La competenza
dell’Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione
alla luce del trattato
di Lisbona
Scheda pratica a cura
di Chiara Favilli (Aggiornata al 10.12.2009)
Sommario
1.
Entrata
in vigore
2.
Modifiche
generali ai Trattati
3.
Spazio
di libertà, sicurezza e giustizia
4.
Attuazione
5.
Le
politiche
5.1.
Frontiere
5.2.
Visti
5.3.
Asilo
5.4.
Immigrazione
e integrazione
5.5.
Relazioni
esterne
5.6.
Cittadinanza
6.
Valutazione
e cooperazione amministrativa
7.
Diritti
fondamentali
8.
Competenze
della Corte di giustizia
Il Trattato di Lisbona (Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli
e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato e reso
esecutivo in Italia con legge 2 agosto 2008, n. 130) è entrato
in vigore il 1° dicembre 2009 dopo che anche l’ultimo Stato membro, la
Repubblica ceca, ha depositato il proprio strumento di ratifica.
Le modifiche ai Trattati vigenti sono numerose e
riguardano sia la composizione delle istituzioni sia le competenze dell’Unione
europea.
La presente scheda si propone di indicare le
modifiche più significative in relazione alla competenza in materia di visti,
asilo e immigrazione; una competenza che era già propria dell’Unione europea e
che risulta modificata soprattutto per il ruolo diverso svolto dalle
istituzioni politiche e giudiziarie.
Il Trattato sulla Comunità europea sarà d’ora in
poi denominato Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(di seguito indicato come TFUE) e costituirà uno dei due strumenti giuridici
sui quali si poggia l’Unione europea; l’altro è costituito dal Trattato sull’Unione europea (di
seguito indicato come TUE), che viene radicalmente modificato nel contenuto.
Non
esiste alcun rapporto gerarchico tra i due Trattati, essendo espressamente
previsto che “i due trattati hanno lo stesso valore giuridico” (art. 1, par. 3,
TUE).
Il Trattato sull’Unione europea consta di
55 articoli contenenti le disposizioni comuni, i principi democratici, regole
relative alle istituzioni (poi articolate nel dettaglio nel Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea), disposizioni sulle cooperazioni rafforzate,
disposizioni sulla politica estera e di sicurezza e difesa comuni e
disposizioni finali (revisione, recesso, personalità giuridica).
Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
consta di 358 articoli, in gran parte costituiti dagli articoli del Trattato
sulla Comunità europea che risultano a seconda dei casi modificati, ricollocati
o ampliati.
La nuova denominazione del Trattato sulla Comunità
europea, lungi dall’essere meramente formale, rivela il ben più significativo
cambiamento costituito della scomparsa della Comunità europea come soggetto
giuridico e della sua sostituzione da parte dell’Unione europea (art. 1, par. 3
TUE) che acquisisce piena personalità giuridica anche nei settori della PESDC (politica
estera e di sicurezza comune) e della GAI (Giustizia e affari interni).
Una delle più evidenti modifiche è la scomparsa
della struttura a tre pilastri creata con il Trattato di Maastricht (1992-1993)
e che aveva consentito di inserire la competenza in materia di visti, asilo e
immigrazione nell’ambito della cooperazione GAI, il c.d. terzo pilastro, grazie
al “compromesso” di competenze limitate in capo alle istituzioni, sia politiche
sia giurisdizionali, di procedure decisionali caratterizzate dall’unanimità in
seno al Consiglio e dal ruolo meramente consultivo del Parlamento europeo.
Dopo il Trattato di Amsterdam (1997-1999) la
cooperazione GAI risultava ripartita tra il primo pilastro - Titolo IV TCE
(Circolazione delle persone, frontiere, visti, asilo, immigrazione e cooperazione giudiziaria in materia
civile) e il terzo pilastro - Titolo VI TUE (cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale).
Con il Trattato di Lisbona (2007-2009) la
competenza sarà tutta collocata nel Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea e in particolare nel Titolo V, rubricato Spazio di libertà,
sicurezza e giustizia e
costituito da 5 capi: capo I, Disposizioni generali (artt. 67-76); capo II, Politiche relative ai
controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione (artt. 77-80); capo III, Cooperazione
giudiziaria in materia civile
(art. 81); capo IV, Cooperazione giudiziaria in materia penale (artt. 82-86); Capo V, Cooperazione di
polizia (artt. 87-89). La
formula Spazio di libertà, sicurezza e giustizia è oggi espressamente contemplata anche nell’art.
