REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
la Lombardia - Sezione staccata di Brescia - ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
su ricorsi:
- n. 226 /2003 proposto da
DUSHA SOKOL
rappresentato e difeso dallAvv. Paolo Momoli ed elettivamente
domiciliato presso la Segreteria della Sezione, in Brescia, via Malta n. 12;
e
- n. 738 /2003 proposto da
BELGHITH ESSAIED
BEN BRAIEK
rappresentato e difeso dallAvv. Stefano Orlandi ed elettivamente
domiciliato presso la Segreteria della Sezione, in Brescia, via Malta n. 12;
contro
IL MINISTERO DELL'INTERNO
IL QUESTORE DI MANTOVA
rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale
dello Stato ed elettivamente domiciliati presso i relativi uffici, in Brescia,
via S. Caterina n. 6,
per lannullamento
-
del provvedimento n. 6-03 in data 23.1.2003, con il quale il Questore di
Mantova ha disposto il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno (ricorso n.
226/2003);
-
del provvedimento n. 111/03 in data 19.5.2003, con il quale il Questore di
Mantova ha disposto il rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno (ricorso n.
738/2003);
Visti i ricorsi con i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in
giudizio delle amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato, quale relatore alla
pubblica udienza del 12.4.2005, il Dott. Gianluca Morri;
Uditi i difensori delle
parti;
Ritenuto in fatto e considerato in
diritto quanto segue:
FATTO
Il ricorrente Sig. Dusha Sokol inoltrava
al Questore della Provincia di Mantova, in data 20.7.2002, istanza per il
rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per motivi di lavoro fino al
6.8.2002.
Il Questore ha negato il rinnovo del
permesso di soggiorno ritenendo che lo straniero non possedesse le condizioni
richieste dagli articoli 4 comma 3, 5 e 6 del D.Lgs. n. 286 del 1998, come
modificato dalla Legge n. 189 del 2002, accertato che a carico dello stesso
risultavano i seguenti precedenti penali e di polizia:
- 4.12.1996: condanna alla pena di mesi 9
di reclusione e lire 200.000 di multa, ritenuta la continuazione tra i reati di
falsit materiale commessa da privato e contraffazione di pubblici sigilli
destinati a pubblica autenticazione - sentenza del Tribunale di Mantova
irrevocabile il 20.2.1997;
- 21.12.1999: condanna alla pena di anni
1 mesi 8 di reclusione e lire 8.000.000 di multa, con pena patteggiata ex art.
444 c.p.p., per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti -
sentenza del GIP del Tribunale di Bari e irrevocabile il 3.2.2000.
Analogamente il ricorrente Sig. Belghith
Essaied Ben Braiek inoltrava al Questore della Provincia di Mantova, in data
6.3.2003, istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per
motivi di lavoro fino al 26.2.2003.
Il Questore ha negato il rinnovo del
permesso di soggiorno per gli stessi motivi visti in precedenza, ritenendo che
lo straniero non possedesse le condizioni richieste, per il soggiorno in
Italia, dalla normativa in vigore, accertato che a carico dello stesso risultavano
i seguenti precedenti penali e di polizia:
- 16.1.2000: sottoposto a fermo di P.G.
da parte del personale della Squadra mobile della Questura di Mantova per il
reato di spaccio di sostanze stupefacenti;
- 22.2.2000: tratto in arresto da parte
del personale della Squadra volante della Questura di Mantova per il reato di
furto aggravato;
- 17.8.2000 - 17.1.2002: tratto in
arresto da parte del personale della Polizia di frontiera aerea di Malpensa in
esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere n. 1168/99 R.G.N.R.
e n. 1625/00 R.G. GIP emessa il 22.5.2000 dal Tribunale di Mantova;
- 25.1.2001: condannato alla pena di anni
1 e mesi 8 di reclusione e 3.500.000 di multa, con pena patteggiata ex art.
444 c.p.p., per il reato di detenzione a fine di spaccio di sostanze
stupefacenti in concorso - sentenza del GIP del Tribunale di Mantova
irrevocabile il 28.2.2001.
Contro i citati provvedimenti, i
Sig.ri Dusha Sokol e Belghith
Essaied Ben Braiek proponevano ricorso, avanti questa Sezione, sostenuto da una
serie di motivi volti, nella sostanza, a censurare la normativa posta a base
del rifiuto sotto diversi profili di illegittimit per violazione degli artt.
2, 3, 13, 25 comma 3 e 27 comma 3, della Costituzione, chiedendo a questo
giudice di sollevare la relativa questione di legittimit costituzionale.
La Sezione, con precedenti
ordinanze n. 683 del 15.5.2003 e n. 1190 del 25.8.2003, rimetteva alla Corte
costituzionale la questione di cui sopra; questione dichiarata tuttavia
inammissibile dalla stessa Corte costituzionale con ordinanza n. 9 del
14.1.2005 per difetto della necessaria rilevanza, avendo essa osservato che
sarebbero state assunte come presupposto del precedente rinvio le conseguenze
che i ricorrenti potrebbero subire in ordine alla loro successiva espulsione
dal territorio nazionale.
Alla stregua di quanto precede il
Collegio dell'avviso di dover riproporre alla Corte costituzionale le
questioni di incostituzionalit dichiarate inammissibili, illustrando pi
chiaramente le specifiche e concrete ragioni per le quali sommessamente si
reputa sussistente la rilevanza, ai fini del decidere, delle questioni
predette.
DIRITTO
1. Si dispone preliminarmente la riunione
degli odierni ricorsi stante la loro connessione parzialmente soggettiva e la
medesima questione di diritto sottoposta all'esame di questo giudice.
2. Per quanto concerne la rilevanza della
questione di incostituzionalit, giova innanzitutto premettere che l'art. 5
comma 5 del D.Lgs. 25.7.1998 n. 286 stabilisce che: Il permesso di soggiorno
o suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno stato rilasciato,
esso revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per
l'ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato. A sua volta l'art. 4 comma 3
dello stesso Decreto legislativo, come modificato dallart. 4 comma 1 lett. b)
della Legge 30.7.2002 n. 189, stabilisce che non ammesso in Italia lo
straniero: ".....che risulti condannato, anche a seguito di
applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di
procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380 commi 1 e 2 del codice
di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libert
sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e
dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri stati o per reati diretti
al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento
della prostituzione o di minori da impiegare in attivit illecite".
L'implicito rinvio contenuto nell'art. 5
comma 5 del D.Lgs. n. 286 del 1998 (nella parte in cui richiama i requisiti
richiesti per l'ingresso dello straniero nel territorio dello Stato), all'art.
4 comma 3 dello stesso D.Lgs. (nel testo modificato dallart. 4 comma 1 lett.
b, della Legge 30.7.2002 n. 189), rende palese che in presenza di una condanna
per uno dei reati previsti da quest'ultima norma, il diniego di rinnovo del
permesso di soggiorno rappresenti un epilogo scontato e perentorio, non
prevedendo la norma all'esame che, alla ricognizione dell'indicato presupposto,
sia associata alcuna concorrente valutazione, da parte della procedente
autorit, con specifico e diretto riferimento al rilievo, sul piano della
sicurezza pubblica, del singolo episodio ostativo.
Nel caso di specie la condanna subita dai
ricorrenti per il reato inerente agli stupefacenti preclude dunque
l'accoglimento dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, integrando,
l'applicazione della ridetta norma, lesercizio di una attivit amministrativa
rigorosamente vincolata, come tale priva di ogni possibile spazio per una
interpretazione adeguatrice nei termini dell'insegnamento che i giudici di
merito debbono prioritariamente trarre dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale.
Corollario del suesposto ordine
argomentativo che una eventuale declaratoria di illegittimit costituzionale
dell'art. 5 comma 5 e dell'art. 4 comma 3 (nel testo modificato dallart. 4
comma 1 lett. b, della Legge 30.7.2002 n. 189), del D.Lgs. n. 286 del 1998,
nella parte in cui attribuiscono automatica rilevanza alle condanne pronunciate
anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444
del codice di procedura penale, comporterebbe l'accoglimento dei ricorsi,
mentre una eventuale pronuncia di infondatezza della questione di
incostituzionalit comporterebbe necessariamente la loro reiezione.
3. Sotto il profilo della non
manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che il combinato disposto dell'art.
