrimenti irrealizzabile. Questa situazione alimenta da anni il bacino di immigrazione illegale, che viene periodicamente svuotato da provvedimenti di sanatoria. Si tratta di un fenomeno tuttÕaltro che marginale: nel periodo 1988-2002 i permessi di soggiorno per lavoro (non stagionale) rilasciati in seguito a un ingresso formalmente successivo alla promessa di assunzione sono stati circa 285.000 (in media, circa 19.000 per anno); quelli rilasciati in seguito a provvedimenti di sanatoria, circa 1.360.000 (in media, circa 90.000 per anno). La condizione di illegalitaÕ forzata eÕ quindi un elemento strutturale dellÕimmigrazione per lavoro in Italia, con le conseguenze facilmente immaginabili in termini di compressione dei diritti dei migranti.
I requisiti previsti per il rinnovo del permesso di soggiorno del lavoratore subordinato straniero (e, in base allÕart. 30, co. 3 T.U., dei suoi familiari) sono molto rigidi. In particolare, eÕ necessaria, ai fini del rinnovo, lÕesistenza di un contratto di lavoro (art. 5, co. 5 T.U.). Una certa elasticitaÕ eÕ prevista in caso di perdita del posto di lavoro per licenziamento o dimissioni: in questo caso, ove il permesso di soggiorno vada a scadenza prima che siano trascorsi sei mesi dalla perdita del posto, il lavoratore ottiene un limitato rinnovo mirato a consentirgli un periodo di ricerca di nuova occupazione di durata complessiva non inferiore, appunto, a sei mesi (art. 22, co. 11 T.U.). Salva questa modesta forma di tutela, quindi, la perdita dellÕoccupazione puoÕ facilmente tradursi per il lavoratore straniero (e, conseguentemente, per i suoi familiari) nella perdita della facoltaÕ di soggiornare in Italia.
La condizione eÕ ulteriormente aggravata per i lavoratori che abbiano stipulato un contratto a termine (invece che a tempo indeterminato). La legge italiana non consente per questo tipo di contratti licenziamenti o dimissioni, se non in casi eccezionali (art. 2119 c.c.). Non si applicano quindi le disposizioni di cui allÕart. 22, co. 11 T.U.. Inoltre, la necessitaÕ di presentare la domanda di rinnovo almeno sessanta giorni prima della scadenza del permesso preclude la possibilitaÕ che a sostegno della richiesta sia esibito un nuovo contratto a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro (vietato dallÕart. 5 D. Lgs. 368/2001). Stante allora la difficoltaÕ di reperire, a rapporto di lavoro in corso, una possibilitaÕ di impiego con un diverso datore di lavoro, lÕunica possibilitaÕ per il lavoratore eÕ quella di ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Si vede allora come, a dispetto del principio di paritaÕ di diritti tra lavoratore straniero legalmente soggiornante e lavoratore italiano, sancito dalla Convenzione OIL n. 143/1975 e dallÕart. 2, co. 3 T.U., la rigiditaÕ delle disposizioni sul rinnovo del permesso di soggiorno finisca con lÕincatenare il lavoratore al proprio posto di lavoro. La libera scelta dellÕoccupazione, sancita per il cittadino dallÕart. 4 Cost., eÕ gravemente sacrificata per il lavoratore immigrato, che perde cosiÕ anche gran parte della propria forza contrattuale nei confronti del datore di lavoro.
Le modifiche apportate recentemente al T.U. dalla L. 189/2002 (Legge Bossi-Fini) hanno poi appesantito la posizione del datore di lavoro che intenda stipulare un contratto di lavoro con un lavoratore straniero: eÕ previsto che il datore debba garantire il reperimento di un alloggio, per il lavoratore, che soddisfi i requisiti previsti dalle leggi regionali sullÕedilizia residenziale pubblica, e che debba coprire le eventuali spese di rimpatrio per lo stesso lavoratore. Se questi requisiti aggiuntivi non contrastano con il principio di paritaÕ in sede di ammissione del lavoratore in Italia (non si tratta ancora di un lavoratore legalmente soggiornante), essi configurano una disciminazione inaccettabile se applicati ai contratti di lavoro che lo straniero stipuli successivamente al suo ingresso. Costituiscono infatti un deterrente per il datore di lavoro, e, di conseguenza, un fattore di esclusione del lavoratore straniero che sia rimasto privo di occupazione dalla possibilitaÕ di rientro nel mercato del lavoro. Tale applicazione estensiva non eÕ, di per seÕ, stabilita dalla L. 189/2002, ma eÕ prevista dallÕart. 32 del Regolamento di attuazione della stessa legge (art. 36-bis DPR 394/1999), approvato dal Consiglio dei Ministri e attualmente allÕesame del Consiglio di Stato in vista della definitiva emanazione.
Questa forma di discriminazione rende paradossalmente improponibile, nei fatti, lÕaccesso del lavoratore straniero alle forme flessibili di contratto di lavoro recentemente introdotte o potenziate dalla L. 30/2003 e dal D. Lgs. 276/2003 (soprattutto la somministrazione di lavoro e il lavoro intermittente), mirate ad alleggerire gli oneri per il datore di lavoro e a diminuire cosiÕ lo squilibrio esistente, nel mercato del lavoro, tra la condizione degli insider e quella degli outsider.
3.
Incertezza dei tempi per rilascio e rinnovo del permesso
BencheÕ la legge stabilisca, per il rilascio o il rinnovo del permesso, un termine di venti giorni dalla richiesta, la corrispondente disposizione (art. 5, co. 9 T.U.) ha un carattere meramente ordinatorio, non essendo assistita da alcuna sanzione neÕ da un principio di silenzio-assenso. In pratica, lÕimmigrato resta per molti mesi privo di un documento indispensabile sia per la stipula di un contratto di lavoro sia per il godimento dei diritti associati alla titolaritaÕ del permesso (ad esempio, a seconda dei casi, la possibilitaÕ di chiedere il ricongiungimento con i familiari residenti allÕestero o lÕiscrizione in un corso di studio o di formazione). Gli effetti negativi di questa situazione sono stati in parte ridotti stabilendo esplicitamente che eÕ lecito impiegare uno straniero titolare di un permesso di soggiorno che abiliti al lavoro, per il quale sia stato chiesto nei termini di legge il rinnovo (art. 22, co. 12 T.U.); restano peroÕ irrisolti i problemi relativi al godimento delle altre facoltaÕ e quelli connessi al ritardo nel rilascio del primo permesso di soggiorno.
Ai fini del ricongungimento familiare, il lavoratore
straniero deve dimostrare, tra le altre cose, la disponibilitaÕ di un alloggio
che rientri nei parametri minimi previsti dalle leggi regionali per gli alloggi
di edilizia residenziale pubblica (art. 29, co. 3 T.U.). Allo stesso tempo,
peroÕ, lÕaccesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica eÕ previsto, a
paritaÕ di condizioni col cittadino italiano, per i soli titolari di permesso
di soggiorno di durata almeno biennale e con regolari attivitaÕ di lavoro
subordinato o autonomo in corso (art. 40, co. 6 T.U.). Sono cosiÕ esclusi i
lavoratori stranieri che abbiano ottenuto il permesso di soggiorno in relazione
alla stipula di un contratto a termine; per costoro, infatti, la durata del
permesso di soggiorno non puoÕ essere superiore a un anno (art. 5, co. 3-bis
T.U.). Tuttavia, questi stessi lavoratori, purcheÕ dotati di un contratto di
durata non inferiore a un anno, possono chiedere il ricongiungimento familiare
(art. 28, co. 1 T.U.). Per loro, quindi, e a dispetto dellÕart. 31 Cost., i
parametri fissati dalle leggi regionali a tutela del benessere delle famiglie,
giocano paradossalmente il ruolo opposto di ostacoli al godimento del diritto
fondamentale allÕunitaÕ familiare.
5. Ostacoli allo svolgimento di una professione
A dispetto del principio di paritaÕ tra lavoratore straniero
legalmente soggiornante e lavoratore italiano (Convenzione OIL n. 143/1975 e
art. 2, co. 3 T.U.), lo svolgimento di una professione da parte del lavoratore
straniero legalmente soggiornante e in possesso dei titoli abilitanti richiesti
per quella professione eÕ consentito dalla legge solo entro i limiti numerici
fissati annualmente dal Governo in relazione agli ingressi di nuovi immigrati
in Italia per motivi di lavoro autonomo (art. 37, co. 3 T.U.). Tali limiti Ð
comprensivi di tutte le attivitaÕ autonome Ð sono stati, in questi anni,
estremamente bassi (circa tremila per anno), e senza che fosse stabilito
esplicitamente un criterio di precedenza per i lavoratori giaÕ legalmente
soggiornanti in Italia.