3, par. 2, del TUE, dove è qualificata come uno degli obiettivi dell’Unione,
nonché nell’art. 4, par. 2, lett. j), TFUE che contiene l’elenco delle
competenze concorrenti.
Il nuovo Trattato conferma l’applicazione
differenziata di queste politiche a Regno Unito, Irlanda e Danimarca le cui
posizioni sono regolate da appositi Protocolli allegati al Trattato (Protocollo n. 21 e Protocollo n. 22).
In base all’art. 67, par. 2, TFUE l’Unione
sviluppa una politica comune in materia di frontiere, visti, immigrazione e asilo. Si tratta di
un radicale cambiamento rispetto a quanto disposto dall’art. 62 TCE laddove si attribuiva
all’Unione la competenza ad adottare norme minime. Inoltre la stessa disposizione qualifica la
politica come fondata sulla solidarietà tra gli Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini di Paesi
terzi. Sono espressioni già contenute nelle varie conclusioni adottate dal
Consiglio europeo in questa materia.
Quanto alla solidarietà, essa pone l’esigenza di ripartire tra
tutti gli Stati membri gli oneri della gestione della politiche comuni in
questo settore che, come noto, rischiano di sovraccaricare di più gli Stati di
frontiera esterna meridionale e orientale, rispetto a tutti gli altri Stati. Lo
stesso concetto lo si trova più ampiamente espresso nell’art. 80 TFUE dove è qualificato
come principio generale dell’azione dell’Unione, prevedendo anche un’espressa
attribuzione di competenza ad adottare “misure appropriate ai fini
dell’applicazione di tale principio”.
Si noti poi che alla tendenziale parità di trattamento
tra cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti e cittadini dell’Unione
europea (presente forse solo nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere
del 1999) si sostituisce l’obiettivo dell’“equità” in base al quale il
trattamento dei cittadini di Paesi terzi deve essere frutto di un
contemperamento delle diverse legittime esigenze dell’Unione e proporzionale
agli obiettivi che si vuole raggiungere.
Quanto alle modalità di attuazione l’art. 68 TFUE espressamente prevede
che il Consiglio europeo definirà gli orientamenti strategici generali per la
pianificazione legislativa e operativa nell’ambito dello spazio di libertà,
sicurezza e giustizia. La norma specifica per lo spazio di libertà, sicurezza e
giustizia la competenza generale del Consiglio a definire gli orientamenti
politici generali e a stabilire i successivi sviluppi normativi sulla base di
una programmazione quinquennale: così in passato sono stati adottati due
programmi (Tampere 1999-2004; Aja: 2004-2009) e il prossimo, il Programma di
Stoccolma (2009-2013) sarà approvato dal Consiglio europeo dicembre, a Trattato
di Lisbona già in vigore.
All’accorpamento delle basi giuridiche relative
allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia corrisponde anche una omogeneità
di regole procedurali. Le istituzioni europee dovranno dare attuazione alle
competenze designate dal Titolo V TCE adottando uno degli atti legislativi
dell’Unione europea che, pur se per la prima volta vengano espressamente
qualificati come atti legislativi, non mutano né denominazione né
caratteristiche (art. 288 TFUE). Il potere di
iniziativa è di esclusiva competenza della Commissione europea a differenza
delle proposte nelle materie della cooperazione di polizia e giudiziaria in
materia penale nelle quali il potere di iniziativa legislativa è attribuito non
solo alla Commissione (come in tutte le politiche UE), ma anche ad un quarto
degli Stati membri. Gli atti saranno adottati sulla base della procedura legislativa
ordinaria, corrispondente sostanzialmente alla codecisione vigente nell’ambito
del TCE, caratterizzata dall’intervento del Parlamento europeo come codecisore
e dall’adozione delle delibere da parte del Consiglio a maggioranza qualificata
(art. 289 TFUE e art. 294 TFUE). Tale
procedura era già in gran parte vigente in materia di visti, asilo e
immigrazione grazie al combinato disposto dell’art. 67 TCE e della decisione
2004/927/CE.
Come in tutte le competenze di natura concorrente
(art. 4, punto 2, lett. j), TFUE)
l’Unione può adottare atti in base ai principi di sussidiarietà e
proporzionalità (art. 5 TUE), mentre gli Stati possono
intervenire soltanto nella misura in cui l’Unione non abbia esercitato la
propria o se l’Unione abbia deciso di cessare una competenza già avviata (art. 2, par. 2, TFUE). A questo
riguardo si consideri che un Protocollo allegato al Trattato regola il funzionamento
dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, mentre un altro Protocollo
concerne il ruolo dei Parlamenti nazionali che possono anche impugnare un atto
dell’Unione che viola il principio di sussidiarietà (v. infra par. 7).
L’art. 70 TFUE espressamente prevede che
le disposizioni del nuovo Titolo V TFUE non ostano all’esercizio delle
responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine
pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. Si tratta di una sorta di
riserva di competenza che autorizza gli Stati ad adottare atti anche laddove ci
siano normative dell’Unione che potrebbero quindi essere derogate dagli Stati,
fermo restando che le nozioni di ordine pubblico e sicurezza interna devono
essere intese come nozioni di diritto dell’Unione europea e quindi interpretate
secondo quanto la Corte ha avuto modo di affermare in materia di limiti alla
circolazione delle persone e delle merci dove vigono analoghi limiti
all’applicazione delle libertà sancite dal Trattato.
Gli
artt. 77-79 TFUE illustrano nel dettaglio la competenza dell’Unione articolata
in quattro settori: frontiere, visti, asilo, immigrazione, ai quali si è
ritenuto qui di affiancare come separata voce di competenza quelli della
integrazione, relazioni esterne e cittadinanza.
In
relazione alle frontiere l’art. 77, par. 1 TFUE (ex articolo 62 del TCE) afferma che
l’Unione sviluppa una politica, non qualificata come comune, volta a eliminare
i controlli alle frontiere interne e a garantire i controlli alle frontiere
esterne; questi ultimi controlli saranno effettuati sviluppando il concetto di
sistema integrato di gestione delle frontiere esterne elaborato dalla
Commissione europea e condiviso dal Consiglio che vede nella Agenzia europea
per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne l’organismo chiave per la sua attuazione (l’Agenzia è
stato istituita con il regolamento n. 2007/2004 del 26 ottobre 2004).
Resta
salva la competenza esclusiva degli Stati membri relativamente alla “delimitazione
geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale”
(art. 77, par. 4, TFUE).
Connessa
alla politica della gestione delle frontiere è la politica dei visti, disciplinata
dall’art. 77, par. 2, TFUE. La
competenza attribuita ricalca quella già esistente in base all’art. 62 TCE e
concerne: la politica dei visti e altri titoli di soggiorno di breve durata,
espressamente qualificata come “politica comune”; i controlli ai quali sono
sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne; le condizioni alle
quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per
un breve periodo; qualsiasi misura necessaria per l’istituzione progressiva di
un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; l'assenza di
qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto
dell'attraversamento delle frontiere interne.
L’art. 78 TFUE, riformula l’articolo 63,
parr. 1 e 2 e l’articolo 64, par. 2, del TCE, con qualche variazione. La
politica di asilo è ora espressamente qualificata come comune e sono richiamati
come limiti vincolanti il principio di non respingimento e la Convenzione di
Ginevra del 28 luglio 1951, della quale l’Unione non è parte ma ne sono parti
tutti gli Stati membri. È inoltre codificato il concetto di protezione
internazionale, risultante già dalle direttive in vigore, articolato nelle tre
componenti dell’asilo europeo, della protezione sussidiaria e della protezione
temporanea. Lo scopo delle tre forme di protezione dovrebbe essere quello di consentire
a chiunque necessiti di una protezione internazionale di vedersi riconosciuto
lo status appropriato alla propria situazione (si v. anche l’art. 19 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Per la prima volta si
qualifica l’asilo come asilo europeo quasi a sottolineare le
caratteristiche peculiari della protezione internazionale in ambito di Unione
europea rispetto alle altre aree geopolitiche del mondo. Venendo all’oggetto
specifico della normativa che potrà essere adottata, sono riprodotte le norme
già vigenti nel TCE con alcune minime
variazioni. In estrema sintesi l’Unione può adottare norme che
definiscano: uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di
paesi terzi, valido in tutta l'Unione; uno status uniforme in materia di
protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il
beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale; un
sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di
afflusso massiccio; procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello
status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria; criteri e
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una
domanda d'asilo o di protezione sussidiaria; norme concernenti le condizioni di
accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria; misure temporanee
in base alla procedura consultiva in caso di afflusso improvviso di cittadini
di paesi terzi a favore di uno o più Stati membri interessati.
