Striscia nella notizia – Roma, 4 novembre 2005

Seminario Redattore Sociale-Dossier Statistico Immigrazione

Le parole: immigrazione e religione

 

 

 

 

      Immigrazione e religione non sono due termini lontani. La religione non solo è intrinseca al fenomeno migratorio ma lo è anche al mondo contemporaneo, seppure in maniera problematica, e non solo quando si parla di islam. Nella valigia dell’immigrato, quindi, ritroviamo anche la religione. Come, perché in quale prospettiva? Queste sono le domande alle quali va data una risposta.

 

A livello mondiale le religioni sono tutt’altro che scomparse

La libertà religiosa, anche se è di per sé un diritto pubblico soggettivo fondamentale, è ben lontana dall’essere garantita. Centinaia di milioni di persone subiscono ancora oggi violenze e persecuzioni a motivo della loro fede. Si va dall’ateismo di stato in Cina, all’imposizione della legge coranica e al fondamentalismo islamico, al laicismo che tende ad emarginare l’espressione della religiosità e anche ad un certo atteggiamento di superiorità delle religioni maggioritarie nei confronti delle minoranze (“Rapporto 2005 sulla libertà religiosa nel mondo” curato dall’organizzazione cattolica “Aiuto alla chiesa che soffre”).

      Quali religioni sono più diffuse? Stimarne con precisione le dimensioni non è un compito agevole perché, per fortuna, queste decisioni così personali non vengono registrate, ma non mancano i criteri per farlo. Applicando alla popolazione mondiale i criteri seguiti del “Dossier”, desunti da diversi manuali, si ricavano queste percentuali riferite ai 6.377 milioni di abitanti del pianeta (dato al 2004) circa il 28,1% sono cristiani (di cui più della metà cattolici), il 22,0% musulmani, il 19% fedeli di religioni orientali (14,6% induisti e 5,2% buddisti), il 2,2% animisti e il 27,6% atei o non appartenenti a questi gruppi.

In valori assoluti ciò significa che i cristiani sono 1.795 milioni, i musulmani 1.400 milioni, gli induisti 932 milioni, i buddisti 333 milioni, gli animisti 143 milioni, gli ebrei 15 milioni,i non credenti o non classificabili 1.758 milioni. L’incidenza dei cattolici tra i cristiani varia da un minimo di 982 milioni a 1 miliardo e 93 milioni secondo l’Annuario Cattolico, mentre sono 390 milioni gli ortodossi, 164 milioni i protestanti e 258 milioni gli altri gruppi cristiani. Nel mondo, quindi, il gruppo più consistente è costituito dai non credenti o da fedeli che non appartengono a questi grandi gruppi.

L’incidenza delle diverse religioni varia a seconda delle aree. Nell’UE a 25 i cristiani incidono per l’80,1% e i musulmani solo per il 2%; il continente europeo preso nel suo complesso è caratterizzato da una presenza cristiana del 59,2%, musulmana del 12,9% e di fedeli di religioni orientali dell’1% circa.

      Completamente diverso è lo scenario dell’Africa del Nord, che vede i musulmani prevalere col 92,2%, mentre nell’intero continente africano le appartenenze religiose conoscono una ripartizione più equilibrata: cristiani 33,9%, musulmani 43,8%, ispirati alle religioni tradizionali 16,0%.

Nel continente asiatico vengono al primo posto le religioni orientali (24,5% induisti e 8,8% buddisti), seguite da musulmani (24,0%) e cristiani (6,2%).

I cristiani sono nuovamente preponderanti in America (88,3%) con appena lo 0,7% di musulmani, per lo più concentrati nell’America del Nord (1,7%) dove l’incidenza dei cristiani scende all’83,7%.

Anche in Oceania i cristiani sono la maggioranza assoluta ma con una percentuale più bassa (56,9%), seguiti da una percentuale consistente di seguaci di religioni tradizionali o animiste (5,3%) e da una ancora più alta di non credenti o comunque non inquadrabili in questi gruppi religiosi (37,8%).

 

Anche l’Europa è a suo modo un continente religioso.

Fino agli anni ‘90 i paesi comunisti avevano cercato di ignorare, sopprimere o rendere invisibile la pratica religiosa. Sappiamo che anche se l’Albania è stata, fino al 1991, l’unico stato ufficialmente ateo, il ventesimo secolo ha prodotto un elevato numero di governi ostili alle religioni.

L’Europa viene considerata patria della libertà religiosa e anche dell’ateismo e dell’agnosticismo. Eppure la gran parte della popolazione si considera appartenente ad una determinata religione (l’82,2% in Italia) anche se solo una minoranza frequenta abitualmente una chiesa o una comunità: il 53,7% in Italia, il 35,9% in Spagna, il 12% in Francia(www.europeanvalues.nl)). In particolare, gli italiani attribuiscono uno spazio sempre maggiore alla religione, ritenuta “fondamentale” dal 23% della popolazione e importante dal 38% (Eurisko 6/2003).

Nonostante questi dati, “il presupposto che l’Europa sia ancora sostanzialmente e maggioritariamente cristiana è fuori dalla realtà” (Intervista al card. Francesco Pompedda, prefetto emerito del Supremo tribunale della segnatura apostolica, raccolta da L. Accattoli, in: Corriere della Sera, 17 dicembre 2004).

Non si tratta di una posizione eccentrica. Benedetto XVI, parlando durante le sue ferie ai sacerdoti in Val d’Aosta, ha lamentato che al mondo occidentale non appare più evidente la necessità di Dio e che la chiesa viene considerata una realtà antiquata dalle proposte non interessanti; detto ciò, secondo il Papa, senza scoraggiarsi, bisogna oltrepassare il tunnel e convincere i contemporanei razionalmente sui valori morali, dialogando con il mondo laico (M. Politi, “Ratzinger e la società senza Dio. Le chiese storiche stanno morendo”, La Repubblica, 29 luglio 2005).

In maniera sempre più ricorrente la religione sconfina con l’astrologia e la magia. 27mila persone al giorno si rivolgono ai 22mila maghi e astrologi italiani, che negli ultimi 5 anni avrebbero contattato il 18% della popolazione italiana. 5 miliardi il giro d'affari, con il 98% di evasione fiscale. Il Telefono Antiplagio in 9 anni ha ricevuto 9mila telefonate, ma solo 5 cittadini truffati su 100 sporgono denuncia contro gli inganni e beffe dei "nuovi guru" (Redattore Sociale 12.1.2004).

Le religioni degli immigrati in Italia e in Europa

L’appartenenza religiosa degli immigrati nell’Unione europea (23,4 milioni all’inizio del 2004) è la seguente:

-                poco meno della metà cristiani (11.087.000 e 47,5%)

-                poco meno di un terzo musulmani (7.196.000 e 30,8%)

-                poco più di un quinto fedeli di altre religioni (5.117.000 e 21,7%).

Ogni 10 cristiani, 6 sono cattolici, 2,5 ortodossi e 1,5 protestanti.

Rispetto a questo panorama in Italia si riscontrano alcune particolarità,

All’inizio degli anni ’90, quando i soggiornanti regolari erano 650.000, i cristiani erano il 45% e i musulmani il 38%. Dopo il grande afflusso degli immigrati dall’Est Europa, continuato fino ad oggi, i cristiani hanno guadagnato 5 punti e musulmani ne hanno perso 3, mentre i gruppi minori hanno conservato all’incirca lo stesso peso percentuale. In questa ripartizione vediamo i cristiani avvicinarsi alla metà del totale e i musulmani attestarsi sul 33%, a fronte di percentuali più ridotte degli altri gruppi (tra cui 2,4% induisti, 1,9% buddisti, ebrei 0,3%, religioni tradizionali l’1,2%) e di un gruppo più consistente (11,8%) composto da atei, agnostici o appartenenti a gruppi che non rientrano nelle precedenti classificazioni.

Queste sono le medie, che cambiano da regione a regione (in diverse prevalgono i musulmani) e anche tra le categorie di lavoratori: ad esempio tra le lavoratrici domestiche i cristiani prevalgono con il 70%.

