Tribunale di La Spezia, Ordinanza n. 310 del 29 maggio 2008, Giudice del
Lavoro: Panico. R.M. – A.T.C. S.p.A..
Con ricorso ex art. 44, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e succ. modd. (t.u. delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), poi convertito in ricorso ex art. 414, c.p.c.,
introdotto avanti il Tribunale di La Spezia, giudice monocratico del lavoro, il
sig. M. R., residente in Sarzana (SP), ha agito nei confronti della locale
azienda municipalizzata di trasporto pubblico A.T.C. S.p.A., deducendo: di
essere cittadino marocchino, regolarmente soggiornante in Italia da molti anni;
di avere inoltrato domanda per l'acquisizione della cittadinanza italiana in
data 26 ottobre 2005, ad oggi non ancora definita; di essere dipendente della
ditta Arcadia s.c.r.l., sedente in Arcola (SP), la quale esercita, in regime di
appalto, il servizio di trasporto pubblico di persone per conto di A.T.C.
S.p.A. su alcune tratte della medesima; di essere in possesso delle prescritte
abilitazioni di guida; di aver avanzato domanda di assunzione ad A.T.C. S.p.A.
nel maggio-giugno 2006, con esito negativo. Reagiva a ci, osservando che il
diniego era motivato con il difetto del requisito della cittadinanza italiana e
che l'A.T.C. S.p.A. aveva effettuato assunzioni nel periodo immediatamente
successivo alla sua domanda. Formulava sia domanda di accertamento della
discriminazione, con l'adozione di ogni pi opportuno provvedimento (compresi
l'ordine di assunzione e la liquidazione del danno non patrimoniale), sia, pi
ampiamente, domanda di risarcimento del danno da perdita di chances
relativamente alla mancata assunzione. Prospettava anche questione di
illegittimit costituzionale dell'art. 10, r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, all.
A), nella parte in cui prescriveva, per l'assunzione in prova alle dipendenze
delle imprese esercitanti pubblici trasporti in concessione, il requisito della
cittadinanza italiana, per contrasto con gli arti. 3, 4 e 10, secondo comma,
Cost.
Si costituiva l'A.T.C. S.p.A., in persona del Presidente Enrico Sassi, che
contestava in fatto ed in diritto il ricorso avversario e ne chiedeva la
reiezione, sia per la parte concernente la discriminazione sia per la parte
riguardante la domanda risarcitoria per perdita di chances.
Veniva quindi effettuato il libero interrogatorio delle parti e tentata la
conciliazione della causa, con esito negativo.
Quindi, parte ricorrente avanzava istanza di mutamento del rito, dal
procedimento ex art. 44, t.u. immigrazione, ad art. 414, c.p.c. ed il convenuto
non si opponeva; il giudice, ritenendo la sussistenza dei presupposti, alla
luce della domanda di risarcimento del danno da perdita di chances, autorizzava
la modifica e disponeva la prosecuzione della causa quale causa ordinaria di
lavoro.
In discussione, parte ricorrente insisteva, in via subordinata, sulla
prospettata questione di legittimit costituzionale dell'art. 10, primo comma,
n. 1), r.d. n. 148 del 1931, all. A), Regolamento contenente disposizioni sullo
stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione
interna in regime di concessione, per contrasto con gli artt. 3-4, Cost.; le
parti hanno ampiamente discusso in merito, con deposito di note.
La questione appare rilevante e non manifestamente infondata nei termini che
seguono.
Non contestato in causa che il ricorrente abbia avanzato domanda di
assunzione, quale autista, ad A.T.C. S.p.A.; parimenti, indubitabile che la
sua domanda non stata presa in considerazione per il difetto del requisito
della cittadinanza.
Ci risulta agevolmente dalla lettera datata Roma, 15 gennaio 2007 a firma
del direttore generale dell'ASSTRA - Associazione Trasporti, prodotta dal
ricorrente, sub n. 10) e trasmessa tramite l'A.T.C. S.p.A.
Con tale missiva, infatti, il suddetto direttore significa, al difensore del
ricorrente, che osta all'assunzione di cittadini extracomunitari il requisito
della cittadinanza italiana; e tale posizione ripetuta dall'azienda nella
propria comparsa di costituzione e risposta.
certo vero che l'A.T.C. S.p.A. non ha obbligo di dare corso a tutte le
domande di assunzione e che, quindi, anche qualora il ricorrente fosse
cittadino italiano, non maturerebbe, per ci solo, il diritto all'assunzione.