Ai sensi dell’art. 79 TFUE “l’Unione sviluppa
una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la
gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei
paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il
contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta”. L’articolo
riformula l’art. 63, parr. 3 e 4, del TCE, con alcune variazioni come la
espressa qualificazione della politica come comune e il riferimento al
contrasto dell’immigrazione illegale e della tratta che potrebbe avvenire anche
con misure di cooperazione in materia penale, a maggior ragione adesso alla
luce della eliminazione della distinzione tra i pilastri. Più specificamente
l’Unione può adottare misure relativamente ai seguenti settori: condizioni di
ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti
e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di
ricongiungimento familiare; definizione dei diritti dei cittadini di paesi
terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che
disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati
membri; immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi
l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; lotta
contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori.
Come nel vigore del TCE è espressamente affermato
che rimane un diritto proprio degli Stati determinare il numero degli ingressi
di lavoratori provenienti da Paesi terzi (art. 79, punto 5, TFUE). In base a
questa disposizione gli Stati possono porre limiti numerici all’ingresso di
lavoratori provenienti da Paesi terzi ma non all’ingresso di altre categorie di
cittadini di Paesi terzi; eccetto questa specificazione la norma è formulata in
senso molto ampio, al punto da poter in principio consentire a uno Stato di non
permettere alcun ingresso di lavoratori di Stati terzi potendo in estrema
analisi anche di fatto vanificare l’applicazione e, quindi, l’effetto utile delle norme dell’Unione europea.
Un altro ambito nel quale gli Stati conservano
molta della loro autonomia è quello delle politiche di integrazione. Si prevede
infatti che siano adottate misure di incentivazione e di sostegno dell’azione
degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi
terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio (art. 79, punto 4, TFUE). L’esclusione
di qualsiasi misura di armonizzazione delle legislazione degli Stati membri
impedisce la formazione di una politica comune in materia di integrazione.
L’Unione mantiene comunque la possibilità di adottare misure che, come altri
settori del diritto dell’Unione europea dimostrano, possono risultare efficaci
pur se non dotate della forza giuridica propria degli atti di armonizzazione (art. 2, punto 5, TFUE).
L’art. 79, par. 3, TFUE attribuisce espressamente all’Unione
la competenza a concludere con i paesi terzi accordi ai fini della
riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi
terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la
presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri. Allo stesso
modo in materia di asilo l’art. 78, par. 2, lett. g), TFUE
include nel sistema europeo di asilo comune il partenariato e la cooperazione
con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria
o temporanea.
Nel
previgente sistema l’Unione, pur in mancanza di competenza espressa, ha
concluso numerosi accordi di riammissione e di facilitazione del visto,
applicando il principio del parallelismo delle competenze (sentenza Corte di giustizia AETS, del 31 marzo 1971, causa 22/70).
L’espressa attribuzione di competenza codifica quanto già emergeva dai
precedenti Trattati. In mancanza di un’indicazione testuale diversa la
competenza a concludere questo genere di accordi deve essere considerata
concorrente con quella degli Stati membri, che rimangono liberi di concludere
propri accordi bilaterali di riammissione; un esame specifico andrà compiuto
quando l’Unione viene a concludere un accordo con uno Stato terzo vincolato
anche da un accordo bilaterale con uno Stato membro. Eventuali profili di
incompatibilità dei due trattati dovranno essere risolti alla luce delle
rilevanti norme di diritto internazionale nonché dell’art. 351 TFUE (già art. 307 TCE).
L’espressa menzione di questo genere di accordi in una norma del Trattato
implicitamente ne afferma la loro rilevanza sul piano del trattamento giuridico
dello straniero cittadino di Paese terzo escludendo una loro qualificazione
come di mere norme esecutorie dei provvedimenti di allontanamento e richiedendo
la loro conclusione attraverso la procedura ordinaria di conclusione degli accordi
internazionali (art. 218 TFUE).
