ANCORA IMMIGRATI LASCIATI PARTIRE DALLA
LIBIA: LA POLITICA DEL RICATTO E LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI.
Negli ultimi giorni
di aprile oltre mille migranti, provenienti per la maggior parte dalla Libia, hanno
raggiunto l’isola di Lampedusa e diverse centinaia sono sbarcati in Sicilia. Si
registrano anche i primi morti ed alcuni dispersi. Immediatamente è scattato il
piano di trasferimento per decongestionare le strutture di permanenza
temporanea di Lampedusa. Un gruppo di 50 immigrati è stato imbarcato sul traghetto
di linea per Porto Empedocle, probabilmente verso uno dei centri di detenzione
siciliani, altri 200 sono stati trasferiti a Bari, verso altri Cpt, con due
voli speciali predisposti dalla Prefettura di Agrigento. Nel centro lampedusano
di contrada Imbriacola, che ha una capienza di circa 600 posti letto, si
trovavano alla vigilia del 1 maggio ancora 700 migranti arrivati in questi ultimi giorni. Proprio in
occasione della “festa del lavoro” sono giunti nel porto di Lampedusa 234
clandestini intercettati su un barcone di 15 metri a 15 miglia a Sud
dell'isola. L'imbarcazione e' stata scortata da motovedette della Guardia
costiera. A bordo 42 donne, tre delle quali incinte, e cinque bambini. Gli
extracomunitari sono provenienti da Somalia, Eritrea, Ghana e Nigeria. Quindi
ancora flussi misti, come denunciato da tempo dall’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite: potenziali richiedenti asilo e migranti economici. Si arriva anche direttamente sulle coste
lampedusane, sono stati scoperti sull’isola dopo lo sbarco, a 200 metri dal
porto altri 40 clandestini, mentre un altro gommone e' stato avvistato a 26
miglia a Sud dell’isola. Altri migranti sono giunti direttamente sulla costa
siciliana nei pressi di Pozzallo, transitando come al solito dalle acque maltesi.
I nuovi massicci arrivi di migranti
provenienti dalla Libia, pochi giorni dopo le denunce della Libia nel Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite, sui bombardamenti israeliani su Gaza, seguite
dalla rabbiosa reazione dei rappresentanti diplomatici che hanno abbandonato la
seduta, su iniziativa del rappresentante italiano, non si spiegano soltanto con
le migliorate condizioni meteo che hanno facilitato la navigazione delle
carrette cariche di disperati. Sembra assai probabile che la Libia, in un momento
nel quale rischia di nuovo l’isolamento internazionale, faccia valere la
consueta arma del ricatto, sulla pelle dei migranti irregolari che da cercano
di fuggire da quel paese verso l’Europa. Il ferreo controllo delle forze di
polizie libiche sulle partenze dei migranti dai porti di quel paese, malgrado
il diffuso sistema di corruzione che lega le organizzazioni criminali e la
polizia locale, confermato da rapporti internazionali e da testimonianze
dirette, consente ai vertici della polizia di Gheddafi di “gestire” i movimenti
dei migranti irregolari, aprendo e chiudendo le porte del lager libico, a
seconda della convenienza politica del momento. Si è così rilevato un
rallentamento degli arrivi dalla Libia, e la totale “scomparsa” degli eritrei
tra i potenziali richiedenti asilo, dopo le intese firmate alla fine dello
scorso anno tra la Libia e l’Italia, mentre subito dopo la crisi diplomatica,
innescata all’ONU dalle dichiarazione dell’ambasciatore libico sui
bombardamenti israeliani su Gaza, le partenze dalle coste libiche sono riprese
come se i controlli di polizia si fossero improvvisamente volatilizzati.
Eppure, con l’accordo sottoscritto a dicembre
dello scorso anno dall’Italia, si istituivano “centrali operative e sistemi di
monitoraggio comuni per contrastare l’immigrazione clandestina, con il
dispiegamento di unità militari italiane in acque libiche a ridosso della costa,
sei imbarcazioni della Guardia di Finanza, tra le più avanzate tecnologicamente, che dovrebbero operare
con equipaggi misti, per respingere i migranti verso i porti di partenza”. Con
l’ultima legge finanziaria oltre sette milioni di euro sono stati stanziati proprio
per finanziare interventi della Guardia di Finanza in Libia. Il Protocollo firmato a Tripoli
prevedeva inoltre che l’Italia assumesse ulteriori iniziative a livello europeo
per rinforzare i dispositivi di “guerra all’immigrazione illegale” come
l’agenzia FRONTEX Lo stesso
protocollo evidenziava tuttavia una catena di comando che appariva burocratica
ed assai poco funzionale, sovrapposta rispetto a quella caratteristica delle
operazioni di Frontex, relativamente alle quali l’Unione Europea, dopo avere
raddoppiato il budget da 30 a 70 milioni di euro per il 2008, si sta ora
interrogando sulla effettiva utilità di questo ingente impegno finanziario. Nel
2007 gli immigrati “intercettati” a mare nel corso delle operazioni Frontex
sono stati 11.476 contro 23.438 “intercettati” nel 2006. Dal punto di vista dei
burocrati della sicurezza, a Bruxelles ed a Varsavia, sede di Frontex, un
fallimento totale.