Si tratta di circostanza che conduce alla conclusione che, nel caso, il
ricorrente non pu fondatamente pretendere l'assunzione per via giudiziale.
La questione non pu per considerarsi chiusa, poich il ricorrente avanza
anche due domande risarcitorie: una per il ristoro dei danni non patrimoniali,
ex art. 44, comma 7, t.u. immigrazione ed una, subordinata, per perdita di
chances.
Al riguardo, devesi allora rilevare il ben altro fondamento di siffatte
domande.
Infatti, l'azienda nell'anno 2006 ha effettuato nove colloqui di assunzione, ha
assunto sette persone, tra cui cinque provenienti dalla mobilit e, di costoro,
ne ha confermati quattro: si tratta di fatto pacifico in causa, poich allegato
dalla stessa convenuta.
Pertanto, pacifico che, nell'anno 2006, sono state fatte sette assunzioni, di
cui cinque dalla mobilit.
Anche il ricorrente, per, era iscritto nelle liste di mobilit ed ha fatto
domanda di assunzione ad A.T.C. S.p.A., ma la sua domanda non stata esaminata
per difetto della cittadinanza italiana.
Ne consegue che le domande risarcitorie possono essere accolte - nella misura
da quantificare - solo se la norma di cui all'art. 10, primo comma, n. 1), r.d.
n. 148 del 1931, all. A), viene ritenuta costituzionalmente illegittima; in
caso contrario, anche tali domande vanno respinte.
In altri termini, il loro accoglimento legato all'accertamento di un illecito
(v. Cass. 13 novembre 2006, n. 24170, in motivaz.), che, nel caso, non pu
prescindere dal sindacato di legittimit dell'art. 10, primo comma, n. 1), r.d.
n. 148, all. A).
Ed poi, noto, quanto al danno non patrimoniale, che esso sganciato da una
dimensione economicistico-reddituale: pertanto, ai fini della sua
configurabilit, non ha rilevanza il fatto che il ricorrente abbia reperito
altra occupazione (nel giugno 2006, il ricorrente stato assunto come autista
da Arcadia s.c.r.l.).
E poi vero che l'art. 10, primo comma, n. 1), in forza del richiamo all'art.
113, quinto comma, r.d. 9 maggio 1912, n. 1147 (che riguarda il settore delle
ferrovie concesse all'industria privata, le tranvie a trazione meccanica e gli
automobili), ammette una deroga (purch via sia l'approvazione governativa);
ma, nel caso di specie, pacifico che la deroga non sussiste.
Inoltre, non pregiudiziale la domanda di riconoscimento della cittadinanza
italiana: la sua definizione non incide infatti sulla materia del contendere e,
segnatamente, sulle domande risarcitorie.
Per tutti questi motivi, la questione rilevante ed occorre passare alla sua
illustrazione.
In prima battuta necessario ricostruire il quadro normativo.
Ora, l'art. 10, secondo comma, Cost., sancisce che la condizione giuridica
dello straniero regolata dalla legge.
Per quel che concerne il settore dell'accesso e delle condizioni del lavoro,
l'art. 10, legge 10 aprile 1981, n. 158, di ratifica ed esecuzione delle
convenzioni numeri 92, 133 e 143 dell'Organizzazione internazionale del lavoro,
afferma che ogni Stato membro, ove in vigore la convenzione (nel caso, la n.
143), s'impegna a formulare e ad attuare una politica nazionale diretta a
promuovere e garantire... la parit di opportunit e di trattamento in materia
di occupazione e di professione... per le persone che, in quanto lavoratori
migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorio.
L'art. 12, lett. d), impone poi, ad ogni Stato membro, tra l'altro, di
abrogare qualsiasi disposizione legislativa e modificare qualsiasi
disposizione o prassi amministrativa incompatibili con la suddetta politica.
Ma tali norme vanno coordinate col successivo art. 14, lett. c), che consente
ad ogni Stato membro di respingere l'accesso a limitate categorie di
occupazione e di funzioni, qualora tale restrizione sia necessaria
nell'interesse dello Stato.
L'art. 2, t.u. immigrazione, dal canto suo, sancisce che la Repubblica, in
attuazione della convenzione dell'OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con
legge 10 aprile 1981, n. 158, garantisce a tutti i lavoratori stranieri
regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parit di
trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
A sua volta, il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215, di attuazione della direttiva
2000/43/CE per la parit di trattamento tra le persone indipendentemente dalla
razza e dall'origine etnica, afferma tale principio anche per il settore
dell'accesso al lavoro, sia dipendente che autonomo e per quello delle
condizioni di lavoro (art. 3, comma 1).
