REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Lecce, composto dai seguenti Magistrati:
Dr. Mario CIGNA, Presidente
Dr. Maurizio PETRELLI, Giudice
Dr.
Gabriele POSITANO, Giudice
ha emesso il seguente provvedimento nel giudizio n. 1627/03,
vertente tra:
Omissis, difeso dall'Avv. Francesco CALABRO.
COMMISSIONE CENTRALE per il riconoscimento dello status di
rifugiato e
MINISTERO dell'INTERNO, difesi dall'Avvocatura dello Stato e
PUBBLICO MINISTERO.
All'udienza 16.01.2004 la causa ¶ stata discussa per la decisione.
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego emesso
dalla
Commissione Centrale istituita presso il Ministero dell'Interno ex
art. 2
del DPR n. 136 del 1990 per il riconoscimento dello status di
rifugiato
richiedendone l'annullamento e, in via subordinata, il
riconoscimento del
diritto di asilo ai sensi dell'art. 10 della Carta Costituzionale.
Come ¶ noto, in caso di diniego dello status di rifugiato da parte
della
Commissione Centrale, il richiedente si trova in uno stato di
irregolaritÃ
in quanto il permesso di soggiorno provvisorio eventualmente
ottenuto sulla
base della richiesta di riconoscimento dello status, viene
ritirato in
seguito al diniego dello stesso e il prefetto puù immediatamente
decretare l
'espulsione dello straniero.
Status di rifugiato
La disciplina normativa in materia di riconoscimento dello status
di
"rifugiato" ¶ rappresentata dal combinato disposto
dell'art. 1 della L.
28-2-90 n. 39 (L. Martelli), tuttora vigente e non abrogato dalla
L. 40/98,
e del DPR 15-5-90 n. 136, entrambi letti in relazione alla
Convenzione di
Ginevra del 28-7-51, ratificata con L. 24-7-54 n. 722.
Agli effetti di tali disposizioni essere considerati rifugiati
sulla base
del diritto internazionale significa soddisfare gli specifici
requisiti
fissati dall'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 secondo
cui questo
termine si applica a chi "temendo a ragione di essere
perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalitÃ, appartenenza a un
determinato
gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova al di
fuori del
paese di origine e non puù o non vuole, per i motivi suddetti
avvalersi
della protezione di questo paese".
Quindi gli elementi costitutivi della fattispecie sono:
1)
la fuga dal proprio paese;
2)
il fondato timore di persecuzione;
3)
la sussistenza cause specifiche di persecuzione.
Il soggetto che effettivamente si trovi nella situazione sopra
individuata,
fatti salvi altri impedimenti, avrà accesso allo status di
rifugiato.
La Convenzione di Ginevra prevede, quindi, quale fattore
determinante per la
individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto,
un fondato
timore di essere perseguitato cio¶ una soglia di accesso elevata a
una
tutela piÿ intensa in virtÿ del verosimile rischio di persecuzione
e dello
stato di bisogno del perseguitato.
Nel caso di ottenimento dello status di rifugiato lo straniero
acquista il
diritto a restare in Italia con la possibilità di lavorare e
studiare grazie
a un permesso di soggiorno (rinnovabile) della durata di due anni.
Viene
sostanzialmente equiparato a un cittadino italiano tranne che per
il diritto
di voto e per il passaporto sostituito dal titolo di viaggio che
gli
consente di viaggiare in tutti i paesi, ma non in quello di
provenienza.
In base all'art. 32 della Convenzione chi ha ottenuto lo status di
rifugiato
puù essere espulso solo per motivi di sicurezza nazionale o ordine
pubblico.
L'art. 33 prevedendo il principio del non refoulement, cio¶ il
divieto di
espellere o respingere un rifugiato verso le frontiere dei luoghi
ove la sua
vita o la sua libertà sarebbero minacciate per i motivi di cui
all'art.1
consente di assimilare la posizione di chi impugna il diniego
della
Commissione Centrale a quella di chi (in sede di impugnazione del
decreto
prefettizio di espulsione ex art. 13 del dlgs n. 286/98) lamenta
la mancata
osservanza del divieto di espulsione di cui all'art. 19 del dlgs
n. 286/98.
