Presidenza del Consiglio dei Ministri

Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunitˆ

Ufficio per la promozione della paritˆ di trattamento e la rimozione

delle discriminazioni fondate sulla razza o sullĠorigine etnica

 

 

 

 

PARERE E RACCOMANDAZIONE

 

 

 

Esclusione di cittadini extracomunitari, regolarmente soggiornanti, dalla partecipazione a procedure di selezione di personale bandite da S.p.A., a totale o maggioritaria partecipazione pubblica, che gestiscono servizi di trasporto pubblico locale nel territorio di residenza – Ammissibilitˆ del requisito obbligatorio della cittadinanza italiana – Parere – Raccomandazione UNAR – discriminazione ex. D.lgs. n. 215/2003.

 

 

Premessa

 

LĠUNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, costituito presso il Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunitˆ della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha il compito istituzionale di promuovere e garantire il principio della paritˆ di trattamento fra le persone indipendentemente dalla loro origine etnico-razziale.

LĠUfficio, istituito con il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 215 che ha recepito la Direttiva comunitaria 2000/43/CE, operando in condizioni di autonomia ed imparzialitˆ, fornisce ausilio nei procedimenti giurisdizionali o amministrativi alle vittime delle discriminazioni; svolge, nel rispetto dei poteri dellĠAutoritˆ giudiziaria, inchieste autonome dirette a verificare lĠesistenza di fenomeni discriminatori; promuove lĠadozione, da parte di soggetti pubblici e privati, di azioni positive dirette a evitare o compensare le situazioni di svantaggio che possono essere connesse alla razza o etnia; formula pareri e raccomandazioni; infine, riceve ed esamina direttamente le denunce da parte di potenziali vittime di azioni discriminatorie o da parte di possibili testimoni.

Proprio in merito a queste ultime attivitˆ, lĠUNAR ha di recente ricevuto alcune segnalazioni in merito ad una presunta discriminazione determinata dallĠesclusione di alcuni cittadini extracomunitari dalle procedure di selezione per lĠassunzione presso societˆ di trasporto pubblico locale.

Le segnalazioni sono pervenute da Regioni diverse anche a seguito dellĠemanazione di appositi bandi di assunzione. Elemento comune, rilevato dalle schede del Contact center ed anche dallĠA.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sullĠImmigrazione),  stata lĠesclusione di taluni candidati per la mancanza del requisito, richiesto nei bandi ai fini della partecipazione alle suddette selezioni, della cittadinanza italiana.

Tra le recenti segnalazioni si deve evidenziare anche quella proveniente da alcuni cittadini stranieri che intendevano prendere parte alla selezione indetta nel Lazio per lĠassunzione di personale con funzioni di autisti presso lĠimpresa di trasporto pubblico locale locale COTRAL S.p.A.[1] Pure in questo caso, la partecipazione non  stata resa possibile per la mancanza del requisito della cittadinanza italiana richiesto dal bando ai fini dellĠimpiego nelle imprese di trasporto pubblico locale.

 

Il quesito sottoposto allĠUNAR

 

La questione prospettata allĠUNAR pu˜ riassumersi come segue: costituisce discriminazione etnico-razziale ai sensi del D.lgs. 215/2003 e del D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 ( di seguito T.U. Immigrazione) lĠesclusione di un cittadino extracomunitario, presente sul territorio nazionale e in regola con il permesso di soggiorno, dalla partecipazione a procedure di selezione di personale bandite da S.p.A., a totale o maggioritaria partecipazione pubblica, che gestiscono servizi di trasporto pubblico locale nel territorio di residenza del candidato escluso sul presupposto che questĠultimo non sia in possesso della cittadinanza italiana richiesta nel bando ?

 

Lo straniero extracomunitario presente da qualche anno nel Paese ed in regola con il permesso di soggiorno anche se perfettamente integrato non pu˜ avere conseguito la cittadinanza italiana risultando, quindi, privo di tale requisito.

Occorre, preliminarmente, formulare alcune considerazioni sia in merito alla possibilitˆ di accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in generale, da parte dei cittadini stranieri e, in particolare, di quelli extracomunitari, sia sulla natura giuridica, pubblica o privata, delle S.p.A. di trasporto pubblico locale, dovendo ritenere che tale qualificazione giuridica incida sullĠapplicabilitˆ delle procedure di selezione indette da tali Societˆ della normativa riguardante lĠaccesso al lavoro pubblico.

 

Quanto al primo ordine di considerazioni, mentre sembra pacificamente ammesso, in base al dato normativo (T.U. immigrazione) ed allĠopera di puntuale interpretazione della giurisprudenza, che non vi siano limitazioni nellĠaccesso al lavoro privato ed al lavoro autonomo per i cittadini stranieri, siano essi comunitari oppure extracomunitari in regola con quanto richiesto dalla normativa in materia di immigrazione (permesso di soggiorno ecc.), per lĠaccesso allĠimpiego pubblico tali limitazioni sembrano sussistere.

Quanto alla seconda questione, occorre risolvere il quesito dirimente se alle societˆ di cui si discute debba essere estesa la disciplina dellĠaccesso al lavoro pubblico in ragione della loro qualificazione di Òorganismi di diritto pubblicoÓ.