5 comma 5 e dell'art. 4 comma 3 (nel testo modificato dallart. 4 comma 1 lett.
b, della Legge 30.7.2002 n. 189), del D.Lgs. n. 286 del 1998, si ponga in
contrasto con gli artt. 3, 4, 16, 27 e 35 della Costituzione per i seguenti
motivi concorrenti tra loro, analiticamente sviluppati nei punti successivi:
a) nella parte in cui pone quale
elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno la condanna per
determinati reati subita a seguito di applicazione della pena ai sensi
dell'art. 444 del codice di procedura penale in epoca precedente l'entrata in
vigore della Legge n. 189 del 2002;
b) nella parte in cui introduce un
automatismo nel negare il rinnovo del permesso di soggiorno a fronte di una
condanna per determinati reati anche di lieve o lievissima entit;
c) nella parte in cui sottrae
all'autorit amministrativa il potere di valutazione della pericolosit sociale
del cittadino extracomunitario, al fine di tutelare l'ordine e la sicurezza
pubblica nello Stato italiano.
4. La prima questione che appare
non manifestamente infondata (sub punto 3 lett. a), in relazione all'art. 3
della Costituzione, letto in correlazione con gli artt. 4, 16, 27 e 35 della
stessa Carta fondamentale, sotto il profilo dellirragionevolezza della scelta
compiuta dal Legislatore, riguarda la fase di prima applicazione della Legge n.
189 del 2002, nella quale assumono rilevanza, ai fini del diniego di rinnovo
del permesso di soggiorno dello straniero gi presente sul territorio
nazionale, anche le sentenze di patteggiamento pronunciate a norma degli
articoli 444 e ss. del codice di procedura penale, senza alcuna necessaria
distinzione tra quelle emesse in epoca antecedente l'entrata in vigore della
stessa Legge n. 189 del 2002 e quelle successive.
Con ci pare, quindi, emergere un
sostanziale e irragionevole disconoscimento delleffetto premiale proprio della
sentenza di patteggiamento operato dalla Legge n. 189 del 2002, indotto
dall'introduzione, nel quadro di riferimento dell'imputato articolato sulla
base di vantaggi e svantaggi soggettivamente apprezzabili, di un elemento
sopravvenuto, ma certamente rilevante, siccome preclusivo della prosecuzione
della legittima permanenza del cittadino extracomunitario sul territorio
nazionale, potenzialmente capace di suggerire una opposta decisione circa la
scelta del rito processuale.
Per questo primo aspetto, proprio
la Corte costituzionale, con sentenza n. 394 del 25.7.2002, dichiarando l'illegittimit costituzionale dell'art. 10,
comma 1, della legge 27.3.2001 n. 97, ha escluso che gli artt. 1 e 2 della
stessa legge possano riferirsi anche alle sentenze di applicazione della pena
su richiesta, pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore, nellambito
di procedimenti disciplinari contro pubblici dipendenti.
In tale occasione stato ritenuto che la componente negoziale insita nell'istituto
del patteggiamento esiga una consapevole manifestazione di volont
dell'imputato, ed imponga di preservare la genuinit dell'accordo non tanto quando violi una aspettativa generica e
non titolata di permanente vigenza di una determinata disciplina legislativa
(aspettativa che, in termini cos generali, non pu essere tutelata), ma quando
invece leda un affidamento qualificato e costituzionalmente protetto nonch
l'effettivit del diritto di difesa nel procedimento disciplinare.
Nel caso in esame l'aspettativa
che appare rilevante, meritevole di tutela e di salvaguardia, quella che non
possa essere insuperabilmente incisa la legittima permanenza dello straniero
sul territorio italiano, beneficiando delle opportunit che essa offre in termini
di attivit lavorative (art. 4 Cost.), nonch escluso lesercizio di tutte le
altre prerogative costituzionalmente riconosciute e protette, contenute negli
articoli della Costituzione sopra richiamati (artt. 13, 16 e 35), quali
espressioni di libert e di sviluppo della personalit umana dell'individuo sia
come singolo che nelle formazioni sociali in cui essa si svolge (art. 2 Cost.).
5. Il Collegio, sotto altro
profilo (sub punto 3 lett. b-c), ritiene non manifestamente infondata la
questione di legittimit costituzionale dellart. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286
del 1998, nella parte in cui, in correlazione con lart. 4, comma 3, ultimo
periodo del medesimo Decreto legislativo, relativamente allo straniero
regolarmente soggiornante in Italia, pone quale automatico, inderogabile ed
assoluto elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno (con obbligo
della sua revoca) un'unica ed isolata condanna per determinati reati, anche di
lieve o lievissima entit, senza che possa assumere rilievo alcuno lesame in
concreto delleventuale pericolosit sociale dellistante compiuto
dallAutorit amministrava.
Nel caso in esame risulta
automaticamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno la condanna
subita dai ricorrenti per un reato inerente agli stupefacenti.