In base al protocollo sottoscritto tra Italia
e Libia a Tripoli nel dicembre 2007, “la direzione e il coordinamento delle
attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati
ad un Comando operativo interforze che sarà istituito presso una «idonea
struttura» individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un «qualificato
rappresentante» designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante
(con un suo staff) verrà nominato dal Governo italiano. Tra i compiti del
Comando interforze quello di organizzare l'attività quotidiana di addestramento
e pattugliamento; di «impartire le direttive di servizio necessarie in caso di
avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo»; di interfacciarsì
con le «omologhe strutture italiane», potendo anche richiedere l'intervento o
l'ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione”.
Malgrado i termini dell’accordo italo-libico, le autorità militari italiane,
dopo qualche isolato tentativo di delegare alle autorità libiche gli interventi
di salvataggio, hanno continuato ad effettuare interventi di salvataggio. Le
periodiche operazioni di FRONTEX si sono risolte in mere esercitazioni navali,
con ampio spiegamento di esperti e osservatori, tutti lautamente retribuiti, ma
solo in poche occasioni si sono concretizzate in respingimenti in mare o in
blocchi navali. Tutti ricordano
abbastanza bene cosa significa il “fermo di natanti” in mare, decine di morti e
ancora processi per i comandanti, assolti subito quelli militari, sotto
processo da anni quelli delle imbarcazioni civili, autori di interventi di
salvataggio. Una giustizia a due velocità.
La riammissione, o
il respingimento, collettivo, a mare, di migranti verso stati che non
garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali, ovvero nei quali gli
interessati possano essere vittime di trattamenti disumani o degradanti, sono
tassativamente proibiti dall'art. 3 della stessa Convenzione Europea.
Analogamente è vietato il rinvio verso stati nei quali non vi è l'effettiva
possibilità di accedere alla protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra
sullo status di rifugiato, convenzione che la Libia non ha ancora sottoscritto,
macigno che non può essere rimosso dal consueto pretesto che lo stesso paese è
parte dell’Organizzazione degli stati africani ( OUA) il cui statuto richiama
quella Convenzione. Del resto è sufficiente verificare la impossibilità per
l’ACNUR e le altre organizzazioni umanitarie di assolvere le proprie funzioni
di assistenza come in tutti i paesi firmatari della Convenzione di Ginevra, per
cogliere il cinismo di chi sostiene argomenti che avallano la cancellazione del
diritto di asilo in Libia. Rimane ancora molto concreto il rischio – se
non la certezza – che, se da parte del nuovo governo verranno
effettivamente avviati interventi di pattugliamento congiunto, praticato da
unità miste italo-libiche, o dalle pattuglie miste RABIT finanziate dall’Unione
Europea nel quadro delle attività di FRONTEX, si possano verificare altre stragi e vere e proprie
espulsioni o respingimenti collettivi, vietati da tutte le Convenzioni
internazionali, verso la Libia e
da qui verso i paesi di provenienza
La Convenzione
Internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS)
impone peraltro un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in
mare “senza distinguere a seconda della nazionalità o dello stato giuridico”,
stabilendo altresì, oltre l’obbligo della prima assistenza anche il dovere di
sbarcare i naufraghi in un “luogo sicuro”. In base al diritto internazionale
marittimo un luogo sicuro è non solo una località dove la sicurezza dei
sopravvissuti e le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure
mediche) possano essere soddisfatte, ma è anche un luogo nel quale i
richiedenti asilo presenti tra i migranti irregolari possano godere di un
accesso pieno alla procedura di asilo prevista dalla Convenzione di Ginevra del
1951, nel rispetto rigoroso del principio di non refoulement sancito all’art.
33 della stessa Convenzione.
Temiamo adesso che il nuovo governo, se si
manterrà coerente con le promesse elettorali, con lo stesso Frattini, già
vice-commissario europeo con delega all’immigrazione, nominato ministro degli
esteri, riprenda le trattative con i dittatori del nord africa per arruolarli
nella “guerra” ai migranti irregolari. Non potremo che denunciare gli accordi
di riammissione e di cooperazione operativa e rappresentare i diritti delle
vittime davanti alle corti europee a salvaguardia dei diritti umani.
L’opinione pubblica internazionale sarà
costantemente informata sulle tragedie causate dalle politiche di respingimento
e di esternalizzazione dei controlli di frontiera praticate dalle “democrazie”
europee e dall’Italia in particolare ( si veda
www.fortresseurope.blogspot.com). Sulla base della esperienza maturata in
questi ultimi anni, tuttavia, è ben difficile che i nuovi accordi tra Italia e
Libia, o le operazioni congiunte finanziate dall’agenzia europea Frontex possano produrre gli effetti, auspicati
dai governi europei, di contrastare l’immigrazione clandestina gestita dalle
organizzazioni criminali, salvaguardando al contempo. la vita ed i diritti
fondamentali dei migranti irregolari. In assenza di qualsiasi possibilità di
riconoscimento del diritto di asilo nei paesi di transito, e senza effettive
possibilità di ingresso legale per lavoro, ci si può attendere il peggio nel
Canale di Sicilia, tra l’Italia, la Libia e la Tunisia, ancora mesi di
tragedie, di uomini, donne e bambini, vittime delle politiche di contrasto
dell’immigrazione”clandestina”.
Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo