Capitalismo, migrazioni e lotte sociali
Appunti
preliminari a una teoria dellautonomia delle migrazioni
par Sandro Mezzadra
Mise en ligne le lundi 12 septembre 2005
Version originale italienne complte de Capitalisme,
migrations et luttes sociales paru dans le numro 19 de Multitudes.
Ce texte a t publi dans le recueil collectif I
confini della libert. Per unanalisi politica delle migrazioni
contemporanee (DeriveApprodi 2004)
Fiet uti nusquam possit consistere finis
Effugiumque fugae prolatet copia semper
Lucrezio, De rerum natura,
I, vv. 982 s.
1 Migrazioni [1]e capitalismo : tema complesso, si dir.
Linsieme delle problematiche che dovrebbero essere affrontate sotto questo
titolo, tanto in prospettiva storica quanto in prospettiva teorica, anzi tale
da far tremare i polsi. Cominciamo dunque con il restringere il campo tematico
a cui questo intervento dedicato. Il contesto generale in cui vorrei
collocare il mio ragionamento quello delineato da una serie di ricerche sulla
mobilit del lavoro nel capitalismo storico (cfr. in particolare Moulier
Boutang 1998, nonch Mezzadra 2001, cap. 2). Queste ricerche hanno mostrato
come il capitalismo stesso sia contraddistinto da una tensione strutturale tra
linsieme delle pratiche soggettive in cui si esprime appunto la mobilit del
lavoro, certo da intendere anche come risposte puntuali al continuo
travolgimento degli assetti sociali tradizionali determinato dallo sviluppo
capitalistico, e il tentativo di esercitarne un controllo
dispotico da parte del capitale, attraverso la fondamentale
mediazione dello Stato. Quel che risulta da questa tensione un dispositivo
complesso, a un tempo di valorizzazione e di imbrigliamento della mobilit del lavoro nonch della specifica
forma di soggettivit che a questultima corrisponde (cfr. Read 2003, in specie
cap. 1). Le migrazioni, in questa prospettiva, costituiscono un campo
fondamentale di ricerca : non cՏ capitalismo senza migrazioni, si
potrebbe dire, e il regime di controllo delle migrazioni (della mobilit del
lavoro) che di volta in volta si afferma, in circostanze storiche determinate,
costituisce una chiave che consente di ricostruire, da un punto di vista
specifico eppure paradigmatico, le forme complessive di sottomissione del
lavoro al capitale, offrendo contemporaneamente una prospettiva privilegiata da
cui leggere le trasformazioni della composizione di classe. partendo tra
laltro da questo tipo di ricerche, che in molti, in diversi continenti e
spesso indipendentemente gli uni dagli altri, abbiamo cercato in questi anni di
sviluppare la tesi dellautonomia
delle migrazioni, intendendo
con questa formula indicare lirriducibilit dei movimenti migratori
contemporanei alle leggi dellofferta e della domanda che governano la
divisione internazionale del lavoro, nonch leccedenza delle pratiche e delle
domande soggettive che in essi si esprimono rispetto alle cause oggettive che
li determinano. Quelle che seguono sono alcune considerazioni preliminari e
assai schematiche per un approfondimento e una ulteriore precisazione di
questa tesi, con particolare riferimento alle conseguenze che ne derivano sotto
il profilo teorico-politico : a partire dalla consapevolezza che la crisi,
oggi particolarmente evidente sia se si considerano le richieste degli
imprenditori sia se si hanno di fronte le motivazioni soggettive
dei migranti , della rappresentazione dei movimenti migratori in termini
di flussi governabili pone infatti una sfida radicale a ogni
politica migratoria centrata sul concetto e su una prospettiva di integrazione (Raimondi Ricciardi 2004, in specie p. 11).
