Venerdì, 31 Dicembre 2010| Il portale di riferimento per gli immigrati in Italia
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Ordinanza n. 5105 del 2 dicembre 2010
Tribunale di Varese Sezione Prima Civile

ll giocatore extracomunitario già residente in Italia può essere tesserato per partecipare al campionato di serie B, in deroga al regolamento della FIGC, in quanto protetto dal principio di parità di trattamento e non discriminazione

     

Tribunale di Varese
Sezione Prima Civile


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA


nel procedimento pendente

tra *****, ricorrente
avv.ti ***

contro

FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO (FIGC), resistente
Avv.ti ***

RILEVA E OSSERVA


Deve essere esaminata e risolta in via prioritaria la questione pregiudiziale di rito, involgente la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della controversia insorta tra le parti. Al riguardo deve rilevarsi che il quadro normativo e giurisprudenziale tracciato dall’ordinanza impugnata si sottrae ad ogni censura quanto a coerenza col dato normativo e specificità dei rilievi: e, invero, come lo stesso giudicante di prime cure evidenzia, si tratta di un quadro di diritto pacifico su cui, però, si innestano orientamenti giurisprudenziali diversi quanto, in specie, al ricorso per motivi discriminatori (e, infatti, entrambe le parti allegano agli atti provvedimenti giurisdizionali di giudici di merito nell’uno e nell’altro senso). Ciò vuol dire che l’odierno reclamo deve essere deciso non tanto segnalando errori (assenti) nel provvedimento della prima fase, quanto indicando a quale indirizzo pretorile intende aderire il Collegio: quello sposato dal Tribunale di Varese nella prima fase del giudizio o quello opposto.
Tanto premesso, reputa il Collegio che, in riforma del provvedimento impugnato, vada affermata la giurisdizione del giudice ordinario, dovendosi rigettare l’eccezione sollevata dalla Federazione in quanto infondata.

1. GIURISDIZIONE E AZIONE CIVILE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE

A scanso di equivoci e, in particolare, per rendere comprensibili i motivi che si ricollegano alla giurisdizione ordinaria nella controversia in esame, è opportuna una breve premessa.
Le norme di riferimento sono le seguenti:

D.lgs. 286/98 - Articolo 44 (Azione civile contro la discriminazione)
1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il giudice però, su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.
OMISSIS
7.Con la decisione che definisce il giudizio, il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale.


