Egregio
direttore,
prendendo
spunto dalla strage di Erba, le scrivo per sottoporle alcune riflessioni che
nelle ultime settimane si impongono con particolare forza allĠattenzione di chi
si occupa di informazione e che sono state anche oggetto di un approfondito
esame in seno allĠAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(UNHCR), voluto dallo stesso
Rappresentante per la regione del Mediterraneo, dott. Walter Irvine.
La strage di
Erba stata un terribile eccidio, a prescindere da chi lĠabbia commessa. Aggravato da ci che ne
seguito: la caccia al tunisino, lĠostilit contro lĠarabo, la pretesa che il
male fosse estraneo alla comunit e quindi dovesse provenire dal di fuori. Sono
emersi forti e al quanto inaspettati sentimenti di xenofobia e un sistema
mediatico pronto a fare cassa di risonanza alle peggiori manifestazioni di
odio. La strage di Erba, con il
sacrificio di quattro vite, rappresenta sicuramente una lezione per quanti si
sono precipitati a colpo sicuro a puntare lĠindice contro ÒlĠarabo spietatoÓ ma
deve anche poter essere lĠinizio di un Ònew dealÓ, un nuovo corso per
lĠinformazione italiana. La frettolosa ricerca del colpevole, di un colpevole
"perfetto", quasi costruito in laboratorio, deve indurre la stampa ad
un'onesta e lucida autocritica che porti ad ammettere l'errore e ad evitare che
si ripeta. Evitare, in altre parole, il diabolico perseverare. Nei giorni seguenti alla scoperta della verit che
affrancava Azouz Marzouk dalla sua etichetta di mostro, tanti italiani hanno
chiesto scusa al giovane tunisino. Questo ci ha un p sollevato. Ma lo stesso
atto di umilt non stato ancora compiuto dai mezzi di informazione, che non
sembrano aver "capitalizzato" questa significativa esperienza. Per
lĠAgenzia dellĠOnu che ha il mandato di proteggere e assistere i rifugiati,
spesso i pi vulnerabili tra gli stranieri, sarebbe in questo momento utile e
importante aprire un serio confronto sul ruolo e il comportamento della stampa
in casi del genere.
Un altro
aspetto significativo del modo in cui in questi anni siamo stati abituati a
seguire le notizie sullĠimmigrazione scaturisce dal linguaggio. Allarmistico e
bellico, simile a quello usato nei
conflitti, nelle contrapposizioni tra entit ostili. Le coste siciliane sono Òprese dĠassaltoÓ, Lampedusa ÒassediataÓ, lĠItalia ÒinvasaÓ dagli
extracomunitari, i centri dĠaccoglienza sono Òal collassoÓ, la gestione
dellĠimmigrazione Òlotta ai clandestiniÓ e il controllo delle frontiere
diventa Òdifesa dei confiniÓ. Questa impostazione bellica, oltre a produrre
un inquinamento linguistico, ha
anche influenzato il modo di
percepire il fenomeno e lĠopinione pubblica ha profondamente assimilato un
messaggio di pericolo e paura che ha indotto ampi strati della societ a
criminalizzare lĠimmigrazione.
Tale situazione
ancor pi amplificata quando si parla di immigrati arabi i quali vengono
troppo spesso ritratti dai media italiani in collegamento con attivit
giudiziarie o nel contesto del terrorismo internazionale, come se, mutatis mutandis, gli italiani venissero prevalentemente
rappresentati allĠestero in processi di mafia. Questa visione a senso unico che
oscura lĠapporto positivo che tante persone immigrate danno ai vari settori
della produzione, non solo limitante rispetto alla comprensione del fenomeno,
ma anche altamente fuorviante e alimenta la gi presente islamofobia, creando
ulteriori barriere alla conoscenza reciproca.
Anche per
quanto riguarda i rifugiati le cose non vanno meglio. Intanto raramente i media
fanno una differenziazione terminologica tra rifugiato, richiedente asilo,
immigrato, extracomunitario, beneficiario di protezione umanitaria, clandestino
e profugo. Spesso questi termini vengono usati come sinonimi, senza alcuna
attenzione alla connotazione giuridica di ciascuna parola. In questo caso,
lĠapprossimazione genera confusione e sicuramente non aiuta a creare un clima
di empatia per rifugiati e richiedenti asilo che, va ricordato, sono persone in
fuga da persecuzioni e guerre e in quanto tali sono protetti dalla Convenzione
di Ginevra relativa allo status di rifugiati del 1951. Persone, va sempre
ricordato, che non hanno scelta e che se potessero vivrebbero nei propri paesi
in pace e dignit. La tutela che la stampa riserva ai minori - come prevede lĠapposita
Carta di Treviso - deve poter essere estesa anche a coloro che sono in pericolo e hanno chiesto e ottenuto
protezione in Italia, i rifugiati appunto. Purtroppo invece, la negligenza
riscontrata in questo ambito pu portare anche a gravi conseguenze come quando
i rifugiati o persone beneficiarie di protezione umanitaria vengono esposte dai
media senza nessuna accortezza e precauzione, a volte con tanto di nome e
cognome, immagini di primo piano e foto. Questo trattamento rende
rintracciabile chi fuggito da una persecuzione e espone anche i familiari
rimasti a casa a possibili ritorsioni.
Una riflessione
quindi su come informare e comunicare tematiche cosi complesse e controverse
assolutamente necessaria per tentare di aggiustare la rotta.Una riflessione che
chiami in causa deontologia professionale e capacit di leggere i cambiamenti
interni alla societ italiana in velocissima evoluzione. Non possiamo accettare
una tale quotidiana distorsione come qualcosa di ineluttabile, legata alla
logica dellĠesemplificazione e della fruibilit della notizia. N dovremmo
tirarci indietro rispetto alle misure da mettere in campo per arginare i danni. A questo proposito vorrei anticiparle che lĠAlto
Commissariato, in collaborazione con docenti universitari e esperti dellĠinformazione, intende
elaborare un documento la cui versione finale dovrebbe contenere anche il
contributo imprescindibile della Federazione Nazionale della Stampa e
dellĠOrdine Nazionale dei Giornalisti. L'auspicio che, con lĠadesione di tali organi, si
possa giungere alla condivisa stesura di una Carta, sul modello della Carta di
Treviso a tutela dei minori. Una sorta di codice deontologico che, fatto
salvo il diritto all'informazione,
tratti gli immigrati come persone, a prescindere dalla provenienza, e
che favorisca un corretto utilizzo del linguaggio e unĠadeguata tutela di
quanti hanno chiesto e ottenuto protezione in Italia. Mi auguro di trovare in
lei un interlocutore disposto ad accogliere tali istanze di cambiamento e a
prendere parte a tale progetto. Cordiali saluti.
Laura Boldrini
Portavoce, Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati