RASSEGNA
STAMPA
Intervista
di “Avvenire” al Vice presidente della Commissione Europea e Commissario alla
Giustizia e alla Sicurezza
Frattini: già tremila morti. Immigrati,
regia europea
ROMA
- Che la situazione fosse grave, il Commissario europeo alla Giustizia e alla
Sicurezza, Franco Frattini, era convinto anche prima che ricevesse a Bruxelles
la vice premier madrilena Maria Teresa Fernandez de la Vega con il cahiers des
doléances spagnolo. Frattini si dice sconvolto per un dato: soltanto in questa
estate sono morti in mare nel tentativo di raggiungere la terra promessa europea
oltre tremila persone. Si è tenuto conto anche di questa cifra nella decisione
di dar vita a un Coordinamento politico europeo sull’immigrazione.
Si
potrebbe pensare all’ennesimo organismo: a cosa servirà, commissario Frattini?
È una decisione politica importante che non riguarda solo
la Spagna. Questo coordinamento consente di mettere insieme tutte le politiche
della commissione che sono comunque legate all’immigrazione. Il fatto che io
coordini i colleghi commissari significa che sullo stesso tavolo avremo ad esempio
la proposta di aiuto all’Africa o di finanziamento per le politiche del lavoro.
O anche di educazione e, quindi, corsi di formazione, e in più le misure di
controllo delle frontiere, di polizia e di cooperazione, che sono proprie della
mia competenza. Questo coordinamento politico permanente risponde alla decisione
strategica di fare dell’immigrazione un tema chiaramente europeo.
Il
coordinamento è solo politico o è anche operativo?
Tutti
i dipartimenti alle dipendenze dei singoli commissari saranno indotti a presentare
intorno allo stesso tavolo anche proposte d’azione. La mia intenzione è che
al prossimo consiglio dei ministri che si terrà a Tampere il 20 settembre si
possa presentare una piattaforma comune come risultato di questo coordinamento.
Lei
parla di proposte strategiche: ha in mente qualcosa in particolare?
La
prima idea è quella di approvare entro dicembre un piano per le frontiere marittime.
Abbiamo la necessità di un modello che permetta il controllo delle coste: ciò
vuol dire una rete di pro tezione di salvataggio delle vite umane in mare e
di pattugliamento per colpire il traffico di esseri umani, cosa che non si è
mai fatta. Il secondo modello è di sorveglianza anche con strumenti di tipo
tecnologico, il satellite ad esempio che ci permette una efficace prevenzione.
Questa estate sono morte più di tremila persone. In una guerra come quella libanese
ci sono state mille vittime. Sconvolge anche la nuova tecnica, per così dire,
escogitata in alcuni Paesi subsahariani: un terzo degli immigrati è fatto di
adolescenti, perché più facilitati a ottenere poi un permesso di lavoro. Sono
il veicolo del ricongiungimento familiare. Le famiglie disperate mandano ragazzini
di 15 o 16 anni come apripista a rischiare la vita in mare, perché se ci riescono
portano in Europa tutta la famiglia. Tutto questo è terribile. Ci deve far riflettere
sulla disperazione all’origine di questi flussi.
La
Spagna fa la voce grossa: è legittimo, non crede?
Molto.
Noi continueremo ad aiutare la Spagna, ma faremo un ulteriore appello al consiglio
dei ministri affinché altri Stati membri si aggiungano a quelli che stiamo già
aiutando. Ci sono quattro Paesi che hanno dato concretamente degli aiuti, ovviamente
ci sono molti più Stati membri che hanno mandato solo squadre di pronto intervento.
Vorremmo che altri forniscano qualcosa in più per le Canarie.
Questa
freddezza di altri Stati viene dal fatto che non hanno un impatto così forte
con l’immigrazione?
Prima
dell’incontro di Hampton Court, undici mesi fa, non c’era una politica europea
integrata sull’immigrazione. In questi mesi abbiamo guadagnato moltissimo terreno,
ma evidentemente ci sono alcuni Stati che credono che l’immigrazione sia una
questione soprattutto italiana, spagnola e maltese. Poi, magari, un Paese esemplare
come la Finlandia manda un aereo, e la Finlandia è il Paese più lontano di tutti
dalle Canarie. Oppure la Germania che ha mandato due elicotteri nella seconda
missione Jason int orno a Malta e a Lampedusa. C’è una consapevolezza crescente
e bisogna moltiplicare gli appelli politici a questi Stati
L’ultimo
in ordine di tempo a dire che l’immigrazione è una questione europea è stato
Amato. Pare fuori discussione, dunque, la cosa.
Sono
convinto almeno quanto lui che questa sia materia europea. Amato ha fatto anche
un pubblico appello a me perché la missione di pattugliamento del Mediterraneo
partisse. La missione sta partendo con il pattugliamento intorno alle coste
della Sicilia e di Malta davanti alle coste libiche.
Il
predecessore di Amato, Pisanu, riconosce il suo grande impegno, ma dice che
nei fatti l’Europa e non la UE scarica tutto sulle spalle dell’Italia...
Pisanu
rispecchia il pensiero di un’epoca anche molto recente in cui effettivamente
l’Europa scaricava tali questioni sui Paesi che stanno in prima linea. Le stesse
cose lo ha detto il ministro maltese e il vice premier spagnolo. Solo l’11 agosto
siamo partiti con una missione che è la prima di questo tipo nella storia europea:
mai i Paesi membri avevano consentito che una loro nave fosse comandata da una
istituzione europea. È chiaro che un affinamento e un’esperienza maggior potranno
soltanto migliorare le cose. Le preoccupazioni di Pisanu risentono di un periodo
in cui, lui ministro, nessun di queste missioni erano ancora partite concretamente,
adesso fortunatamente stanno partendo.
Tripoli
si dice disponibile a una conferenza della Ue con l’Unione Africana. È d’accordo?
Non
solo condivido, ma sono pronto a aiutare nell’organizzazione, insieme all’Italia
e a Malta. Già domani incontrerò il ministro degli Esteri libico, per discutere
proprio di questi temi. La Libia chiede di non occuparsi solo di immigrazione.
Pone altre questioni: quali capacità di accogliere ha l’Europa, come contrastare
il traffico di esseri umani, come aiutare i Paesi africani di transito, eccetera.
Mi sembra che questa posizione sia giusta.
Amato
parla d i “doppio binario”, per favorire l’inserimento. Cosa ne pensa?
È
una proposta che posso aiutare anche finanziariamente come Ue. È una collaborazione
tra Paesi di origine degli immigrati e quelli di destinazione finale. La Ue,
nel suo coordinamento, può fare incontrare la domanda con l’offerta e sono in
grado di co-finanziare corsi di formazione che permettano l’inserimento degli
extraeuropei. (da Roma, Giovanni Ruggiero – Avvenire del 31 agosto 2006)
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