L’art. 44 del T.U. sull’immigrazione è stato introdotto nel corpus juris di cui al d.lgs. 286/1998 in una fase storica dell’ordinamento in cui era prevalente (se non esclusivo i) il costume giurisprudenziale secondo cui sui diritti costituzionalmente protetti doveva ritenersi sussistente una clausola di riserva esclusiva di giurisdizione in favore del giudice ordinario. Il rapporto tra Giudice Amministrativo e diritti fondamentali è, però, nel tempo, profondamente mutato anche per espressa presa di posizione del Legislatore. In prima battuta, è stata la Corte costituzionale a rimeditare la questione respingendo, con la sentenza 140/2007, le censure concernenti l’art. 1, comma 552 della Legge Finanziaria del 2005, la n. 311/2004, all’uopo considerando conforme al dettato costituzionale “il battesimo, ivi consacrato, di una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per il contenzioso relativo ai procedimenti e provvedimenti concernenti gli impianti di energia elettrica anche con riguardo ai diritti fondamentali” (come ha scritto l’Autorevole Dottrina commentando la decisione citataii). E’ stato poi il Legislatore a convalidare il nuovo trend giurisprudenziale, con l’art. 4, d.l. 90/08, convertito nella l. 123/083. iii
Vero è, dunque, che, nel 1998, il Legislatore racchiude nell’art. 44 “un’azione civile contro la discriminazione” proprio sul presupposto che su una materia del genere il giudice amministrativo non potesse pronunciarsi. E, infatti, “il diritto a non essere discriminati” altro se non è se il diritto ad essere trattati di fronte alla Legge e all’Ordinamento in modo eguale, senza che elemento differenziale possa essere la religione, l’orientamento sessuale, la provenienza geografica, la razzaiv. Trattasi, dunque, di un diritto fondamentale a copertura costituzionale.
Ovvio, quindi, che se su una materia del genere non poteva pronunciarsi, secondo l’intentio legis, il G.A., allora certo non poteva la stessa materia essere assegnata alla giurisdizione sportiva.
Al mutato quadro normativo, successivo al revirement di cui s’è detto, non è seguita una modifica dell’art. 44 cit. che, infatti, è rimasto immutato nei suoi tratti procedimentali e strutturali, ontologici. Si vuol dire che l’art. 44 in esame introduce nell’ordinamento un procedimento dotato del carattere della specialità che prevale su ogni altro eventuale rito. L’elemento di specialità consiste nell’oggetto dell’azione: con la domanda introduttiva del giudizio, lo straniero allega e deduce un “comportamento” discriminatorio “di un privato o della Pubblica Amministrazione”. Sul fatto che la discriminazione possa costituire un elemento di specialità non vi è motivo di dubitare, potendosi ad esempio citare il licenziamento discriminatorio anch’esso “trattato in maniera diversa” dal sistema solo per l’innesto della discriminazione nel recesso datoriale.
Incorre, dunque, in errore la difesa della Federazione dove ritie ne che la disciplina del d.l. 220/2003 abbia, di fatto, attratto a sé le controversie sugli atti della Figc anche là dove si denunci un comportamento discriminatorio: in questo modo, infatti, si inverte il rapporto di specialità. Elemento speciale, che attrae la controversia, è la discriminazione e non anche la natura dell’atto.
Ve ne è manifesta e palese conferma nel fatto che, oggi, l’«azione civile contro la discriminazione» costituisce modello procedimentale sovrano in materia di comportamenti discriminatori. E’ sufficiente prendere atto del Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (“Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica”) e del Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 (“Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”): entrambe le normative stabiliscono all’art. 4 che la tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti discriminatori «si svolge nelle forme previste dall'articolo 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
E, allora, suggerire che si applichi la riserva sportiva o del G.A. quando il comportamento discriminatorio è veicolato da un atto della FIGC equivale a introdurre una differenza irragionevole che sfocia in una lettura palesemente incostituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost
In altri termini: quando s’impugna l’atto per motivi di legittimità o di eccesso di potere, si dà la stura a un processo retto dalle ordinarie regole procedurali previste per quel settore specifico del Diritto e, quindi, diventa operativa la normativa generale; quando, invece, si impugna l’atto in quanto comportamento discriminatorio, è dato ricorso agli artt. 43, 44 d.lgs. 286/98.
Da qui, dunque, la differenza tra rimedio generale e rimedio specialev e la diversità tra ordinamento sportivo e statuale. Il rapporto di specialità, peraltro, emerge pure dal fatto di avere il Legislatore previsto, in seno all’art. 44 cit., un espresso rimedio risarcitorio: ai sensi dell’art. 44, comma VII, “con la decisione che definisce il giudizio il giudice può altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale”.
In altri termini, e concludendo, la giurisdizione è ripartita come segue.

I) Giurisdizione Sportiva

Art. 2, legge 17 Ottobre 2003, n. 280 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva)
Controversie relative:
a) all’osservanza e all’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;
b) ai comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive

II) Giurisdizione Amministrativa

Art. 133, lett. z) del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (di attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo)
Controversie aventi a oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti.

III) Giurisdizione OrdinariA

Art. 44 d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (azione civile contro la discriminazione)
Controversia diretta ad accertare il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione che produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

Ecco, allora, che l’intera impalcatura normativa richiamata dal giudice di prime cure, per quanto correttamente descritta, non è applicabile al caso di specie, poiché il ricorrente non ha agito come giocatore leso da un atto dell’autorità sportiva ma come straniero discriminato, nell’ambito delle regole della federazione sportiva. Il rifiuto di tesseramento, insomma, non è impugnato per violazione delle regole sportive ma perché ritenuto integrante gli estremi di un comportamento discriminatorio. Del resto, l’azione esperita è senza dubbio qualificabile come azione civile ex art. 44 T.U., per la rubrica dell’atto, la causa petendi, il petitum, le deduzioni svolte in corpo al libello introduttivo del giudizio. In particolare, le conclusioni scongiurano ogni dubbio poiché si azione inequivocabilmente lo strumento di cui all’art. 44 cit. (richiesta specifica dell’inibitoria e del ristoro speciale ivi previsto).
Le conclusioni qui rassegnate trovano conferma nella decisione Cass. civ., sez. III, ordinanza n. 9567 del 19 maggio 2004 in cui la Corte è stata chiamata a decidere proprio in ordine al mancato tesseramento di taluni giocatori di pallavolo stranieri e, pur essendo stato eccepito il difetto di giurisdizione del G.O., ha dichiarato la competenza inderogabile del giudice ordinario in quel caso ritenuto (quindi) dotato di potestas decidendi. Va, dunque, dichiarata la giurisdizione del Giudice Ordinario, in persona del Tribunale adito.

2. MERITO: COMPORTAMENTO DISCRIMINATORIO

In linea di principio, la condizione dello straniero può costituire ragione per differenziare il trattamento serbato allo stesso dalla Legge, rispetto a quello offerto al cittadino. E, però, deve ricordarsi che di recente la Corte Costituzionale, nella sentenza 2 dicembre 2005 n. 432, nell’ambito degli stranieri, ha osservato come i trattamenti normativi debbano essere differenziati a loro volta, per gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia i quali, per diversi aspetti, “sono equiparati ai cittadini italiani” (ad es. ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale).
Ciò vuol dire che un eventuale trattamento deteriore deve essere accompagnato da «una specifica, trasparente e razionale “causa giustificatrice”, idonea a “spiegare”, sul piano costituzionale, le “ragioni” poste a base della deroga».
Nel caso di specie, vi è che il ***** era già stato iscritto dalla FIGC nell’alveo dei tesserati a partire almeno dal 2006 e, dunque, godeva di una situazione soggettiva del tutto differente da quella dello straniero che richiede il tesseramento per la prima volta. Trattasi, inoltre, di soggetto regolarmente soggiornante in Italia, con il suo nucleo familiare, almeno dal 2006.
Orbene, nella sua deliberazione del 5 luglio 2010, la Federazione prevede un limite al flusso degli stranieri non comunitarivi , indistintamente, per la serie A, mentre pone un divieto assoluto per gli stranieri non comunitari da federare nella serie B (eccezion fatta per i cittadini svizzeri e quelli beneficianti della deroga scolpita nella delibera stessa).
In particolare si prevede che «le società in possesso del titolo per la partecipazione al Campionato di Serie B nella stagione 2010/2011 non potranno tesserare calciatori, cittadini di Paesi non aderenti alla U.E. o alla E.E.E. provenienti dall’estero»
Tale enunciato regolamentare è prima facie non conforme alla fonte primaria che legittima la produzione delle regole sportive in capo alla Figc posto che l’art. 27, comma 5-bis del TU d.lgs 286/1998 prevede che: “con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato il limite massimo annuale d'ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal CONI con delibera da sottoporre all'approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili” (comma inserito dalla Legge 30 luglio 2002, n. 189).
Vi è, dunque, con palmare evidenza, che la Legge legittima e impone, a tutela dei vivai giovanili, un “limite massimo” di tesseramento ma non anche un divieto di tesseramento senza alcuna quota (almeno minima) di accesso. E, allora, l’introduzione di uno sbarramento assoluto giustificato solo ed esclusivamente in ragione della condizione di straniero ricade inevitabilmente nell’ambito di quei comportamenti (mediati da provvedimenti amministrativi o sportivi) che producono un effetto discriminatorio. Opportuno ricordare, in tal senso, che la norma ex art. 43 cit. non sanziona l’atto discriminatorio ma l’atto che produce un effetto discriminatorio, pur là dove l’intenzione discriminante non sussista affatto. E’, allora, affetta da evidente erronea interpretazione di legge la lettura offerta dalla resistente, secondo la quale elemento necessario sarebbe “l’intento discriminatorio” (pag. 10 della memoria).
Ai sensi dell’art. 43 richiamato, infatti, «costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
Ebbene, nel caso di specie, l’esclusione fondata sulla mera condizione di straniero produce l’effetto di compromettere l’esercizio del diritto al lavoro sportivo, che senz’altro trova soggiorno in seno al ventaglio dei diritto fondamentali.
Si ha, dunque, che il potere conferito dall’Ordinamento alla Federazione è stato esercitato con effetto discriminatorio ai danni di E.N., il quale, in quanto straniero diverso dagli stranieri in ragione delle qualità personali, degli antefatti lavorativi e delle condizioni di tempo e spazio in Italia, è stato trattato in modo deteriore rispetto ad un cittadino italiano pur essendo allo stesso equiparabile in ragione dei fatti già evidenziati.
E, allora, E.N. è stato discriminato.
Corretto è, poi, il rilievo del ricorrente secondo cui non vi sarebbe neanche una ratio giustificatrice da realizzare: se si tutelano i “Vivai Giovanili”, di essi Enis fa parte dal 2006. La verità è che il N. non può essere considerato straniero proveniente dall’estero e trattato come tutti gli stranieri provenienti dall’estero se non con vulnus all’art. 3 Cost. il quale, come insegnano i costituzionalisti, impone che situazioni uguali siano trattate in modo uguale quanto situazioni differenti siano trattate in modo differente. La situazione del N. è “uguale” a quella del cittadino italiano e differente da quella del cittadino extracomunitario: pertanto allo stesso doveva applicarsi il trattamento serbato dalla normativa al primo e escluso quello previsto dalla normativa per il secondo.
Le conclusioni cui aderisce il Collegio, in punto di giurisdizione e di merito, sono state in tempi recenti già rassegnate da giudici del distretto di Milano: da ultimo nell’ordinanza del Tribunale di Lodi, 13 maggio 2010 (est. Salmeri), ampiamente motivata e ricca di argomentazioni giuridiche qui condivise. In particolare dove si valorizza l’attività sportiva come: a) espressione della propria personalità; b) strumento per l’integrazione sociale; c) fonte di reddito.