2. Se del resto proviamo a ricostruire
brevemente il modo in cui la ricerca internazionale mainstream sulle migrazioni si sviluppata negli ultimi ventanni, dobbiamo
prima di tutto sottolineare che ormai anche qui lautonomia delle migrazioni ha
trovato un riconoscimento almeno parziale. Scrivono ad esempio Stephen Castles
e Mark J. Miller, in The Age of
Migration, giunto proprio lo
scorso anno alla sua terza edizione e divenuto un classico : le
migrazioni possono anche essere caratterizzate da una relativa autonomia,
possono cio svilupparsi in modo indifferente alle politiche dei governi. []
Le politiche ufficiali spesso falliscono i loro obiettivi, e possono anzi determinare
effetti opposti a quelli auspicati. la gente, oltre ai governi, a dar forma
alle migrazioni internazionali : le decisioni prese da individui, famiglie
e comunit spesso con informazioni imperfette e con una gamma di opzioni a
disposizione estremamente ristretta giocano un ruolo essenziale nel
determinare il processo migratorio (Castles Miller 2003, p. 278). I
modelli teorici neo-classici (declinati in termini economici e/o demografici),
che riconducevano le migrazioni allazione combinata dei fattori oggettivi di
push e di pull, sono stati ampiamente criticati, e ben pochi
li ripropongono oggi in modo lineare. Lapproccio multidisciplinare la
regola, la teoria dei sistemi migratori richiama lattenzione
sulla densit storica dei movimenti di popolazione mentre il contributo degli
antropologi ha condotto a ricerche di grande interesse etnografico sui nuovi
spazi sociali transnazionali in formazione, spesso vere e proprie miniere a cui
attingere per la descrizione dei comportamenti e delle pratiche sociali in cui
materialmente si esprime lautonomia delle migrazioni (cfr. Brettell
Hollifield, eds, 2000). Lapproccio definito della new economics of
migration (Massey et al. 1993, Portes 1997), che si rapidamente
imposto come una sorta di nuova ortodossia nel dibattito internazionale, ha
sottolineato lapporto fondamentale delle reti familiari e
comunitarie nel determinare tutte le fasi del processo migratorio
e ha in particolare dato nuovo impulso a un insieme di ricerche sulle forme
etniche dimpresa che prendono forma allinterno degli spazi
diasporici e trasnanzionali costruiti dalle migrazioni : forme dimpresa
in cui proprio le reti familiari e comunitarie procurano il capitale
sociale che costituisce inizialmente il surrogato del capitale
finanziario di cui dispongono le grandi multinazionali (cfr. ad es. Jordan
Dvell 2003, p. 74).
3. Ora, una critica della nuova ortodossia
che si sta affermando nella ricerca internazionale sulle migrazioni deve a mio
giudizio partire dal fatto che, ancora una volta, siamo di fronte a una teoria
dellintegrazione sociale nel senso pieno del termine. In primo luogo,
secondo modalit classiche nel discorso pubblico statunitense dal cui interno
la nuova ortodossia venuta formandosi, essa finisce in buona sostanza per
utilizzare il riferimento alle migrazioni come conferma della mobilit sociale
verso lalto che caratterizzerebbe il sistema capitalistico e la stessa
cittadinanza statunitense. I processi di esclusione, stigmatizzazione e discriminazione,
che sono certo spesso sottolineati con enfasi nella letteratura, figurano in
questo quadro come meri effetti collaterali di un capitalismo (e di una
cittadinanza) il cui codice fondamentalmente integrativo non viene messo in
discussione, e viene anzi considerato come continuamente ricostruito e
rafforzato proprio dalle migrazioni (torneremo su questo punto). In secondo
luogo, la nuova ortodossia opera una sostanziale rimozione delle lotte
sociali e politiche dei migranti, che tra laltro, negli Stati uniti degli
ultimi anni, hanno determinato un profondo rinnovamento dello stesso sindacato,
riprendendo slancio dopo l11 settembre e trovando espressione lo scorso
autunno in uniniziativa su scala federale, la Immigrant Workers Freedom
Ride (cfr. Caffentzis 2003). Nella prospettiva della nuova ortodossia,
queste lotte sono al pi considerate come mere variabili dipendenti di un
modello di accesso alla cittadinanza essenzialmente commerciale (Honig 2001, p. 81) ; della cittadinanza statunitense,
al contempo, viene proposta unimmagine unilateralmente espansiva, che non
tiene conto n del ruolo costitutivo che nella sua storia ha giocato la
dialettica tra inclusione ed esclusione (in particolare attraverso la posizione
degli illegal aliens), n della sua gerarchizzazione interna per
linee etniche e razziali, che ha prodotto vere e proprie figure di alien citizens (cfr. Ngai 2003, in specie pp. 5-9).