L'art. 27, comma 3, t.u. immigrazione, sancisce, per, che rimangono ferme le
disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana per lo
svolgimento di determinate attivit.
Quest'ultima disposizione vale anche per il caso di specie, poich essa
configura un'eccezione alla norma generale di cui all'art. 2, comma 3, t.u. e,
quindi, il sistema pu cos compendiarsi: in via generale, il requisito della
cittadinanza non deve sussistere per l'accesso agli impieghi, salve le
eccezioni previste dalla legge.
Nel nostro caso, la norma eccezionale data proprio dall'art. 10, primo comma,
n. 1), r.d. n. 148, all. A) esteso al personale delle filovie urbane ed
extraurbane e delle autolinee urbane dalla legge 24 maggio 1952, n. 628.
Non pare quindi sostenibile l'interpretazione propugnata in via principale dal
ricorrente, per la quale gli artt. 2, comma 3, t.u. immigrazione e l'art. 3,
comma 1, d.lgs. n. 215 del 2003, avrebbero implicitamente abrogato l'art. 10,
primo comma, n. 1), r.d. n. 148, all. A).
Infatti, quanto al d.lgs. n. 215, vale il principio che lex posterior generalis
non derogat priori speciali.
Invero, acquisizione giurisprudenziale che il corpus normativo di cui al r.d.
n. 148 del 1931 costituisce un sistema chiuso e speciale di norme anche
rispetto a quelle comuni del lavoro: per tutte, vale il chiaro insegnamento
della cassazione 15 aprile 1997, n. 3210 (gi Id. 9 dicembre 1974, n. 4147, pi
di recente, Id. 18 aprile 2002, n. 5586; v. anche l'approfondita
esemplificazione di Trib. Genova, ord. 18 aprile 2007, in atti prodotta).
Pertanto, non pu dirsi che i principi, generali, del d.lgs. n. 215 prevalgano
sulle norme speciale del r.d. n. 148.
Neppure pu dirsi che, nel settore del pubblico trasporto in concessione, vi
sia una lacuna normativa, da colmare col ricorso alle norme generali.
Invero, nel caso la norma speciale sussiste e regolamenta i requisiti per
l'ammissione in prova al servizio (cos la citata Trib. Genova, ord. 18 aprile
2007).
Neppure, a parere del giudice, pu ritenersi che l'art. 10, primo comma, n. 1),
sia direttamente disapplicabile sul presupposto del contrasto con una norma
nazionale superprimaria (il citato art. 2, comma 3, t.u. immigrazione),
attuativo di fonti internazionali (nella specie, la convenzione OIL n. 143).
Invero, si osserva che l'art. 10, primo comma, n. 1), r.d. n. 148, all. A), non
in contrasto con la norma superprimaria, poich quest'ultima, al suo art. 27,
comma 3, fa salve le diverse disposizioni di legge: ed il nostro articolo una
di queste.
Non vi dunque spazio n per ravvisare una lacuna normativa, n per ritenere
l'implicita abrogazione dell'art. 10, primo comma, n. 1), ad opera del d.lgs.
n. 215, n per procedere alla sua diretta disapplicazione per contrasto con
norma superprimaria (l'art. 2, comma 3, t.u. immigrazione).
Conseguentemente, neppure pu ravvisarsi una possibile violazione dell'art. 10,
secondo comma, Cost., come invece paventato dal ricorrente.
Va poi aggiunto che l'art. 1, comma 2, legge 12 luglio 1988, n. 270, ha
consentito la deroga, tramite la contrattazione collettiva, delle norme di cui
al r.d. n. 148 del 1931, all. A); ma, ad oggi, il requisito della cittadinanza
non stato inciso dalla contrattazione.
Pertanto, alla luce di tutto quanto supra, la norma dell'art. 10, primo comma,
n. 1), deve considerarsi tutt'ora vigente nel nostro ordinamento.
Appurato ci, occorre per chiedersi se tale norma conservi un ragionevole
fondamento che la giustifichi.
Pare opportuno ricordare, per sommi capi, che l'emanazione del t.u.
immigrazione ha dato il via ad un dibattito se il divieto di discriminazione
legato alla cittadinanza valga anche per il settore del pubblico impiego.
Qui, infatti, ai sensi dell'art. 2, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dell'art. 2,
comma 1, n. 1), d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, norma legificata dall'art. 70,
comma 13, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (t.u. sul pubblico impiego), per
accedere agli uffici occorre essere cittadini italiani (con le eccezioni che
quest'ultima norma fa salve).
Recentemente, con ampia motivazione, la gi citata cassazione 13 novembre 2006,
n. 24170 ha ritenuto la perdurante vigenza del requisito della cittadinanza per
l'accesso al pubblico impiego, ancorch privatizzato; ed ha precisato (in
motivaz.) non solo che si esula dall'area dei diritti fondamentali ma anche che
la scelta del legislatore giustificata dalle stesse norme costituzionali
(art. 51, 97 e 98 Cost.).
Pare dunque corretto inferirne che la suprema Corte abbia ritenuto fondata
l'esclusione del non cittadino dall'accesso ai pubblici uffici per la
particolare posizione e finalit che esprime la pubblica Amministrazione, gi in
forza dei ricordati principi costituzionali.
Ma, nel caso del trasporto pubblico locale, non pare sostenibile la sua
equiparazione al lavoro pubblico, anche privatizzato, di cui al d.lgs. n. 165
del 2001 e succ. modd. ed integrazioni.
Invero, gi la risalente giurisprudenza insegnava che il settore del trasporto
pubblico in concessione costituisce un ambito intermedio di lavoro, che
presentava tratti ora di quello pubblico ora di quello privato (per tutte,
Cass. 11 febbraio 1978, n. 641, Id. 25 febbraio 1982, n. 1216).
In forza di questa impostazione, si potrebbe ancora sostenere la ragionevolezza
della regola speciale di cui all'art. 10, primo comma, n. 1), r.d. n. 148, all.
A).
Ma tale impostazione merita, oggi, di essere sottoposta a riesame critico, attesa
la sostanziale trasformazione delle aziende municipalizzate, le quali sono
venute assumendo la forma di societ per azioni.
Sul punto, con condivisibili considerazioni, si recentemente espresso
l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - UNAR, costituito presso la
Presidenza dei ministri, Dipartimento per i diritti e le pari opportunit ex
d.lgs. n. 215, con proprio parere e raccomandazione del 26 ottobre 2007.
L'UNAR, nel ricostruire l'evoluzione del pubblico trasporto locale, evidenzia
come, a partire dagli Anni Novanta del trascorso Secolo, la maggior parte delle
imprese che vi operavano si sia trasformata in societ per azioni: e l'A.T.C.
S.p.A., odierna convenuta, tra queste.
vero che si tratta di societ ancora caratterizzate dalla perdurante
influenza dei pubblici poteri e che possiedono una rilevanza pubblicistica,
gestendo servizi di pubblica utilit con utilizzo di fondi pubblici: per questo
motivo - come ricorda l'UNAR con ampia citazione di direttive comunitarie (per
tutte, n. 89/440/CEE del 18 luglio 1989) e giurisprudenza nazionale (per tutte,
Cass., s.u., 5 febbraio 1999, n. 24, C. Stato, VI, 5 settembre 2002, n. 4711) -
pu ad esse attagliarsi la definizione di organismi di diritto pubblico.
Non di meno, esse non possono essere qualificate come pubblica Amministrazione,
non rinvenendosi la loro menzione nell'elencazione di cui all'art. 1, comma 2,
t.u. sul pubblico impiego.
Inoltre, l'evoluzione giurisprudenziale sta superando, quanto all'aspetto del
rapporto di lavoro, l'insegnamento pi risalente ed afferma ormai la natura
privatistica di tale rapporto.
Infatti, si insegna oggi che tali aziende... integrano strutture con connotati
di impresa, autonome rispetto all'organizzazione pubblicistica del comune
(Cass., s.u., 28 giugno 2006, n. 4852, dalla massima).
Ancora, la cassazione a sezioni unite 15 aprile 2005, n. 7799, in motivazione,
ha affermato che la societ per azioni con partecipazione pubblica non muta la
sua natura di soggetto di diritto privato solo perch lo Stato o gli enti
pubblici (comune, provincia, etc.) ne posseggano le azioni, in tutto o in
parte, dato che tale societ, quale persona giuridica privata, opera
nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con
l'ente pubblico.
Si tratta di pronunzie rese verso aziende municipalizzate addette alla
raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ma il principio
ivi affermato - per la nettezza degli assunti e l'estensibilit delle ragioni
che lo sorreggono - ha portata pi ampia.
L'assimilazione del rapporto di lavoro dell'autoferrotranviere a quello del
pubblico dipendente non pare quindi fondatamente sostenibile, mentre diventa
nettamente preponderante quella con il lavoro privato (sia pure con una certa
specialit di disciplina).
