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SEGNALAZIONI NORMATIVE E GIURISPRUDENZIALI
10 dicembre 2008
DECRETO FLUSSI
Il Presidente del Consiglio ha
firmato, il 3 dicembre scorso, il testo del decreto flussi 2008. Il 4 dicembre
scorso il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare applicativa.
Perplessità sulla legittimità costituzionale della norma che
restringe le possibilità di
assunzione da parte dei datori di lavoro stranieri, limitandole soltanto ai datori di lavoro stranieri
che siano in possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti o ne
abbiano fatto richiesta al momento della data di pubblicazione del decreto. La
possibile portata discriminatoria della norma.
Il testo del decreto flussi
dd. 03.12.2008
Il testo della
circolare esplicativa del Ministero dell’Interno dd. 04.12.2008
Il
decreto stabilisce che quest'anno potranno entrare in Italia, per lavoro
subordinato non stagionale, 150.000 nuovi lavoratori non comunitari. Come già annunciato, non potranno,
però, essere presentate nuove domande di assunzione. Infatti il decreto prevede che queste quote saranno
assegnate in base alle graduatorie delle domande presentate agli sportelli
unici per l'immigrazione entro il 31 maggio 2008 (all'interno del decreto
flussi 2007).
Questi 150.000 posti saranno così suddivisi:
* 44.600 lavoratori provenienti da Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere
specifici accordi di cooperazione in materia migratoria con l'Italia, ovvero
Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Filippine, Ghana, Marocco, Moldavia,
Nigeria, Pakistan, Senegal, Somalia, Sri Lanka, Tunisia;
*105.400 lavoratori domestici o di assistenza alla persona, provenienti da
altri Paesi.
La ripartizione delle quote tra le regioni e le province autonome sarà decisa
dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali sulla base
delle domande già inviate ai competenti uffici.
Il decreto introduce una restrizione per i datori di lavoro stranieri non
comunitari. Verranno infatti accettate solo le domande presentate da chi, alla
data di pubblicazione del decreto, sia in possesso o abbia presentato richiesta
per un "permesso per soggiornanti di lungo periodo" (ex "carta
di soggiorno").
Questi datori di lavoro stranieri dovranno inoltre entro venti giorni a partire
dal 15 dicembre confermare di avere questo requisito e di essere ancora
intenzionati a portare a termine l'assunzione. Questa conferma verrà fatta
online direttamente sul sito www.interno.it.
Tutti gli altri datori di lavoro non dovranno fare nulla, se non attendere che l'ufficio
competente rilasci l'autorizzazione al lavoro qualora ci siano i requisiti
prescritti dalla legge.
La disposizione suscita perplessità perché pone i datori di lavoro stranieri
regolarmente soggiornanti in una
condizione di disparità di trattamento rispetto ai datori di lavoro italiani, e
tra loro stessi, a parità di ogni altra condizione, per cui potrebbe
configurare una discriminazione illecita su basi di nazionalità, in relazione
ai principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di libertà d’iniziativa
economica (art. 41 Cost.) e al
divieto di discriminazione di cui all’art. 43 T.U. immigrazione, con
particolare riferimento al comma 2 lett. c) [“compie un atto di discriminazione
chiunque impedisca, mediante azioni ed omissioni, l’esercizio di un’attività
economica legittimamente intrapresa da uno straniero regolarmente soggiornante
in Italia, in ragione soltanto della sua condizione di straniero”].
PERMESSO DI SOGGIORNO
1. Rinnovo del permesso di soggiorno. Diniego in presenza di accertamento della
fittizietà del rapporto di lavoro. Illegittimità del diniego qualora non
vengano presi in considerazione fatti sopravvenuti attestanti l’attuale
disponibilità di fonti di reddito derivanti da un nuovo rapporto di lavoro
ovvero, in caso di straniero che abbia usufruito del ricongiungimento
familiare, dal nucleo familiare nel quale è inserito.
TAR Veneto, Sez. III, Sent. n. 3586 dd. 18 novembre 2008
TAR
Veneto, Sez. III, sent. n. 3239 dd. 20 ottobre 2008
Ribadendo una giurisprudenza consolidata, fatta propria non solo dalla
propria sezione, ma anche dal Consiglio di Stato e dalla stessa Cassazione
(Civile, sent. 3 febbraio 2006, n. 2417) il TAR Veneto ha affermato che è illegittimo il diniego al rinnovo del
permesso di soggiorno a seguito di
accertamento della fittizietà del rapporto di lavoro documentato dallo
straniero in sede di rinnovo qualora la Questura non proceda ad una valutazione
della documentazione prodotta dallo straniero attestante la presenza di fonti
di sostentamento al momento in cui l’autorità amministrativa viene a pronunciarsi
(come nella fattispecie, la documentazione attestante un nuovo rapporto di
lavoro). In altre parole, l’accertamento del carattere fittizio del rapporto di lavoro che lo straniero
aveva documentato in sede di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno
non basta a negargli tale rinnovo ovvero a revocare il permesso di
soggiorno, qualora lo
straniero interessato sia comunque in grado di dimostrare di essere in possesso di adeguate e lecite fonti di
sostentamento al momento dell’adozione del provvedimento amministrativo da
parte della questura. Questo in considerazione dell’esplicita previsione di cui all’art. 5 c. 5 del
T.U. immigrazione, per cui, prima dell’adozione di un provvedimento di revoca o
diniego al rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa ha
l’obbligo di valutare eventuali elementi sopravvenuti che possano sanare
l’assenza dei requisiti originariamente mancanti.
In aggiunta, il TAR Veneto afferma che qualora lo straniero sia in possesso di un permesso di
soggiorno per motivi familiari ovvero sia entrato in Italia per motivi di
ricongiungimento familiare, l’accertamento del carattere fittizio del rapporto
di lavoro documentato dallo straniero non può produrre effetti automatici di
diniego o revoca del permesso di soggiorno anche in considerazione della
necessità di considerare l’effettività e la natura dei legami familiari, in
Italia così come nel paese di origine, in relazione anche alla durata del suo
soggiorno in Italia, così come imposto dalle norme introdotte nel T.U.
immigrazione per effetto dell’adozione della direttiva europea in materia di
riunificazione familiare (art. 5 c. 5 T.U. immigrazione, come modificato
dal d.lgs. n. 5/2007). Di
conseguenza, la necessaria valutazione dei fatti sopravvenuti fino al momento
dell’adozione del provvedimento amministrativo da parte della questura
attinenti alla disponibilità di mezzi di sostentamento dello straniero impone che debba essere considerato non
solo il reddito prodotto dal diretto interessato, ma anche dei familiari conviventi (nella fattispecie, il
reddito del padre).
2. Revoca del permesso di soggiorno per motivi di
lavoro subordinato. Legittimità ed automaticità della revoca in presenza di
reati sessuali, senza riguardo all’inserimento sociale, familiare e lavorativo
dell’interessato.
TAR
Veneto, sez. III, n. 3496 dd. 11
novembre 2008.
La
condanna per un reato sessuale è di per sé ostativa al rinnovo del permesso di
soggiorno, in base alle disposizioni di legge (art. 5.5 combinato con l’art. 4.
3 D.lgs. n. 286/98) e secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale
(Consiglio di Stato n. 1803/2008; n. 114/2008). Le eccezioni riguardano i titolari di permesso di soggiorno CE
per lungo soggiornanti e i titolari di permesso di soggiorno per motivi di
famiglia ovvero coloro che hanno beneficiato del ricongiungimento familiare,
per i quali il criterio della pericolosità sociale deve essere bilanciato con
la valutazione del grado di
inserimento sociale, familiare e lavorativo del cittadino straniero, cioè con
l’effettività e la natura dei legami familiari anche in relazione alla durata
del soggiorno in Italia. Questo in base alle normative di recepimento delle
rispettive direttive europee (n. 109/2003 e 86/2003).
3. Revoca del permesso di soggiorno ed espulsione dello straniero a seguito di condanna per reati
previsti a tutela della normativa del diritto d’autore. Automatismo escluso in
caso di titolare del permesso di soggiorno per motivi famigliari ovvero di
straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare.
Corte
Costituzionale, Ordinanza n. 378 dd. 20 novembre 2008
La Corte Costituzionale non si è espressa sulla presunta
incostituzionalità delle norme introdotte dal decreto-legge 14.09.2004, n. 241,
convertito dalla legge 12.11.2004, n. 271 che prevedono l’automatica revoca del
permesso di soggiorno ed espulsione dello straniero che venga condannato con
provvedimento irrevocabile, e dunque, anche per effetto del patteggiamento, per
alcuno dei reati previsti a tutela della normativa sul diritto d’autore.
