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ASGI
NEWSLETTER
03
DICEMBRE 2008
SEGNALAZIONI
GIURISPRUDENZIALI
PRESTAZIONI DI
ASSISTENZA SOCIALE
Dinanzi al giudice del lavoro di Treviso, l’INPS accetta la
conciliazione e riconosce il diritto all’indennità di accompagnamento spettante
alle persone invalide incapaci di muoversi autonomamente ad un minore di
nazionalità marocchina anche se privo della carta di soggiorno (permesso di
soggiorno CE per lungo soggiornanti). Il legale del minore marocchino aveva
sostenuto il giudizio l’applicabilità dell’accordo di associazione
euromediterraneo tra Comunità Europea e Regno del Marocco che prevede la
clausola di parità di trattamento in materia di assistenza e previdenza sociale
con la sola condizione del soggiorno legale, a prescindere dal requisito del
soggiorno di lunga durata.
Dinanzi al giudice del lavoro di Treviso, l’INPS accetta la
conciliazione e riconosce il diritto all’indennità di accompagnamento spettante
alle persone invalide incapaci di muoversi autonomamente ad un minore di
nazionalità marocchina anche se privo della carta di soggiorno (permesso di
soggiorno CE per lungo soggiornanti).
Il verbale di conciliazione, redatto in data 31 ottobre 2008, prevede dunque l’impegno dell’Azienda
Sanitaria Locale e dell’INPS a concedere ed erogare al ricorrente l’indennità di accompagnamento di cui
all’art. 1 della legge 11.02.1980,
n. 18, incluso il pagamento degli arretrati a partire dal giorno successivo alla presentazione dell’istanza, e fino
alla data prevista per il successivo accertamento periodico della permanenza
dei requisiti sanitari.
Il legale del ricorrente era ricorso dinanzi al giudice del lavoro
contro il diniego dell’INPS al riconoscimento di detta prestazione a causa della
mancanza del requisito della carta di soggiorno (permesso di soggiorno CE per
lungo soggiornanti). Il legale aveva sostenuto che la norma di cui all’art. 80
c. 19 della legge n. 388/2000
imponeva detto requisito in violazione della Costituzione, del principio di
parità di trattamento e di non discriminazione di cui alla Corte Europea dei
diritti dell’Uomo e comunque non poteva prevalere sulla norma contenuta
nell’accordo di associazione euro-mediterraneo tra Comunità Europea e Regno del
Marocco che prevede un principio di parità di trattamento tra cittadini
nazionali e cittadini del Marocco legalmente residenti in uno degli Stati
membri dell’UE in materia di prestazioni di assistenza e previdenza sociale;
disposizione prevalente avente natura di norma comunitaria. (1)
Di fronte alla manifesta fondatezza delle argomentazioni della parte
ricorrente, si ritiene che l’INPS abbia accettato la procedura di conciliazione
per evitare la creazione di un precedente giurisprudenziale a lui sfavorevole.
Nonostante gli interventi dell’ASGI e dell’UNAR (Ufficio Nazionale
Anti-Discriminazioni Razziali) (2), l’INPS continua a non dare applicazione
alla clausola di parità di trattamento in materia di prestazioni di assistenza
sociale contenuta in tali accordi euromediterranei, compiendo di conseguenza
una palese violazione delle norme di diritto comunitario.
Si rammenta, infatti, che con la sentenza n. 306 dd. 29 luglio 2008, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge 23 dicembre 2000 (legge
finanziaria 2001) e dell’art. 9, comma 1 del T.U. immigrazione, nella parte in
cui escludono che l’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della legge
11 febbraio 1980, n. 18, spettante ai disabili non autonomamente deambulanti o
che non siano in grado di compiere da soli gli atti quotidiani della loro
vita, possa essere attribuita agli
stranieri extracomunitari soltanto perché non possiedono i requisiti di reddito
necessari per il rilascio del
permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti. Pertanto, a seguito di tale
sentenza, non è più necessario per lo straniero extracomunitario possedere il
permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (ex carta di soggiorno), ma
permane il requisito del soggiorno legale di lunga durata, quinquennale, ai fini
dell’accesso alla prestazione. Una corretta applicazione degli accordi di
associazione euro-mediterranei tra CE e Regno del Marocco, Tunisia e Algeria,
dovrebbe dunque prevedere che per i cittadini di tali paesi, legalmente
soggiornanti in Italia, l’accesso a tali prestazioni a prescindere dal
requisito del soggiorno di lunga durata, normalmente invece previsto per gli
altri cittadini di Stati terzi. Non risulta, peraltro, che l’INPS abbia finora
proceduto a dare compiuta applicazione nemmeno a quanto sancito dalla Corte
Costituzionale con la sentenza citata del luglio scorso.
