Newsletter ASGI n. 5
Rassegna di segnalazioni normative e
giurisprudenziali
a cura dell’Associazione Studi Giuridici
sull’Immigrazione
31 maggio 2010
OSSERVATORIO
CONTRO LE DISCRIMINAZIONI ITALIA 1.
Discriminatorie le norme della Federcalcio che impongono ai
cittadini extracomunitari il possesso di un permesso di soggiorno valido
almeno fino al termine della stagione sportiva corrente ai fini del
tesseramento per società dilettantistiche 2.
Discriminazioni: Il TAR Lombardia sospende l’ordinanza
del Sindaco del Comune di Brugherio che subordinava l’iscrizione anagrafica
degli stranieri all’accertamento della salubrità e del decoro dell’alloggio 3.
Tribunale di Bergamo: Discriminatorio il regolamento del Comune di
Palazzago che assegna dei contributi economici ai neonati e ai minori
adottati purché almeno uno dei genitori sia di cittadinanza italiana 5.
Discriminazioni: La PEC Posta Elettronica Certificata solo per i
cittadini italiani. Il Ministro Brunetta se ne accorge e assicura il suo
impegno perché il servizio venga esteso anche agli stranieri residenti 6.
Disponibile on-line il Codice contro le discriminazioni NOTIZIE 1.
Permesso a punti : approvato lo schema di regolamento 2.
Accoglienza dei richiedenti asilo nel sistema SPRAR. Pubblicato il
decreto del Ministero dell'Interno 3.
Dura nota del Consiglio d'Europa contro il governo italiano a causa
delle estradizioni dei cittadini tunisini nonostante il parere contrario
della CEDU 4.
UNHCR - In Somalia solo rimpatri volontari SEGNALAZIONI
NORMATIVE CIRCOLARI
AMMINISTRATIVE GIURISPRUDENZA
ITALIANA REGOLARIZZAZIONE
2009 ESPULSIONI ASILO
– PROTEZIONE INTERNAZIONALE SOGGIORNO DIRITTI
CIVILI RICONGIUNGIMENTO
FAMILIARE- MINORI DIRITTI
SOCIALI PENALE GIURISPRUDENZA
EUROPEA APPROFONDIMENTI |
OSSERVATORIO
CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
ITALIA
A cura di Walter Citti, Servizio di
supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose,
progetto ASGI- Fondazione Charlemagne ONLUS
1. Discriminatorie
le norme della Federcalcio che impongono ai cittadini extracomunitari il
possesso di un permesso di soggiorno valido almeno fino al termine della
stagione sportiva corrente ai fini del tesseramento per società
dilettantistiche
Il Tribunale di Lodi, con ordinanza
depositato il 13 maggio 2010, ha accolto il ricorso presentato congiuntamente
da un calciatore togolese richiedente asilo in Italia e dall'ASGI e da LODI PER
MOSTAR ONLUS, e ha dichiarato discriminatorie le norme della Federazione
Italiana Gioco Calcio (FIGC) che impongono ai cittadini stranieri
extracomunitari che richiedono il tesseramento per società della Lega Nazionale
Dilettanti il possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della
stagione sportiva corrente (Art. 40 c. 11 N.O.I.F.).Il Tribunale di Lodi ha concluso
che tale normativa, che limita la possibilità di svolgere l'attività sportiva
dei calciatori stranieri pur regolarmente residenti in Italia, costituisce una
violazione del diritto anti-discriminatorio (art. 43 T.U. immigrazione, d.lgs.
n. 215/2003) in quanto limita irragionevolmente l'esercizio di diritti
fondamentali dei cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia che
intendano svolgere l'attività e la pratica sportiva di calciatore.Infatti,
secondo il Tribunale di Lodi non è ravvisabile una ragionevole causa
giustificatrice nel requisito temporale di validità e durata del permesso di
soggiorno richiesto dalla Federcalcio in aggiunta alla regolarità del soggiorno
del calciatore straniero al momento del tesseramento. Anzi, secondo il Tribunale
di Lodi, proprio le giustificazioni addotte dalla Federcalcio nel corso del
giudizio, tra cui quella di voler "tutelare i vivai nostrani", e dunque
di privilegiare i calciatori italiani, rivelerebbero un intento di per sé
discriminatorio ed etnocentrico contrario al diritto anti-discriminatorio
internazionale, europeo e nazionale e al principio costituzionale di
uguaglianza. Proprio in riferimento al principio di eguaglianza costituzionale,
che trova applicazione innanzitutto nell'ambito dei diritti fondamentali,
escludendo ogni possibile discriminazione tra cittadini e stranieri
regolarmente soggiornanti, il Tribunale di Lodi, inoltre, afferma come il
diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché
attraverso la pratica sportiva trova espressione la personalità dell'individuo
e l'attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione
sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro.
Accertando dunque la discriminazione compiuta nei confronti del calciatore di
origine togolese, il Tribunale di Lodi ha ordinato il tesseramento del medesimo
per la società di Lodi per la stagione 2009/2010, nonché la pubblicazione della
sintesi dell'ordinanza, a spese della FIGC, sul quotidiano "La Gazzetta dello
Sport", nonché ha condannato la FIGC al pagamento delle spese legali.
Grande soddisfazione è stata espressa dai legali dell'ASGI, Avv. Alberto
Guariso e Livio Neri del foro di Milano, che hanno considerato tale ordinanza
come una significativa vittoria di civiltà per la causa dell'integrazione
sociale dei cittadini stranieri in Italia, attendendosi quindi una revisione di
tutte le normative delle federazioni sportive italiane che contengono simili
clausole restrittive alla pratica sportiva degli stranieri regolarmente
residenti nel nostro Paese.
L’ordinanza del Tribunale
di Lodi, ordinanza dd. 13.05.2010 (N.R.G. 898/2010, S.I.B.K. c. FIGC)
|
2. Discriminazioni: Il TAR Lombardia sospende l’ordinanza del
Sindaco del Comune di Brugherio che subordinava l’iscrizione anagrafica degli
stranieri all’accertamento della salubrità e del decoro dell’alloggio
Con ordinanza depositata il 21 maggio
2010, la sez. III del TAR Lombardia ha accolto l'istanza incidentale di
sospensione proposta dalla CGIL nel ricorso presentato contro l'ordinanza del
Sindaco del Comune di Brugherio (MI), emanata nel febbraio 2010, che prevedeva
per i soli immigrati che l'iscrizione all'anagrafe fosse subordinata non
soltanto alla verifica dei tradizionali requisiti previsti dalla legge, ma
anche all'accertamento, effettuato da parte del Comune, del decoro e delle
condizioni di salubrità della dimora.
Il collegio del tribunale amministrativo
lombardo ha motivato l'ordinanza affermando di "dubitare, prima facie,
che sussistano i presupposti per l'adozione delle ordinanze sindacali di cui
agli artt. 50 e 54 d.lgs. n. 267/2000, sia che tra le attribuzioni dell'ente
locale rientri il potere di regolamentare le materie dell'immigrazione,
dell'anagrafe, dei rapporti dello Stato con l'Unione europea, del diritto di
asilo e della condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti
all'Unione europea".
Sull'argomento dell'iscrizione anagrafica
dei cittadini stranieri, si ricorda che l'art. 1 co. 18 della legge n. 94/2009
ha modificato l'art. 1 della legge n. 1228/54 in materia di ordinamento delle
anagrafi della popolazione residente, aggiungendo che "l'iscrizione
e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica, da
parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie
dell'immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai
sensi delle vigenti norme sanitarie".
Questa disposizione riguarda tutti i
cittadini, italiani, comunitari e stranieri. Si ricorda che la
formulazione originaria della norma subordinava l'iscrizione anagrafica alla
verifica dell'idoneità dell'alloggio, mentre nel corso del dibattito
parlamentare che ha portato all'approvazione della legge n. 94/09, la
verifica della idoneità dell'alloggio ha assunto un carattere solo discrezionale,
e comunque non condizionante il diritto all'iscrizione anagrafica.
In altri termini, le amministrazioni comunali possono decidere se e
come procedere in tal senso nelle singole realtà locali e la
verifica della idoneità igienico-sanitaria dell'alloggio, qualora disposta dai
competenti uffici comunali, costituisce un procedimento diverso e separato dal
procedimento di iscrizione anagrafica, che resta inalterato nelle modalità e
nei presupposti e vincolato unicamente al criterio di accertamento della dimora
abituale, anche nel caso in cui l'alloggio risulti eventualmente inidoneo.
Peraltro, qualora l'immobile risultasse inabitabile per ragioni igieniche, il
Sindaco potrebbe ordinarne lo sgombero ai sensi dell'art. 22 del r.d.
27.7.1934 n. 1265 (Testo unico leggi sanitarie) e tale atto potrebbe de facto,
anche solo potenzialmente, produrre effetti anche nel procedimento anagrafico,
nel momento in cui ne conseguisse l'irreperibilità del richiedente già
occupante l'immobile sgomberato in sede di controlli disposti
dall'ufficiale di anagrafe ai fini dell'accertamento della dimora.
Riguardo ai criteri per la verifica delle
condizioni igienico-sanitarie degli alloggi, il TULS (testo unico leggi
sanitarie ) prevede all'art. 218 l'emanazione da parte del Sindaco, su
approvazione della giunta comunale, di regolamenti locali di igiene e
sanità che stabiliscano, tra l'altro, anche le norme per la salubrità delle
abitazioni; detti regolamenti devono contenere le norme dirette ad
assicurare che le abitazioni siano provviste di aerazione ed illuminazione
naturale, di acqua potabile, di servizi igienici e scarichi per le acque
"bianche" e "nere"; essi inoltre devono altresì rispettare
, sostanzialmente, le istruzioni del Ministero della Sanità, all'uopo impartite
con il d.m. 5.7.1975 che definiscono alcune condizioni ulteriori rispetto al
citato art. 218 e pure riferibili alla igiene e salubrità nella stretta
accezione del termine quali ad es. la dotazione del riscaldamento, l'aerazione
naturale o meccanica dei servizi igienici, l'aspirazione forzata sul
"posto di cottura" eventualmente annesso al locale di soggiorno. Non
si ritiene invece che possano ricondursi ai ristretti criteri igienico-sanitari
richiamati dalla norma di cui alla legge n. 94/09, i parametri
dimensionali degli alloggi pure previsti dal D.m. 5.7.1975.
Come già accennato all'inizio, la nuova
norma in materia di iscrizione anagrafica è applicabile a tutte le nuove
richieste di iscrizione o variazione anagrafica, a prescindere dalla cittadinanza
dei richiedenti. Un'eventuale applicazione discrezionale della facoltà di
accertamento delle condizioni igienico-sanitarie dell'alloggio riconducibile a
criteri di mera appartenenza etnico-nazionale, cioè effettuata con l'intento di
monitorare prevalentemente o esclusivamente le condizioni alloggiative di
richiedenti l'iscrizione anagrafica di nazionalità straniera o appartenenti a
determinate nazionalità o gruppi etnici o religiosi, costituirebbe una
discriminazione illegittima e vietata dall'art. 43 del T.U. immigrazione
(divieto di discriminazioni su base etnico-razziale, religiosa o di
nazionalità) ovvero una forma di molestia etnico-razziale, pure vietata dal
d.lgs. n. 215/03.
L’
ordinanza del TAR
Lombardia - sez. III, ordinanza n. 461/2010 dd. 21.05.2010
|
3.
Tribunale di Bergamo: Discriminatorio il regolamento del Comune di Palazzago
che assegna dei contributi economici ai neonati e ai minori adottati purchè
almeno uno dei genitori sia di cittadinanza italiana
Contrarie ai diritti umani e alla Costituzione le argomentazioni del Comune che
giustificavano l’esclusione per garantire una “salvaguardia minima della
caratteristiche storiche e sociali della comunità locale”.Il Tribunale di
Bergamo, con ordinanza depositata il 17 maggio 2010, ha accolto il ricorso
presentato da ASGI e ANOLF Bergamo contro il regolamento comunale adottato dal
Comune di Palazzato (prov. di Bergamo) già nel 2001 che aveva istituito
un contributo economico ai neonati e ai minori adottati purchè almeno uno dei
genitori sia di cittadinanza italiana oppure l'abbia richiesta al momento della
presentazione dell'istanza.
Il Comune di Palazzago, con apposita
delibera, aveva giustificato tale esclusione dei non cittadini italiani
dal contributo con l'esigenza di promuovere una "salvaguardia minima delle
caratteristiche storiche e sociali della comunità locale", mentre la
possibilità di accedere al contributo da parte di chi avesse presentato
richiesta di acquisto della cittadinanza italiana veniva giustificata dal
Comune con l'obiettivo di "incentivare la volontà di cittadinanza e di
stabilità delle cellule fondamentali della società civile ... a tutto vantaggio
della coesione sociale".Il giudice di Bergamo ha dichiarato quale
discriminatorio e dunque illegittimo il regolamento del comune di Palazzago in
quanto il principio di eguaglianza, di parità di trattamento e di non discriminazione
è previsto dal sistema internazionale ed europeo dei diritti umani, nonché fa
parte dell'ordinamento comunitario e di quello costituzionale italiano quale
principio fondamentale. Ne consegue che la finalità espressa dal Comune di
Palazzago di promuovere la coesione sociale e la famiglia attraverso
l'esclusione dei cittadini stranieri dalle misure assistenziali è
inconciliabile ed irragionevole in relazione ai richiamati principi
fondamentali del diritto internazionale, europeo e costituzionale italiano.
Secondo il giudice di Bergamo, inoltre, l'asserita finalità di incentivare
l'accesso degli stranieri alla cittadinanza italiana non può
certamente essere legittimamente perseguita discriminando chi
ne è privo e non può o non vuole acquisirla e ciò senza considerare
l'irragionevolezza di ritenere che i cittadini stranieri possano essere
sollecitati ad accedere all'istituto della cittadinanza italiana in virtù del
contributo erogato dal Comune, in relazione all'evidente incommensurabilità del
valore civile, politico, culturale e strettamente personale della cittadinanza
rispetto al contributo comunale una tantum pari a circa 250 euro.Insomma, il
giudice di Bergamo, con la sua ordinanza, ha dato una lezione di civiltà ad
amministratori politici locali ostinati a voler perseguire politiche di
esclusione e marginalizzazione della popolazione immigrata con argomenti che,
con sempre maggiore grettezza culturale, intendono
veicolare l'idea di una minore dignità sociale degli immigrati e
di una loro presunta e irriducibile diversità ed
inconciliabilità con la popolazione e la c.d. "cultura
locale".Il giudice di Bergamo ha dunque ordinato al Comune di Palazzago di
riconoscere il contributo per l'anno 2009 anche ai destinatari stranieri che
siano in possesso degli altri requisiti richiesti, di astenersi da analoghi
atti di discriminazione e di ritorsione per gli anni futuri ed in particolare
per l'assegnazione del contributo per l'anno 2010, di far pubblicare
a proprie spese l'ordinanza sul quotidiano locale "L'Eco di Bergamo
" e di provvedere al pagamento delle spese legali sostenute dai
ricorrenti.
L’ordinanza del Tribunale
di Bergamo, ordinanza dd. 17.05.2010, ASGI e ANOLF c. Comune di Palazzago Si ringrazia per la segnalazione l'avv.
Alberto Guariso di Milano. |
4.
Discriminazioni:
Dal 2005 in vigore nel Comune di Adro (BS) due regolamenti comunali che
prevedono sostegni alle locazioni abitative e l’erogazione di bonus bebè solo
ai cittadini italiani o di Paesi dell’Unione europea.
Cinque cittadini stranieri appoggiati dall’ASGI e dalla Fondazione Piccini per
i diritti umani inoltrano un ricorso al Tribunale di Brescia per far cessare la
discriminazione.
Dal
2005 sono in vigore nel Comune di Adro (prov. di Brescia), due
regolamenti comunali che contengono disposizioni discriminatorie a danno dei
cittadini di Paesi terzi non appartenenti all'Unione europea. Il primo
regolamento istituisce un Fondo integrativo comunale per il sostegno alle
locazioni a favore di nuclei familiari a basso reddito. Possono
beneficiare del contributo soltanto i conduttori di immobili e quindi i titolari
di contratti di locazione che siano cittadini di uno Stato facente parte
dell'Unione europea.
Il
secondo regolamento prevede l'erogazione di un contributo economico alla
famiglia per i nuovi nati e i minori adottati. Condizione per l'accesso a tale
beneficio, oltre alla residenza del neonato o dell'adottato nel comune di Adro,
sono il rapporto di coniugio dei genitori e la cittadinanza di entrambi i
genitori di uno Stato dell'Unione europea, oltreché la residenza nel comune di
Adro da almeno cinque anno di almeno uno dei genitori.
Cinque
cittadini stranieri residenti nel Comune di Adro hanno presentato, assieme
all'ASGI e alla Fondazione Piccini per i diritti umani ONLUS di Brescia, un
ricorso ex art. 44 del T.U. immigrazione (azione giudiziaria
anti-discriminazione). I legali dei ricorrenti, avv. Guariso e Zucca, ritengono
che la clausola di nazionalità, che esclude dai suddetti benefici i cittadini
extracomunitari, sia in violazione di norme costituzionali (art. 2 e 3 Cost) in
quanto priva di una ragionevole causa giustificatrice, nonché di norme di legge
sovraordinate quali gli artt. 2 c. 2 e 3 d.lgs. n. 286/98 (principio di
uguaglianza tra lavoratori italiani e stranieri), l'art. 43 del d.lgs. n.
286/98 (divieto di discriminazioni), l'art. 41 del d.lgs. n. 286/98 (parità di
trattamento in materia di prestazioni di assistenza sociale), nonché di norme
di diritto internazionali relative al trattamento dei minori (Convenzione di
New York sui diritti del fanciullo).
I
ricorrenti hanno dunque richiesto al Tribunale di Brescia di accertare la
discriminazione e di ordinare al Comune di Adro di rimuovere la
condizione discriminatoria di cittadinanza, anche retroattivamente, in
relazione ai bandi già definiti negli anni precedenti, consentendo alle persone
escluse di parteciparvi.
La presa di posizione di Brunetta a
seguito della protesta di un cittadino albanese residente in Italia. Secondo il
Ministro la normativa attuale non consente l’estensione del servizio agli
stranieri.
Il 26 aprile scorso il Ministro per la
Pubblica Amministrazione e l'Innovazione Renato Brunetta ha dato il via al
nuovo servizio di Posta Elettronica Certificato, che consentirà al cittadino di
dialogare con gli uffici della Pubblica Amministrazione, inviando e
ricevendo messaggi di testo ed allegati con lo stesso valore di una
raccomandata con avviso di ricevimento.
Peccato che il servizio è riservato ai
soli cittadini italiani maggiorenni e ne vengono esclusi in maniera assoluta i
cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari, regolarmente residenti in
Italia. Una discriminazione assolutamente irragionevole, come sottolineato dal
un cittadino albanese, residente da molti anni in Italia, che ha interrogato il
Ministro Brunetta con un messaggio inviato al sito del Ministro, il quale ha
risposto prontamente concordando con il cittadino albanese che " i
processi di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione
debbano andare a beneficio di tutti coloro che vivono e lavorano nel nostro
Paese, indipendentemente dalla cittadinanza". Il Ministro Brunetta
prosegue affermando che "l'estensione del servizio Postacertificat@
a chi, straniero, risiede in Italia è impedita dalle previsioni di legge",
ma che è sua intenzione modificare quanto prima questa situazione, presentando
al Parlamento una modifica normativa e trovare fin da subito delle
"soluzioni tecniche in grado di consentire il rilascio del servizio ai
residenti che non sono cittadini italiani".
Difatti, il decreto legge 29 novembre
2008, n. 185 (art. 16 bis), presentato dunque dal Governo, di cui fa parte il
Ministro Brunetta, e poi il D.P.C.M. 6 maggio 2009 ("Disposizioni in
materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata
assegnata ai cittadini"), che vede lo stesso Brunetta quale firmatario,
prevedono come assegnatari del servizio i "cittadini", piuttosto che
i "residenti", dando così origine all'esclusione dei cittadini
stranieri.
Con riferimento ai cittadini di altri
paesi membri dell'Unione europea regolarmente residenti in Italia, tale esclusione
appare in palese violazione delle norme di diritto europeo ed in particolare
con il principio di parità di trattamento e di non-discriminazione, che ,
a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, lo scorso 1 dicembre,
ha assunto il rango di diritto fondamentale dell'Unione.
Con riferimento agli altri cittadini
stranieri regolarmente residenti in Italia, l'esclusione dal servizio di Posta
certificata appare in palese violazione del principio di uguaglianza, in quanto
non sussiste una ragionevole causa giustificatrice dello sfavorevole
trattamento riservato allo straniero rispetto al cittadino, alla luce dei
parametri sanciti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con la
sentenza n. 432/2005.
Insomma, un'altra misura discriminatoria
varata dal Governo italiano, che ora, tardivamente e con un certo risalto
mediatico, cerca di prenderne le distanze.
Decreto-legge 29.11.2008, n. 185
(art. 16 bis) Informazioni
sulla PEC dal sito del Ministero per la Pubblica Amministrazione e
l'innovazione |
Raccolta di tutta la normativa
internazionale, europea, nazionale e regionale in materia di contrasto alle
discriminazioni per ragioni di disabilità, differenza di genere, razza, gruppo
culturale, etnia, nazionalità, religione e nell'accesso al lavoro. Iniziativa
dell'Ufficio del Difensore civico della Regione Emilia-Romagna.
La normativa a contrasto delle discriminazioni
è ricca e variegata, frutto di processi sociali complessi e ripresa da fonti
diverse, a livello sovranazionale, europeo, nazionale e regionale. Per un
operatore non è sempre facile reperire ciò di cui ha bisogno.
Da oggi è possibile la consultazione di un
materiale organico, trasversalmente alle diverse forme di discriminazione.
L'ufficio del Difensore civico della Regione Emilia-Romagna, infatti, ha curato
la stesura di un Codice contro le discriminazioni che, dopo una sezione
generale, abbraccia i campi della disabilità, differenza di genere, razza,
gruppo culturale, etnia, nazionalità, religione, e diritto di accesso al lavoro
per tutti i cittadini.
Il
Codice contro le discriminazioni |
NOTIZIE
1.Permesso a punti : approvato lo schema di regolamento
Previsto dalla legge 94/2009 contiene i criteri per la sottoscrizione di un
accordo cosiddetto d'integrazione per gli stranieri che entreranno in Italia .
Illustrato anche il Piano nazionale per l’integrazione nella sicurezza.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato uno
schema di regolamento, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e
del Ministro dell’interno, inteso a stabilire i criteri e le modalità per la
sottoscrizione, contestualmente alla presentazione della richiesta del permesso
di soggiorno da parte dei cittadini stranieri che faranno ingresso in
Italia e chiederanno il primo permesso di soggiorno a partire dalla data di
entrata in vigore del regolamento. L'accordo, articolato per crediti, da
conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno dovrà acquisire i
prescritti i pareri di Conferenza Unificata e Consiglio di Stato e
successivamente essere approvato nuovamente da parte del Consiglio dei Ministri
.Entrerà in vigore dopo 120 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.Il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha poi
illustrato il Piano nazionale per l’integrazione nella sicurezza. Il Piano,
collegato all’accordo di integrazione, riassume la strategia che il Governo
intende perseguire in materia di politiche di integrazione, individuando le principali
linee di azione e gli strumenti da adottare per promuovere un efficace percorso
integrativo degli stranieri immigrati, coniugando accoglienza e sicurezza nel
rispetto delle procedure previste dalla vigente legislazione.
Fonte : Comunicato
stampa del Consiglio dei Ministri del 20 maggio 2010 |
2.
Accoglienza dei richiedenti asilo nel sistema SPRAR. Pubblicato il decreto del
Ministero dell'Interno
Prevista una triennalità degli interventi per il periodo 2011-2013 per una
distribuzione di 3.000 posti complessivi.
E'
stato pubblicato il decreto del Capo Dipartimento per le libertà civili e
l'immigrazione del ministero dell'Interno, prefetto Mario Morcone, ai sensi
dell'articolo 2 del decreto ministeriale del 22 luglio 2008. Il decreto dispone
le due condizioni, di cui terrà conto il prossimo bando per l'accesso al Fondo
nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo e che caratterizzeranno
la futura composizione la rete dello SPRAR. Nell'articolo unico del decreto si
prevede una triennalità degli interventi di accoglienza, per il periodo
2011/2013, e una distribuzione dei posti nel numero di 2.500 destinati
alle cosiddette "categorie ordinarie" e 500 per le "categorie
più vulnerabili".
Il
testo del decreto |
3.Dura
nota del Consiglio d'Europa contro il governo italiano a causa delle
estradizioni dei cittadini tunisini nonostante il parere contrario della CEDU
Il Segretario Generale del CdE
profondamente preoccupato per le avvenute esecuzioni di provvedimenti espulsivi
da parte delle autorità italiane nei confronti di cittadini tunisini nonostante
le indicazioni contrarie della CEDU. Il Segretario Generale Thorbjorn Jagland
si è detto profondamente preoccupato per la decisione delle autorità italiane
di estradare verso la Tunisia, il 1° maggio, il Sig. Mannai, nonostante le
indicazioni contrarie della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. “È
fondamentale che le misure adottate dalla Corte, riconosciute come giuridicamente
vincolanti per la totalità delle Parti alla Convenzione europea dei Diritti
dell’Uomo, siano rispettate da ogni Stato membro. Qualsiasi azione contraria
rischia di compromettere il sistema dei diritti umani, essenziale per la tutela
di tutti i cittadini europei”, ha precisato nella dichiarazione del 19 maggio.
Questo il contenuto della dichiarazione: “Suscita in me profonda
preoccupazione la decisione delle autorità italiane di estradare il 1° maggio
il Sig. Mannai, cittadino tunisino, nel paese d’origine, nonostante la
richiesta della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di non procedere
all’esecuzione dell’espulsione. La Corte aveva ritenuto che vi fossero validi
motivi di temere che il Sig. Mannai potesse essere sottoposto a maltrattamenti
in Tunisia. L’espulsione del Sig. Mannai ha avuto luogo successivamente ad una
recente sentenza pronunciata dalla Corte nel caso Trabelsi. In tale occasione
la Corte aveva concluso che, procedendo all’espulsione del ricorrente, l’Italia
avesse violato la Convenzione. Ugualmente era accaduto per il Sig. Ben Khemais,
la cui causa era ancora pendente innanzi alla Corte, che nel mese di giugno
2008 veniva estradato verso la Tunisia, malgrado una misura provvisoria e in
violazione alla Convenzione.In qualità di Segretario generale del Consiglio
d’Europa, sono profondamente rammaricato nel constatare il ripetersi di simili
azioni da parte delle autorità italiane. È fondamentale che le misure adottate
dalla Corte, riconosciute come giuridicamente vincolanti per la totalità delle
Parti alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, siano rispettate da ogni
Stato membro. Qualsiasi azione contraria rischia di compromettere il sistema
dei diritti umani, essenziale per la tutela di tutti i cittadini europei.”Il Sig. Mannai,
cittadino tunisino, è stato arrestato in Austria, il 20 maggio 2005, sulla base
di un mandato d’arresto emesso dalle autorità italiane nell’ambito di
un’indagine sul terrorismo internazionale. Il Sig. Mannai è stato estradato in
Italia il 20 luglio 2005 e condannato a cinque anni di detenzione in seguito ad
una sentenza del 5 ottobre 2006. Detta sentenza prevedeva l’espulsione del
Sig.Mannai una volta scontata la pena. Il 19 febbraio 2010, la Corte europea
dei Diritti dell’Uomo ha chiesto alle autorità italiane di non procedere
all’espulsione del ricorrente in Tunisia fino a nuovo ordine (misura
provvisoria adottata ai sensi dell’art.39 del Regolamento della Corte).
Vedere
anche la sentenza della Corte di Cassazione – Sezione VI - n. 20514
del 28 aprile 2010 – depositata il 28 maggio 2010 (Sezione
Sesta Penale, Presidente G. Lattanzi, Relatore F. Ippolito) http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaPenale/SezioniSemplici/SchedaNews.asp?ID=1576 Fonte
: Antonella
Mascia |
L'UNHCR si appella a tutti gli
stati affinché si attengano ai loro doveri internazionali sul principio di
non-refoulement. I rimpatri nella Somalia centrale e meridionale devono
avvenire su base rigorosamente volontaria.
L’11 maggio 2010
l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) aveva già
pubblicato delle linee guida sulla protezione delle persone in fuga dalla
Somalia .
Il giorno successivo aveva espresso ai donatori le sue gravi preoccupazioni sul
deteriorarsi della situazione in Somalia.
La prassi di valutazione dei
bisogni di protezione seguita dagli stati è purtroppo molto varia. Nei mesi
recenti si sono verificati diversi episodi di rimpatri. Da quando sono state
pubblicate le linee guida c’è stato un altro episodio di espulsione: oltre 100
somali che sono stati rimandati a Mogadiscio dall’Arabia Saudita a metà maggio.
L’UNHCR è preoccupato per la
grave situazione in cui versano i somali a livello globale e ritiene necessario
un approccio coerente a livello internazionale che assicuri la protezione
internazionale ai rifugiati somali. Pertanto chiede nuovamente a tutti i
governi di attenersi rigorosamente alle sue nuove linee guida di eleggibilità.
Il documento - Linee
guida dell'UNHCR sulla protezione delle persone in fuga dalla Somalia |
SEGNALAZIONI
NORMATIVE
NORME
ITALIANE
1.Pubblicato
il decreto per l'ingresso di studenti stranieri
Pubblicato
il 27 aprile 2010 nella Gazzetta Ufficiale il decreto riguardante l’ingresso
degli studenti per l’accesso all’istruzione universitaria e di alta formazione
artistica, musicale e coreutica per l’anno accademico 2009-2010.
Per
gli atenei statali statali e non statali autorizzati al rilascio di titoli di
studio aventi valore legale, saranno 45.210 i visti per potranno essere
rilasciati, mentre per le istituzioni di Alta formazione artistica musicale e
coreutica, nazionali statali e non statali, i posti disponibili saranno 6.210,
per un totale di 51.420.
Un decreto quasi del tutto inutile per un semplice motivo. Il decreto ricalca
che è possibile per gli studenti iscriversi a qualsiasi facoltà delle nostre
università italiane ed è diretto agli studenti stranieri residenti all’estero
e, visto che le preiscrizioni per quest’anno anno accademico andavano fatte lo
scorso maggio, la partita è praticamente chiusa. E’ stata già effettuata una graduatoria
degli studenti stranieri che potranno entrare ed iscriversi all’Università.
Per chi lo volesse può comunque comunicare la propria intenzione di iscriversi
all’università, facendo richiesta di visto di ingresso per studio ai consolati.
Vedi il decreto del 9 marzo 2010 (G.U. n. 97 del 27 aprile
2010) |
CIRCOLARI
AMMINISTRATIVE
2.INPS -
Disoccupazione: spetta al cittadino comunitario anche se non iscritto nello
schedario della popolazione temporanea
Il
diritto del lavoratore comunitario alle prestazioni di disoccupazione,
sussistendo tutti i requisiti normativamente previsti per la fruizione del
beneficio, è riconosciuto indipendentemente dalla sua iscrizione nello
schedario della popolazione temporanea e dalla iscrizione anagrafica.
Tali
norme hanno infatti esclusivo rilievo in materia di sicurezza interna e la loro
applicazione in materia previdenziale (nella specie, requisiti di accesso alle
prestazioni di disoccupazione) si porrebbe in contrasto con i principi di
libera circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione europea sanciti dal
Regolamento CE n. 883/2004 del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei
sistemi di sicurezza sociale, e dal relativo Regolamento CE di applicazione n.
987/2009 del 16 Settembre 2009.
Al riguardo si rammenta che il Regolamento 883/2004, relativo al coordinamento
dei sistemi di sicurezza sociale, disciplina anche i casi in cui i soggetti in
stato disoccupazione, a seguito della cessazione dell’attività lavorativa in
uno Paese dell’Unione europea, si rechino in un altro Paese comunitario in
cerca di impiego (articoli 61 – 65).
In particolare l’istituzione competente di uno Stato membro, la cui
legislazione subordina l’acquisizione, il mantenimento, il recupero o la durata
del diritto alle prestazioni al maturare di periodi di assicurazione, di
occupazione o di attività lavorativa autonoma, tiene conto, dei periodi di
assicurazione, di occupazione o di attività lavorativa autonoma maturati sotto
la legislazione di qualsiasi altro Stato membro, come se fossero maturati sotto
la legislazione che essa applica.
Tuttavia, quando la legislazione applicabile subordina il diritto alle
prestazioni al maturare di periodi di assicurazione, i periodi di occupazione o
di attività lavorativa autonoma maturati sotto la legislazione di un altro
Stato membro sono considerati a condizione che tali periodi sarebbero stati
considerati periodi di assicurazione se fossero maturati ai sensi della
legislazione applicabile. Tale disciplina è subordinata alla condizione che
l’interessato abbia maturato da ultimo, conformemente alla legislazione ai
sensi della quale le prestazioni sono richieste:
- periodi di assicurazione, se tale legislazione richiede periodi di
assicurazione,
- periodi di occupazione, se tale legislazione richiede periodi di occupazione,
oppure
- periodi di attività lavorativa autonoma, se tale legislazione richiede
periodi di attività lavorativa autonoma.
Tali requisiti , afferma il Messaggio Inps del 30 aprile 2010, n. 11662,
non sono invece richiesti per il disoccupato, residente in uno Stato membro
diverso dallo Stato membro competente e continua a risiedere in tale Stato
membro o ritorna in tale Stato si mette a disposizione degli uffici del lavoro
nello Stato membro di residenza, nel caso in cui riceva le prestazioni in base
alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto
a tale legislazione durante la sua ultima attività subordinata o autonoma. Tali
prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza.
Messaggio
INPS del 30 aprile 2010 n. 11662 Fonte:
Teleconsul, Deaweb |
Dal 1° maggio 2010 sono entrate in
vigore le nuove disposizioni in materia di legislazione applicabile ai
lavoratori che si spostano all'interno dell'Unione Europea, contenute nel
titolo II del Regolamento (CE) n. 883/2004 (artt. da 11 a 16) e nel titolo II
del Regolamento di applicazione n. 987/2009 (artt. da 14 a 21). Le nuove
disposizioni (art. 12) hanno esteso la durata massima del distacco da dodici a
ventiquattro mesi. Nel comunicato diramato dal Ministero del Lavoro si
precisano i nuovi formulari da utilizzare per le comunicazione con le direzioni
regionali INPS.
Il comunicato ricorda, che i nuovi regolamenti non si applicano:
-
ai tre Paesi che hanno aderito all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo
(Accordo SEE): Islanda, Liechtenstein, Norvegia;
-alla Svizzera, alla quale la normativa comunitaria di sicurezza sociale è
stata estesa, a decorrere dal 1° giugno 2002, in base all'Accordo stipulato tra
la Confederazione elvetica e gli Stati dell'Unione europea.
Nei rapporti con tali Stati continuano,
pertanto, a trovare applicazione le disposizioni contenute nei regolamenti (CE)
nn. 1408/71 e 574/72.I regolamenti nn.1408/71 e 574/72 continuano ad essere
applicati anche ai cittadini degli Stati terzi alle condizioni previste dal
regolamento (CE) n. 859 del 14 maggio 2003.