NellĠordine, allora, pu˜ essere utile, per completezza di esposizione, ripercorrere, in primo luogo, la vexata questio dellĠaccesso dei cittadini extracomunitari al lavoro pubblico.

 

 

LĠaccesso dei cittadini extracomunitari al lavoro nelle pubbliche amministrazioni

 

La problematica relativa allĠassunzione dei cittadini stranieri presso le pubbliche amministrazioni  oggi estremamente dibattuta.

Tale problematica  stata oggi affrontata diverse volte in alcune pronunce della giurisprudenza civile e amministrativa ed anche in sede consultiva.[2]

Si deve tuttavia rilevare come in materia non vi sia una pacifica concordanza sullĠinterpretazione della normativa di settore e che la stessa giurisprudenza non ha assunto una posizione univoca e costante. Talvolta, infatti, il giudice amministrativo e quello civile, soprattutto di recente, hanno mutato orientamento, ammettendo unĠapertura alle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni di cittadini stranieri, in particolare extracomunitari.

In chiave di interpretazione positiva, in particolare, si segnala il Decreto della Corte di Appello di Firenze n. 11.333 depositato il 21 dicembre 2005 nel quale, ai fini dellĠaccesso al pubblico impiego, si perviene ad una assimilazione, ottenuta per il tramite della prevalenza del dettato sopranazionale su quello interno, della posizione giuridica del cittadino extracomunitario a quello comunitario.
Tentativi in questo senso erano stati giˆ operati a livello giurisprudenziale, oltre che dalla medesima Corte di Appello, nellĠordinanza del 7 luglio 2002, anche dalla Ia. Sezione del T.A.R. Liguria nella Sentenza n. 399 del 2001.

I due giudici, in applicazione della normativa nazionale antidiscriminazione, pervengono alle citate pronunce mediante unĠinterpretazione orientata al pieno ossequio dei principi comunitari delle disposizioni del decreto legislativo 286/98 (T.U. immigrazione) che, allĠart. 2, impone il principio della piena eguaglianza dei diritti tra lavoratori comunitari ed extracomunitari (nella predetta pronuncia il giudice amministrativo fa pure un richiamo ai contenuti della direttiva 43/00 sulla paritˆ di trattamento nellĠaccesso allĠoccupazione, a prescindere dallĠappartenenza razziale e etnica).

Proprio in attuazione della predetta disposizione, il giudice amministrativo aveva ritenuto i cittadini extracomunitari legittimati ad aspirare alla copertura di pubblici ufficiali alla pari dei cittadini dellĠUnione, cio con le medesime eccezioni per questi operanti. Ci˜ in ragione del fatto che la norma di cui al citato art. 2 sia prevalente perchŽ di rango primario o superprimario (costituendo attuazione della Convenzione ILO), nonchŽ successiva nel tempo rispetto a quelle che regolano lĠaccesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni ed i pubblici concorsi (il riferimento  al D.P.R. 487/94 il quale, come noto, richiedendo il requisito della cittadinanza, inibisce lĠaccesso al pubblico impiego del cittadino extracomunitario).

Non di secondario rilievo risultano alcune pronunce successive del giudice civile che, sempre in applicazione della medesima normativa antidiscriminazione, ammettono a procedure concorsuali concorrenti extracomunitari esclusi dallĠamministrazione banditrice per mancanza del requisito della cittadinanza.

Si citano in particolare, lĠOrdinanza del Tribunale di Pistoia n. 6/7 maggio 2005, quelle del Tribunale di Genova del 21 aprile 2004 e del 26 giugno 2004, quella del Tribunale di Firenze del 14 gennaio  2006 e le pi recenti Ordinanze del Tribunale di Perugia del 29 settembre e 6 dicembre 2006.

QuestĠultima ordinanza assume un rilievo particolare perchŽ si colloca in un momento temporale successivo ad una sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che sembra aver determinato un arresto interpretativo in senso di chiusura alla possibilitˆ di accesso da parte dei cittadini extracomunitari ai pubblici concorsi.

Si tratta della sentenza n. 24.170 della Sezione Lavoro del 13 novembre 2006, vertente in tema di azione civile contro la discriminazione nella quale la Suprema Corte, decidendo sul preteso carattere discriminatorio del rifiuto opposto da unĠamministrazione pubblica di procedere allĠiscrizione di un cittadino albanese nelle liste riservate ai disabili per lĠaccesso al lavoro presso la P.A., ha affermato che il requisito del possesso della cittadinanza italiana sia da considerarsi imprescindibile. Sostiene la Cassazione che tale requisito richiesto per accedere al lavoro alle dipendenze della P.A. dallĠart. 2 del d.P.R. n. 487 del 1994 – norma ÒlegificataÓ dallĠart. 70, comma 13, del d.lgs. n. 165 del 2001 – e dal quale si prescinde, in parte, solo per gli stranieri comunitari oltre chŽ per casi particolari (art. 38, d.lgs. n. 165 del 2001; art. 22 del d.lgs n. 286 del 1998), si inserisce nel complesso delle disposizioni che regolano la materia particolare del pubblico impiego.