4. La tesi dellautonomia delle migrazioni deve
essere dunque ridefinita e calibrata su questo sfondo, da una parte
riaffermando il nesso costitutivo tra il movimento sociale dei migranti (con
gli elementi appunto di autonomia e di eccedenza che ne innervano il profilo
soggettivo) e lo sfruttamento del lavoro vivo, dallaltra ponendo in primo piano
le lotte dei e delle migranti (Bojadzijev Karakayali
Tsianos, in questo volume) : queste lotte, del resto, dovrebbero essere
tenute presenti per le modalit con cui si determinano lungo lintero arco
dellesperienza migratoria, nonch come termine fondamentale di riferimento per
una nuova concettualizzazione del razzismo , che renda conto del
suo continuo ristrutturarsi entro rapporti sociali caratterizzati dalla
presenza dei migranti non come mere vittime ma appunto come
soggetti che esprimono resistenza e pratiche conflittuali innovative (cfr.
Bojadzijev 2002). in ogni caso evidente, e lo abbiamo sempre sottolineato,
che le migrazioni non si determinano allinterno di uno spazio vuoto. Non si
possono comprendere le migrazioni contemporanee senza tenere in conto le
trasformazioni radicali e catastrofiche che sono state determinate dai
Programmi di aggiustamento strutturale del FMI in tanti paesi africani negli
anni Ottanta, nonch dagli investimenti diretti allestero delle multinazionali
a partire dagli anni Sessanta, con la creazione delle zone di produzione
per lesportazione e lo sconvolgimento dellagricoltura tradizionale
(cfr. in particolare Sassen 1988). La tesi dellautonomia delle migrazioni si
tiene a distanza di sicurezza da ogni apologia estetizzante del
nomadismo : mentre sottolinea come linsieme dei fenomeni a cui abbiamo
fatto cenno siano stati a loro volta una risposta alle insorgenze sociali e
alle domande di cittadinanza che avevano contraddistinto la fase della cosiddetta
decolonizzazione, si propone di evidenziare la ricchezza dei comportamenti
soggettivi che allinterno di quel campo di esperienza si esprimono nelle
migrazioni. Gli elementi di turbolenza
che sempre pi le
contraddistinguono (Papastergiadis 2000) appaiono alla luce della tesi
dellautonomia delle migrazioni come eccedenze strutturali
rispetto agli equilibri del mercato del lavoro : su questa eccedenza si
gioca continuamente la ridefinizione dei dispositivi di sfruttamento, con
effetti che si irradiano sullinsieme del lavoro vivo contemporaneo.
5. Quando si parla di un regime globale di
governo delle migrazioni (cfr. ad es. Dvell 2002 e il suo saggio in questo
volume), intendendo con questa formula denotare un regime strutturalmente ibrido di esercizio della sovranit, alla cui definizione e
al cui funzionamento concorrono gli Stati nazionali (in misura sempre meno
esclusiva, ma mostrando proprio qui la propria persistenza nello scenario della
globalizzazione ), formazioni postnazionali come lUnione
europea, nuovi attori globali come l International Organization for
Migration e Organizzazioni non governative dalle finalit umanitarie,
dobbiamo avere chiaro che si parla di questo. evidente
che questo regime di governo delle migrazioni, nonostante i suoi effetti pi
immediati siano la fortificazione dei confini e laffinamento dei dispositivi
di detenzione/espulsione, non punta allesclusione dei
migranti, ma piuttosto a mettere a valore, a ricondurre a proporzioni
economiche e dunque a sfruttare gli elementi di eccedenza (di autonomia) che caratterizzano i movimenti migratori
contemporanei : lobiettivo, in altre parole, non certo quello di
chiudere ermeticamente i confini dei paesi ricchi, piuttosto quello di
stabilire un sistema di dighe, di produrre in ultima istanza, per riprendere la
formula proposta da un ricercatore statunitense a noi particolarmente vicino,
un processo attivo di inclusione del lavoro migrante attraverso la sua
clandestinizzazione (De Genova 2002, p. 439). Possiamo leggere in questa
chiave laffermazione di Claude-Valentin Marie, in un rapporto OCSE del 2000,
secondo cui il lavoratore immigrato impiegato clandestinamente nelleconomia
informale per molti aspetti emblematico dellattuale fase di globalizzazione
(Marie 2000). Proviamo a vedere alcuni di questi aspetti, dal nostro punto di vista (che non quello del rapporto OCSE). Il migrante
clandestino, possiamo affermare, la figura soggettiva in cui la massima
flessibilit del lavoro, presentandosi in prima battuta come comportamento
sociale del lavoratore o della lavoratrice, si scontra con loperare dei pi
duri dispositivi di controllo (e al limite di negazione) di quella stessa
flessibilit. Il punto non in alcun modo vedere nel migrante clandestino
una nuova potenziale avanguardia nellinsieme della composizione di classe,
ma di leggere attraverso questa specifica posizione soggettiva appunto la
composizione del lavoro vivo contemporaneo nel suo complesso, caratterizzata -
nella sua dimensione tendenzialmente globale da una
diversa alchimia di flessibilit (mobilit) e controllo, secondo una scala
fortemente diversificata. La stessa categoria di mercato del lavoro, con le
segmentazioni che lo contraddistinguono (Piore 1979), mostra intera la sua
fragilit (il suo valore men che metaforico) da questo punto di vista,
lasciando spazio a una considerazione dell incontro (per
riprendere la categoria marxiana) tra forza lavoro e capitale in cui
immediatamente, e proprio attorno al governo della mobilit, sono in gioco
rapporti di dominio e di sfruttamento. Questi rapporti con la loro violenza
costitutiva - rimescolano continuamente le carte e scompaginano i modellini
teorici, mostrando ad esempio, per limitarci a un punto particolarmente
importante nella nostra discussione, la contemporaneit di estrazione di
plusvalore assoluto e plusvalore relativo, di sussunzione formale e sussunzione
reale del lavoro sotto il capitale, di lavoro immateriale e lavoro
coatto ; portando alla luce il nesso strutturale tra la new economy e le nuove forme di accumulazione originaria con le
loro nuove recinzioni.
6. Lo specifico vantaggio della tesi
dellautonomia delle migrazioni consiste dunque nella possibilit che offre di
ricostruire un quadro delle trasformazioni del capitalismo contemporaneo dal
punto di vista del lavoro vivo e della sua soggettivit. Dobbiamo fare, a questo proposito, un passo
indietro, e tornare (lo avevamo del resto annunciato) a considerare la nuova
ortodossia che si affermata nella ricerca internazionale proprio in uno dei
punti in cui sembra concedere maggiore spazio allautonomia delle
migrazioni : nella considerazione dellapporto fondamentale delle reti
familiari e comunitarie. Criticando limmagine astratta dellindividuo
razionale come protagonista dei movimenti migratori, a lungo presupposta
dallapproccio neo-classico, scrive ad esempio Alejandro Portes :
ridurre ogni cosa al piano individuale significa limitare in modo
inaccettabile la ricerca, precludendosi la possibilit di utilizzare come base
di analisi e di prognosi unit pi complesse, come le famiglie, le reti
parentali e le comunit (Portes 1997, p. 817). Solo in questo secondo
modo lesperienza sociale reale entrerebbe nel campo analitico. Ora, facile
vedere, qui, un preciso parallelo tra la critica sviluppata dalla new
economics of migration nei confronti delleconomia neo-classica e la
critica comunitaria alla teoria liberale. Questo parallelo trova conferma nelle
posizioni sostenute a proposito dellimmigrazione da Michael Walzer, secondo
cui il principale apporto delle ondate migratorie che si
indirizzano verso gli Stati uniti consiste proprio nel fatto che i migranti
recano in dono alla societ daccoglienza quei correttivi comunitari, quel supplemento
affettivo del legame sociale, che lo sviluppo del capitalismo mette
continuamente in discussione (cfr. in particolare Walzer 1992). Credo che
questo parallelo dovrebbe metterci in guardia dallutilizzare in modo acritico
i riferimenti alle reti familiari e comunitarie. evidente infatti, ed stato
brillantemente argomentato da Bonnie Honig in un libro importante, Democracy and the Foreigner (2001, pp. 82-86), che lispirazione
progressista di Walzer si presta a essere obliterata senza difficolt in una
serie di discorsi che pongono laccento sullimportanza che i e le migranti
(alcuni e alcune pi di altri, ovviamente) possono rivestire nel ristabilire la
vigenza di ruoli e codici sociali che sono stati messi in discussione in
Occidente dai movimenti degli ultimi decenni. Non sembri un riferimento
astratto o poco perspicuo : un intero settore di mercato in fortissima
espansione, quello in cui operano le nuove agenzie matrimoniali transnazionali,
nato attorno a una domanda maschile di ri-normalizzazione patriarcale dei
ruoli di genere allinterno della famiglia, offrendo donne docili e
affettuose , per cui le uniche cose che contano sono la famiglia e
i desideri del marito (Honig 2001, p. 89). Ed inutile dire che la
xenofilia nutrita da esotismo e fantasie di una nuova mascolinit
ben si presta a tradursi in xenofobia di fronte alla scoperta che molte delle
donne presentate come docili e affettuose sono in realt
interessate solo alla green
card, e approfittano della
prima occasione per tagliare la corda
7. Ecco, credo che ancora una volta siano le
linee di fuga seguite da queste donne, a cui varrebbe la pena di accostare i
comportamenti di tante sex-workers extra-comunitarie nellEuropa di Schengen
(cfr. Andrijasevic 2004), a offrirci un punto di vista privilegiato per
ragionare della soggettivit dei e delle migranti. Non si tratta,
evidentemente, di operare un recupero delleconomia neo-classica e di pensare
il/la migrante attraverso la figurina astratta dellindividuo razionale. La
ricerca femminista sulle migrazioni, per il fatto stesso di essersi sviluppata
in un campo teorico segnato dalla critica radicale di quella immagine, ha qui,
credo, molto da insegnarci (cfr. ad es., tra la letteratura pi recente,
Ehrenreich - Hochschild, a c. di, 2003). Quella che viene descritta come
crescente femminilizzazione delle migrazioni (cfr. ad es. Castles Miller
2003, p. 9) del resto uno straordinario campo dindagine da questo punto di
vista. chiaro che siamo qui di fronte a processi profondamente ambivalenti. In una recente ricerca, analizzando la condizione
delle lavoratrici domestiche filippine nelle citt di Roma e Los Angeles,
Rhacel Salazar Parreas (2001) ha evidenziato il gioco complesso di fuga dai
rapporti patriarcali nel paese dorigine, sostituzione nel lavoro affettivo e
di cura delle donne emancipate dellOccidente e riproduzione di condizioni di
subordinazione di classe e di genere che certo caratteristico di buona parte
delle migrazioni femminili contemporanee. Probabilmente il discorso potrebbe
essere approfondito e precisato se disponessimo di pi materiali di ricerca
sulle migrazioni femminili allinterno del Sud globale, con particolare
riferimento ai movimenti di forza lavoro che hanno sostenuto la produttivit
delle zone di produzione per lesportazione . Quel che certo,
tuttavia, che nelle migrazioni si esprimono processi di disgregazione
(nonch, certamente, di continua ricomposizione e rimessa in gioco) dei
sistemi tradizionali di appartenenza che rendono improponibile analiticamente
e politicamente limmagine del migrante che circola ampiamente nella
letteratura internazionale sulle migrazioni : ovvero limmagine del
migrante come soggetto tradizionale, completamente embedded in reti familiari e comunitarie, di fronte a cui si staglia (per
trarne conforto o per esprimere risentimento) lindividuo occidentale. Per riprendere unimmagine lacaniana ma di cui si
potrebbero agevolmente ritrovare gli antecedenti in Marx il/la migrante un
soggetto barrato , che vive un rapporto complesso e
contraddittorio con lappartenenza, comunque sia questultima definita. da
questa barra (per semplificare : il punto di scontro tra
lazione individuale e le circostanze di tempo e di spazio che la
circoscrivono, inscrivendola nel segno di una privazione non risarcibile) che
dobbiamo partire per elaborare una lettura politica delle migrazioni contemporanee.