Comunicato
Ministero del Lavoro - Direzione politiche previdenziali, Divisione II dd.
13.04.2010 |
4. I documenti ufficiali moldavi legalizzati attraverso la c.d.
"apostille" sono pienamente validi
Lo ribadisce il Ministero dell'Interno che ricorda la validità della
legalizzazione attraverso apostille avendo la Moldavia aderito alla Convenzione
dell'Aja. L’Ambasciata della Repubblica di Moldova in Italia ha segnalato la
mancata accettazione da parte di alcune autorità comunali dei documenti
ufficiali moldavi legalizzati attraverso la cd. “Apostille”. Al riguardo il
ministero dell'Interno italiano evidenzia che la Repubblica di Moldova ha
sottoscritto la Convenzione dell’Aja sull[e] Apostille del 5 ottobre 1961 (che,
per parte moldova, è entrata in vigore dal 16 marzo 2007), accordo che, come è
noto, dispone tra i paesi firmatari, in luogo della legalizzazione, questa
forma particolare di certificazione dell’atto ai fini della legalità dell’atto
stesso all’estero. Pertanto, gli atti ufficiali moldavi autenticati con la
procedura dell’apostille, che viene apposta da parte degli uffici del Ministero
della Giustizia, autorità competente in Moldova, devono essere ricevuti dagli
ufficiali dello stato civile senza richiedere alcuna ulteriore formalizzazione
degli stessi, potendo tra l’altro, a titolo aggiuntivo, verificare anche
on-line la correttezza dei timbri apostille applicati, accedendo al seguente
sito internet: http://apostila.qov.md/en/start.
Sull’argomento,
ad ogni buon conto, si richiama il contenuto della circolare della Direzione
Centrale per i servizi demografici n. 6 del 25 febbraio 2010, concernente la
nuova procedura della Repubblica di Moldova di rilascio di nulla osta per i
cittadini moldavi che intendono sposarsi in Italia, dove è stato accuratamente
evidenziato che detti certifica, conformemente a quanto sopra espresso, devono
essere apostillati.
|
4. Legalizzazione dei documenti cinesi. Circolare del Ministero dell'Interno. A seguito di
lamentele da parte dell'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese, il
Ministero dell'Interno ha precisato che gli ufficiali di stato civile dei
comuni italiani non possono richiedere che documenti formatisi in Cina e già
legalizzati dalle autorità diplomatiche o consolari italiane in Cina debbano
essere nuovamente legalizzati dalle autorità diplomatiche cinesi in Italia.
|
5.L’autorità di polizia o quella giudiziaria devono informare la
rappresentanza consolare dell’arresto dello straniero, a meno che si tratti di
stranieri che chiedano o abbiano ottenuto la protezione internazionale ovvero
si dichiarino contrari alla comunicazione
Una circolare del Ministero di Giustiizia rammenta che gli articoli 2,
comma 7, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e 4 D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394
stabiliscono a carico dell'autorità giudiziaria e dell'autorità di pubblica
sicurezza l'obbligo di informare la rappresentanza diplomatica o consolare più
vicina tutte le volte in cui un cittadino straniero venga sottoposto ad un
qualsiasi provvedimento in materia di libertà personale, salvi i casi di
esigenze di tipo umanitario ivi previste ovvero di espressa dichiarazione contraria
da parte dell'interessato. La comunicazione non deve avere luogo nei casi
si tratti di stranieri che abbiano presentato una domanda di asilo, di
stranieri ai quali sia stato riconosciuto lo status di rifugiato o nei cui
confronti sono state adottate misure di protezione temporanea per motivi
umanitari (art. 2, comma 7, cit.) ovvero che ricorra pericolo di persecuzione
dell'interessato o di suoi familiari per motivi di razza, sesso, lingua,
religione, opinioni politiche, origine nazionale e condizioni personali o
sociali (art. 4 cit.).
|
GIURISPRUDENZA
ITALIANA
REGOLARIZZAZIONE
2009
Regolarizzazione 2009: La condanna per
l'inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale a
seguito di espulsione non è ostativa all'emersione dal lavoro irregolare
Il TAR Toscana ed il TAR Veneto ordinano la sospensione di alcuni provvedimenti
di rigetto alla sanatoria 2009 perchè il delitto di cui all'art. 14 c. 5-ter
non rientra nelle fattispecie ostative previste dagli artt. 380 e 381 c.p.p..
Per il TAR Emilia Romagna se la condanna risale a più di cinque anni orsono si
deve comunque ritenere estinta. In Parlamento, in risposta ad un'interpellanza
dell'on. Turco, il Sottosegretario agli Interni difende la "circolare
Manganelli". Il TAR Toscana ordina la sospensione di alcuni provvedimenti
di rigetto alla sanatoria 2009 perché il delitto di cui all'art. 14 c. 5-ter
non rientrerebbe tra le fattispecie previste dagli artt. 380 e 381 c.p.p.
ostative alla regolarizzazione. Analoga ordinanza emanata dal
TAR Veneto (n. 265/2010, sez. III). Per il TAR Emilia Romagna, sezione I, se la
condanna per il delitto di inottemperenza all'ordine del questore di
lasciare il territorio nazionale in quanto espulso risale a più di cinque
anni orsono, deve ritenersi comunque estinta e dunque ininfluente ai fini delle
condizioni ostative alla regolarizzazione (TAR E.R., sez. I Bologna, sentenza
n. 3531/2010)..
ESPULSIONI
Corte di Appello di Trento: Non è consentita l’estradizione verso un Paese
ove l’interessato potrebbe essere condannato ai lavori forzati
L’eventuale condanna alla pena dei lavori forzati, prevista dal codice penale
dell’Ucraina, renderebbe l’estradizione verso quel paese in violazione
dell’art. 4 c. 2 della CEDU.
La Corte di Appello di Trento, con sentenza
n. 48 dd. 31 marzo 2010, ha negato il consenso all'estradizione verso l'Ucraina
di un cittadina ucraina ricercata nel paese di origine per il reato di furto
aggravato in quanto il paese richiedente non garantisce i diritti fondamentali
della persona sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e della
libertà fondamentali, e vi sarebbe il rischio di una condanna alla pena dei
lavori forzati
Corte
di Appello di Trento, sez. Bolzano, sent. n. 48 dd. 31.03.2010 |
ASILO
– PROTEZIONE INTERNAZIONALE
Corte di Appello di Napoli: Status di protezione sussidiaria al richiedente
asilo che venne costretto a combattere come bambino soldato durante la guerra
civile in Sierra Leone
Il richiedente asilo sarebbe esposto a possibili azioni ritorsive nel Paese di
origine perchè un suo parente stretto è stato un dirigente del RUF, i cui
leader sono stati condannati per crimini di guerra.
La Corte di Appello di Napoli, con
sentenza n. 38/2010 depositata il 21 aprile scorso, ha accolto il reclamo
presentato da un richiedente asilo della Sierra Leone avverso la sentenza del
Tribunale di Napoli, che aveva confermato il diniego alla protezione
internazionale deciso dalla Commissione territoriale asilo di Caserta. Di
conseguenza, la Corte di Appello di Napoli ha riconosciuto
all'interessato lo status di protezione sussidiaria di cui agli artt. 17 e s.s.
del d.lgs n. 251/07.
La Corte di Appello di Napoli,
contrariamente alle conclusioni della Commissione territoriale asilo di Caserta
e del Tribunale di Napoli, ha considerato credibile il racconto
dell'interessato circa il suo vissuto di bambino soldato durante il
conflitto civile in Sierra Leone, ritenendo che le cicatrici presenti sul suo
corpo e le analisi medico-psicologiche confermanti la sofferenza da
"disturbo post-traumatico da stress" suffragassero sufficientemente
quanto da lui dichiarato in merito ad identità e provenienza. Ulteriormente, la
Corte di Appello di Napoli ha ritenuto credibile anche la parte del racconto
dell'interessato in cui egli ha riferito che il fratello era un comandante del
RUF, le forze di guerriglia che durante il conflitto civile nel Paese si
sono rese responsabili di efferati ed atroci crimini e i cui dirigenti sono
stati recentemente condannati per crimini di guerra e che, per tale ragione, il
richiedente asilo può legittimamente vantare un fondato timore di essere
esposto ad azioni ritorsive in caso di rientro nel Paese di origine senza la
possibilità di ricevere adeguata protezione dalle istituzioni del medesimo. In
tal modo, secondo la Corte di Appello di Napoli , è da ritenersi giustificata
l'attribuzione all'interessato della protezione sussidiaria.
Corte
di Appello di Napoli, sentenza n. 38/2010 dd. 21.04.2010 |
SOGGIORNO
TAR Liguria:
Illegittimo il diniego del rinnovo del pds in risposta ad una richiesta di
rilascio della carta di soggiorno (Pds CE lungo periodo)
Una sentenza del Tar Liguria si pronuncia contro una decisione della Questura
di Imperia (TAR Liguria, sentenza n. 1654 dd. 14.04.2010).