LĠarresto giurisprudenziale fissato dalla Corte Suprema in merito alla possibilitˆ di accesso al pubblico impiego da parte dei cittadini stranieri extracomunitari potrebbe di riflesso determinare – il condizionale  dĠobbligo – degli effetti in sede di soluzione delle prospettate questioni preliminari laddove, affrontando la seconda di tali questioni, si pervenisse alla conclusione che le S.p.A. abbiano natura giuridica pubblica. Se, infatti, tali Societˆ fossero considerate amministrazioni pubbliche, soggette quindi allĠapplicazione del d.lgs. n. 165/2001 ed al vincolo costituzionale di cui allĠart. 97, 3Ħ comma della Costituzione, per lĠassunzione del personale  presso tali societˆ andrebbero applicate le norme pubblicistiche che regolano lĠaccesso al pubblico impiego. Con la conseguenza, in applicazione del dictum della Corte di Cassazione ricavabile dalla sentenza suindicata, che la previsione del possesso della cittadinanza italiana contenuta nei bandi per le procedure finalizzate allĠassunzione presso societˆ di trasporto pubblico locale sia legittima e la conseguente preclusione allĠaccesso al lavoro del cittadino extracomunitario non costituirebbe una ipotesi di discriminazione ai sensi del d.lgs. 215/2003 e del T.U. immigrazione.

La conclusione sopra prospettata, a parere dei questo Ufficio, non  da ritenersi plausibile.

 

 

La natura giuridica delle imprese di trasporto pubblico locale

 

Si deve fare una rapida premessa sullĠevoluzione della disciplina dei servizi pubblici locali, tra i quali si annovera il trasporto pubblico che, iniziata con le imprese municipalizzate, ha da sempre scontato la tensione tra obiettivi di politica sociale ed esigenze di mercato, tra iniziativa economica privata e controlli pubblici, tra una configurazione di impresa pubblica ed una configurazione di impresa privatistica.

Va sottolineato che il trasporto pubblico locale  stato tradizionalmente offerto in condizioni di monopolio naturale, tramite il ricorso allĠistituto della concessione a favore di unĠazienda che assumeva il compito di svolgere il servizio in esclusiva.

Questo regime tradizionale, oramai ampiamente superato dallĠattuazione della direttiva comunitaria e nazionale,  ancora oggi sembra perpetuare i suoi effetti in diversi aspetti della regolazione fra cui rientra anche la questione oggetto di trattazione.

A seguito delle importanti politiche di privatizzazione avviate giˆ dagli anni Ġ90, in attuazione dei principi comunitari di libero mercato e concorrenza, la maggior parte delle imprese di servizi pubblici  locali e, tra esse, quelle di trasporto, hanno assunto la veste di societˆ per azioni e svolgono attivitˆ di impresa, sebbene, spesso, il controllo sia rimasto in mano alle amministrazioni pubbliche locali che ne detengono tutto o la maggioranza del capitale sociale.

Entra qui in gioco la nozione, di derivazione comunitaria, di Òimpresa pubblicaÓ, il cui elemento caratterizzante  lĠinfluenza ancora perdurante di pubblici poteri prescindendosi dalla natura giuridica, pubblica o privata, dellĠente.

La stessa giurisprudenza comunitaria valuta la rilevanza pubblicistica di un ente prescindendo dalla sua natura formale, che pu˜ essere anche privatistica. Anche nella giurisprudenza nazionale sembra ormai essersi affermata una siffatta nozione di impresa pubblica.[3]

A tal proposito, a livello comunitario  stato elaborato il concetto di Òorganismo di diritto pubblicoÓ[4], che comprende anche enti formalmente privati, concetto ormai consolidato anche nel nostro ordinamento dove lĠopera interpretativa della giurisprudenza, amministrativa[5] e civile[6] ha riconosciuto la prevalenza della sostanza sulla forma ai fini della qualificazione di un soggetto come pubblico o privato.

Quindi la figura di organismo di diritto pubblico di derivazione comunitaria, sembra quella alla quale sia pi compiutamente riferibile la S.p.A., che esercita attivitˆ di trasporto pubblico locale, totalmente o maggiormente partecipata da amministrazioni pubbliche, soprattutto enti locali.

 

 

Il regime giuridico applicabile: la disciplina del rapporto di lavoro

 

La disciplina comunitaria, in sede di enucleazione dei soggetti tenuti al rispetto delle regole di evidenza ispirate al principio della gara comunitaria, si  emancipata quindi dalla nozione formale di ente pubblico accolta nei singoli ordinamenti nazionali accedendo ad un concetto sostanziale di organismo di diritto pubblico, che comprende anche soggetti che, pur se non formalmente pubblici, come nel caso di cui tratta (S.p.A. di trasporto pubblico locale), possiedono una rilevanza pubblicistica in quanto fungono da strumenti alternativi, rispetto agli organi classici della pubblica amministrazione,  per lĠesercizio di compiti che   comportano lĠutilizzazione di fondi pubblici.

Ora, se per un verso, tale qualificazione giuridica delle S.p.A. di trasporto pubblico locale determina quale precipitato, in sede di gare di appalto, il necessario ricorso alle procedure di evidenza pubblica come definite dalla normativa di derivazione comunitaria,  anche vero che dalla rilevanza del loro aspetto pubblicistico non consegue automaticamente lĠapplicazione della normativa in materia di accesso al lavoro presso pubbliche amministrazioni.

Ci˜ per due ordini di considerazioni.

Il primo  di carattere testuale: non si rinviene, infatti, nellĠelenco delle amministrazioni qualificate pubblicate dallĠarticolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001[7], destinatarie della disciplina da tale disposizione prevista, alcuna menzione relativa alle Societˆ per azioni ancorchŽ a partecipazione totalitaria o maggioritaria pubblica.

Nel medesimo comma viene individuato il termine di ÒaziendeÓ ma esso  riferibile allĠorganizzazione del Servizio Sanitario Nazionale[8]. In tal senso, applicando il noto brocardo quod Lex voluit, dixit, si pu˜ sostenere che il legislatore  avesse voluto riconoscere la qualifica di pubblica amministrazione alle S.p.A partecipate ai fini della normativa sul pubblico impiego, lo avrebbe fatto espressamente.

Peraltro, e non di meno, sarebbe estremamente contraddittorio cha dapprima, sulla scia dellĠaffermato fenomeno di privatizzazione che ha connotato ampi settori della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici, si fosse scelto un modello di gestione prettamente privatistico come quello delle S.p.A., dotate di autonomia imprenditoriale e soggette alle norme del Libro V del Codice Civile, e poi si fosse annoverato tale modello nellĠelenco delle pubbliche amministrazioni con tutte le conseguenze che ne derivano in termini organizzativi e gestionali.

EĠ da sottolineare che anche la giurisprudenza, in pi di una occasione, pronunciando sulla natura giuridica, pubblica o privata, di tali societˆ ne ha posto in rilievo la natura privatistica. Per tutte, appare esemplificativa la sentenza della Corte di Cassazione a  SS.UU civ. del 15 aprile 2005, n. 7799 per la quale il ricorrente sosteneva che Òla controversia, vertendo tra Comune e gestore di pubblico servizio, appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo. Al riguardo, come meglio precisato in memoria, il ricorrente afferma che deve considerarsi Òsocietˆ pubblicaÓ, e non privata, quella che ha, come nel caso specifico, unico socio lĠente comunale, che  stata costituita per gestire un pubblico servizio, qual  quello della raccolta dei rifiuti urbani, e che  finanziata solo con risorse pubbliche . In tal caso, la societˆ che presenta tali caratteristiche (Comune unico socio, oggetto sociale la gestione di un servizio pubblico, finanziamento con sole risorse pubbliche)  da ritenere organo del Comune e gli atti afferenti a tale organo devono seguire le regole proprie dellĠordinamento comunale e sono di natura pubblicisticaÓ.

Ebbene, in tale occasione, nello sviluppare  la parte motivazionale la Suprema Corte ha affermato che Òla societˆ per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perchŽ lo Stato o gli enti pubblici (Comune, Provincia, etc.) ne posseggono le azioni, in tutto o in parte, non assumendo ruolo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dellĠazionista, dato che tale societˆ, quale persona giuridica privata, opera ÒnellĠesercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con lĠente pubblicoÓÓ.

Potrebbe pacificamente affermarsi, quindi, che, per giurisprudenza consolidata, le S.p.A. vengono qualificate come Organismi di diritto pubblico ai fini dellĠapplicazione delle norme sullĠevidenza pubblica (appalti, accesso agli atti, etc.) come richiesto dalla normativa comunitaria in materia di concorrenza e trasparenza, ma non per questo mutano la loro qualificazione giuridica di soggetti di diritto privato per tutto ci˜ che attiene alla loro organizzazione e funzionamento, compreso il reclutamento del personale.

Il precipitato di tale conclusione va individuato, pertanto, nellĠapplicazione a tali soggetti di diritto privato del regime previsto dal Codice civile nel libro V, Titolo V, dedicato alle Societˆ, e Titolo II relativo al lavoro nellĠimpresa nonchŽ di tutte le altre norme applicabili che non siano, quindi, relative al pubblico impiego.

 

 

Specifiche normative  di settore

 

Sgombrato il campo  da incertezze interpretative relative allĠapplicazione delle norme privatistiche che regolano lĠaccesso al lavoro alle S.p.A.  a partecipazione pubblica, totale o maggioritaria, resta da verificare che non vi siano normative specifiche di settore che possano, invece, imporre vincoli restrittivi nei confronti di particolari categorie di soggetti o rispetto a particolari status o qualificazioni soggettive.

Ritornando  in particolare al caso in esame, si deve rilevare che la particolare natura del trasporto pubblico quale attivitˆ di primario rilievo in una societˆ a forte sviluppo industriale, indusse il legislatore, sin dal primo dopoguerra, a disciplinare in maniera molto dettagliata il lavoro presso le imprese di trasporto pubblico locale sottolineando il forte rilievo pubblicistico del servizio attraverso la previsione di unĠapposita disciplina.