Tale norma, infatti, prevede proprio che "in nessun caso puù
disporsi
l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo
straniero possa
essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di
lingua, di
cittadinanza, di religione, di opinioni politiche di condizioni
personali o
sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro
Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione".
Diritto di asilo
Il ricorrente oltre ad impugnare il provvedimento della
Commissione Centrale
ha proposto, in via subordinata, domanda di riconoscimento del
diritto
d'asilo richiamandosi direttamente all'art.10 Cost.
Si tratta, in realtÃ, di una richiesta formulata in via
riconvenzionale, in
quanto si inserisce in un giudizio che resta di impugnazione di un
atto
amministrativo.
La definizione di diritto di asilo ¶ contenuta nell'art. 10.3
Costituzione
ed ¶ piÿ ampia di quella di rifugiato e tale da comprenderla solo
sul piano
concettuale. In sostanza, l'art. 10.3 l'asilo, come beneficio che
dipende
dalla volontà sovrana dello Stato, secondo la condivisibile
ricostruzione
della Cassazione va pertanto riconnesso ai seguenti requisiti:
1)
impedimento dell'esercizio delle libertà democratiche;
2)
effettività dell'impedimento.
Pertanto il primo requisito (impedimento) ¶ la causa di
giustificazione del
diritto, mentre il secondo (effettivitÃ) costituisce il criterio
di
accertamento della situazione ipotizzata.
In mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui
all'art. 10.3
Cost. all'asilante, in caso di accoglimento della domanda, viene
garantito
solo l'ingresso nello Stato.
Differenza status rifugiato e diritto di asilo
Sul punto va richiamata la distinzione fatta da Cass., Sez. Un.,
17-12-1999,
n. 90: "la qualifica di rifugiato politico ai sensi della
convenzione di
Ginevra del 28 luglio 1951 costituisce, come quella di avente
diritto
all'asilo (dalla quale si distingue perchÚ richiede quale fattore
determinante un fondato timore di essere perseguitato, cio¶ un
requisito non
richiesto dall'art. 10, 3¹ comma, cost.), una figura giuridica
riconducibile
alla categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la
conseguenza che
tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia
hanno natura
meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie
riguardanti il
riconoscimento della posizione di rifugiato (cosã come quelle sul
riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione
dell'A.G.O., una volta espressamente abrogato dall'art. 46 l. n.
40 del
1998, l'art. 5 d.l. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni
dalla l.
n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall'art. 47 del testo
unico d.leg.
n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la
competenza per
l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di
rifugiato".
Prova dei presupporti dello status di rifugiato
Il giudice ordinario ha il potere di accertamento, e non
costitutivo, sullo
status di rifugiato.
Sul punto va ribadito l'orientamento rigoroso della giurisprudenza
in tema
di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto "la
mancanza di
libertà democratiche nel paese di origine non costituisce
presupposto
sufficiente per il riconoscimento dello status di rifugiato,
essendo
necessario a tal fine dimostrare che la specifica situazione
soggettiva del
richiedente in rapporto alle caratteristiche oggettive sussistenti
nel suo
paese, sia tali da far ritenere l'esistenza di un grave pericolo
per l'incol
umità della persona" (C. Stato, sez. IV, 18-03-1999, n. 291).
In concreto ciù consiste nell'allegazione di un minimo di elementi
probatori
caratterizzati da attendibilità sulla concreta situazione di
pericolo per la
libertà o per l'incolumità personale direttamente riferibile al
richiedente,
dovuta a persecuzioni di carattere etnico, politico o religioso
(TAR
Piemonte, 17.11.00 n.1169).
L'onere che grava interamente sulla parte, trattandosi di giudizio
impugnatorio, potrà essere assolto fornendo la prova dei tre
elementi
costitutivi:
a.. della fuga dal
proprio paese;
a.. del fondato
timore di persecuzione;
a.. della
sussistenza cause specifiche di persecuzione.
La dimostrazione del secondo e del terzo presupposto richiede la
prova:
1)
delle caratteristiche oggettive sussistenti nel suo paese di origine
del ricorrente;
2)
della particolare situazione soggettiva del richiedente e cio¶ della
condizione specifica direttamente riferibile al ricorrente, che
costituisca
la causa specifica della persecuzione. Tale condizione richiede
sia la prova
dell'appartenenza ad una etnia, ad una religione, o ad un
determinato gruppo
sociale o ad un partito politico, sia la dimostrazione specifica
che il
ricorrente, proprio perchÚ in possesso di tali requisiti, ¶
sottoposto al
rischio concreto di persecuzione. Non assumerà rilievo, pertanto,
per
difetto della prova della "sussistenza di cause specifiche di
persecuzione",
nÚ la prospettazione di un rischio di persecuzione che interessi
in maniera
indiscriminata ogni cittadino di una certa nazionalità per il solo
fatto di
appartenere a tale paese, nÚ situazioni che trovano titolo in
circostanze
diverse da quelle previste dalla Convenzione di Ginevra (ad
esempio, non
rileva la limitazione della libertà personale conseguente alla
commissione
di reati o alla mancata esecuzione di obblighi previsti dalla
legge e
compatibili con l'ordinamento italiano).
La prova di tali elementi potrà essere fornita attraverso i
consueti
strumenti previsti dal codice di rito:
a.. sulla base di
prove documentali aventi l'efficacia probatoria tipica
(scrittura privata ed atto pubblico) o atipica (dichiarazione di
terzo) e
redatti preferibilmente in lingua italiana (l'obbligo di uso della
lingua
italiana ex art. 122 c.p.c. ai fini della validità degli atti
riguarda solo
gli atti processuali in senso proprio e non anche i documenti
depositati
dalle parti). Il deposito di tali atti in lingua diversa da quella
nazionale, comporta "l'onere della parte che ha prodotto il
documento di
produrne anche traduzione giurata" (Cass. n. 10831/94).
Diversamente saranno
valutati liberamente dal giudice.
b.. sulla base di
elementi indiziari ricavabili da Rapporti dell'UHNUR, di
Amnesty International e di altre organizzazioni che si occupano
oggettivamente e con serietà dei rifugiati;
c.. sulla base di
informative richieste ex art. 213 c.p.c. dal giudice al
governo italiano o alle rappresentanze diplomatiche italiane nel
paese
interessato;
d.. sulla base di
accertamenti medici;
e.. sulla base di
"fatti notori" (da intendere in senso rigoroso, e cio¶
come fatto acquisito alle
conoscenze della
collettività con tale grado
di certezza da apparire incontestabile - Cass. n. 5680 del 2000).
Diritto di asilo
Quanto alla domanda subordinata va osservato che il giudice
ordinario ha il
potere di accertamento, e non costitutivo, di decidere sul diritto
costituzionale dell'asilo politico, verificando se nel paese di
provenienza
o appartenenza del richiedente vi ¶ un effettivo impedimento alle
libertÃ
fondamentali garantite dalla Costituzione.
La richiesta non puù essere presa in esame in questa sede perchÚ
inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
La domanda, infatti, costituisce una sorta di domanda
riconvenzionale
proposta nell'ambito in un giudizio esclusivamente impugnatorio di
un atto
amministrativo (il diniego della Commissione). Conseguentemente la
domanda
non puù essere accolta.
Inoltre, alle controversie che riguardano il diritto d'asilo, di
cui
all'art. 10 comma 3 Cost. non ¶ applicabile la disciplina dello
"status" di
rifugiato (d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. dalla l. 28
febbraio 1990 n.
39 (Cass. civ., sez. un., 26 maggio 1997, n. 4674) e non trovano
applicazione quelle ragioni di celerità e di sommarietà della
cognizione che
consentono di ritenere ammissibile l'applicazione del procedimento
camerale
in luogo di quello ordinario a cognizione piena.
La giurisprudenza ha ritenuto, infatti, per il caso di apolide,
"inammissibile l'istanza d'accertamento proposta nelle forme
del rito
camerale, anzichÚ nelle forme del rito contenzioso ordinario
(Trib.
Alessandria, 9 giugno 2000).
Istaurato il giudizio nelle forme del processo ordinario sarÃ
necessario
verificare se la lite rientra tra quelle previste dall'art. 50 bis
c.p.c.,
sussistendo controversia se tale accertamento rientra tra quelli
che
richiedono l'intervento del PM ex art. 70 n. 3, atteso che la
relativa
pronuncia, in mancanza di una legge di attuazione del precetto
costituzionale, si risolve nella mera possibilità di fare ingresso
nello
Stato. Si tratta, quindi, di un profilo relativo alla capacità che
incide
solo su singole facoltà (quella di fare ingresso nel territorio
italiano) ed
in quanto tale non rientrante nella nozione di "status"
ex art. 70 n. 3)
c.p.c.
Merito
Rileva il Collegio che il ricorrente ha fornito, quanto meno in
termini di
verosimiglianza, elementi probatori che consentono di ritenere
sussistenti i
tre elementi costitutivi della richiesta in oggetto. Sussiste
certamente il
presupposto della fuga dal proprio Paese non essendo contestato
che il
ricorrente non si sia allontanato dalla Turchia a seguito dei
gravi episodi
evidenziati in ricorso. Il ricorrente ha riferito di appartenere
alla etnia
kurda e la circostanza non ¶ stata contestata neppure nel
provvedimento
della Commissione e che i militari turchi, a seguito del rifiuto
di aiutarli
nell'attività di controllo, lo avrebbero perseguitato sin dal
1990. tale
attività ¶ consistita nell'arresto e nella tortura. Tali episodi
avrebbero
determinato nel 1996 lesioni all'occhio destro (a seguito di un
colpo con il
calcio della pistola), nel 1997 la rottura di un timpano, nel 1998
episodi
di violenza, nel 2001 in percosse che hanno reso intollerabile la
prosecuzione della permanenza mettendo a repentaglio la vita del
ricorrente
e della sua famiglia. Le attività di persecuzione e della sua famiglia.
Le attività di persecuzione e i contrasti esistenti in Turchia con
riferimento alla posizione dei cittadini di etnia kurda trovano
riscontro
nella copiosa documentazione esibita che proviene da associazioni
a tutela
della dignità umana oltre che da due delibere del Parlamento
Europeo del
2002 e del 2003 che attestano e censurano tali attività di
repressione. Gli
effetti di tale attività di persecuzione trovano riscontro, quanto
meno in
termini di verosimiglianza, nella documentazione medica esibita
dal
ricorrente (certificati del 12 e 14-12.02 e del 21.10.02, del
9.05.03, del
25.06.03 e nella dichiarazione dell'ISP di Maglie del 17.12.02,
oltre che
nella relazione di parte del Dr. NARDULLI del 10.09.2003).
Il C.T.P., sulla base di una condivisibile ricostruzione fondata
su una
valutazione medico-legale, ha riscontrato e documentato che il ricorrente
presenta al volto e al collo cicatrici da percosse, ipoacusia
bilaterale
sinistra, acufeni, diminuzione del visus, leucoma corneale
sinistro. Secondo
il professionista le lesioni di natura contusiva sono espressione
di una
dinamica traumatizzante compatibile con i fatti descritti in
ricorso.
Infatti tali lesioni appaiono riferirsi alla attività di corpi
contundenti.
Parte delle lesioni escoriative sono guarite senza lasciare segni, mentre
altre hanno lasciato cicatrici riscontrate obiettivamente. Nello
stesso
senso ¶ la ipoacusia che riguarda solo l'orecchio sinistro, cosã
come
riferito dal ricorrente nell'atto introduttivo.
Sulla base di tali elementi ritiene il Collegio che sussista la
prova,
quanto meno in termini di verosimiglianza, che la situazione
specifica
soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche
suggestive
sussistenti nel suo Paese, sia tale da far ritenere l'esistenza di
un grave
pericolo per l'incolumità della persona. Le spese seguono la soccombenza.
P.T.M.
Accoglie il ricorso ed annulla la decisione adottata dalla
Commissione
Centrale in data 19.12.02 e dichiara che al ricorrente omissis ¶
riconosciuto la status di rifugiato ai sensi della Convenzione di
Ginevra;
condanna i resistenti al pagamento delle spese di lite sostenute
dal
ricorrente che si liquidano, in favore del Difensore, in ? 130 per
diritti
ed ? 200 per onorario di Avvocato, oltre accessori di legge se
dovuti.
Cosã deciso in Lecce in data 16.01.2004
Il G.E.
Il
PRESIDENTE