La questione riguarda uno straniero
titolare di permesso di soggiorno per lavoro autonomo che richiedeva il
rilascio della carta di soggiorno alla competente questura. Istruita la pratica
per accertate la sussistenza dei requisiti per il nuovo titolo, la Pubblica
Amministrazione rigettava la richiesta di carta di soggiorno e con lo stesso
atto rifiutava anche il rinnovo del permesso di soggiorno, di fatto estendendo
il provvedimento finale a una diversa istanza mai presentata, nella specie il
rinnovo del titolo in possesso. Il giudice amministrativo ha censurato tale
provvedimento sotto il profilo della carenza di motivazione in quanto la
Questura ha di fatto traslato le risultanze istruttorie del procedimento
relativo alla carta di soggiorno al diverso procedimento di rinnovo, senza
fornire autonoma motivazione sulla insussistenza dei presupposti. In
conclusione la pubblica amministrazione non può negare la carta di soggiorno
(ora permesso CE di lungo periodo) e nello stesso provvedimento negare anche il
rinnovo del permesso in possesso senza una specifica e autonoma valutazione dei
presupposti.
Sentenza del Tar Liguria
n. 1654 del 14 aprile 2010 Fonte
: Avv. Angelo Massaro, melting
pot |
Consiglio di Stato : Il reddito minimo richiesto ai fini del rinnovo del
permesso di soggiorno per lavoro autonomo non può essere ridotto anche se lo
straniero non ha soggiornato per l'intero annuo in Italia
La sentenza del Consiglio di Stato afferma un principio di rigido automatismo
nella valutazione del reddito in contrasto con precedenti pronunce (Consiglio
di Stato , sent. n. 1238/2010).
Con la sentenza n. 1238 dd. 3 marzo 2010,
il Consiglio di Stato ha affermato che il requisito della dimostrazione del
reddito pari almeno al livello previsto dalla legge per l'esenzione
della partecipazione alla spesa sanitaria, ai sensi dell'art. 26 del d.lgs. n.
286/98 ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, non
può subire eccezioni e riduzioni proporzionali nel caso in cui lo straniero non
abbia soggiornato per l'intero anno sul territorio italiano. Il tal
senso, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto
dall'Amministrazione dell'Interno contro la sentenza del TAR Liguria, n.
38/2004 che invece aveva dichiarato illegittimo il diniego al rinnovo del
permesso di soggiorno per lavoro autonomo ad un cittadino straniero per
mancanza di reddito sufficiente, in quanto lo straniero aveva dimostrato
di essersi allontanato dall'Italia per un paio di mesi, e dunque
l'ammontare del reddito minimo poteva essere ridotto
proporzionalmente in base all'effettiva sua permanenza in Italia.
Secondo il Consiglio di Stato, invece, la
norma di cui all'art. 26 d.lgs. n. 286/98 non ammetterebbe eccezioni
perché altrimenti verrebbe meno il principio della certezza del diritto e
del buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) con conseguente venir
meno della tutela dell'interesse protetto ad un equilibrato sviluppo del
sistema previdenziale ed assistenziale.
La sentenza del Consiglio di Stato suscita
perplessità perché sembra introdurre criteri rigidi ed automatismi nelle
procedure di valutazione dei requisiti ai fini del rinnovo dei permessi di
soggiorno. Questo appare in contrasto con precedenti e consolidate
pronunce del medesimo organismo giurisdizionale che invece avevano sottolineato
l'esigenza di considerare il requisito dei mezzi di sostentamento secondo
criteri di flessibilità, tali da includere la considerazione di situazioni di
insufficienza solo temporanea del reddito dovuta ad es. a situazioni di forza
maggiore (infortuni, malattia) o anche al semplice fatto dell'avviamento
dell'attività e dunque delle iniziali e temporanee difficoltà connesse all'avvio
di un'attività imprenditoriale o professionale autonoma. Si possono al
proposito citare la sentenza del Cons. Stato 25 giugno 2008, n. 3239, quella 5
aprile 2006, n. 1755, Cons. Stato 25.5.2006, n. 3125, o Cons. Stato 22.4.2008,
n. 1840 riferita in particolare ad un diniego opposto a due coniugi titolari di
un'impresa che aveva realizzato una perdita di esercizio, ma che potevano
provare un reddito in via di formazione).
Consiglio
di Stato, sez. VI, sentenza n. 1238 dd. 03 marzo 2010 TAR
Liguria, sez. II, sentenza n. 38/2004 dd. 16.01.2004 In
proposito si rimanda a Marco Paggi, Il rinnovo del permesso di soggiorno
durante la crisi economica, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 3/2009,
pp. 66-88, Franco Angeli editore. |
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia: l’avvio di un
procedimento di separazione dal coniuge cittadino italiano non è ostativo al
rinnovo del permesso di soggiorno
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa
per la Regione Siciliana ha confermato la sentenza di primo grado del TAR
Sicilia (n. 24/07 dd. 5 gennaio 2007), con la quale era stato annullato il
diniego al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia notificato
dalla Questura di Ragusa ad una cittadina straniera coniugata con un cittadino
italiano. Tale diniego era stato emanato perché l'istanza di rinnovo del permesso
di soggiorno non era stata presentata entro i termini previsti dall'art.
5 c. 4 del d.lgs. n. 286/98 e perché l'interessata era risultata
assente dal territorio nazionale per un periodo di circa otto mesi, con questo
la questura constatando la violazione dell'art. 13 c. 4 del d.P.R. n. 394/99.
Infine, la questura aveva motivato il diniego con l'avvenuto avvio di un
procedimento di separazione giudiziale dal marito cittadino italiano.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa
per la Regione Siciliana ha confermato le motivazioni del TAR Sicilia riguardo
all'illegittimità del provvedimento amministrativo della questura di Rovigo, in
quanto il termine di cui all'art. 5 c. 4 del d.lgs. n. 286/98 non è perentorio,
ma solo indicativo, perché l'interessata era rimasta all'estero per un periodo
prolungato per un comprovato motivo (la grave malattia della madre) e perché
l'avvio di procedimento di separazione giudiziale non scioglie certamente
il vincolo coniugale e non può quindi ritenersi ostativo alle possibilità
di rinnovo del permesso di soggiorno.
Si ricorda in proposito che lo status del
coniuge straniero di cittadino italiano è regolato dal d.lgs. n. 30/2007
che prevede il rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino
comunitario (art. 10 in combinato disposto con l'art. 23 d.lgs. n. 30/2007).
Le condizioni per il mantenimento del diritto di soggiorno in caso di
decesso del coniuge cittadino italiano o comunitario, di sua partenza dal
territorio nazionale o di divorzio o annullamento del matrimonio sono stabilite
dagli artt. 11 e 12 del d.lgs. n. 30/2007.
Sentenza
del Consiglio
di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia, n. 265 dd. 3.03.2010 |
TAR Campania:
La condanna per furto aggravato non è ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno
se ricorre la circostanza attenuante della lieve entità del danno cagionato
alla persona offesa
L’interpretazione letterale dell’art. 380 c. 2 lett. e) esclude l’applicazione
dell’art. 4 c. 3 del T.U. immigrazione .
Il TAR Campania, con sentenza n. 1972 dd.
14.04.2010, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino straniero che si era
visto revocare il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato a
seguito dell'avvenuta condanna per il reato di furto aggravato.
Il TAR Campania ha annullato il
provvedimento di revoca del permesso di soggiorno in quanto non conforme alle
norme di legge in materia di revoca o mancato rinnovo del permesso di soggiorno
allo straniero che sia stato condannato per determinati reati penali. Infatti è
certamente vero che l'art. 4 c. 3 del T.U. immigrazione, in combinato disposto
con l'art. 5 c. 5 del T.U. medesimo, prevede l'ostatività al
rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che sia stato condannato,
anche con sentenza non definitiva, tra l'altro per uno dei reati previsti
dall'art. 380 c. 1 e 2 del c.p.p.. Tuttavia, l'art. 380 c. 2 lett. e) include
in detto elenco il delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante
prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533, o taluna delle
circostanze aggravanti previste dall'articolo 625, primo comma, numeri 2),
prima ipotesi, 3) e 5), del codice penale, salvo che ricorra, in questi ultimi
casi, la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma,
numero 4), del codice penale (delitto patrimoniale aggravato ma con lievità del
danno cagionato alla persona offesa). Proprio questa era la fattispecie
contestata all'interessato, condannato al reato di furto aggravato ma con
l'applicazione della circostanza attenuante suddetta.
Sentenza
del TAR
Campania, n. 1972 dd. 14.04.2010
|
DIRITTI
CIVILI
Tribunale di Ragusa: Ha diritto a sposarsi lo straniero anche se ha presentato con ritardo la richiesta di
rinnovo del permesso di soggiorno
Illegittima la circolare del Min. Interno n. 19/2009 che impone agli ufficiali
di stato civile di verificare se lo straniero abbia presentato istanza di
rinnovo del permesso di soggiorno entro i termini di legge.