Si fa riferimento al R.D. 8 gennaio 1931 n. 148 recante  ÒCoordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie, e linee di navigazione interna in regime di concessioneÓ (di seguito R. D. 148/1931).

In particolare, nellĠart. 10 del ÒRegolamento contenente disposizioni sullo stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessioneÓ di cui allĠallegato A del suddetto R.D. 148/1931, al comma 1 si prevede ÒPer lĠammissione al servizio in prova  necessario:

1Ħ di essere cittadino dello Stato italiano, o delle altre regioni italiane quando anche il richiedente manchi della naturalitˆ, salvo il disposto dellĠart. 113 del Testo unico delle leggi approvato col regio decreto 9 maggio 1912, n. 1447É.Ó

Tale norma  altres“ applicabile anche ai lavoratori dei servizi di trasporto pubblico urbano ed extraurbano per effetto della legge 3 novembre 1952, n. 628, che prevede appunto il requisito della cittadinanza italiana per lĠammissione al servizio.

Nonostante tali norme siano state sottoposte a processo di delegificazione per effetto dellĠarticolo 1, comma 2[9], della legge 12 luglio 1988, n. 270, con il quale  stato cio introdotto il principio per cui le disposizioni contenute nel regolamento di cui allĠAllegato A del R. D. 148/1931 possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria, la clausola di cittadinanza  rimasta in vigore in tutti questi anni, non essendo mai stata intaccata dai contratti nazionali collettivi di categoria, lĠultimo dei quali dovrebbe scadere il prossimo dicembre 2007.

 

 

Il parere dellĠUNAR: un evidente contrasto con la normativa antidiscriminatoria

 

In base alla suesposta ricostruzione, lĠUfficio ha rilevato che si  sviluppata una prassi –  bene ribadirlo- risalente al periodo precostituzionale per la quale si  ritenuto che, a legislazione vigente, la succitata normativa regolamentare del 1931 sia ancora vigente e che ad essa, presumibilmente, le S.p.A. di trasporto pubblico locale facciano ancora oggi riferimento nel predisporre i bandi di selezione per lĠaccesso al lavoro presso di esse.

Resta allora da stabilire, per rispondere al quesito iniziale, se tale prassi sia legittima.

LĠUNAR ritiene che lĠart. 10 del ÒRegolamento contenente disposizioni sullo stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessioneÓ di cui allĠallegato A al suddetto R.D. 148/1931, sia in contrasto con la normativa antidiscriminazione, comunitaria e nazionale, almeno sotto due profili, oltre quello pi semplice e ovvio della normale regola di successione cronologica delle norme nel tempo.

 

  1. Sotto un primo profilo, si rileva una violazione del principio di paritˆ di trattamento tra cittadini extracomunitari e cittadini italiani per quanto concerne lĠambito lavorativo, incluse le condizioni per le assunzioni, cos“ come stabilito dallĠart. 2[10], comma 3, del TU sullĠimmigrazione norma che attua il disposto dellĠart. 10 della Convenzione OIL n. 143/1975[11], sottoscritta e ratificata dallĠItalia.

      Anche se la Convenzione OIL allĠart. 14 prevede come eccezione a detto principio la clausola degli interessi nazionali [12] non si pu˜ sostenere che vi siano interessi nazionali da preservare nellĠambito di un rapporto di lavoro di diritto privato.[13]

 

Vi  da osservare, infatti, che se la restrizione allĠaccesso al lavoro basata sulla nazionalitˆ poteva sembrar soddisfare un interesse nazionale in passato quando i servizi di trasporto pubblico locale erano erogati in regime di monopolio da imprese pubbliche o da concessionari incaricati dallĠamministrazione, ora detta limitazione non appare suscettibile di realizzare detto interesse nel momento in cui, con lĠintervento del diritto comunitario, si  superata lĠidea di una gestione totalmente pubblicistica del servizio, introducendo invece la regola della concorrenza e dellĠassenza di limitazioni alla libera circolazione di mercato.

A ci˜ si aggiunge la considerazione, sulla forza e sul rango superprimario della norma contenuta nellĠart. 2, comma 3, del TU immigrazione, esecutiva della Convenzione OIL, rispetto al sistema delle fonti. Per giurisprudenza costante[14] la normativa nazionale, ancora pi se di carattere regolamentare, in contrasto con quella internazionale deve essere disapplicata, tanto pi che si opera in un ambito, quello della condizione giuridica dello straniero, sottoposto a riserva di legge rafforzata.[15]

In altri termini, la norma di fonte internazionale, in questo caso per di pi costituzionalizzata  in base allĠart. 10 comma 2 della Costituzione, gode pur sempre di una propria capacitˆ di innovazione e di resistenza rispetto alla norma interna, anche se sopravvenuta. [16]

Si pu˜, quindi, ragionevolmente ritenere che lĠart. 2, comma 3, del T.U. Immigrazione in applicazione degli affermati canoni ermeneutici delle cd Preleggi, abbia implicitamente abrogato la norma regolamentare del 1931 di cui si discute. [17]

 

  1. Sotto altro profilo, la previsione del possesso della cittadinanza italiana per lĠaccesso al lavoro presso S.p.A., a totale o maggioritaria partecipazione pubblica, di cui allĠart. 10 del Regolamento  del 1931 palesa una violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza secondo i criteri stabiliti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 432 del 2 dicembre 2005[18], poichŽ non si ravvede una motivazione logica, ragionevole, e proporzionata nello stabilire lĠaccesso ai soli cittadini italiani alle opportunitˆ di impiego nelle imprese, anche quelle private, del settore del trasporto pubblico, discriminando di fatto gli stranieri, quando tale settore  ormai privatizzato per effetto della normativa comunitaria sulla concorrenza e dunque non pi riservato alle imprese pubbliche o a concessionari incaricati dalla pubblica amministrazione.