La Corte costituzionale era stata chiamata ad esprimersi a seguito di un
rinvio compiuto dal giudice di
pace di Viterbo, il quale aveva sollevato dubbi di costituzionalità della
normativa per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza, ritenendo
che detta normativa prevedeva una misura, l’espulsione, eccessiva rispetto a
reati di scarsissimo allarme sociale (come quelli conseguenti all’attività dei
venditori ambulanti). Il giudice costituzionale non ha inteso esprimersi nel
merito, rinviando la questione al
giudice remittente per la semplice ragione che nel frattempo sono entrate in
vigore le nuove norme sul ricongiungimento familiare che consentono
all’autorità amministrativa e, in caso di ricorso, a quella giudiziaria, di non
applicare un automatismo in tali procedimenti, bensì di bilanciare la
previsione di espellibilità dello straniero con il grado di inserimento
sociale, familiare e lavorativo di quest’ultimo, ma solo beninteso per coloro
che siano in possesso di un permesso di soggiorno per motivi familiari o che
abbiano usufruito del ricongiungimento familiare (d.lgs. n. 5/2007 come
modificato dal d.lgs. n. 160/2008).
4. La mancata comunicazione della variazione del
domicilio dello straniero, pur violando un obbligo di legge, non può di per sé
comportare il diniego al rinnovo
del permesso di soggiorno.
TAR
Liguria, sez. II, sent. N. 1975 dd. 13 novembre 2008
La violazione dell’obbligo di comunicare alla questura la variazione del
domicilio abituale, previsto dall’art. 6 co. 8 del T.U. immigrazione, non può essere di per sé ostativa alla
permanenza dello straniero in Italia, in quanto la legislazione prevede tassativamente i casi di rifiuto del rinnovo del
permesso di soggiorno e tale situazione non rientra tra questi. In questo senso
conclude la sentenza del TAR Liguria n. 1975 dd. 13 novembre 2008.
PERMESSO DI SOGGIORNO PER MOTIVI FAMILIARI
5.
Tutte le controversie relative ai permessi di soggiorno per motivi
familiari spettano alla giurisdizione del giudice ordinario civile, anche
quelle relative al diniego alla richiesta di conversione del permesso di
soggiorno da cure mediche (gravidanza) a
motivi di famiglia.
TAR
Lazio, sez. II quarter, sentenza
n. 9010 dd. 17 ottobre 2008.
L’art. 19 del T.U.
immigrazione prevede, come è noto, l’inespellibilità della cittadina straniera
in stato di gravidanza per tutto il periodo della maternità e fino ai sei mesi
successivi alla gravidanza. A tali cittadine straniere, nonché eventualmente ai
relativi mariti, viene
rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di cure mediche. Talvolta
succede che le cittadine straniere in oggetto hanno i rispettivi mariti già
regolarmente soggiornanti in Italia ed in possesso dei requisiti alloggiattivi
e di reddito per il ricongiungimento familiare, per cui allo scadere dei sei
mesi successivi alla gravidanza, richiedono la conversione del permesso di
soggiorno da cure mediche a motivi di famiglia ai sensi dell’art. 30 c. 1 lett. c) del T.U. immigrazione (“Il permesso
di soggiorno per motivi familiari è rilasciato al familiare straniero
regolarmente soggiornante, in possesso dei requisiti per il ricongiungimento
(…) con straniero regolarmente soggiornante in Italia. In tal caso il permesso
del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La
conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del
titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare”), per evitare di dover rientrare nel paese di
origine ed iniziare la lunga procedura di riunificazione famigliare
per il rilascio di un visto di ingresso. Spesso le questure non acconsentano a
tale interpretazione della normativa, notificando dei provvedimenti di diniego.
Senza entrare nel merito della questione, il TAR Lazio afferma che per
il ricorso avverso tali provvedimenti
sussiste la giurisdizione del giudice ordinario civile e non di quello amministrativo, avendo
rilievo un diritto soggettivo alla
coesione familiare, secondo quanto disposto dall’art. 30 c. 6 del T.U.
immigrazione.
A cura della
Segreteria organizzativa dell’ASGI