Con decreto datato 16 aprile 2010, il
Tribunale di Ragusa ha ordinato al Comune di Ragusa di celebrare il matrimonio
tra una cittadina italiana ed un cittadino albanese. La celebrazione del
matrimonio era stata negata dall'ufficiale di stato civile del Comune di
Ragusa, in quanto alla data inizialmente fissata per la celebrazione, lo sposo
era risultato era in possesso di una ricevuta attestante l'istanza di
rinnovo di un permesso di soggiorno presentata con circa tre anni di
ritardo rispetto alla scadenza del titolo originariamente posseduto.
Di conseguenza, l'ufficiale di stato civile del comune siciliano aveva ritenuto
che il nubendo si trovasse in posizione di irregolarità sul territorio italiano
e dunque il matrimonio non potesse essere celebrato ai sensi dell'art. 116
c.c., così come novellato dalla legge n. 94/2009, che subordina la capacità
dello straniero extracomunitario a contrarre matrimonio in Italia, tra l'altro,
al possesso di "un documento attestante la regolarità del
soggiorno nel territorio italiano". Secondo le istruzioni impartite
dal Ministero dell'Interno con circolare n. 19 dd. 07.08.2009, nel caso di
nubendi stranieri che si trovino nella fase di rinnovo del permesso di
soggiorno, la posizione di regolarità di soggiorno richiesta ai fini della
capacità matrimoniale deve essere attestata non solo dalla ricevuta attestante
l'avvenuta presentazione dell'istanza di rinnovo del permesso, ma anche dal
permesso di soggiorno da rinnovare "al fine di verificare che la
presentazione dell'istanza sia avvenuta nei termini di legge".
Accogliendo il ricorso presentato dalla coppia
ex art. 112 c.c., il tribunale di Ragusa ha considerato illegittimo il
comportamento dell'ufficiale di stato civile, in quanto la rigida applicazione
di quanto previsto dalla circolare ministeriale determina un'interpretazione
irragionevolmente restrittiva e dunque non condivisibile della normativa.
Secondo il Tribunale di Ragusa, infatti,
la posizione dello straniero, già legalmente entrato e soggiornante in Italia e
che abbia richiesto con ritardo il rinnovo del permesso di soggiorno non può
di per sé e tout court essere assimilata a quella di uno
straniero irregolare. Secondo infatti una linea interpretativa
giurisprudenziale, il tardivo rinnovo della domanda di soggiorno non
esclude automaticamente la possibilità del rinnovo e non implica automaticamente
l'espulsione dello straniero, dovendo l'amministrazione valutare le ragioni del
ritardo (Consiglio di Stato, 17.08.2000 n. 368, Consiglio di Stato 09.
12.2002, n. 6687). Unico organo deputato a tale valutazione è il
Questore.
Di
conseguenza, il collegio giudicante di Ragusa ha ritenuto che il
comportamento dell'ufficiale di stato civile, sebbene in linea con
l'interpretazione ministeriale contenuta nella circolare dell'agosto
2009, ha ristretto ulteriormente ed illegittimamente la portata dell'art.
116 c.c., nonché ha ecceduto ai poteri e alle attribuzioni di competenza in
quanto l'ufficiale di stato civile ha compiuto una valutazione attinente alla
regolarità del soggiorno dell'interessato nel territorio nazionale che non gli
spettava.
Il
Tribunale di Ragusa non è entrato nel merito della costituzionalità del nuovo
art. 116 c.c. e della sua compatibilità con i principi costituzionali ed
il sistema internazionale ed europeo dei diritti umani, in quanto è
risultato sufficiente constatare l'illegittimità del rifiuto alla celebrazione
del matrimonio opposto dal Comune di Ragusa sotto il profilo del contrasto con
lo stesso art. 116 c.c.. Questo mediante un'interpretazione costituzionalmente
orientata dalla norma, secondo cui la condizione di uno straniero che presenta
tardivamente l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno non può essere
assimilata a quella dello straniero irregolare.
In
altri termini, il Tribunale di Ragusa ha sostenuto che in virtù di una lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 116 c.c., è sufficiente
"disapplicare" nella fattispecie in questione la
circolare del Ministero dell'Interno dd. 7.8.2009, senza mettere in discussione
la legittimità costituzionale della norma.
Tribunale
di Ragusa, decreto 16 aprile 2010 Per
un commento sul nuovo art. 116 c.c. si rimanda al contributo di Annamaria
Casadonte e Mariarosa Pipponzi, Il divieto di accesso agli atti di stato
civile,
sul numero 4/2009 della rivista "Diritto, Immigrazione e Cittadinanza". |
RICONGIUNGIMENTO
FAMILIARE - MINORI
L'interpretazione offerta dalla Cassazione in evidente contrasto con le
disposizioni della direttiva europea n. 2003/86/CE .
La Suprema Corte di Cassazione, con
l'ordinanza n. 10880/2010 depositata il 6 maggio scorso, ha respinto il ricorso
proposto da una cittadina albanese avverso il diniego al rilascio del nulla
osta al ricongiungimento familiare a favore del coniuge, sempre di
cittadinanza albanese, in quanto già condannato, con sentenza definitiva a pena
detentiva di anni sette e mesi otto per un reato inerente agli stupefacenti, e
dunque per una fattispecie penale ostativa in linea generale all'ingresso in
Italia ai sensi dell'art. 4 comma 3 del d.lgs. n. 286/98.
Il ricorso contro il diniego della
Prefettura di Genova era stato inizialmente accolto dal Tribunale di Genova, ma
il provvedimento del giudice di primo grado era stato ribaltato dalla Corte di
Appello di Genova, che aveva accolto il reclamo del Ministero dell'Interno.
La Corte di Cassazione ha dunque
confermato il provvedimento della Corte di Appello, sostenendo che
l'amministrazione può legittimamente ed automaticamente negare il rilascio del
nulla osta all'ingresso per riunificazione familiare in presenza di una
condanna penale per uno dei reati previsti dalla parte prima dell'art. 4
c. 3 d.lgs. n. 286/98, anche senza verificare se sussista l'elemento della
minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato,
essendo le due condizioni ostative previste dalla norma tra loro alternative e
non cumulative, così come invece sosteneva la ricorrente.
La decisione della Cassazione e la lettura
offerta dell'art. 4 c. 3 d.lgs. n. 286/98, appaiono in evidente contrasto
con una interpretazione letterale e sistemica della direttiva europea n.
86/2003/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 5/2007. L'art. 6 della
direttiva infatti prevede la possibilità per gli Stati membri di respingere una
domanda di ingresso e soggiorno dei familiari per ragioni di ordine pubblico,
di sicurezza pubblica o di sanità pubblica. Nell'adottare una decisione di
diniego all'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, gli Stati
tengono conto della gravità o del tipo di reato contro l'ordine pubblico
o la sicurezza pubblica commesso dal familiare o dei pericoli rappresentati da
questa persona, ma comunque debbono bilanciare le esigenze di
ordine e sicurezza pubblica con quelle di rispetto della vita familiare
dell'interessato quale diritto umano fondamentale (art. 17 direttiva) e dunque
prendere nella dovuta considerazione nel contempo la natura e solidità dei
vincoli familiari della persona, nonché l'esistenza di legami familiari,
culturali o sociale con il Paese d'origine, secondo il quadro interpretativo
offerto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani.
Una lettura dell'art. 4 c. 3 del d.lgs. n.
286/98 compatibile con le norme comunitarie esclude dunque ogni
automatismo del diniego al ricongiungimento familiare in conseguenza della
presenza di condanne per uno reati penali elencati nella prima parte
della norma, richiedendosi invece una valutazione, legata alle circostanze
personali di ogni singolo caso, volta a bilanciare il pericolo rappresentato
dall'interessato per l'ordine e la sicurezza pubblica, secondo una valutazione
prognostica che necessariamente deve tenere conto della gravità dei precedenti
penali, con l'interesse ed il diritto dei singoli al rispetto della vita
familiare.
Non interpretando la normativa interna in
maniera conforme ai contenuti della direttiva europea n. 86/2003, che
esclude chiaramente ogni automatismo tra reato penale e diniego al
ricongiungimento, l'orientamento espresso dalla Cassazione non
appare certamente corretto e condivisibile.
Suprema
Corte di Cassazione, I sez. civile, sentenza n. 10880 dd. 06 maggio 2010 |
Il Ministero degli Esteri può rifiutare il visto di ingresso solo se è in grado
di provare che l’affidamento è contrario all’interesse del minore.
La Corte di Appello di Genova, con decreto
depositato il 13 marzo 2010, ha respinto il reclamo proposto dal
Ministero degli Affari Esteri italiano avverso il provvedimento emesso il 6
agosto 2009 dal Tribunale di Genova, con il quale era stato accolto il
ricorso di una cittadina ecuadoregna e dichiarato illegittimo il diniego
al rilascio del visto di ingresso per ricongiungimento familiare oppostole
dall'autorità diplomatica italiana in Ecuador nei confronti del di lei nipote,
che gli era stato affidato con decisione dell'autorità giudiziaria ecuadoregna.