Ne deriva dunque un contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza di cui allĠart. 3 della Costituzione nonchŽ con i diritti, sempre costituzionalmente tutelati, al lavoro, alla libertˆ dĠimpresa e allĠiniziativa economica.

Secondo il parametro interpretativo della Corte Costituzionale assunto nella ricordata sentenza n. 432 del 2005, i principi di eguaglianza e ragionevolezza assurgono al ruolo di criterio interpretativo applicabile in presenza di qualunque norma che palesi una disparitˆ di trattamento, anche in ambiti non necessariamente correlati ai diritti fondamentali, divenendo ulteriore metro in base al quale misurare lĠammissibilitˆ o meno di provvedimenti o iniziative pubbliche.

 

Infine, assume un rilievo evidente lĠulteriore profilo della violazione della normativa nazionale anti-discriminazione di cui agli artt. 43 e 44 del T.U. e al d.lgs. n. 215/2003 attuativo della direttiva n. 2000/43 nella parte in cui annovera fra gli ambiti di applicazione anche tutto il settore dellĠaccesso al lavoro.

 

Alla luce di quanto esposto, infine, lĠUNAR ritiene che la delegificazione potrebbe costituire un valido e celere strumento idoneo a rimuovere definitivamente la normativa regolamentare che determina una palese discriminazione a danno degli stranieri nellĠaccesso al lavoro presso le S.p.A. di trasporto pubblico locale a totale o maggioritaria partecipazione pubblica.

NellĠambito delle proprie funzioni istituzionali, lĠUNAR, quindi, raccomanda e invita le organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative in Italia nel settore del trasporto pubblico locale, in vista  della prossima scadenza del contratto nazionale collettivo di categoria, ad inserire nella piattaforma sindacale per il rinnovo del contratto del personale autoferrotranviario, lĠabolizione della clausola di nazionalitˆ per lĠaccesso ai rapporti di impiego, con la conseguente modifica dellĠart. 10 del Regolamento allegato al R.D. 8 gennaio 1931 n. 148, utilizzando a tale fine le prerogative concesse dal procedimento di delegificazione per effetto della legge 12 luglio 1988, n. 270, con la quale  stato introdotto il principio per cui le disposizioni contenute nel Regolamento A al Regio Decreto 1931, n. 148 possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria.

Si ritiene che la realizzazione di tale obiettivo consentirebbe di compiere un grande passo in avanti nella direzione, da tanti molto auspicata, della effettiva integrazione sociale degli immigrati legalmente soggiornanti nel nostro paese, cos“ come dellĠaffermazione dei principi delle pari opportunitˆ e dellĠuguaglianza, patrimonio comune delle istituzioni pubbliche e delle parti sociali.

 

 

Roma, 26 ottobre 2007

 

 

 

 

 



[1] Con delibere del C.d.A. n. 27 del 22 marzo 2007 e n. 49 del 10 maggio 2007, la COTRAL s.p.a., societˆ per azioni a totale partecipazione pubblica, a seguito di un accordo sottoscritto tra la COTRAL medesima e la Regione Lazio in data 18 maggio 2007, ha disposto lĠassunzione di n. 350 persone con la qualifica di operatori di servizio (autisti). Nel predetto accordo era stato disposto che dette assunzioni sarebbero dovute avvenire al termine di una selezione pubblica da effettuarsi per il tramite dei centri provinciali per lĠimpiego. Facendo seguito allĠindicata procedura, in data 28 maggio 2007, i centri per lĠimpiego delle Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo hanno indetto appositi bandi/avvisi di preselezione pubblica per le suddette posizioni lavorative, con lĠinvito agli interessati di presentare personalmente la domanda di ammissione, corredata dalla documentazione richiesta, entro il giorno 12 giugno 2007, quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei subindicati bandi/avvisi. Una quota delle 350 posizioni veniva riservata alle donne, quale azione positiva per incentivare lĠoccupazione femminile in settori ove normalmente trovano esclusione, mentre unĠ ulteriore quota veniva riservata ai lavoratori e alle lavoratrici impegnati nei Lavori Socialmente Utili.

 

[2] Consiglio di Stato nel Parere della Seconda Sezione 2592/03 del 31 marzo 2004; Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni del Dipartimento per la Funzione Pubblica, Parere n. 196/2004.

[3] In una recente pronuncia il Consiglio di Stato ha affermato che lĠammissione della quotazione in borsa non cancella la qualitˆ di impresa pubblica, dal momento che la nozione di impresa pubblica si fonda su requisiti di carattere sostanziale, come la detenzione della maggioranza del capitale societario da parte dellĠente o degli enti pubblici: ci˜ che conta  lĠinfluenza dominante esercitata dai pubblici poteri sulla societˆ; cfr. Consiglio di Stato, IV, 27 maggio 2002, n. 2922.

 

[4] Sul concetto di organismo di diritto pubblico si veda la direttiva del Consiglio delle Comunitˆ Europee n. 89/440/CCE del 18 luglio 1989, in materia di appalti pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1991, p. 215 ss., la direttiva n. 93/37/CEE che modifica la precedente, le direttive n. 90/531/CEE del 17 settembre 1990 e n. 93/38/CEE relative agli appalti nei settori in precedenza esclusi, la direttiva n. 92/50/CEE del 18 giugno 1992, in G.U.C.E. n. 209 dd. 24 luglio 1992, in materia di appalti pubblici di servizi. Per una ricostruzione del concetto di organismo di diritto pubblico e dei suoi rapporti con i concetti di organo e ente pubblico v. Caputi Jambrenghi, LĠorganismo di diritto pubblico, in Dir. Amm., 2000, p. 13 ss; v. anche Scoca F.G., Le amministrazioni come operatori giuridici, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna 1998, p. 512 ss.

 

[5] V. Cons. Stato, VI, 17 settembre 2002, n. 4711 e Cons. Stato, VI, 5 marzo 2002, n. 1303, in Dir. Proc. Amm., 2003,  p. 486 ss.; Cons. Stato, VI, 24 maggio 2002, n. 2855, in Foro amm., 2002, p. 1325 ss; Cons. Stato, VI, 7 giugno 2001, n. 3090, Cons. Stato, VI, 2 marzo 2001, n. 1206, e Cons. Stato, III, parere 11 aprile 2000, n. 588/00, in Foro it., 2002, III, p. 423 ss. ; Cons. Stato, V, 1 aprile 2000, n. 2078, Cons. Stato, VI, 4 aprile 2000, n. 1948 e Cons. Stato, VI, 1 aprile 2000, n. 1885, in Urb. App., 2000, p. 528 ss.

 

[6] Infatti, la Corte di Cassazione con la decisione n. 24 del 1999 (Cass. Civ., sez. un., 5 febbraio 1999, n. 24, in Giur. It., 1999, p. 1510-1511) si  pronunciata sulla giurisdizione relativa ad una controversia avente ad oggetto lĠaffidamento di un appalto di fornitura da parte del Consorzio tra i comuni della provincia di Bolzano, avente veste di societˆ cooperativa a r.l.  A tal proposito secondo la Corte poichŽ nel nostro ordinamento non esiste alcun istituto che corrisponde al concetto di organismo di diritto pubblico, i parametri da utilizzare al fine di ricondurre un ente in tale categoria devono essere ricercati sulla base di categorie giuridiche di diritto comunitario e non di diritto interno: quindi bisogna tener conto del profilo sostanziale dellĠattivitˆ svolta. Infatti, la Corte, prescindendo dalla qualifica formale, scorge nellĠattivitˆ svolta dal Consorzio una valenza pubblicistica, mutando in tal modo il proprio precedente orientamento ( a tal proposito Cass. Civ. sez. un., 27 marzo 1997, n. 2738, in Riv. Ital. Dir. Pubbl. comunit., 1997, p. 775 ss; Cass. Civ. , sez. un. 6 maggio 1995, n. 4991, in Riv. Ital. dir. Pubbl. conunit. , 1995, p. 1056 ss.); ci˜ comporta che in base ad aspetti di natura sostanziale, cio in base alla natura degli interessi perseguiti concretamente dallĠente, il Consorzio debba essere incluso nella categoria di organismo di diritto pubblico con la conseguenza di attribuire la giurisdizione a conoscere la controversia al giudice amministrativo. Ad analoghe conclusioni la Corte  giunta anche in unĠaltra pronuncia (v. Cass.civ., Ss. Uu., 13 febbraio 1999, n. 64, in Guida al diritto, 6 marzo 1999, n. 9, p. 62 ss.).

 

[7] D.lgs. 30 marzo 2001, 165, ÒNorme generali sullĠordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubblicheÓ.

 

[8] Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 recante Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dellĠart. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421

[9] Il comma in questione cos“ recita: Ò2. Dalla stessa data le disposizioni contenute nel regolamento allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, 148, ivi comprese le norme di legge modificative, sostitutive ed aggiuntive a tale regolamento, possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria ed i regolamenti dĠazienda non possono derogare ai contratti collettiviÓ.

[10] ÒLa Repubblica Italiana, in attuazione della Convenzione OIL n. 143/1975 ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti sul suo territorio e alle loro famiglie paritˆ di trattamento e piena uguaglianza di diritto rispetto ai lavoratori italianiÓ.

 

 

[11] Art. 10 Convenzione OIL n. 143/1975, sottoscritta, ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 10 aprile 1981, n. 158: ÒOgni Stato membro per il quale la Convenzione sia in vigore si impegna a formulare e ad attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi adatti alle circostanze e agli usi nazionali, la paritˆ di opportunitˆ e trattamento in materia di occupazione e professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonchŽ di libertˆ individuali e collettive per le persone che, in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorioÓ.

 

[12] Art. 14 Convenzione OIL n. 143/1975: ÒOgni Stato membro pu˜Éc) respingere lĠaccesso a limitate categorie di occupazione e di funzioni, qualora tale restrizione sia necessaria nellĠinteresse dello StatoÓ.

 

[13] Semmai un ambito nel quale potrebbe sussistere un interesse nazionale da preservare  forse quello del pubblico impiego, di cui si  parlato in precedenza, ove, secondo lĠindirizzo restrittivo menzionato dalla Cassazione, sussisterebbe una riserva di cittadinanza a fondamento costituzionale. La clausola contemplata dallĠart. 14, tuttavia, appare analoga nel contenuto a quella fissata dallĠart. 48 del Trattato dellĠUnione Europea per lĠaccesso dei cittadini comunitari al pubblico impiego. PoichŽ il legislatore ha preso attentamente in considerazione la clausola degli interessi nazionali e dellĠesercizio, diretto o indiretto, di una funzione pubblica, nellĠart. 38 del citato d.lgs. n. 165/2001, sarebbe coerente, in via simmetrica, la previsione di unĠidentica disposizione per i cittadini extracomunitari, che lĠUNAR auspica in sede di riordino della normativa sul pubblico impiego.

 

[14] In tal senso la sentenza della Corte di Cassazione 19 luglio 2002, n. 10542 Òil giudice nazionale, ove ravvisi un contrasto con la disciplina nazionale,  tenuto a dare prevalenza alla norma pattizia, che sia dotata di immediata precettivitˆ rispetto al caso concreto, anche ove ci˜ comporti una disapplicazione della norma internaÓ. Ed altres“ nello stesso senso: Corte di Cassazione 11 giugno 2004, n. 11096.

 

[15] LĠart. 10 c. 2 della Costituzione che recita: ÒLa condizione giuridica dello straniero  regolata dalla legge in conformitˆ alle norme dei trattati internazionaliÉÓ

 

 

[16] Questa lettura appare confermata dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 19 gennaio 1993, n. 10 laddove si ritiene che le norme pattizie ancorch derivanti da una fonte riconducibile ad una competenza atipica sono, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria.

 

[17] NŽ paiono accettabili le considerazioni, che potrebbero essere formulate a contrario, circa lĠattuale vigenza della norma regolamentare, che fanno leva sulla previsione di cui allĠart. 27, comma 3 del T.U. Immigrazione laddove esplicitamente si dispone che ÒRimangono ferme le disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per lo svolgimento di determinate attivitˆÓ. Tali considerazioni si fondano infatti su una lettura meramente testuale dellĠart. 27 intitolato ÒIngresso per lavoro in casi particolariÓ che disciplina gli ingressi nel territorio dello Stato che si collocano fuori dal sistema delle quote di autorizzazione (lettori universitari, personale dello spettacolo, etc.). A parere dellĠUNAR, la norma  in questione va interpretata in maniera sistematica in relazione alla specifica riferibilitˆ delle previsioni nella stessa contenute alle particolari categorie di cittadini stranieri contemplati nel comma 1 e nel comma 2 della medesima disposizione. Ne consegue che lĠoperativitˆ della disposizioni di salvaguardia di cui allĠart. 27 comma 3 vada riferita alle categorie specifiche di cittadini stranieri contemplate nei precedenti due commi e non alla condizione del cittadino straniero in generale.

 

[18] Nella indicata pronuncia la Corte ha statuito sulla legittimitˆ costituzionale di una legge della Regione Lombardia nella parte in cui non includeva le persone di nazionalitˆ straniera, regolarmente residenti nella regione,  totalmente invalide per cause civili, fra gli aventi diritto alla circolazione gratuita sui mezzi pubblici, diritto di norma riconosciuto agli invalidi cittadini italiani. Il fatto che la Regione avesse introdotto un regime di favore eccedente i limiti dellĠÓessenzialeÓ, sia sul versante del diritto alla salute, sia su quello delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, non escludeva che lĠindividuazione delle categorie dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse finanziarie – dovesse essere operata, sempre e comunque, in ossequio al principio della ragionevolezza, in quanto al legislatore  consentito introdurre regimi differenziati soltanto in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale. Nella specie, non essendo enucleabile altra ratio che non fosse quella di introdurre una preclusione destinata a scriminare gli stranieri in quanto tali, la norma censurata si poneva in contrasto con lĠart. 3 della Costituzione, poichŽ il relativo scrutinio andava circoscritto allĠinterno della specifica previsione in virt della quale la circolazione gratuita veniva assicurata non a tutti gli invalidi residenti in Lombardia (che avessero un grado di invaliditˆ pari al 100%), ma soltanto a coloro, fra essi, che godevano della cittadinanza italiana, cittadinanza che rappresenta  – a giudizio della Corte – una condizione ulteriore, ultronea ed incoerente.