In tal modo la norma pare violare
lart. 3 della Costituzione ed i principi di parit di trattamento,
ragionevolezza, adeguatezza, pertinenza, congruit, proporzionalit e di
coerenza interna della legge, nonch i diritti fondamentali dello straniero
regolarmente soggiornante in Italia e quindi, segnatamente, gli artt. 4, 16, 27
e 35 della Costituzione.
5.1 Invero la regolamentazione
della materia dellingresso e del soggiorno collegata alla ponderazione di
svariati interessi pubblici, quali la sicurezza e la sanit pubblica, lordine
pubblico, i vincoli di carattere internazionale, la politica nazionale in tema
di immigrazione. evidente che tale ponderazione spetta, in via primaria, al
Legislatore che possiede, in materia, unampia discrezionalit.
noto, tuttavia, che la
discrezionalit legislativa incontri un limite costituzionale, integrato dalla
preclusione di compiere scelte manifestamente irragionevoli (vedi: Corte cost.:
sent. n. 104/1969; 144/1970; 62/1994).
In proposito sembra ipotizzabile
una netta distinzione tra il primo ingresso di un c.d. migrante economico, per
il quale un siffatto rigoroso divieto non appare irragionevole per un
Legislatore, il cui scopo contenere il fenomeno, contingentare e programmare
il numero dei flussi migratori e non ammettere coloro che, in una logica di
prevenzione dellordine pubblico e della sicurezza dei propri cittadini,
abbiano preventivamente subito una condanna penale per determinati reati
individuati dallo stesso Legislatore.
Una tale limitazione, bench
astrattamente possa comportare la compressione di alcuni diritti fondamentali
dello straniero, non parrebbe in contrasto con norme e principi di rango
costituzionale, atteso che il detto divieto teleologicamente connesso con una
peculiare situazione di fatto, posto che, in questo caso, lo straniero privo
di uno stabile legame con la comunit nazionale e quindi di un ragionevole
affidamento sullo Stato italiano.
La situazione appare invece
radicalmente opposta nellipotesi che lo straniero sia gi stabilmente e
regolarmente soggiornante in Italia, ove dimori in base ad un titolo che,
seppure normalmente a termine, esprima un tasso di stabilit con ragionevole
aspettativa ad un suo consolidamento.
In questo caso appare ipotizzabile
che le garanzie dei diritti dello straniero non possano subire vulnerazioni se
non in stretto collegamento con lesigenza di tutela di altri beni
costituzionalmente rilevanti.
Per conseguenza la preclusione
allulteriore permanenza degli stranieri gi regolarmente soggiornanti in
Italia, attuata attraverso il diniego del permesso di soggiorno, pare destinata
a confliggere con i ricordati principi di parit di trattamento,
ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalit e di coerenza interna della legge,
ove manchi lindividuazione di una diversa ratio normativa, che non sia riconducibile alla meccanica
necessit di una riduzione della presenza dei cittadini extra comunitari nel
territorio nazionale.
Alla stregua di tali
considerazioni appare non manifestamente infondata la questione di legittimit
costituzionale degli artt. 4 comma 3 e 5, comma 5, del Dlgs. 286 del 1998,
letti in stretta connessione tra loro, in quanto, per lo straniero regolarmente
soggiornante in Italia, solo laccertamento in concreto della pericolosit sociale
attuale del soggetto, quale espressione della discrezionale potest
dellAutorit di pubblica sicurezza, pare presupposto idoneo a giustificare,
sul piano legislativo, lassunzione di una misura cos grave quale il mancato
rinnovo del permesso di soggiorno o la sua revoca, che comportano
limpossibilit di esercitare i diritti civili e sociali connessi alla
legittima permanenza sul territorio con potenziale riduzione alla
clandestinit, come tale fonte maggiore di rischi per la sicurezza pubblica.
Lautomatismo previsto dalla norma
appare poi irragionevole anche per un ulteriore profilo. Esso, infatti,
equipara ad ogni effetto, rispetto allavvenuta commissione di un isolato
reato, la situazione dello straniero regolarmente soggiornante che non socialmente
pericoloso (della cui regolare permanenza la stessa comunit nazionale potrebbe
proficuamente giovarsi) a quella dello straniero socialmente pericoloso il cui
allontanamento sarebbe invece giustificato da esigenze di tutela dellordine
pubblico.