3.MERITO: RISARCIMENTO DEL DANNO

La domanda risarcitoria deve essere rigettata. Il comportamento discriminatorio è fonte di danno in quanto ricada sotto la volta dell’art. 2043 c.c., trattandosi di fattispecie da inquadrare nell’ambito dei fatti illeciti. Ma, allora, in tanto è ammesso il ristoro del danno in quanto sussista la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, tra cui rientra il coefficiente di partecipazione soggettiva all’illecito, sub specie di colpa o dolo.
Che sussista discriminazione senza illecito è ben possibile poiché, come detto, non rileva la volontà di discriminare ma l’effetto discriminatorio.
Nel caso di specie, la Federazione ha posto in essere il proprio provvedimento in un clima di incertezza giurisprudenziale, testimoniato dalle contrapposizioni in seno a questo stesso Tribunale: vi è, allora, che sussiste un quadro normativo e pretorile tale da non giustificare alcuna pretesa risarcitoria che, invece, ben potrà essere avanzata ove la FIGC non dovesse adottare i provvedimenti disposti con la presente ordinanza.

4. PROVVEDIMENTI OPPORTUNI E INIBITORIA

In caso di accoglimento del ricorso, il giudice “può ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione”. Nel caso di specie, per rimuovere la discriminazione, va ordinato alla parte resistente di provvedere immediatamente al tesseramento di E.N.. Non sussistono ragioni per disporre la pubblicazione del provvedimento su un quotidiano a tiratura nazionale ex art. 4 d.lgs. 215/2003 .