8. Diciamolo subito, a scanso di
equivoci : la barra non altro che una metafora, forse neppure
particolarmente felice. E occorre maneggiare con cura le metafore, parlando
della condizione dei migranti. Abbiamo gi fatto cenno, per prenderne le
distanze, alla tendenza diffusa, soprattutto negli studi culturali
anglosassoni, a produrre, attorno alle migrazioni, apologie disincarnate ed
estetizzanti del nomadismo e dello sradicamento. Anche guardando alla posizione
assolutamente privilegiata che il riferimento al profugo e al migrante ha
assunto nel dibattito filosofico e teorico-politico contemporaneo (da Derrida
ad Agamben, da Hardt e Negri a Balibar, per fare soltanto qualche nome), non si
pu evitare di avvertire di tanto in tanto limpressione che, nel proliferare
delle metafore e delle immagini evocative, vada perduta proprio lesperienza materiale,
sensibile verrebbe da dire, dei e delle migranti, con il suo carico di ambivalenza. Il rischio , per dirla con il compianto Edward
Said, di dimenticare che lesilio qualcosa di singolarmente avvincente
a pensarsi, ma di terribile a viversi (Said 1984, p. 173). A favore
delluso di un linguaggio metaforico tuttavia, ma anche come salutare monito
rispetto ai suoi limiti, si pu citare uno straordinario libro e reportage
fotografico degli anni Settanta, che si proponeva proprio di illustrare lesperienza dei lavoratori immigrati. Il linguaggio della
teoria economica , si leggeva in quel libro (A Seventh Man), necessariamente astratto. E cos, se ci si
propone di cogliere le forze che determinano la vita del migrante e di
comprenderle come parte del suo destino personale, abbiamo bisogno di una
formulazione meno astratta. Abbiamo bisogno di metafore : e le metafore
sono temporanee, non sostituiscono la teoria (Berger Mohr 1975, p.
41). Abbiamo bisogno di metafore, possiamo aggiungere trentanni dopo, tanto
pi in una situazione quale quella del capitalismo globale contemporaneo, che
proprio le migrazioni ci consentono di cogliere in alcuni dei suoi tratti
maggiormente innovativi in cui sembrano essere decisamente saltate le distinzioni
tradizionali tra economia, politica e cultura ; in cui non pi possibile
parlare di sfruttamento e di valorizzazione del capitale senza porsi
contemporaneamente il problema di comprendere le trasformazioni della
cittadinanza e delle identit ; in cui non pi possibile parlare di
classe operaia senza al tempo stesso rendere conto dellinsieme dei processi di
disarticolazione del piano delle appartenenze (processi su cui impresso il
segno indelebile della soggettivit del lavoro vivo) che la configurano in modo
irreversibile come moltitudine. La condizione dei migranti si pone
precisamente nel punto di incrocio di questi processi : e in fondo anche
le discussioni filosofiche apparentemente pi astratte in cui si conquistata
un posto di primo piano sono dominate dallurgenza di riflettere su di essi.
9. Vorrei, avviandomi a concludere, richiamare
lattenzione su un problema ulteriore, di definizione politica della condizione dei migranti. In che modo, una volta stabilito il
carattere paradigmatico di tale condizione ed evidenziati gli elementi di
autonomia, di eccedenza, che innervano le migrazioni contemporanee considerate
come movimenti sociali, possiamo e dobbiamo comprendere le lotte dei
migranti ? In che prospettiva si inscrivono, qui e ora ? Per reperire
prime, parziali risposte, ma anche per indicare i limiti della nostra
immaginazione politica, vorrei riferirmi a due libri, scelti perch li
considero tra i pi importanti contributi ai dibattiti teorico-politici degli
ultimi anni : La Msentente, di Jacques Rancire e il gi citato Democracy and the Foreigner, di Bonnie Honig. Le linee generali del
ragionamento di Rancire sono note, e si possono quindi brutalmente
semplificare : la politica esiste soltanto come soggettivazione di parte
che scompagina, riattivando la contingenza delluguaglianza, n
aritmetica n geometrica, tra tutti gli esseri dotati di linguaggio , il
conto delle parti (larchitettura distributiva) su cui poggia
quella che Rancire stesso, sulla scorta di Foucault, definisce polizia (Rancire 1995, pp. 50 s.). difficile resistere
alla tentazione di leggere il riferimento alla parte dei
senza-parte , attorno a cui ruota lintero ragionamento di Rancire,
attraverso le lotte dei sans-papiers del 1996, lanno successivo alla
pubblicazione di La Msentente. lo stesso Rancire, del resto ad
autorizzare questa lettura, sottolineando come gli immigrati
