SENTENZA N. 376
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare MIRABELLI Presidente
- Francesco GUIZZI Giudice
- Fernando SANTOSUOSSO "
- Massimo VARI "
- Cesare RUPERTO "
- Riccardo CHIEPPA "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 17, comma 2, lett. d)
della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 29 marzo 1999 dal
Pretore di Termini Imerese nel procedimento civile tra Dylmishi Selim e il
Prefetto di Palermo, iscritta al n. 302 del registro ordinanze 1999 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10
maggio 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri.
1.
- Il Pretore di Termini Imerese è investito della decisione di un ricorso
proposto da un cittadino albanese - ai sensi dell'art. 11, comma 8, della legge
n. 40 del 1998 - avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal
Prefetto di Palermo perché non aveva chiesto nei termini prescritti il rinnovo
del permesso di soggiorno; a sostegno della domanda il ricorrente ha dichiarato
di risiedere in Italia da circa dieci anni, di svolgere attività di
collaboratore domestico, di essere coniugato e convivente con una sua
concittadina in stato di gravidanza a rischio di aborto prematuro, di esser
stato in possesso di un regolare permesso di soggiorno e di non averlo potuto
rinnovare per cause di forza maggiore.
Il
giudice a quo, ritenuto che il
decreto di espulsione impugnato sia legittimo, in considerazione sia del
negligente ritardo con cui l'interessato aveva richiesto il rinnovo del
permesso di soggiorno che dell'insussistenza della causa di forza maggiore
invocata dal ricorrente, ha sollevato d'ufficio questione di legittimità
costituzionale dell’art. 17, comma 2, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero) nella parte in cui non prevede il
divieto di espulsione dello straniero coniugato e convivente con donna in stato
di gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita di un figlio, per
violazione degli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 della Costituzione.
Secondo
il rimettente l'art. 2 Cost. riconosce anche allo straniero i diritti
inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità, mentre l'art. 10 Cost. gli riconosce i diritti
derivanti dalle norme e dai trattati internazionali; il diritto di formare una
famiglia e di mantenere l'unità del nucleo familiare, previsti dall'art. 12
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata
dall'Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, così come tutti i diritti e le
potestà di cui agli artt. 29 e 30 Cost., dovrebbero perciò essere garantiti
allo straniero come al cittadino; al riguardo il giudice a quo ritiene che l'omessa previsione del divieto di espulsione
dello straniero, coniugato e convivente con una donna in stato di gravidanza e
nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, determinerebbe l'impossibilità
per l'espulso di esercitare i diritti e di adempiere i doveri nei confronti del
coniuge, del nascituro e del figlio dopo la nascita.
Secondo
il giudice a quo tale omissione
violerebbe anche l'art. 3 Cost., dal momento che la mancata previsione del
divieto di espulsione del padre, coniugato e convivente con la donna incinta e
nei sei mesi successivi alla nascita del figlio, creerebbe una ingiustificata
disparità di trattamento tra i coniugi e renderebbe di difficile attuazione lo
stesso divieto di espulsione nei confronti delle madri straniere, le quali ben
difficilmente, in caso di allontanamento del marito, potrebbero decidere di
restare in Italia senza l'adeguato sostegno materiale e morale del coniuge.
Ritiene
infine il rimettente che anche l'unità familiare e la tutela dei minori, che
pure sono tra gli obbiettivi degli artt. 26 e segg. della stessa legge n. 40
del 1998, finirebbero per essere non garantiti nel caso di espulsione del
“capofamiglia".
2.
- E' intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo alla Corte, in via preliminare, di restituire gli atti al
giudice a quo per un nuovo esame
della rilevanza della questione alla luce dello jus superveniens, intervenuto in epoca successiva alla ordinanza di
rimessione e, in subordine, di dichiarare la questione infondata.
Quanto
al primo profilo, l'Avvocatura osserva che il nuovo testo dell'art. 49, comma
2, del testo unico n. 286 del 1998, introdotto dall'art. 8 del d.lgs. 13 aprile
1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, a norma dell'art. 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40) ha
disciplinato la c.d. regolarizzazione degli stranieri, presenti sul territorio
dello Stato anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 40 del
1998, che siano in possesso di determinati requisiti; dal momento che lo
straniero che ha proposto opposizione all'espulsione davanti al Pretore di
Termini Imerese sembrerebbe rientrare tra coloro i quali possono beneficiare
della regolarizzazione, ciò imporrebbe, ad avviso della difesa erariale, una
nuova valutazione della rilevanza della questione da parte del giudice a quo.
