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PDL 566

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 566




 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DE CORATO, LA RUSSA, ANGELI, BRIGANDÌ, CASTIELLO, CICCIOLI, COSENZA, DI CAGNO ABBRESCIA, D'IPPOLITO VITALE, FRANZOSO, HOLZMANN, LAMORTE, LISI, MANCUSO, MARINELLO, MAZZOCCHI, MENIA, MIGLIORI, MINASSO, ANGELA NAPOLI, PALMIERI, PELINO, RAISI, SAGLIA, ZACCHERA, BARBIERI, CATANOSO, COLUCCI, GREGORIO FONTANA, GRANATA, LAFFRANCO

Modifica all'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91,
in materia di revoca della cittadinanza

Presentata il 29 aprile 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Il tema della cittadinanza viene spesso inquadrato solo nell'ottica dell'estensione di diritti.
      Tuttavia la Costituzione, nella sua parte prima, mette a fondamento del patto di cittadinanza, accanto ai diritti, anche i doveri. Negli ultimi decenni questa correlazione è stata oscurata di pari passo con un indebolimento del senso etico: una morale collettiva presuppone infatti dei doveri.
      In questa prospettiva, la presente proposta di legge si propone di modificare la legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza, introducendo la revoca della cittadinanza concessa agli stranieri. Ciò potrà avvenire sia in caso di gravi violazioni del dovere di fedeltà nei confronti della Repubblica, sancito positivamente dall'articolo 54 della Costituzione, il quale solennemente proclama che «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi»; sia in caso di commissione di alcuni tra i reati più gravi, tra i quali l'omicidio doloso, la violenza sessuale, l'associazione a delinquere di stampo mafioso, la riduzione in schiavitù, i reati di pedofilia e il traffico di droga.
      In molti ordinamenti liberali esiste un dovere di lealtà verso lo Stato e la comunità nazionale, che si fonda sul principio morale della buona fede. Chi vìola tale dovere deve essere escluso da quella comunità.
 

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      Questo principio è già contenuto nell'articolo 12 della richiamata legge n. 91 del 1992, laddove si prevede che il cittadino italiano che accetti un pubblico impiego o presti servizio militare presso uno Stato estero può perdere la cittadinanza italiana, mentre la perde senz'altro se lo Stato estero è in guerra con l'Italia.
      Del resto la violazione di un patto etico è a fondamento anche della norma che prevede la perdita della cittadinanza italiana laddove l'adozione del giovane straniero sia stata revocata per indegnità.
      La normativa vigente nulla dice invece per un caso senz'altro più grave, come quello del cittadino che «se la intenda» in vario modo con organizzazioni terroristiche straniere.
      È, dunque, indispensabile per la sicurezza nazionale prevedere la possibilità di una revoca della cittadinanza per coloro che siano contigui a movimenti terroristici e si macchino di gravissimi reati, tradendo la fides sulla quale si fonda il loro rapporto con la Repubblica.
      Nella liberale Svizzera, l'articolo 48 della legge sulla cittadinanza prevede che l'Ufficio federale possa revocare la cittadinanza se la condotta del neo cittadino è di grave pregiudizio agli interessi e alla buona reputazione dello Stato elvetico.
      Del resto, già l'articolo 6 della medesima legge n. 91 del 1992 prevede che siano di ostacolo alla concessione della cittadinanza il compimento di certi reati e soprattutto «motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica».
      Al riguardo va ricordato che il Consiglio di Stato ha ritenuto che è legittimo il diniego della cittadinanza italiana qualora l'amministrazione abbia accertato la mancata integrazione dello straniero in Italia e la sua vicinanza ad associazioni estremistiche.
      Lo stesso giudice ha affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 1, lettera c), della legge n. 91 del 1992, nella parte in cui consente di porre a fondamento del diniego di concessione della cittadinanza italiana anche il semplice sospetto di motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, nel caso di specie l'appartenenza del richiedente a organizzazioni di terrorismo internazionale.
      D'altro canto, la presente proposta di legge rispetta pienamente quanto previsto dall'articolo 22 della Costituzione, il quale stabilisce che «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Questa norma, anzi, implicitamente riconosce che la cittadinanza può essere revocata, tranne che per motivi politici - e certamente non attiene alla politica la contiguità con organizzazioni terroristiche, salvo che non si voglia legittimare il terrorismo, o il compimento dei reati più gravi. Né si potrebbe addurre l'articolo 3 della Costituzione per una presunta disparità di trattamento tra cittadini iure sanguinis e iure legis, posta la diversità delle situazioni e dei presupposti della cittadinanza, soprattutto poi se si dovesse introdurre, in futuro, quale condizione per la concessione della cittadinanza, come da più parti si richiede, un giuramento di rispetto dei valori costituzionali.
      Infatti è ben diversa la posizione del cittadino iure sanguinis, il quale appartiene per nascita a una comunità, rispetto a quella della straniero che acquista iure legis la cittadinanza. Quest'ultimo è accolto in fidem da una comunità e qualora si macchi di gravi reati vìola un dovere di lealtà, sul quale si fonda l'acquisto della cittadinanza.
      A questo proposito appare opportuno evidenziare che anche in altri settori del diritto si rinviene una significativa differenza, quanto alla decadenza dagli status, a seconda che essi siano acquisiti per il mero fatto della nascita o siano, invece, acquisiti grazie a una possibilità concessa dal legislatore. Al riguardo va ricordato, ad esempio, che in caso di indegnità l'adottato decade dallo status familiae e cessa, dunque, di essere figlio, mentre il figlio iure sanguinis non decade mai dal proprio status di figlio legittimo.
      Allo stesso modo è, dunque, logico e legittimo che possa decadere dallo status civitatis il cittadino straniero accolto dalla
 

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comunità italiana, mentre a tale decadenza non vada incontro colui che sin dalla nascita ha goduto della cittadinanza italiana.
      Se dunque si vuole avere a cuore il destino della nostra Repubblica, la sicurezza sua e dei suoi cittadini, non ci si può esimere dal mettere al centro del patto di cittadinanza anche alcuni doveri, e in primo luogo il dovere di lealtà verso chi ha accolto generosamente i nuovi venuti, come anche il dovere di rispetto nei confronti dei più importanti beni tutelati dal diritto penale.
      A ciò è finalizzata la presente proposta di legge.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 12 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «2-bis. La cittadinanza è revocata al cittadino italiano, che la abbia acquistata ai sensi dell'articolo 5, in caso di sentenza di condanna passata in giudicato:

          a) per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III, del codice penale;

          b) per uno dei delitti previsti dagli articoli 416-bis, 575, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 630 del codice penale;

          c) per i delitti riguardanti la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all'articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, aggravati ai sensi dell'articolo 80, comma 1, lettera a), e comma 2, del medesimo testo unico, nonché per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del citato testo unico, in tutte le ipotesi previste dai commi 1, 4 e 5 del medesimo articolo 74».


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