fossero un soggetto relativamente nuovo in Francia, per la semplice ragione che
ventanni prima si sarebbero chiamati lavoratori immigrati , e
avevano dunque una parte precisa nel meccanismo distributivo di un
regime determinato (fordista, potrebbe aggiungere qualcuno) di
polizia (cfr. ivi, pp. 161 s.) : divenuti senza parte, gli
immigrati (o i migranti, come preferiamo dire) si avviavano a essere i
candidati naturali per quel ruolo di parte dei senza parte
dalla cui soggettivazione soltanto, come in et moderna hanno mostrato in
particolare le lotte proletarie e le lotte delle donne, pu derivare lazione politica - e dunque la reinvenzione delluniversale. Il
ragionamento di Bonnie Honig ripete per lessenziale, sia pure allinterno di
un diverso quadro analitico, quello di Rancire : criticando in modo assai
convincente lomologia tra limmagine xenofila - dello
straniero come soggetto che ha qualcosa da dare e limmagine -
xenofoba - dello straniero come soggetto interessato a
prendere qualcosa dalla societ in cui si stabilisce, Honig, con
una mossa indubbiamente affascinante, propone di rovesciare i termini, e di
provare a pensare proprio questo prendere come ci che i migranti
hanno da darci (Honig 2001, p. 99). Le pratiche in cui secondo Honig si esprime la cittadinanza dei migranti (anche in
condizioni di radicale esclusione dalla cittadinanza codificata
giuridicamente), in altri termini, metterebbero strutturalmente in discussione
il fondamento della democrazia ; e ne riaprirebbero il movimento oltre la
sua configurazione istituzionale, in direzione di un approfondimento e di una
riqualificazione tanto in senso intensivo quanto in senso estensivo (oltre,
cio, i confini dello Stato nazionale). Il riferimento a Rancire esplicito,
entro una concezione della politica in cui sono le rivendicazioni di coloro che
non rientrano nel conto dei regimi di polizia a
promuovere il sorgere di nuovi diritti, nuovi poteri, nuove
visioni (ivi, p. 101).
10. Fermiamoci un attimo a considerare
limmagine della comunit politica che cos prende forma :
la comunit politica, scrive Rancire, una comunit di interruzioni,
di fratture, puntuali e locali, attraverso le quali la logica egualitaria
separa la comunit della polizia da s stessa (Rancire 1995, p. 186).
Si vede bene, mi pare, che siamo qui di fronte a una teoria che pu essere
definita della democrazia radicale , nel senso che linsorgenza
politica della parte dei senza-parte pensata come momento di disarticolazione
di un regime specifico di polizia , di apertura, che non pu tuttavia che mettere capo a un altro regime di
polizia , con le sue parti e con la sua parte dei
senza-parte . Sia chiaro : il punto non quello di schiacciare il
lavoro di Rancire sullopera che ha dato inizio al dibattito sulla democrazia
radicale, notoriamente quella di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, Hegemony and Socialist Strategy. Towards a
Radical Democratic Politics,
la cui prima edizione risale al 1985. Il libro di Rancire a mio parere
infinitamente pi ricco e interessante, in primo luogo perch pone il problema
della produzione della democrazia e non assume questultima,
come fanno Laclau e Mouffe sulla base della loro reinterpretazione del concetto
di egemonia, come qualcosa di dato, in ultima istanza coincidente con la generalit dell articolazione politica che si contrappone
al carattere strutturalmente parziale delle singole lotte sociali
(cfr. Laclau Mouffe 1985, in specie p. 169). Se tuttavia un merito va
riconosciuto a Laclau e Mouffe precisamente quello di avere anticipato una
costellazione di problemi destinata a segnare un lungo ciclo storico. il
movimento globale degli ultimi anni nel suo complesso ad avere inscritto la
propria azione allinterno di un campo di riferimenti che in senso lato pu
essere definito democratico-radicale e la naturalezza con cui questo
movimento ha parlato il linguaggio dei diritti ne a mio giudizio una chiara
illustrazione. Anche le proposte teoriche pi interessanti emerse negli ultimi
anni (da quella di Hardt e Negri a quella di Holloway, per citarne due per molti
aspetti assai distanti tra loro) innovano profondamente il quadro, lo forzano,
ma non offrono effettive alternative a una prospettiva di approfondimento
(intensivo ed estensivo, come si visto con Honig) della democrazia. Per
tornare ai migranti, sia la ricerca di tienne Balibar sia le nostre stesse
pratiche politiche e teoriche si sono mosse sostanzialmente allinterno dello
stesso scenario.