6. Limitazioni alla fruibilitaÕ delle misure di
assistenza sociale: il caso della sopravvenuta invaliditaÕ
LÕart. 41, co. 1 T.U. sancisce formalmente la paritaÕ di
diritti, ai fini del godimento delle misure di assistenza sociale, tra
cittadino italiano e straniero legalmente soggiornante con un permesso di
durata non inferiore a un anno. LÕart. 80, co. 19 L. 388/2000 (legge
finanziaria per il 2001) ha peroÕ limitato drasticamente la portata di questa
disposizione, stabilendo, per la maggior parte delle provvidenze economiche
previste dalla legislazione in materia di assistenza sociale, che la paritaÕ
riguarda i soli titolari di carta di soggiorno. Questa limitazione ha creato,
in particolare, un grave circolo vizioso ai danni del lavoratore straniero per
il quale sopravvenga, mentre eÕ ancora titolare di un semplice permesso di
soggiorno per lavoro, una condizione di invaliditaÕ civile (ad esempio, in
seguito a un incidente stradale). Tale condizione, precludendogli la
prosecuzione dellÕattivitaÕ lavorativa, gli rende impossibile il rinnovo del
permesso di soggiorno (art. 5, co. 5 T.U.). La mancanza di un reddito per seÕ e
per i propri familiari, poi, anche nellÕipotesi in cui il lavoratore abbia giaÕ
maturato i sei anni di soggiorno legale in Italia, gli impedisce di ottenere la
carta di soggiorno (art. 9, co. 1 T. U.). La condizione di indigenza sarebbe
superabile, se solo lo straniero potesse ottenere la pensione di invaliditaÕ,
per la quale eÕ certamente in possesso dei requisiti soggettivi. Ma tale
pensione eÕ riservata, appunto, tra gli stranieri, ai titolari di carta di
soggiorno. LÕacquisizione della condizione di invaliditaÕ diventa cosiÕ motivo
di perdita della facoltaÕ di soggiornare in Italia.
7. ImpossibilitaÕ di accesso a mezzi leciti di
sostentamento
In diversi casi eÕ previsto dalla legge che lo straniero
possa soggiornare legalmente in Italia per motivi legati alla tutela di diritti
costituzionalmente garantiti o al rispetto di obblighi internazionali.
Rientrano in questÕambito il soggiorno per richiesta di asilo (art. 1 L.
39/1990), il soggiorno per lÕesercizio del diritto di difesa (art. 17 T.U.),
quello che consegue alle situazioni di inespellibilitaÕ della donna incinta o
che abbia partorito recentemente (art. 19, co. 2 T.U.) e il soggiorno del
genitore autorizzato dal Tribunale per i minorenni a tutela dello sviluppo del
minore soggiornante in Italia (art. 31, co. 3). Per questi casi eÕ escluso, o
non eÕ stabilito esplicitamente, che lo straniero ammesso al soggiorno legale
possa svolgere attivitaÕ lavorativa, senza peroÕ che siano tassativamente
previste misure atte a garantire che gli siano assicurati adeguati mezzi di
sostentamento.
8. Compressione dei diritti del minore straniero figlio
di genitori illegalmente soggiornanti
Il diritto ad accedere ai corsi di studio eÕ positivamente
garantito al minore straniero, a prescindere dalla regolaritaÕ del suo
soggiorno, dallÕart. 45 DPR 394/1999. La posizione del minore straniero iscritto
ad un corso di studi eÕ peroÕ, ove egli sia figlio di genitori illegalmente
soggiornanti, assolutamente precaria: bencheÕ sia vietata lÕespulsione dei
minori, salvo che per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato,
eÕ stabilito, ovviamente, il diritto del minore di seguire il genitore o
lÕaffidatario espulsi (art. 19, co. 2). Una forma di tutela eÕ offerta dalla
disposizione di cui allÕart. 31, co. 3 T.U., in base alla quale il Tribunale
per i minorenni puoÕ autorizzare, in deroga alle altre disposizioni di legge,
il soggiorno dello straniero quando questo si renda necessario per tutelare lo
sviluppo psico-fisico del minore soggiornante in Italia. In questi anni,
tuttavia, lÕorientamento dei Tribunali eÕ stato molto disomogeneo, con incerta
rilevanza della condizione di iscrizione del minore stesso ad un corso di studi
ai fini dellÕaccoglimento dellÕistanza relativa al soggiorno del genitore.
Paradossalmente, quindi, e a causa della accresciuta visibilitaÕ, lÕessere
iscritto a scuola puoÕ tradursi, per il minore, in un maggior rischio di
allontanamento dal territorio dello Stato.
Similmente, e piuÕ in generale, la mancanza di una
previsione automatica di protezione del minore dallÕallontamento dal territorio
dello Stato in seguito allÕespulsione del genitore o dellÕaffidatario fa siÕ
che perfino un minore nato e vissuto per un numero rilevante di anni in Italia
possa veder troncati improvvisamente tutti i propri legami sociali. La cosa
assume un carattere particolarmente grave quando si tratti di minori figli di
genitori che abbiano scontato una pena detentiva di notevole durata in Italia:
lÕespulsione che nella maggior parte dei casi accompagna la remissione in
libertaÕ del genitore (art. 15, co. 1 e 1-bis e art. 16, co. 5 T.U.) aggiunge un
trauma grave alla condizione, giaÕ fortemente provata, del minore.
