N. 64
SENTENZA 18 GENNAIO-2 FEBBRAIO 1990
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma 1°,
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 5 della legge 30
aprile 1962, n. 283 "Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262
del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27
luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della
vendita delle sostanze alimentari e delle bevande", limitatamente al
secondo paragrafo del comma h) che reca il seguente testo: "Il
ministro della sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun
prodotto autorizzato all'impiego per tali scopi i limiti di
tolleranza e l'intervallo minimo che deve intercorrere tra l'ultimo
trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari
immagazzinate, tra l'ultimo trattamento e l'immissione al consumo";
Vista l'ordinanza del 19 dicembre 1989 con la quale l'Ufficio
centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha
dichiarato legittima la predetta richiesta;
Udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 1990 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
Uditi gli avvocati Valerio Onida e Gianni Lanzinger per i
presentatori;
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di
referendum popolare presentata il 15 luglio 1989 da Russo Giulio
Ernesto, Galletti Paolo e Ottaviano Mauro, sul seguente quesito:
"Volete voi l'abrogazione dell'art. 5 della legge 30 aprile 1962, n.
283: 'Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo
unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio
1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita
delle sostanze alimentari e delle bevande.", limitatamente al secondo
paragrafo del comma h) (rectius: alla seconda parte della lettera h)
che reca il seguente testo: "Il ministro della sanità, con propria
ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto autorizzato all'impiego
per tali scopi i limiti di tolleranza e l'intervallo minimo che deve
intercorrere tra l'ultimo trattamento e la raccolta e, per le
sostanze alimentari immagazzinate, tra l'ultimo trattamento e
l'immissione al consumo?".
2. - L'Ufficio centrale, verificata la regolarità della
richiesta, con ordinanza del 19 dicembre 1989 l'ha dichiarata
legittima.
Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa
Corte ha fissato il giorno 16 gennaio 1990 per la conseguente
deliberazione, dandone regolare comunicazione.
3. - In data 12 gennaio 1990 i presentatori della richiesta di
referendum hanno depositato una memoria a sostegno
dell'ammissibilità dello stesso, mentre della medesima facoltà non
si è avvalso il Governo.
Conclusioni opposte a quelle dei presentatori del referendum sono
state formulate, invece, nell'atto di intervento depositato - sempre
in data 12 gennaio 1990 - dall'Agrofarma, associazione aderente alla
Federazione dell'industria chimica. L'intervento, però, come si
dirà nella parte motiva, è stato dichiarato inammissibile.
Nella camera di consiglio del 16 gennaio 1990 sono stati uditi, in
qualità di difensori dei promotori, gli avvocati Valerio Onida e
Gianni Lanzinger, i quali hanno insistito per l'ammissibilità del
referendum.
Considerato in diritto
1. - Preso atto del mancato intervento del Governo e
dell'inammissibilità ( ex art. 33, terzo comma, l. 25 maggio 1970 n.
352) di quello dell'associazione "Agrofarma", pronunciata dalla
Corte, in conformità della precedente giurisprudenza (sent. n. 28
del 1987), con l'ordinanza del 16 gennaio 1990, occorre accertare la
sussistenza o meno dei requisiti di legittimità della richiesta di
referendum oggetto di esame. A tal fine si deve stabilire se
ricorrano i limiti espressamente previsti dall'art. 75, secondo
comma, della Costituzione o comunque impliciti nel sistema, relativi
alle normative non suscettibili di consultazioni referendarie
abrogrative, ed accertare altresì se la struttura del quesito
proposto risponda alle esigenze di chiarezza, univocità ed
omogeneità, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in
tema di ammissibilità delle domande referendarie.
2.1. - Oggetto della richiesta di referendum abrogativo è la
seconda parte della lett. h) dell'art. 5 della legge 30 aprile 1962,
n. 283, la quale prevede che "il Ministro della sanità, con propria
ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto, autorizzato all'impiego
per tali scopi, i limiti di tolleranza e l'intervallo minimo che deve
intercorrere tra l'ultimo trattamento e la raccolta e, per le
sostanze alimentari immagazzinate, tra l'ultimo trattamento e
l'immissione al consumo".