Nel
merito l'Avvocatura ritiene che la questione sia infondata, dal momento che con
essa si richiede al giudice delle leggi un intervento additivo che non potrebbe
essere assunto se non nel quadro di ripensamenti più generali del complesso
sistema normativo riguardante la materia; nel predisporre la disciplina di cui
si tratta, il legislatore avrebbe operato un bilanciamento di interessi tra
l'esigenza di riconoscere agli stranieri una serie di facoltà e quella, pure
apprezzabile, di disciplinare l'ingresso ed il soggiorno nello Stato dei non
cittadini; sotto questo profilo nella norma denunciata non sarebbero
ravvisabili violazioni degli artt. 2, 10, 29 e 30 Cost.
Sempre
secondo l'Avvocatura non vi sarebbe neppure violazione dell'art. 3 Cost., dal
momento che il divieto di espulsione della donna incinta o che abbia partorito
da meno di sei mesi costituirebbe una eccezione alla regola generale,
determinata dalla necessità di far fronte ad esigenze primarie della madre e
del bambino, e non sarebbe assimilabile a quella del padre che versi in
situazione di illegalità.
Considerato
in diritto
1.
- Il Pretore di Termini Imerese dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 17, comma 2, lettera d)
della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero) nella parte in cui non prevede il divieto di
espulsione dello straniero coniugato e convivente con donna in stato di
gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita di un figlio, per la
violazione: (a) degli artt. 2 e 10 della Costituzione, perché la norma
impugnata non tutelerebbe i diritti inviolabili dell'uomo, ed in particolare il
diritto di formare una famiglia riconosciuto dall'art. 12 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall'Italia con la legge 4
agosto 1955, n. 848; (b) dell'art. 3 Cost., perché la disposizione prevederebbe
per il coniuge straniero di sesso maschile un trattamento diverso e meno
favorevole rispetto a quello della donna incinta e della donna che ha partorito
da non oltre sei mesi, per le quali vige il divieto di espulsione; (c) degli
artt. 29 e 30 Cost., perché essa non garantirebbe l'unità familiare e non
consentirebbe allo straniero di esercitare i diritti e i doveri nei riguardi
dei figli minori e del coniuge.
2.
- Occorre preliminarmente osservare che la norma impugnata dal Pretore di
Termini Imerese è stata interamente trasfusa, senza modificazione alcuna,
nell’art. 19, comma 2, lett. d) del
d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) in forza
della delega legislativa contenuta nell'art. 47 della stessa legge n. 40 del 1998;
la questione di legittimità costituzionale deve intendersi perciò trasferita
sulla norma del testo unico, rinvenendosi tuttora nell'ordinamento la norma
impugnata, secondo il principio affermato da questa Corte nelle sentenze n. 84
del 1996 e n. 454 del 1998.
3.
- Sempre in via preliminare deve essere disattesa la richiesta dell’Avvocatura
dello Stato di restituzione degli atti al giudice rimettente per una nuova
valutazione della rilevanza della questione alla luce dello jus superveniens costituito dall'art. 8
del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero, a norma dell'art. 47, comma 2, della legge 6 marzo
1998, n. 40); infatti la norma indicata dalla difesa erariale - che ha disposto
una sanatoria per alcune categorie di stranieri presenti sul territorio dello
Stato - non ha inciso, né direttamente né indirettamente, su quella impugnata
dal giudice rimettente e non è perciò suscettibile di essere applicata nel
giudizio in corso davanti al Pretore di Termini Imerese, nel quale il thema decidendum continua ad essere
rappresentato dalla domanda del ricorrente; l'eventuale possibilità per lo
straniero di usufruire delle norme di sanatoria risulta quindi una questione di
mero fatto, che non può incidere sul presente giudizio di legittimità
costituzionale.
4.
- La questione, nei termini in cui è stata rimessa a questa Corte dal giudice a quo, è fondata.
5.