5. SPESE

Le spese della doppia fase del giudizio vanno compensate.
Come ha affermato la giurisprudenza di merito, Legge 69 del 2009 ha modificato l’art. 92 co. 2 c.p.c. ammettendo la compensazione solo con la causale delle “gravi ed eccezionali ragioni”. Tale causale ricorre in ipotesi di istruttoria particolarmente problematica caratterizzata dalla sovrapposizione ed incompatibilità tra elementi fattuali in parte favorevoli ad una parte ed in parte all’altra (c.d. complessità in fatto); ovvero in ipotesi di controversia specialmente complessa perché vertente in materia interessata da ius superveniens oppure oggetto di oscillanti orientamenti giurisprudenziali (c.d. complessità in diritto). Anche le Sezioni Unite della Suprema Corte (v. Cass. civ., Sez. Un., 3 settembre 2008, n. 20598) hanno indicato quali sino le ipotesi nelle quali l’istituto della compensazione può trovare spazio nella sentenza del giudice e, tra di essi, rientra la presenza di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva.


P.Q.M.


letti ed applicati gli artt. 739 c.p.c., 43, 44 d.lgs. 286/1998
ACCOGLIE il reclamo e per l’effetto in riforma del provvedimento impugnato, ordinanza del Tribunale di Varese, sezione Prima civile, R.G. 4055/2010, depositato in cancelleria l’11 novembre 2010,

DICHIARA la giurisdizione del giudice ordinario e la competenza del Tribunale di Varese, rigettando l’eccezione sollevata dalla parte resistente.

ACCERTA E DICHIARA che la FIGC ha tenuto un comportamento discriminatorio ai danni di *****., nato il ... a *** e residente in Varese via ***, rifiutando di ammettere lo stesso al tesseramento per la stagione calcistica 2010 – 2011: per l’effetto ORDINA alla FIGC di cessare immediatamente il comportamento con effetti discriminatori e, in particolare,

ORDINA alla FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO (FIGC), in persona del Presidente pro-tempore, di provvedere immediatamente e senza indugio al tesseramento di *****, alle medesime condizioni previste per i cittadini italiani, rispondendo alla istanza del 1 luglio 2010 – per la società sportiva A.S. Varese 1910 - ovvero ad altra istanza per altra società sportiva, scelta dall’interessato.

RIGETTA la domanda risarcitoria del ricorrente.

COMPENSA integralmente le spese di lite tra le parti.

MANDA alla cancelleria affinché la presente ordinanza sia notificata alle parti.

Così deciso a Varese, nella Camera di Consiglio del 2 dicembre 2010

Il Giudice Est.
Dott. Giuseppe Buffone

Il Presidente
Dott. Francesco Paganini


1.In verità, di recente riemerso nella pronuncia Cass. civ., Sezioni Unite 6 febbraio 2009 n. 2867

2.Corte costituzionale, sentenza 27 aprile 2007 n. 140

3.“Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, anche in ordine alla fase cautelare, comunque attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti dell'amministrazione pubblica o dei soggetti alla stessa equiparati. La giurisdizione di cui sopra si intende estesa anche alle controversie relative a diritti costituzionalmente tutelati”.

4.Dovendosi qui specificare che una vasta letteratura scientifica esclude che il concetto di “razza” possa avere una sua valenza concettuale credibile, potendosi piuttosto usare il termine “razza” come inciso per riferirsi ad una determinata collettività allocata in un determinato contesto storico e sociale in un dato tempo ;

5.Il procedimento in esame è stato poi individuato dal Legislatore come modulo processuale tipico per le discriminazioni, in occasione della trasposizione interna delle Direttive n. 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 (che attua il principio della parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica) e n.2000/78/CE del 27 novembre 2000 (che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro). ;

6.Quanto ai cittadini comunitari, v. Corte Giust. dell’U.E., sentenza Bosman, del 15 dicembre 1995 .

 

Mercoledì, 29 Dicembre 2010

 
 
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