11. Ora, il problema, a questo riguardo, non
solamente la natura per cos dire contro-fattuale di questi discorsi sulla
democrazia (nel senso che levoluzione delle democrazie reali
proceduta in questi anni in tuttaltra direzione). Si tratta di capire,
senza ricadere in dogmi e certezze che bene consegnare senza rimpianti al
passato, se possibile tornare a immaginare una discontinuit nella storia politica della democrazia moderna, una
rottura nella continuit del dominio e dello sfruttamento su cui poggia il modo
di produzione capitalistico. Era questo, in fondo, il marxiano sogno di
una cosa , la rivoluzione, il comunismo. Non si tratta di tornare a giocare il
comunismo contro la democrazia (comunque definita) : abbiamo imparato a
distinguere ed un punto che spesso sembra perdere di vista Slavoj Zizek,
che ha comunque avuto il merito di richiamare lattenzione sullordine di
problemi che stiamo discutendo (cfr. da ultimo Zizek 2004, pp. 183-213) la
democrazia come sistema
istituzionale di equilibro
(come forma di governo, nei termini classici) e la democrazia come movimento, capace di articolare politicamente un insieme di
istanze soggettive che eccedono sia la codificazione istituzionale della
cittadinanza sia la trama delle relazioni mercantili. Lette insieme, la crisi
dei sistemi di welfare nellEuropa occidentale e quella del
socialismo reale ci mostrano proprio questa sconnessione (cfr.
Piccinini 2003). Il punto , tuttavia, che tra democrazia come forma di governo
e democrazia come movimento deve pur determinarsi un rapporto, e questo
rapporto, nelle logiche della democrazia, non pensabile altrimenti che nelle
forme dellequivalenza (del conto delle parti , nel
lessico di Rancire) : per restare al nostro argomento, gli elementi di
eccedenza e di autonomia che contraddistinguono le migrazioni contemporanee non
possono trovare riconoscimento, nella prospettiva della democrazia radicale, se
non attraverso una mediazione con linsieme delle proporzioni su cui si fonda
la finzione del mercato del lavoro, ma senza poterne mettere in discussione la violenza costitutiva. Detto in altri termini : quel che
qui si palesa, e che stato tra laltro ben evidenziato dalle vicissitudini e
in ultima istanza dallo scacco del marxismo analitico ,
lirriducibilit dello sfruttamento a qualsivoglia teoria della giustizia.
Possiamo allora, forse, convenire provvisoriamente su unennesima
metafora : il comunismo oggi pensabile come il supplemento della democrazia radicale, interno al suo orizzonte
ma irriducibile alle sue logiche, come indicazione dei limiti del movimento democratico e del campo di possibilit politiche che da questultimo viene strutturalmente
escluso. In questa direzione mi pare che si stia muovendo il nostro lavoro
sullautonomia delle migrazioni, nella misura in cui porta alla luce la ricca
trama soggettiva di istanze che, nelle migrazioni contemporanee, si esprimono
in forme non riconducibili alla dialettica del riconoscimento democratico.
Riferimenti
bibliografici
Andrijasevic, R. 2004, I confini fanno la differenza :
(il)legalit, migrazione e tratta in Italia dallest europeo, in Studi culturali , I, 1, pp.
59-82.
Berger,
J. Mohr, J. 1975, A Seventh Man. A Book of Images and Words about the Experience of
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[1] Il testo rielabora una relazione presentata
al convegno internazionale Indeterminate ! Kommunismus, svoltosi a
Francoforte dal 7 al 9 novembre 2003.