In Italia, sede del papato, l’islam è, quindi, la seconda religione, ma vene sono altre non meno suggestive come il buddismo o l’induismo. Questa sorta di globalizzazione non è stata solo orizzontale (più religioni) ma anche verticale (all’interno della stessa religione si registrano componenti policentriche), in particolare tra i cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti). Per ogni religione, si tratti di cattolicesimo o di islam, la provenienza territoriale produce tonalità differenziate nella sensibilità.

È curioso rilevare che gli stessi sacerdoti, per i quali la figura della perpetua è sempre più rara, si affidano a colf straniere talvolta anche di diversa religione (G.G. Vecchi, “Addio perpetue. Colf e badanti per i preti”, in: Corriere della Sera, 10 gennaio 2005). Non solo i sacerdoti ricorrono a domestiche immigrate, ma sempre più spesso sono essi stessi immigrati. I sacerdoti stranieri presenti in Italia, e specialmente a Roma, per i più diversi motivi sono oltre 25.000. Di questi quasi duemila sono inseriti in attività pastorali a tempo pieno nelle diocesi italiane e iscritti al Sistema di sostentamento del clero; molti di loro provengono dai paesi in via di sviluppo, spesso dagli stessi paesi dai quali provengono gli immigrati. Essi sono molto più giovani degli italiani, che hanno un’età media di 60 anni.

Quella religiosa non è una presenza invisibile. Si contano in Italia 157 tra moschee e centri islamici, di cui 26 in Lombardia, 22 in Piemonte, 21 nel Veneto,17 in Emilia Romagna,12 in Sicilia e in Toscana, 11 in Campania, 9 in Liguria e nel Lazio e nessuno in Basilicata, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta. L’insediamento di luoghi di culto si riscontra anche per altre religioni: i buddisti, ad esempio, hanno circa 50 centri, dei quali solo 10 di discrete dimensioni. Roma si caratterizza anche per una fioritura di luoghi di incontro e di preghiera delle diverse religioni: ne sono stati censiti 190 nel 2004 nella guida di Caritas e Migrantes di Roma. In prevalenza sono centri cristiani ma anche le altre comunità religiose si stanno organizzando sempre più al riguardo: ad esempio i musulmani dispongono di 7 moschee, tra le quali quella di Monte Antenne, la più grande d’Europa.

Un nuovo dato strutturale: la coesistenza con l’islam

La diversità religiosa non si esaurisce nella presenza dell’islam, ma certamente la presenza dei musulmani è quella che più spaventa gli europei. In Germania, ad esempio, da un sondaggio della “Wirtschaftswoche” risulta che il 57% della popolazione tedesca teme fortemente che la violenza per motivi religiosi sia sull’orlo dell’esplosione (P. Valentino, Corriere della Sera, 18 novembre 2004). Qualcosa di simile avviene anche in Italia, anche se a frequentare la mosche nel nostro paese sono circa il 5% del totale, ma i frequentatori regolari sono un’esigua minoranza, forse lo 0,5%.

Vediamo quali sono le condizioni dell’insediamento ell’islam. I paesi europei sono di per sé aperti: sono pochi quelli nei quali vi è una religione di stato, o comunque ufficiale, come in Danimarca, Finlandia, Grecia, Gran Bretagna (Ricerca FIERI 2003). Ciò nonostante, i musulmani solitamente non sono riconosciuti come confessione religiosa, come invece avviene in Belgio dal 1974, in Austria del 1988, in Spagna dal 1992. E’ usuale, però, per la comunità musulmana costituirsi come fondazione o associazione di diritto privato e godere, così, di quasi tutti i diritti previsti per le comunità riconosciute (possono sussistere limitazioni per quanto riguarda l’insegnamento e il finanziamento pubblico). In Italia, ad esempio, la Corte costituzionale (aprile 2005) ha ribadito la laicità e aconfessionalità dello Stato e ha dichiarato illegittimo l’art. 403 del codice penale nella parte in cui stabilisce sanzioni più severe per le offese al cattolicesimo rispetto agli altri culti “ammessi”.