Tale disposizione attribuisce dunque al Ministro della sanità il
potere discrezionale di determinare il limite del divieto posto
dall'art. 5, lett. h), prima parte, della legge citata, secondo cui
"è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande,
vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri
dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze
alimentari: - (Omissis) - che contengano residui di prodotti, usati
in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle
sostanze immagazzinate, tossici per l'uomo".
Va precisato che la materia dei residui tossici nelle sostanze
destinate alla nutrizione forma oggetto di direttive comunitarie
emanate successivamente alla legge predetta ed in particolare di
quella n. 76/895 del 23 novembre 1976 che fissa le quantità massime
di residui di antiparassitari consentite sugli e negli
ortofrutticoli, la quale, dopo aver enunciato negli artt. 1 e 2 i
prodotti cui si riferisce, stabilisce all'art. 3 (paragrafo 1) che:
"Gli Stati membri non possono vietare o ostacolare l'immissione in
circolazione sul loro territorio dei prodotti di cui all'art. 1 a
motivo della presenza di residui di antiparassitari, se la quantità
di questi residui non eccede le quantità massime fissate
nell'allegato II" e (paragrafo 2) che "gli Stati membri possono, nei
casi che ritengono giustificati, autorizzare sul loro territorio
l'immissione in circolazione di prodotti di cui all'art. 1 contenenti
residui di antiparassitari in quantità superiori a quelle fissate
nell'allegato II".
Altre due direttive e cioè quella n. 86/362 del 24 luglio 1986,
che fissa le quantità massime di residui antiparassitari sui e nei
cereali, e quella n. 86/363 di pari data, che fissa le quantità
massime di residui di antiparassitari sui e nei prodotti alimentari
di origine animale, dopo aver indicato i prodotti cui esse si
riferiscono, contengono entrambe, nell'art. 3 (paragrafo 2),
l'identica prescrizione secondo cui: "gli Stati membri non possono
vietare od ostacolare l'immissione in circolazione sul loro
territorio dei prodotti di cui all'art. 1 a motivo della presenza di
antiparassitari, se la quantità di questi residui non eccede le
quantità massime fissate nell'allegato II", e, inoltre, la direttiva
n. 86/362, nell'art. 6, contiene anche la disposizione che consente
agli Stati di autorizzare, a determinate condizioni, limiti
superiori.
Va poi soggiunto che fino ad oggi il Ministro della sanità ha
ritenuto di adeguare l'ordinamento interno ai limiti obbligatori di
tolleranza fissati in sede comunitaria, facendo uso del potere
attribuitogli dalla disposizione oggetto del quesito referendario.
2.2. - Ciò premesso, si deve escludere che l'iniziativa
referendaria interferisca con l'obbligo che deriva al nostro Stato
dalle disposizioni, comuni a tutte le anzidette direttive della CEE
ed a tutte le altre di analogo contenuto, secondo cui gli Stati
membri non possono vietare od ostacolare l'immissione in circolazione
sul loro territorio dei prodotti, a motivo della presenza di residui
tossici che non eccedano i limiti indicati nelle tabelle
rispettivamente allegate alle direttive stesse.
Il quesito, tendendo infatti ad abrogare la disposizione contenuta
in una legge dello Stato che autorizza il Ministro della sanità a
determinare i limiti di tolleranza del grado di tossicità e
l'intervallo tra l'ultimo trattamento, la raccolta ed il consumo,
può avere solo lo scopo di far venir meno la possibilità per il
Ministro di derogare al divieto assoluto stabilito dalla prima parte
dell'art. 5, lett. h) della legge n. 283 del 1962 fissando limiti di
tolleranza e, quindi, una volta sopravvenuta la normativa
comunitaria, anche più alti di quelli da essa dettati, deroga,
quest'ultima, facoltizzata dall'art. 3, paragrafo 2, della direttiva
n. 76/895 del 23 novembre 1976, relativa ai prodotti ortofrutticoli,
e dall'art. 6 della direttiva n. 86/362 del 24 luglio 1986, relativa
ai cereali, da disposizioni cioè che, appunto in quanto dirette a
costituire una facoltà, non creano alcun obbligo per gli Stati.