Si ringrazia il
socio ASGI, avv. Stefano Azzari di Treviso, per la segnalazione.
(1) L’Accordo euromediterraneo che istituisce
un’Associazione tra la Comunità Europea e i suoi Stati membri da una parte, e
il Regno del Marocco, dall’altra, è stato firmato il 26.02.1996 ed entrato in
vigore il 01.03.2000 (Gazzetta Ufficiale CE L 70/00)
(2) Si veda in proposito la lettera indirizzata nel
giugno 2007 all’allora Ministero del Lavoro Cesare Damiano e all’INPS dal servizio di supporto giuridico contro
le discriminazioni razziali dell’ASGI con la quale si chiedeva conto della
mancata applicazione delle clausole di parità di trattamento in materia di
prestazioni sociali e previdenziali contenute negli accordi euromediterranei
tra CE e Algeria, Marocco e Tunisia e si chiedeva, di conseguenza, la
disapplicazione nei confronti dei cittadini marocchini, algerini e tunisini
regolarmente soggiornanti in Italia
delle norme di cui all’art. 80 c. 19 della legge n. 288/2000, che
imponeva il requisito della carta di soggiorno per accedere alle prestazioni
sociali avente natura di diritto soggettivo (assegno sociale, pensioni di
invalidità, indennità di accompagnamento) [cfr. Newsletter
progetto Leader n. 7 – luglio 2007]. Tali richieste sono state successivamente appoggiate dall’UNAR in una lettera
indirizzata ai medesimi destinatari [cfr. parere dell’UNAR riprodotto
integralmente in Newsletter progetto Leader n. 11 – novembre
2007]. Entrambe le richiesta non hanno mai trovato risposta né dal
Ministero del Lavoro né dall’INPS.
ASILO E
PROTEZIONE INTERNAZIONALE
Corte di Cassazione,
Sezioni Unite, sentenza n. 27310 dd. 17 novembre 2008.
Secondo l’art. 4 c. 5 della direttiva 2004/83/CE, il richiedente è tenuto a motivare la sua
domanda di protezione internazionale, ma qualora taluni aspetti delle sue
dichiarazioni non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la
loro conferma non è strettamente necessaria se il richiedente ha compiuto
sinceri sforzi per circostanziare la sua domanda e ha fornito spiegazioni
soddisfacenti sulle ragioni della mancanza di elementi significativi, se le sue dichiarazioni appaiono coerenti
e plausibili rispetto alle informazioni generali e specifiche cui si dispone in
relazione al suo caso ed il richiedente appare in generale attendibile. In
sostanza, la buona fede e diligenza del richiedente ed, in generale, la sua
attendibilità debbono essere
valutate anche alla luce di informazioni e documentazione che il giudice nel
procedimento di ricorso può essere chiamato ad assumere autonomamente,
richiedendo ad esempio la collaborazione della Commissione nazionale asilo,
secondo quanto previsto dall’art. 8 c. 3 del d.lgs. n. 25/2008.
Fondandosi su tali criteri, fissanti un obbligo
istruttorio attivo del giudice chiamato a dirimere il procedimento, la Corte di
Cassazione ha annullato una
sentenza della Corte di Appello di Firenze che aveva negato il riconoscimento
della protezione internazionale ad un richiedente asilo iracheno per il fatto
che il ricorrente non aveva
provato a sufficienza la sua appartenenza al gruppo etnico curdo, rilevandosi
insufficiente la sola conoscenza della lingua curda, così come non aveva dimostrato
la credibilità delle sue
affermazioni circa la militanza in un gruppo antigovernativo curdo sciita e il conseguente rischio persecutorio
individuale che ne sarebbe derivato.
Secondo la Corte di Cassazione, invece, il ruolo
passivo assunto dal giudice di merito, che aveva pure respinto richieste
istruttorie formulate dal legale del ricorrente nonostante la natura camerale del procedimento, appare
incompatibile con gli standard del
regime probatorio fissato dalla normativa comunitaria in materia di
procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, che impongono
un chiaro rivolgimento delle regole ordinarie sull’onere probatorio dettate
dalla normativa codicistica vigente in Italia.
A
cura della segreteria organizzativa dell’ASGI