9. Discriminazione ai danni del minore straniero non
accompagnato
Il minore straniero non accompagnato, al pari di qualunque
altro minore straniero, espellibile, non eÕse non per gravi motivi di ordine
pubblico o sicurezza dello Stato (art. 19, co. 2 T.U.). Quando ne sia segnalata
la presenza sul territorio dello Stato, peroÕ, si daÕ luogo ad una procedura
finalizzata ad accertare se sia effettuabile il suo rimpatrio in condizioni di
sicurezza (art. 33, co. 2-bis T.U.). Nelle more della decisione relativa al
rimpatrio, al minore per il quale non sia disposto lÕaffidamento eÕ rilasciato
un permesso di soggiorno per minore etaÕ (art. 28, co. 1 DPR 394/1999). Una Circolare del
Ministero dellÕinterno (13 Novenbre 2000) ha disposto che tale permesso non sia
utilizzabile per lo svolgimento di attivitaÕ lavorativa. Questa disposizione,
discriminando il minore straniero nelle condizioni descritte rispetto al
coetaneo nazionale (ma anche rispetto al coetaneo straniero titolare di un
permesso di soggiorno per motivi familiari o per affidamento) appare in
contrasto con il principio di non discriminazione sancito dalla Convenzione ONU
di New York del 1989 sui diritti del fanciullo (ratificata con L. 176/1991).
Dati poi i tempi estremamente lunghi delle procedure di
accertamento, eÕ frequente il caso di titolare di permesso di soggiorno per
minore etaÕ che raggiunga la maggiore etaÕ mentre eÕ ancora in attesa della
decisione relativa al rimpatrio. La Circolare del Ministero dellÕinterno del 13
Novenbre 2000 esclude la possibilitaÕ di conversione del permesso per minore
etaÕ in un permesso per motivi di studio o di lavoro. Anche in questo caso si
configura una discriminazione ai danni del titolare di permesso per minore
etaÕ, dal momento che eÕ previsto che il minore titolare di un permesso per
motivi familiari o per affidamento possa fruire invece di tale conversione
(art. 30, co. 5 e art. 32, co. 1 T.U.).
10. InstabilitaÕ del soggiorno per lo studente universitario
La normativa prevede che il permesso di soggiorno per motivi
di studio non possa essere rinnovato oltre il terzo anno fuori corso (art. 46,
co. 4 DPR 394/1999). Questo limite (tassativo) tiene in scarsissimo conto i
valori medi di durata effettiva del corso di studi per la popolazione
universitaria italiana, e in nessun conto lo svantaggio, riguardo al
mantenimento dei ritmi di studio, patito dallo studente straniero (scarsa
conoscenza iniziale della lingua italiana, difficoltaÕ di ambientamento, etc.).
EÕ previsto poi che lo studente straniero possa svolgere
attivitaÕ di lavoro a tempo parziale in Italia (art. 14, co. 4 DPR 394/1999).
Tuttavia, qualora voglia stabilizzare la propria posizione come lavoratore,
convertendo il permesso di soggiorno per studio in un permesso per lavoro, puoÕ
farlo solo nellÕambito delle quote fissate dal Governo in relazione agli
ingressi di nuovi immigrati per motivi di lavoro. Non eÕ stabilito alcun
criterio di precedenza a suo vantaggio, col rischio che il suo permesso di
soggiorno scada definitivamente, costringendolo al rimpatrio.
11. Esclusione del detenuto straniero dal godimento di
misure alternative alla detenzione
La
legge non stabilisce esplicitamente (pur non vietandolo) che al detenuto
straniero debba comunque essere rilasciato o rinnovato un permesso di
soggiorno. Si eÕ assestata, in questi ultimi anni, una prassi (Messaggio del
Ministero dellÕinterno alla Questura di Vercelli del 4 Settembre 2001) secondo
la quale lÕistanza di rinnovo del permesso non puoÕ essere accolta percheÕ resa
superflua dal provvedimento dellÕAutoritaÕ giudiziaria in forza del quale lo
straniero eÕ detenuto. Recentemente, peroÕ, una sentenza della Corte di
Cassazione Penale (Sez. I, n. 30130/2003) ha stabilito che lÕaccesso allÕaffidamento
in prova al servizio sociale e alle altre misure alternative extra-murarie eÕ
precluso allo straniero privo di permesso di soggiorno, dal momento che
comporterebbe la permanenza illegale di uno straniero nel teritorio dello
Stato. Il mantenimento della prassi citata rischia, alla luce di questa
sentenza, di rendere impraticabili i percorsi di recupero sociale del detenuto
straniero.