Nessuna incidenza può invece avere l'iniziativa referendaria
sulle disposizioni contenute nelle stesse direttive le quali
obbligano gli Stati membri a non vietare o a non ostacolare
l'immissione in circolazione di sostanze alimentari contenenti
residui tossici nei limiti tollerati in sede comunitaria. Difatti le
disposizioni di cui agli artt. 3, paragrafo 1, della direttiva n.
76/895 e 3, paragrafo 2, delle direttive nn. 86/362 e 86/363 di
identico contenuto, che pongono tale obbligo, sono di immediata
applicazione nel diritto interno, sussistendo a tal fine i
presupposti indicati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee
(sentt. 24 marzo 1987, in causa n. 286/85, 19 gennaio 1982, in causa
n. 8/81). Ne deriva che le stesse, essendo "incondizionate e
sufficientemente precise, possano essere richiamate, in mancanza di
provvedimenti di attuazione adottati entro i termini, per opporsi a
qualunque disposizione di diritto interno non conforme" ad esse
(Corte di giustizia della CEE, 24 marzo 1987, in causa n. 286/85
cit.) e quindi anche al referendum che è atto-fonte (Corte cost.
sent. n. 29 del 1987) di diritto interno e che, pertanto, al pari
delle altre fonti, deve essere coordinato con la normativa
comunitaria "secondo la ripartizione di competenza stabilita e
garantita dal Trattato" (sent. n. 170 del 1984).
In virtù della loro immediata efficacia tali disposizioni
comunitarie prevalgono in ogni caso (sentt. nn. 389 del 1989, 113 del
1985 e 170 del 1984) sul divieto assoluto contenuto nella prima parte
dell'art. 5, lett. h), della legge 30 aprile 1962, n. 283,
indipendentemente dal potere di adeguamento ai limiti comunitari che
il Ministro della sanità ha fino ad oggi esercitato in concreto
avvalendosi della disposizione contenuta nella seconda parte dello
stesso art. 5, lett. h), cioè della disposizione che si intende
abrogare.
3. - Chiarito che la proposta di referendum non interferisce con
la normativa comunitaria, l'iniziativa referendaria appare, sotto gli
altri profili, ammissibile. Non si ravvisa, difatti, alcuna delle
cause ostative previste espressamente dall'art. 75, secondo comma,
della Costituzione, o desumibili dalla disciplina costituzionale del
referendum abrogativo (cfr. in proposito la sent. n. 16 del 1978). In
particolare sussistono i requisiti di chiarezza, univocità ed
omogeneità del quesito in quanto la disposizione oggetto del
referendum, obiettivamente considerata nella sua struttura e
finalità, contiene effettivamente quel principio la cui eliminazione
o permanenza dipende dalla risposta che il corpo elettorale fornirà.
Né è rilevante la circostanza che il quesito non riguardi anche
il successivo art. 6 della stessa legge n. 283 del 1962. Le due
disposizioni hanno, difatti, oggetti diversi, concernendo la prima il
limite di tolleranza dei residui tossici presenti negli alimenti al
momento della commercializzazione, della distribuzione, della
immissione al consumo mentre la seconda riguarda il regime delle
autorizzazioni, dei controlli e delle registrazioni, da parte del
ministero della sanità, delle sostanze - fitofarmaci e presidi - da
usarsi in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle
derrate alimentari immagazzinate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Ammette la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione
dell'art. 5, lett. h), seconda parte, della legge 30 aprile 1962, n.
283 ("Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo
unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio
1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita
delle sostanze alimentari e delle bevande"), dichiarata legittima,
con ordinanza del 19 dicembre 1989, dall'Ufficio centrale per il
referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1990.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1990.
Il direttore della cancelleria: MINELLI
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