- La norma impugnata, collocata al Capo III (Disposizioni di carattere
umanitario) del Titolo II della legge n. 40 del 1998, sotto l’onnicomprensiva
intitolazione “Divieti di espulsione e di respingimento” prevede alcuni divieti
di espulsione degli stranieri che si trovino in posizione irregolare sul
territorio dello Stato e disciplina situazioni che sono fra loro non omogenee.
In particolare, mentre il comma 1 stabilisce un divieto assoluto ed
incondizionato di espulsione e di respingimento dello straniero verso uno Stato
ove egli possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso,
lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e
sociali, il comma 2 prevede - salvo i casi in cui ricorrano esigenze di ordine
pubblico o di sicurezza dello Stato, disciplinati dall’art. 11, comma 1 della
stessa legge - divieti di espulsione e di respingimento per alcune categorie di
stranieri in relazione a loro particolari e specifiche condizioni personali o
familiari. Il divieto in questi casi riguarda: lo straniero minorenne, che non
può mai essere espulso salvo il suo diritto di seguire il genitore o
l’affidatario che siano stati espulsi; gli stranieri che siano in possesso
della carta di soggiorno, per i quali le condizioni di espulsione sono indicate
dall'art. 7, comma 5 della legge; coloro che sono sposati e convivono con un
cittadino e coloro che convivono con cittadini italiani, loro parenti entro il
quarto grado; e infine le donne in stato di gravidanza o nei sei mesi
successivi al parto. In quest’ultimo caso si tratta dunque, più che di un
divieto assoluto di espulsione o di respingimento, di una temporanea
sospensione del relativo potere fondata sulla particolare tutela che
l’ordinamento, in questa come in varie altre materie, appresta per la donna in
stato di gravidanza e nel periodo immediatamente successivo alla nascita del
figlio; tutela che viene riconosciuta in vista della protezione sia della
stessa donna che del figlio minore, nato o nascituro. Non va dimenticato
peraltro che queste esigenze di tutela del nucleo familiare, individuate dal
legislatore e nella specie previste a favore della donna, cedono di fronte a
quelle di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato che sono affermate
nell'art. 11, comma 1, della legge n. 40 del 1998, richiamato espressamente
dall'art. 17, comma 2; infatti questa norma fa comunque salvo, in tutti i casi,
il potere del Ministro dell'interno di disporre l'espulsione dello straniero
per i sopracitati motivi.
La
particolare ratio delle norme che
prevedono benefici a favore della donna nel periodo immediatamente antecedente
e in quello successivo al parto è stata già considerata da questa Corte che,
nella sentenza n. 1 del 1987, ha osservato come la norma in materia di
astensione obbligatoria dal lavoro della donna che ha partorito, se ha
“certamente il fine di tutelare la salute della donna nel periodo
immediatamente susseguente al parto.... considera e protegge anche il rapporto
che in tale periodo necessariamente si svolge tra madre e figlio, e tanto non
solo per ciò che attiene i bisogni più propriamente biologici, ma anche in
riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono
collegate allo sviluppo della personalità del bambino”. La norma in esame si
colloca - nel quadro delle disposizioni che vietano l'espulsione ed il
respingimento dello straniero per ragioni di carattere umanitario e più in
generale all'interno della disciplina sull'ingresso ed il soggiorno degli
stranieri - nella stessa peculiare posizione; anche in questo caso infatti viene
in rilievo, oltre alla tutela della salute della donna straniera incinta o che
abbia partorito da non oltre sei mesi - situazione soggettiva che come tale
giustificherebbe ex se una tutela
rafforzata - l’esigenza di assicurare una speciale protezione alla famiglia in
generale, ed ai figli minori in particolare, che hanno il diritto di essere
educati all'interno del nucleo familiare per conseguire un idoneo sviluppo
della loro personalità; una protezione che non può non ritenersi estesa anche
agli stranieri che si trovino a qualunque titolo sul territorio dello Stato
perché, come questa Corte ha già più volte avuto modo di affermare, “il diritto
e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con
sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità
della famiglia, sono ..... diritti fondamentali della persona che perciò
spettano in via di principio anche agli stranieri” (sentenza n. 28 del 1995,
richiamata anche dalla sentenza n. 203 del 1997).
6.