La
necessità di preservare la competenza dei singoli Stati membri in materia di
conclusione degli accordi internazionali è presente anche nel Protocollo n. 23
sulle relazioni esterne degli Stati membri in materia di attraversamento delle
frontiere esterne, in base al quale le misure che l’Unione europea può adottare
in materia di controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le
frontiere esterne non pregiudicano la competenza degli Stati membri a
concludere accordi con Paesi terzi “a condizione che rispettino il diritto
dell’Unione europea e gli altri accordi rilevanti”. Il Protocollo persegue lo
scopo evidente di escludere che in questa materia lo sviluppo della normativa
interna dell’Unione europea conduca a ritenere che si sia affermata una
competenza esclusiva dell’Unione a concludere accordi internazionali (Corte di giustizia, parere 1/03 del 7 febbraio 2006).
L’Unione
non acquisisce alcuna competenza in materia di attribuzione della
cittadinanza ai cittadini di Paesi
terzi, nonostante che il possesso della cittadinanza di uno Stato membro sia
anche il veicolo per l’acquisizione della cittadinanza dell’Unione europea. È
prevedibile che anche nel lungo periodo potranno coesistere legislazioni molto
diverse tra loro, che solo indirettamente potrebbero essere influenzate dagli
obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Similmente nessuna
attribuzione di competenza è stata effettuata in relazione alla partecipazione
dei cittadini di Paesi terzi alla vita democratica dell’Unione europea che,
anzi, alla luce del Trattato di Lisbona, risulta essere esclusivamente
concepita come riguardante i cittadini dell’Unione europea. Si consideri
infatti che mentre nel vigore del Trattato CE era stabilito che il Parlamento
europeo è “composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella
Comunità” (art. 189 TCE), l’art. 10 TUE afferma che i cittadini
sono direttamente rappresentati nel Parlamento europeo e analogamente l’art. 14, par. 2, TUE stabilisce che
“Il Parlamento europeo è composto di rappresentanti di cittadini dell’Unione”,
così impedendo di attribuire il diritto di voto al Parlamento europeo a
cittadini che non siano anche cittadini dell’Unione europea come invece anche
la Corte di giustizia aveva avuto modo di affermare nella causa Eman (sentenze 12 settembre
2006, cause C-145/04 e C-300/04). Così anche l’art. 11, par. 4, TUE relativamente
alla proposta legislativa di iniziativa popolare che può essere presentata da
un milione di cittadini dell’Unione. Pessima è stata anche la scelta di
accorpare le norme sulla cittadinanza europea e quelle sulla non
discriminazione in un’unica parte, la seconda, rubricata appunto “Non
discriminazione e cittadinanza dell’Unione” (artt. 18-25 TFUE), dato che i divieti
di discriminazione sanciti nel Trattato o nella normativa derivata non tutelano
solo i cittadini dell’Unione europea, così come almeno due diritti individuati
come propri del cittadino UE possono essere esercitati anche dai cittadini di
Paesi terzi (diritto di rivolgere petizioni al Parlamento europeo e denunce al
Mediatore europeo, artt. 20, par. 2, lett. d), e 227-228 TFUE).
L’art. 70 TFUE espressamente prevede che il
Consiglio, su proposta della Commissione individui le modalità di valutazione
delle politiche del titolo V, condotte dalla Commissione congiuntamente agli
Stati membri relativamente all’attuazione delle politiche dell’Unione europea.
Si tratta di una norma volta a coinvolgere gli Stati membri nel processo di
valutazione dell’attuazione al fine di favorire il principio del riconoscimento
reciproco. Verosimilmente il settore privilegiato di questa valutazione sarà la
giustizia civile e penale ma anche in materia di immigrazione vi sono alcuni
ambiti nei quali la valutazione sarà rilevante: ad esempio in relazione al
mutuo riconoscimento dei provvedimenti di allontanamento o alla circolazione dei
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. Una valutazione
condotta con il coinvolgimento diretto degli Stati membri può consentire di
rafforzare la reciproca fiducia tra gli Stati membri fondamentale per
l’applicazione del principio del mutuo riconoscimento.
L’art.