5.2 Il delineato sistema previsto dalla norma per il
diniego del rinnovo del permesso di soggiorno o per la sua revoca allo
straniero regolarmente soggiornante in Italia, appare violare, compromettendo
irragionevolmente ogni legame sociale dallo stesso stabilito in Italia, anche
gli articoli 4 (diritto al lavoro), 27 (secondo cui la pena deve tendere alla
rieducazione del condannato) e 35
(secondo cui la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni),
della Costituzione.
La lesione appare evidente ove si
consideri quali siano i plurimi effetti che derivano dal mancato rinnovo del
permesso di soggiorno, che comporta, innanzi tutto, limpossibilit di svolgere
un lavoro regolare per la legittima acquisizione dei mezzi di sostentamento,
condannando di fatto linteressato ad una condizione di irregolarit e
clandestinit, ossia ad una sorta di moderna capitis deminutio.
5.3. N potrebbe ipotizzarsi che
la condanna per la commissione di un unico ed isolato reato possa essere
ragionevolmente considerata di per s sintomo di pericolosit sociale (il
principio gi stato affermato da Corte Cost. 18.2.2005, n. 78 con riferimento
alla mera denuncia).
La Corte Costituzionale ha
riconosciuto la legittimit, in via di principio, del ricorso a presunzioni
legali di pericolosit, cio a tecniche normative di tipizzazione di
"fattispecie di pericolosit" cui collegare l'applicazione
obbligatoria ed automatica di determinate misure, indipendentemente da ogni
altra considerazione e da eventuali ulteriori accertamenti.
Ha tuttavia precisato che tali
presunzioni debbono necessariamente fondarsi razionalmente su "comuni
esperienze" (cio sull'id quod plerumque accidit).
Al di fuori di questa ipotesi non
rientra dunque nella discrezionalit del Legislatore lo stabilire se e quali
spazi riservare all'accertamento ed alla valutazione della pericolosit sociale
da compiersi in relazione al singolo caso concreto (cfr. Corte costituzionale,
27.7.1982, n. 140 che ha ritenuto infondata la questione di illegittimit costituzionale
delle norme che prevedono una presunzione di pericolosit sociale in caso di
ipotesi qualificate di reiterazione del reato, quali labitualit; cfr. Corte
costituzionale, 27 luglio 1982, n. 139 relativamente al reato commesso da
soggetto incapace di intendere e di volere).
La norma della cui legittimit
costituzionale si dubita ha invece introdotto una presunzione assoluta di
pericolosit sociale derivante dalla commissione di un solo ed isolato reato,
il che appare non soltanto irragionevole ma anche in contrasto con il principio
di proporzionalit.
5.4 Occorre infine osservare che
il giudizio di pericolosit sociale non pu automaticamente essere dedotto
neppure con riferimento alle mere denunce riportate dal ricorrente Sig.
Belghith, cos come ha gi statuito la Corte costituzionale con la richiamata
sentenza del 18.2.2005, n. 78, depotenziando quindi la potest valutativa
dell'amministrazione a favore della necessaria affermazione di un puntuale
giudizio svolto sul caso concreto in ordine all'effettiva minaccia e
pericolosit che pu costituire un cittadino straniero per l'ordine e la
sicurezza all'interno dello Stato italiano.
Analogamente deve rilevarsi per
quanto concerne la posizione del Sig. Dusha con riferimento alla sentenza di
condanna subita nel 1996, la quale, non producendo alcun automatismo ai sensi
delle disposizioni legislative qui oggetto di censura, potrebbe solo concorrere
nell'eventuale giudizio di pericolosit sociale del medesimo.
P.Q.M.
visto lart. 23 della Legge
11.3.1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in
relazione agli artt. 3, 4, 16, 27 e 35 della Costituzione, la questione di
legittimit costituzionale dellart. 4 comma 3 D.Lgs. 25.7.1998 n. 286, come
sostituito dallart. 4 comma 1 lett. b) della Legge 30.7.2002 n. 189, e
dellart. 5 comma 5 dello stesso Decreto legislativo, applicati in combinato
disposto tra loro, nei sensi di cui in motivazione.
Ordina la sospensione dei presenti
giudizi e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nonch la
notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del
Consiglio dei Ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due
rami del Parlamento.
Cos deciso in Brescia, il giorno
12 aprile 2005, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori:
Francesco
Mariuzzo -
Presidente
Gianluca Morri -
Giudice relat. est.
Stefano Tenca -
Giudice
NUMERO SENTENZA |
561
/ 2005 |
DATA PUBBLICAZIONE |
07 - 06 - 2005 |