- I principi di protezione dell'unità familiare, con specifico riguardo alla
posizione assunta nel nucleo dai figli minori in relazione alla comune
responsabilità educativa di entrambi i genitori, non trovano riconoscimento
solo nella nostra Costituzione ma sono affermati anche da alcune disposizioni
di trattati internazionali ratificati dall'Italia, tra le quali: quelle di cui
agli artt. 8 e 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto
1955, n. 848; l’art. 10 del Patto internazionale relativo ai diritti economici,
sociali e culturali e l’art. 23 del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici del 1966, ratificati e resi esecutivi dalla legge 25 ottobre
1977, n. 881; gli artt. 9 e 10 della Convenzione di New York del 20 novembre
1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva dalla legge 27
maggio 1991, n. 176; dal complesso di queste norme, pur nella varietà delle
loro formulazioni, emerge un principio, pienamente rinvenibile negli artt. 29 e
30 Cost., in base al quale alla famiglia deve essere riconosciuta la più ampia
protezione ed assistenza, in particolare nel momento della sua formazione ed in
vista della responsabilità che entrambi i genitori hanno per il mantenimento e
l’educazione dei figli minori; tale assistenza e protezione non può non
prescindere dalla condizione, di cittadini o di stranieri, dei genitori,
trattandosi di diritti umani fondamentali, cui può derogarsi solo in presenza
di specifiche e motivate esigenze volte alla tutela delle stesse regole della
convivenza democratica.
7.
- La norma in esame, pur apprestando nella particolare materia dell’ingresso e
del soggiorno degli stranieri sul territorio dello Stato una tutela adeguata
nei riguardi della donna incinta e di colei che ha partorito da non oltre sei
mesi, omette tra l'altro di considerare proprio quelle ulteriori esigenze del
minore e cioè il suo diritto ad essere educato, tutte le volte che ciò sia
possibile, in un nucleo familiare composto da entrambi i genitori e non dalla
sola madre; consentendo l’espulsione del marito convivente, come esattamente
osserva il giudice rimettente, la norma mette oltretutto la donna straniera che
si trova nel territorio dello Stato in una alternativa drammatica tra il
seguire il marito espulso all’estero e l’affrontare il parto ed i primi mesi di
vita del figlio senza il sostegno del coniuge, e questo proprio nel momento in
cui si va formando quel nuovo più ampio nucleo familiare che la legge, in forza
degli artt. 29 e 30 Cost., deve appunto tutelare.
8.
- Come questa Corte ha già stabilito (sentenza n. 341 del 1991), esiste un
principio di "paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e
all’educazione della prole, senza distinzione o separazione di ruoli tra uomo e
donna, ma con reciproca integrazione di essi”, in forza del quale deve
ritenersi costituzionalmente illegittima la norma de qua nella parte in cui non prevede un divieto di espulsione
anche nei riguardi del marito convivente della donna incinta o della donna che
abbia partorito da non oltre sei mesi; la presenza del padre è infatti
essenziale nel delicato periodo preso in considerazione dal legislatore quando
ha stabilito, all'art. 17, comma 2 della legge, la particolare tutela della
madre e del bambino. La giurisprudenza di questa Corte ha già più volte
sottolineato come numerose norme, a partire dagli anni '70, abbiano "dato
sempre maggiore realizzazione ai valori costituzionalmente garantiti della parità
fra uomini e donne, della funzione sociale della maternità", avuto
riguardo ai "superiori interessi del bambino come oggetto di tutela
diretta, quando non prevalente ed esclusiva" (sentenza n. 179 del 1993).
Lo
stesso legislatore, del resto, nella recente legge 8 marzo 2000, n. 52
(Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto
alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città), ha
previsto speciali disposizioni a sostegno, oltre che della maternità, anche
della paternità.
E'
quindi evidente che, una volta parificata la posizione del marito convivente
con donna incinta, o che ha partorito da non oltre sei mesi, con quella della
stessa, deve essere esteso anche a tale soggetto il divieto di espulsione,
salvo che sussistano i motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato
previsti dall'art. 11, comma 1, richiamato dall'art. 17, comma 2 della legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 17, comma 2, lettera d)
della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), ora sostituito dall'art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286
(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non estende il
divieto di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o
nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 12 luglio 2000.
Cesare
MIRABELLI, Presidente
Fernanda
CONTRI, Redattore
Depositata
in cancelleria il 27 luglio 2000.