74 TFUE riformula il contenuto dell’articolo 66 del TCE, in base al quale il
Consiglio adotta misure al fine di assicurare la cooperazione amministrativa
tra i servizi competenti degli Stati membri nei settori di cui al presente titolo
e fra tali servizi e la Commissione. A questo fine è prevista l’adozione di
misure da parte del Consiglio su proposta della Commissione ma con la mera
consultazione del Parlamento europeo. Si veda anche l’art. 197 TFUE che prevede
in via generale una competenza ad adottare atti per facilitare la capacità
amministrativa degli Stati membri di attuare il diritto dell’Unione europea.
In base all’art. 67, par. 1, TFUE “1. L’Unione realizza uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei
diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati
membri”.
Il riferimento, innovativo, al rispetto dei
diversi ordinamenti giuridici
e alle differenti tradizioni giuridiche richiede alle istituzioni europee di tener conto
delle diversità esistenti tra i diversi ordinamenti nell’elaborazione degli
atti relativi al titolo V; verosimilmente la clausola è stata inserita in
relazione prevalentemente alle misure in materia di cooperazione di polizia e
giudiziaria sia civile sia penale.
Riformula invece un vincolo già esistente in capo
alle istituzioni, il rispetto dei diritti fondamentali.
Il Trattato di Lisbona invero interviene sul
sistema di tutela dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevedendo
all’art. 6 TUE il richiamo espresso della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea e attribuendo all’Unione la competenza per aderire alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito
indicata come CEDU).
Non muta la posizione dei diritti fondamentali nella
scala gerarchica delle fonti dell’Unione europea, che già erano stati collocati
al medesimo livello dei Trattati in virtù dell’art. 6, par. 2, TUE (pre-Lisbona).
Viene però elevato il rango della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
proclamata a Nizza nel dicembre del 2000 senza dare ad essa alcuna efficacia
vincolante ed oggi vincolante in virtù di una norma del Trattato. Tale Carta
contiene articoli mutuati dalla CEDU, dalla stessa giurisprudenza della Corte
di giustizia ma anche diritti innovativi. Alcuni di questi diritti si
riferiscono espressamente allo straniero come il diritto di asilo (art. 18; si
v. anche artt. 19 e 15, par. 3).
Quanto all’adesione alla CEDU, l’art. 6, par. 2, TFUE si limita ad
attribuire la competenza all’Unione per aderire, con una formulazione che
impiega l’indicativo presente “L’Unione aderisce alla CEDU” quasi a indicare un
obbligo nei confronti dell’Unione e non soltanto un’attribuzione di competenza
(si v. il parere della Corte di giustizia n. 2/94 del 1996).
Non sono ancora chiare le modalità tecniche di tale adesione (l’Unione sarà la
prima organizzazione internazionale ad aderire alla CEDU) ma sicuramente vi
sarà la possibilità di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani per far
valere una violazione dei diritti sanciti nella CEDU a causa di atti adottati
dall’Unione europea.
Le innovazioni in tema di diritti fondamentali non
riguardano anche l’Agenzia europea sui diritti fondamentali che continuerà a
svolgere le funzioni che le sono proprie di organismo tecnico preposto
all’elaborazione di studi, rapporti e alla formulazione di raccomandazioni in
materia di diritti fondamentali (regolamento n. 168/2007 del 15 febbraio 2007).
La parte sesta del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea è dedicata alle disposizioni istituzionali e finanziarie.
Una sezione, la 5 del capo 1, titolo I, disciplina
la Corte di giustizia dell’Unione europea. Con tale denominazione si viene a
delineare l’intero sistema giurisdizionale, costituito dai tre organi: la Corte
di giustizia, il Tribunale e il Tribunale della funzione pubblica. In futuro
potranno essere creati nuovi tribunali specializzati con un atto adottato in
base alla procedura legislativa ordinaria: il primo potrebbe essere dedicato
alle controversie in materia di brevetti.
Come noto fino ad ora la competenza della Corte di
giustizia era limitata sia per le materie del terzo pilastro (art. 35 TUE) sia
per le materie del titolo IV TCE (art. 68 TCE). Tali limitazioni non sono state
riprodotte e ciò consentirà alla Corte di svolgere pienamente il proprio ruolo
come avviene negli altri settori di competenza dell’Unione europea. L’unica
eccezione è costituita dagli atti già adottati in base al terzo pilastro che,
per cinque anni manterranno le caratteristiche vigenti al momento della loro
adozione, ivi compreso il ruolo limitato della Corte di giustizia.