Conseguentemente il fondamento dell'art. 10, primo comma, n. 1), r.d. n. 148,
all. A), non si giustifica col richiamo alle norme che regolano l'accesso agli
uffici pubblici.
A questo punto, potrebbe richiamarsi la motivazione addotta dal citato Tribunale
di Genova, ord. 18 aprile 2007, laddove si dice che l'autista di mezzo
pubblico svolge mansioni particolarmente delicate che involgono anche
direttamente la pubblica incolumit, l'ordine pubblico e la sicurezza.
Ma tale motivazione, a ben vedere, non convince, poich appare generica e
smentita da una serie di considerazioni.
Intanto, se cos fosse, non si vede per qual ragione il legislatore non abbia
sentito l'esigenza di imporre anche in altri campi - non necessariamente
pubblici -, che coinvolgono la pubblica incolumit o la sicurezza, il requisito
della cittadinanza per l'accesso al lavoro.
Inoltre, se cos fosse, non si comprende come possa l'azienda di trasporto
locale appaltare a ditte terze il servizio su alcune tratte.
Si cos giunti alla singolare situazione che il ricorrente non pu essere
assunto all'A.T.C. S.p.A. in quanto non in possesso della cittadinanza, ma
stato assunto da altra azienda (la Arcadia s.c.r.l.) la quale esercita, in
regime di appalto o subappalto, il pubblico servizio di trasporto su alcune
linee di competenza della stessa A.T.C. S.p.A.
Addirittura, il ricorrente svolge, per Arcadia s.c.r.l., le mansioni di autista
di mezzi di pubblico trasporto e pu condurre vetture (leggasi, autobus) che
sono di propriet dell'A.T.C. S.p.A. e che questa ha dato in comodato ad
Arcadia s.c.r.l.
Su questi punti, ha portata confessoria il libero interrogatorio delle parti.
Alla luce di questo e della mutata situazione di fatto e di diritto in cui
opera la convenuta A.T.C. S.p.A., non si riesce a ravvedere ed apprezzare quale
sia, oggi, l'interesse dello Stato a limitare, nel settore del trasporto
pubblico, l'accesso al lavoro al solo cittadino.
Da queste considerazioni discende un sospetto non manifestamente infondato di
illegittimit costituzionale dell'art. 10, primo comma, n. 1), r.d. n. 148,
all. A), norma speciale che appare in contrasto con gli artt. 3 e 4, Cost.
Con riguardo all'art. 3, giova richiamare, ex multis, la sentenza 28 novembre
2005, n. 432, di codesta Corte delle leggi, la quale ha dichiarato
l'illegittimit costituzionale dell'art. 8, comma 2, l. reg. Lombardia 12
gennaio 2002, n. 1, nella parte in cui non include gli stranieri residenti
nella Regione Lombardia fra gli aventi diritto alla circolazione gratuita sui
servizi di trasporto pubblico di linea riconosciuto alle persone totalmente
invalide per cause civili (dal dispositivo).
In quel caso, il parametro costituzionale stato proprio l'art. 3 e lo
scrutinio si mosso sulla scorta del canone di ragionevolezza, ricercando
nella stessa struttura normativa una specifica, trasparente e razionale causa
giustificatrice, idonea a spiegare, sul piano costituzionale, le ragioni
poste a base della deroga per gli stranieri (dalla motivaz.).
Dall'esito negativo di tale ricerca, scaturito l'accoglimento della questione
di costituzionalit.
Ritiene il remittente, per le ragioni dette supra, che a questo caso si
attaglino le medesime considerazioni e che ci rafforzi il sospetto di
incostituzionalit.
Anche l'art. 4 pare violato, in quanto si frappone un irragionevole ostacolo
all'effettiva attuazione del diritto al lavoro.
Gli atti vanno quindi trasmessi alla Corte costituzionale per l'ulteriore
corso; ed il presente giudizio rimane sospeso sino all'esito del procedimento
di costituzionalit anzidetto.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimit
costituzionale dell'art. 10, primo comma, n. 1), r.d. 8 gennaio 1931, n. 148,
all. A), Regolamento contenente disposizioni
sullo stato giuridico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di
navigazione interna in regime di concessione, nella parte in cui richiede, per
l'ammissione in prova al servizio, il requisito della cittadinanza italiana,
per violazione degli artt. 3 e 4, Cost.;
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Sospende il presente giudizio;
Ordina la notificazione della presente ordinanza al Presidente Consiglio dei
ministri e la comunicazione della stessa al Presidenti dei due rami del
Parlamento;
Manda la cancelleria per quanto di sua competenza.