Come al solito non facile rispondere a tutte le domande proposte dal questionario perch in Italia non ci sono dati attendibili sulla discriminazione razziale e sulla xenofobia, n programmi nazionali coerenti con le raccomandazioni della Dichiarazione di Vienna e del programma di azione, per non parlare di Durban, che per evidenti ragioni politiche sembra finito proprio nel dimenticatoio.
Non ci sono
neppure istituzioni pubbliche effettivamente operanti sul terreno della
discriminazione razziale e della xenofobia, a parte il nuovo comitato istituito
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Molti Consigli territoriali
sullimmigrazione non si riuniscono da tempo, la Commissione per le politiche
di integrazione ( art. 46 T.U.286/98) sembrerebbe ormai estinta, i nuovi
comitati interministeriali, come quello previsto dallart. 2 bis del T.U.
modificato dalla Bossi Fini si riuniscono per concertare le misure di
espulsione e di contrasto dellimmigrazione clandestina, ma non si occupano di
integrazione, n rendono pubblici i loro lavori.
Manca in questa
situazione una casistica rilevante della discriminazione razziale e della
xenofobia, e le ricerche empiriche al riguardo segnalano soltanto i casi che
vengono censiti dalla stampa, con notizie occasionali su singoli episodi.
Anche il dossier
della Caritas e le pubblicazioni delle associazioni consultate nella stesura
del rapporto, come ASGI, ICS, ARCI, Casa dei diritti sociali, CISS danno un quadro molto limitato della
discriminazione razziale e della xenofobia in Italia.
Appare comunque
evidente in questo quadro ancora confuso la condizione di particolare
svantaggio dei richiedenti asilo, nel periodo spesso molto lungo ( fino a due
anni) di attesa per la decisione sulla richiesta di asilo. Come noto,
infatti, la legge italiana proibisce la stipula di un contratto di lavoro per
quei richiedenti asilo che sono ancora in attesa di conoscere la decisione
della Commissione centrale, con la conseguenza che la maggior parte di loro,
totalmente priva di un contributo pubblico di assistenza, costretta al lavoro
nero ed a subire ogni tipo di ricatti per ottenere beni primari come il cibo o
lalloggio.
Esemplare a tale
riguardo la vicenda dei profughi sudanesi giunti a Lampedusa, a partire dal
2001, immediatamente destinatari ad Agrigento di provvedimenti di espulsione o
di trasferimenti forzati in altre parti di Italia, come a Crotone in strutture
di detenzione amministrativa, e poi abbandonati al loro destino nelle campagne
di Caserta, nelle citt siciliane, o costretti a spostarsi a Roma, nella
speranza di un esame pi rapido delle loro istanze di asilo. Soltanto adesso i
media cominciano a parlare di genocidio nel Darfur, ma sembra che i componenti
della Commissione centrale che spesso respinge le domande di questi asilanti
non ne siano ancora informati.
Come tutti i
richiedenti asilo in attesa di una decisione a queste persone negato anche il
diritto al ricongiungimento familiare, e molti di loro vivono una condizione
drammatica, soprattutto dopo che nei loro paesi di provenienza, come nel Darfur
o in Liberia, o in altre regioni dellAfrica sub-sahariana, sono ripresi i
conflitti etnici. E questo malgrado i governi annuncino periodicamente accordi
di pace con le forze di opposizione, accordi che poi non vengono mai
rispettati, con largo uso, da parte degli stessi governi, di bande paramilitari
che assaltano i villaggi, e uccidono soprattutto vecchi, donne e bambini.
Come indicato
nella sintesi gi inviata il Governo italiano ha dato attuazione lo scorso anno
alle direttive comunitarie n. 2000/43/CE e n. 2000/78/CE, con i decreti
legislativi n. 215 e 216 pubblicati in Gazzetta Ufficiale nel mese di agosto
del 2003 ( vedi sintesi gi inviata).
Sul punto 9 degli
issues:
LItalia non ha ancora ratificato la Convenzione ONU del 1990 sulla protezione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. La condizione dei migranti lavoratori in una condizione di irregolarit ( categoria specificamente prevista da quella convenzione) rimane pertanto caratterizzata dalla massima precariet. Gli sforzi fatti da diverse associazioni per una ratifica della Convenzione sono rimasti ancora senza effetti. Sembra prevalere il timore che qualsiasi riconoscimento di diritti a migranti irregolari possa tradursi in un ostacolo per le politiche espulsive praticate dal nostro governo. In realt la presenza di lavoratori clandestini sul nostro territorio tollerata, i controlli delle autorit competenti, come gli ispettorati del lavoro , sono molto scarsi, ed il caporalato ormai stabilmente presente tanto nelle piazze dei comuni del ricco Nord, quanto alla periferia dei centri agricoli del meridione.
La normativa nazionale contro gli atti di discriminazione razziale ha avuto una applicazione molto limitata ( vedi sintesi ) e dopo la attuazione delle direttive comunitarie al riguardo le prospettive sembrano ancora peggiori, dal momento che non si realizzata la inversione dellonere della prova, che incombe ancora alla vittima degli atti discriminatori, e mancano agenzie indipendenti che possano denunciare i casi di discriminazione, evitando alle vittime il rischio di una successiva ritorsione.
Ma laspetto pi
grave che si rileva nel nostro paese costituito dalla clausola presente nei
decreti legislativi di attuazione delle direttive comunitarie n.43 e 78 del
2000, secondo cui
Il presente decreto legislativo non riguarda le
differenze di trattamento basate sulla nazionalita' e non pregiudica le
disposizioni nazionali e le condizioni relative all'ingresso, al soggiorno,
all'accesso all'occupazione, all'assistenza e alla previdenza dei cittadini dei
Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, ne' qualsiasi
trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica
dei predetti soggetti.
Nel rispetto dei principi di
proporzionalita' e ragionevolezza, nell'ambito del rapporto di lavoro o
dell'esercizio dell'attivita' di impresa, non costituiscono atti di
discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento
dovute a caratteristiche connesse alla razza o all'origine etnica di una
persona, qualora, per la natura di un'attivita' lavorativa o per il contesto in
cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un
requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attivita'
medesima.
Non costituiscono, comunque, atti di
discriminazione ai sensi dell'articolo 2 quelle differenze di trattamento che,
pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente
da finalita' legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari.
In questo modo si chiude quasi completamente la possibilit di perseguire il cd. razzismo istituzionale, spesso nella forma di atti o comportamenti, posti in essere da pubblici ufficiali, riconducibili al concetto di discriminazione indiretta.
Sul punto 22
I richiedenti asilo prima della decisione della Commissione centrale non hanno diritto al ricongiungimento familiare, che viene negato anche ai richiedenti lo status di protezione umanitaria o temporanea. Il ritardo nella approvazione dei regolamenti di attuazione della legge Bossi- Fini, nella parte che disciplina la nuova procedura di asilo sta comportando una situazione di paralisi nelle attivit amministrative che riguardano i richiedenti asilo, e da parte di questi si notano recenti processi di autoorganizzazione ( soprattutto a Roma, in Campania e in Sicilia) al fine di esprimere la propria disperazione e ottenere almeno il modesto risultato di un esame della pratica a livello locale, da parte della Commissione centrale ( prassi consentita da un decreto governativo dello scorso anno e gi sperimentata in Puglia ed in Calabria).
LItalia deve dare ancora attuazione alle direttive comunitarie sul ricongiungimento familiare, che dedica una attenzione particolare solo ai rifugiati, ma non ai richiedenti asilo, e alle altre direttive sulle procedure e sullo status di rifugiato, in corso di pubblicazione in queste settimane ( sembrerebbero gi approvate definitivamente a livello di Consiglio dellUnione Europea).
Lassenza di dati normativi certi, sia a livello nazionale che a livello comunitario, consegna i richiedenti asilo al potere discrezionale delle Questure e del Ministero degli interni, e i familiari di questi soggetti, quando giungono in Italia irregolarmente ( come avviene quasi sempre) sono spesso costretti a lunghi periodi di clandestinit, anche per la difficolta di documentare i rapporti familiari, in caso di un successivo e separato ingresso dei diversi membri della famiglia.
Riguardo al punto 30
Se vero che la legge 40 del 1998 accordava ai minori figli di immigrati laccesso al sistema della istruzione pubblica a parit di condizione con i minori italiani, anche quando si riscontrassero situazioni di irregolarit nel soggiorno, nei fatti questo diritto fortemente compresso dal contesto ambientale in cui i minori stranieri sono costretti a vivere, contesto che anche di forte degrado, come nel caso dei bambini Rom, la cui partecipazione alle attivit scolastiche appare in costante diminuizione; anche per la maggiore mobilit alla quale sono costretti queste categorie di immigrati, per effetto delle politiche degli enti locali sempre pi orientate alla loro espulsione dal territorio comunale, ed anche per effetto del rischio sempre maggiore di espulsione con accompagnamento immediato in frontiera,;rischio che ha avuto come conseguenza una costante mobilit di gruppo che prima vivevano periodi pi lunghi in una stessa citt, e quindi potevano essere inseriti pi facilmente in percorsi di integrazione, proprio a partire dalla frequenza scolastica dei minori.
Anche i figli dei richiedenti asilo vivono una condizione di particolare disagio, e non solo con riferimento al loro inserimento nelle istituzioni scolastiche. La situazione di totale precariet dei loro genitori comporta infatti anche per loro una forte mobilit, e non si riesce mai a seguire in uno stesso luogo, salvo forse che a Roma, il percorso di integrazione di un gruppo di richiedenti asilo e delle loro famiglie, perch durante la procedura cambiano citt pi volte.
Il progetto nazionale asilo (PNA) avrebbe dovuto dare una risposta a tutti questi problemi ma non sembra che le recenti decisioni che hanno finanziato una trentina di progetti sparsi per lItalia corrisponda alle attese.
Innanzitutto lo stanziamento complessivo irrisorio, considerato anche il numero di richiedenti asilo ancora in attesa di una definizione della loro pratica, il numero dei posti offerti su base annua ( circa 1500) non raggiunge neppure un decimo dei soggetti che vi avrebbero diritto, e si nota una forte penalizzazione di alcune regioni che pure come la Sicilia sono uno snodo importante nellingresso degli immigrati richiedenti asilo in Italia.
Dopo le decisioni della commissione nazionale competente a decidere sulle richieste avanzate da parte degli enti locali e delle associazioni, solo un progetto stato finanziato in Sicilia, sembrerebbe nella provincia di Ragusa, che, tra laltro, riceve un numero di richiedenti asilo nettamente inferiore rispetto alle provincie della Sicilia Occidentale, come Palermo, Trapani ed Agrigento.
Queste scelte
amministrative della Commissione che ha deciso sulle richieste di finanziamento
del PNA ed il ridotto impegno politico finanziario del governo sul terreno
dellaccoglienza dei richiedenti asilo e protezione umanitaria ma si sa tutte
le risorse destinate allimmigrazione sono impegnate per i rimpatri con
accompagnamento immediato e per i centri di detenzione, adesso anche per i richiedenti
asilo- sono direttamente responsabili del fallimento di molti sforzi da parte
delle associazioni umanitarie, e di un grave degrado della condizione di vita
dei richiedenti asilo, o protezione umanitaria, e delle loro famiglie, spesso
costrette a mendicare sulla strada, ad accettare lavori ad alto rischio, e ad
abitare in strutture fatiscenti, con grave rischio anche per la salute, e la
vita, dei soggetti pi deboli, anziani, donne e bambini.
Fulvio Vassallo
Paleologo