Una discussione, nata in Italia in ambito cattolico a settembre del 2001 e poi diventata generalizzata e dai toni arroventati, aveva additato come obiettivo alla politica migratoria, al fine di evitare un futuro di lacrime e sangue, di selezionare i nuovi immigrati sulla base della loro più facile integrabilità sul tessuto nazionale o quanto meno di una coesistenza non conflittuale, escludendo così quelli provenienti dai paesi islamici. Questa è la tesi difesa da Oriana Fallaci nella sua “trilogia”. Anche il prof. Giovanni Sartori vede difficile conciliare islam e democrazia. Scendendo dal livello teorico a quello delle indagini, si possono rinvenire spunti di grande utilità su cui riflettere. Ad esempio, in Francia i servizi segreti hanno condotto uno studio sull’islam radicale, basandosi su 1.610 casi da loro scoperti in seguito a fatti di proselitismo o di delinquenza, poi ripreso su Le monde e anche in Italia (Il Messaggero, 13 luglio 2005). Ad abbracciare l’islam radicale sono giovani precari, senza lavoro e fuori dalla scuola, che vivono in aree fortemente urbanizzate. Senz’altro una delle realtà più conturbanti è il terrorismo a sfondo religioso.

In Italia, sembra che i musulmani arabi non siano così antipatici e comunque il turismo aiuta a conoscerli e ad accettarli maggiormente. L’atteggiamento degli intervistati nei confronti degli abitanti dell’altra sponda del Mediterraneo era già positivo e tollerante nei due terzi degli intervistati prima della visita in quei paesi, e si è fortificata ancora di più dopo un soggiorno turistico, specialmente in Egitto (Laboratorio euro-mediterraneo della Camera di Commercio di Milano, 11-12 luglio 2005: www.euro-mediterraneo.it e www.mi.camcom.it).

Il magistero cattolico ha invece sostenuto il dovere, e quindi la possibilità, del dialogo e dell’incontro tra le diverse religioni, senza sottacerne la complessità. “Oggi il dialogo è un po’ difficile…Già in secoli passati nell’Islam si affermarono correnti più attente alla razionalità. In ambito cristiano, gli ultimi due o tre secoli hanno visto svilupparsi una maggiore attenzione allo studio razionale, storico e critico e ciò ha condotto il cristianesimo a situarsi con più agio nella società contemporanea. E’ possibile che qualcosa di simile avvenga anche nell’Islam. Si tratta di non bloccare questo sviluppo con un giudizio globale negativo, ma di valorizzare il dialogo. Questa è la linea vincente della storia” (Carlo Maria Martini, intervistato da Gad Lerner, Corriere della Sera, 3 maggio 2001).

Posizioni di apertura si riscontrano anche tra i musulmani che vivono in Europa. In Italia un gruppo di esponenti musulmani, in misura consistente legati alla Moschea di Roma ma operanti anche in altre città, hanno inteso dare concretezza all’idea di un “Islam moderato”, capace di conciliare, attraverso una rilettura del Corano, i valori della fede islamica con quelli della cultura occidentale e in tale ottica hanno reso pubblico un “Manifesto per la vita” in occasione del terzo anniversario dei fatti terroristici di New York del 2001 (Corriere della Sera, 2 settembre 2004): “Affermiamo in modo forte, inequivocabile e deciso la nostra fede nel valore della sacralità della vita di tutti gli esseri umani indipendentemente dalla nazionalità e dal credo”.

Sempre in Italia è stata di recente costituita una consulta islamica, che, pur riflettendo la volontà di dialogo delle autorità, ha dato adito ad un’accoglienza contrastata da parte dei musulmani per la sua pretesa connotazione “moderata” demandata alle decisioni governative

Rispetto a quanto si sperimenta in Europa, risultano in contrasto la teoria e la prassi dei paesi di origine degli immigrati musulmani, anche di quelli più moderati. In Egitto, ad esempio, è stato minacciato di morte il filosofo Al-Aimni, impegnato nella riforma moderata dell’islam in quel paese (Magdi Allam, Corriere della Sera, 17 luglio 2005).

 

La società laica come contenitori delle differenze religiose

E’ paradossale, ma così è dopo una evoluzione protrattasi per secoli, constatare che il contenitore più adeguato delle diverse religioni è lo stato laico. Questa impostazione, per essere efficace e segno di progresso rispetto alle esigenze pluralistiche, deve essere imperniata su un difficile equilibrio evitando di sconfinare sia nel laicismo che nel clericalismo. Anche gli immigrati, quando l’impostazione è corretta, mostrano di apprezzarla.