Per quanto riguarda visti, asilo e immigrazione, l’ampliamento
di competenza della Corte riguarda il rinvio pregiudiziale: la Corte può dunque
adesso conoscere dei ricorsi in via pregiudiziale presentati da qualsiasi
giurisdizione, sia di prima sia di seconda sia di ultima istanza, sulla base
dei presupposti fissati dall’art. 267 TFUE e dalla rilevante
giurisprudenza della Corte di giustizia.
Qualsiasi giurisdizione nazionale che si troverà
ad applicare una norma dell’Unione europea o una norma nazionale di attuazione
di una norma europea o, ancora, una norma nazionale che comunque si situi
nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea, potrà rivolgersi
alla Corte di giustizia sollevando un rinvio pregiudiziale. Si consideri che
quando il rinvio venga chiesto nell’ambito di un procedimento nel quale vi sia
una questione relativa alla limitazione della libertà personale è possibile
richiedere una procedura pregiudiziale di urgenza, introdotta proprio per
accelerare i tempi normalmente richiesti, circa diciotto mesi, eccessivamente
lunghi per la tipologia di fattispecie in rilievo in materia di spazio di
libertà, sicurezza e giustizia (PPU, in vigore dal 3 marzo 2008 in virtù della decisione del Consiglio 20 dicembre 2007
recante modifica del protocollo sullo statuto della Corte di giustizia e
modifiche del regolamento di procedura della Corte di giustizia
adottate da quest’ultima il 15 gennaio 2008, in GU L 24 del 29 gennaio 2008,
pag. 39; si veda il comunicato stampa della Corte di giustizia CS 12/08).
Quanto al ricorso per annullamento, l’art. 263, par.
1, prevede espressamente la possibilità di impugnare gli atti anche del
Consiglio europeo, ora qualificato espressamente come istituzione, che siano
produttivi di effetti giuridici nei confronti di terzi (analogamente a quanto
l’art. 230 TCE prevedeva per gli atti del Parlamento europeo).
Il Consiglio europeo in base all’art. 68 TFUE definisce gli
orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il primo di questi atti sarà il
Programma di Stoccolma che orienterà le istituzioni nell’adozione degli atti in
questa materia per i prossimi cinque anni. Difficile ipotizzare una
legittimazione di persone fisiche e giuridiche ad impugnare un atto di
programmazione generale; diversamente sarà possibile l’impugnazione di un tale atto
da parte delle altre istituzioni ad esempio nel caso vi sia un vizio come il
mancato rispetto dei diritti fondamentali o dei principi generali dell’Unione
europea. Anche per questo lo stesso Programma di Stoccolma è stato approvato
dal Consiglio europeo nella sessione di dicembre dopo una serrata negoziazione
con il Parlamento europeo.
Ancora in materia di ricorso per annullamento è
estesa la legittimazione delle persone fisiche e giuridiche ad impugnare “gli
atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna
misura di esecuzione” (art. 263, par. 4, TFUE); le persone
fisiche e giuridiche non dovranno più dimostrare di essere anche
individualmente interessate ad un regolamento per poterlo impugnare bastando
che non vi sia alcun atto nazionale di esecuzione. Le persone fisiche e
giuridiche non dovranno dunque dimostrare di essere considerate alla stregua
dei destinatari, condizione difficilmente soddisfabile di fronte ad un
regolamento.
Infine, nell’ambito del controllo del rispetto del
principio di sussidiarietà, la Corte di giustizia può essere adita da uno Stato
membro mediante un ricorso d’annullamento di un atto legislativo per violazione
del principio di sussidiarietà proveniente da un parlamento nazionale o da un suo ramo. Il ricorso
deve essere formalmente proposto dal governo di uno Stato ma può essere anche
semplicemente “trasmesso” da tale governo, mentre il vero autore del ricorso è
il parlamento nazionale o un suo ramo.
In materia di ricorso per infrazione, l’art. 260, par. 3, TFUE (ex art. 228
TCE) dispone che quando il ricorso sia avviato per mancata comunicazione da
parte di uno Stato dell’attuazione di una direttiva, la Commissione europea può
richiedere subito alla Corte di giustizia la condanna dello Stato al pagamento
di una sanzione pecuniaria, altrimenti prevista solo nel caso in cui lo Stato
non abbia ottemperato alla sentenza di condanna per inadempimento emessa in
base all’art. 258 TFUE.