Di società laica si è discusso molto al momento della redazione della costituzione dell’Unione Europea. “La libertà di coscienza e il divieto di discriminazione sono i principi sui cui si basa l’Europa moderna. Se l’argomento della religione venisse incluso nella Carta come un elemento di identità europeo, sarebbe in contraddizione sia con quei principi sia con i progressi fatti dal continente da secoli, In un certo senso il motore dello sviluppo dell’Europa è stato il suo laicismo” (Tayyip Erdogan, primo ministro della Turchia, La Repubblica, 3 settembre 2003). “Al primo posto io metto la separazione tra religione e politica: è una conseguenza della Guerra dei Trent’anni. Gli europei hanno versato molto sangue per questo e non devono rinunciarvi facilmente” (Bassam Tibi, tedesco di origine siriana, musulmano, docente di relazioni internazionali a Gottinga, Il Messaggero, 24 gennaio 2003).

      Il modello laico e multireligioso, per essere efficace, deve avere la caratteristica della coerenza. Come esempio da non ripetere si cita l’evoluzione intervenuta in India, In questo paese, nel 1985, la Corte suprema riconobbe alle musulmane divorziate gli stessi diritti garantiti dalla legge a tutte le cittadine indiane. Per placare lo sdegno di musulmani Rajiv Ghandi fece approvare in Parlamento il Muslim Womens’s Act che, contraddicendo la sentenza costituzionale, stabilì la prevalenza tra le mura domestiche della svaria e cioè del codice islamico (Federico Rampini, “India. Una magnifica anomalia inquinata dal fondamentalismo”, in La Repubblica, 9 novembre 2003). Anche a proposito del modello di integrazione britannico, che ultimamente ha conosciuto difficoltà, sono stati lamentati gli eccessivi margini di manovra

Intanto, un punto resta fermo e deve essere fonte di tranquillità: accogliere l’altro non significa rinunciare alla propria cultura e alla propria fede, non comporta il taglio delle proprie radici.

 

Il pluralismo religioso come stimolo personale

Trasporre la molteplicità religiosa in termini di crescita personale è questione è complessa ma non impossibile..

La globalizzazione religiosa è ormai un fattore strutturale, in gran parte derivato dall’immigrazione, e ci accompagnerà per sempre, per cui è meglio trovare un modus vivendi.

Il confronto con la differenza religiosa può essere stimolante per il singolo credente, portandolo a concepire la propria fede non come un semplice dato della tradizione bensì come una scelta da ripetere continuamente: è forse questo impegno che genera paura.

Il pluralismo religioso sollecita anche decisioni dei governanti, come si è visto a proposito del Crocifisso nei luoghi pubblici (L’Aquila), delle scuole islamiche (Milano). Le decisioni devono essere di lungo respiro, pensando non solo al panorama di oggi ma ai futuri orizzonti, quelli che si delineeranno tra 20, 30 o 50 anni.

Dopo i sanguinosi attentati terroristici del 7 luglio 2005 a Londra e quelli non riusciti del 21 dello stesso mese, in Italia sono state inasprite le pene per l’uso del velo islamico integrale che impedisce il riconoscimento di una persona, come già prescrivevano le leggi di pubblica sicurezza. Questo intervento legislativo, finalizzato alla lotta contro il terrorismo, ha portato in diversi ambienti a paventare che in qualche modo si possa aggiungere esca al diffuso allarmismo e alimentare anche una mentalità antiislamica. Certe volte è difficile conciliare apertura e fermezza.

I governanti dei paesi occidentali devono occuparsi anche di quanto avviene in altri paesi, perché anche il concetto di libertà religiosa è globalizzante e devono sentirsi impegnati a difenderlo in attuazione della carta ONU sui diritti fondamentali.

Anche i credenti sono in solido responsabili dell’accreditamento del concetto di Dio, in un mondo in cui la differenza religiosa è fattore di contrapposizione.

In ogni modo, coma ha detto mirabilmente il Concilio Vaticano II nel documento “Nostra Aetate” nel 1965, le difficoltà che incontriamo le differenti religioni sono tutte semi di verità e questo comporta da apertura, apprezzamento e dialogo.