L'autorità diplomatica italiana aveva
rilevato che il provvedimento di affido del minore alla nonna residente in Italia
, deciso dall'autorità giudiziaria ecuadoregna su istanza dei genitori, non
poteva essere riconosciuto dall'autorità italiana in quanto assimilabile ad un
"atto di cessione" della potestà parentale strumentale allo scopo di
aggirare la normativa sull'immigrazione in Italia e dunque contrario all'ordine
pubblico interno.
La Corte di Appello di Genova ha
sostanzialmente confermato le censure al comportamento dell'autorità
diplomatica italiana in Ecuador espresse dal giudice di primo grado, ritenendo
non condivisibili le argomentazioni mosse dall'amministrazione.
In primo luogo, la Corte di Appello di
Genova, confermando il giudizio espresso dal giudice monocratico nel primo
grado di giudizio, ha rilevato che l'art. 29 comma II del T.U. immigrazione equipara
- ai fini del ricongiungimento - ai "figli di età inferiore ai 18
anni", i "minori adottati o affidati o sottoposti a
tutela", senza che la norma preveda che i ricongiungendi siano conviventi.
Pertanto, la Corte di Appello rileva che l'amministrazione non poteva che
prendere atto del provvedimento emesso dalla competente autorità giudiziaria
dell'Ecuador, con il quale il minore veniva affidato alla nonna paterna. La
Corte di Appello di Genova, inoltre, rileva che in queste situazioni,
l'Amministrazione potrebbe rifiutare il visto di ingresso solo se fosse
in grado di provare che il ricongiungimento non corrisponderebbe
all'interesse del minore anche in relazione ad carattere esclusivamente
strumentale e pretestuoso del provvedimento di affido, che però non può
essere desunto in astratto.
La posizione espressa dal Ministero degli
Esteri italiano che un provvedimento di affido di un minore da parte di
un'autorità giudiziaria straniera senza che vi sia convivenza, trovandosi
l'affidatario all'estero, risulterebbe di per sé in contrasto con il principio
dell'ordine pubblico interno non ha trovato accoglimento da parte della Corte
di Appello di Genova, sul presupposto che nel nostro ordinamento sussiste
l'istituto dell'"affidamento parentale libero", seppure riservato ai
familiari del minore entro il quarto grado.
Corte
di Appello di Genova, decreto dd. 13.03.2010 Tribunale
di Genova, decisione del 6 agosto 2009 |
Corte
di Appello di Trento: l’istituto di diritto islamico della Kafalah, anche se
solo consensuale, riconoscibile in Italia ai fini del ricongiungimento
familiare.
L’istituto non è contrario all’ordine pubblico interno anche perché ricompreso
tra le misure di protezione sostitutiva dei minori dalla Convenzione ONU di New
York sui diritti dei fanciulli.
La Corte di Appello di Trento ha respinto
il reclamo opposto dal Ministero degli Esteri italiano contro l'ordinanza
emessa dal Tribunale
di Rovereto n. 200/2009 che aveva riconosciuto ad un cittadino
marocchino regolarmente residente in Italia il diiritto al rilascio di
un visto di ingresso per motivi di ricongiungimento familiare a favore di
un minore che gli era stato affidato in Marocco dai genitori naturali
attraverso l'istituto di diritto islamico della Kafalah. Sebbene in questo caso
l'affidamento in Marocco attraverso l'istituto della Kafalah non abbia
riguardato un minore abbandonato, bensì sia avvenuto in forma consensuale, cioè
mediante un accordo diretto tra i genitori naturali e la
famiglia di accoglienza, il Tribunale di Rovereto aveva ritenuto di dover
riconoscere l'istituto di diritto islamico ai fini del ricongiungimento in
Italia, ritenendo soddisfatte le garanzie richieste dalla sentenza
della Corte di Cassazione n. 7472/2008. Nel caso in questione, infatti, la Kafalah
non ha avuto una base esclusivamente negoziale, in quanto l'accordo di
affidamento tra le due famiglie, sottoscritto presso un notaio, ha avuto
l'omologazione del tribunale marocchino.
Secondo la Corte di Appello di Trento la
regolamentazione dell'istituto della kafalah da parte della legislazione
marocchina, con la previsione di una procedura di affidamento da parte del
tribunale marocchino, in caso di minore abbandonato, non ha escluso
nell'ordinamento marocchino la possibilità della kafalah consensuale che si
realizza mediante un accordo diretto tra la famiglia di origine del minore e la
famiglia di accoglienza, successivamente omologato dall'autorità giudiziaria.
Pertanto, contrariamente alla tesi sostenuta dal Consolato italiano in Marocco,
la kafalah consensuale è pienamente compatibile con l'ordinamento
giuridico marocchino. Secondo la Corte di Appello di Trento, la kafalah
è ugualmente compatibile con l'ordine pubblico interno in quanto viene
ricompresa dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo tre le
misure di "protezione sostitutiva" accanto all'affidamento familiare
e all'adozione.
In questo senso, le esigenze di protezione dei minori debbono prevalere su
quelle attinenti al controllo e contenimento dei flussi migratori.Di conseguenza,
il minore sottoposto a kafalah è pienamente assimilabile al minore affidato ed
in quanto tale può essere soggetto passivo della procedura di ricongiungimento
familiare esercitata dall'affidatario regolarmente residente in Italia e
titolare dei requisiti di reddito e abitativi richiesti dalla normativa
sull'immigrazione.
Si ricorda che, di recente, la
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4868/2010
(depositata il 01.03.2010), ha respinto l'istanza di un cittadino
italiano di origini marocchina volta ad ottenere il visto per ricongiungimento
familiare a favore di un minore marocchino che gli era stato affidato
secondo l'istituto della Kafalah dai suoi genitori sulla base della decisione
di un tribunale marocchino. La Corte di Cassazione ha sostenuto che l'ingresso
e soggiorno dei familiari di Paesi terzi del cittadino italiano e del cittadino
comunitario residente in Italia sono regolati esclusivamente dalle norme del
d.lgs. n. 30/2007, di recepimento della direttiva europea n. 2004/38. Pertanto,
tra il novero dei familiari di cui agli art. 2 e 3 del d.lgs. n. 30/2007,
possono essere certamente ricompresi i minori del cittadino italiano o
comunitario adottati od adottanti che fanno ingresso in Italia acquisendo lo
status di minore in affidamento familiare alla stregua delle previsioni del
titolo III della legge n. 184/1983, come modificato dalla legge n. 476/1998 di
esecuzione della Convenzione dell'Aja del 19.05.1993 sull'adozione internazionale.
Secondo la Cassazione , invece, non possono ritenersi invece familiari ai sensi
del d.lgs. n. 30/2007 i minori stranieri di paesi terzi semplicemente
affidati al di fuori di un procedimento di adozione internazionale, categoria
alla quale possono ritenersi assimilati i minori oggetto dell'istituto di
diritto islamico della Kafalah, secondo un indirizzo consolidato della
stessa Cassazione (sentenze n. 21395/05, 7472/2008, e 18174/2008).
In altri termini, secondo l'orientamento
della Suprema Corte, il ricongiungimento familiare del minore affidato in
base all'istituto della kafalah consensuale può avere luogo solo se
l'affidatario è un cittadino straniero, mentre se questi possiede anche la
cittadinanza italiana, il visto di ingresso per coesione familiare ai sensi
della normativa sull'immigrazione non potrà essergli rilasciato, essendo
esercitabile soltanto il procedimento di adozione internazionale.
Corte
di Appello di Trento, decreto dd. 30.10.2009 (kafalah) |
Cassazione: sull'interpretazione dell'art. 31 T.U. decidano le Sezioni Unite
Un’ordinanza della I.a sezione della
Suprema Corte rimette gli atti al Primo Presidente affinchè rimetta la questione
alle Sezioni Unite vista la difformità di posizioni espresse e la conseguente
incertezza nell’ interpretazione della norma.
La questione riguarda l'interpretazione
dell'art. 31, comma 3, del TU immigrazione d.lgs.286/98, il quale, in deroga
alle ordinarie regole per l'ingresso ed il soggiorno, consente al familiare
(privo di permesso di soggiorno) del minore straniero di ottenere dal Tribunale
per i minorenni una speciale autorizzazione all'ingresso o al soggiorno
"per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto
dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio
italiano". Se tale autorizzazione è accordata, la questura rilascia al
genitore un permesso di soggiorno "per assistenza minore, rinnovabile, di
durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il
permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può
essere convertito in permesso per motivi di lavoro" (art. 29, co. 6 TU
immigr.).
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha
espresso posizioni divergenti. Da un lato è emersa
un'interpretazione secondo la quale la norma dovrebbe trovare
un'applicazione eccezionale, tale da non lasciar spazio ad interpretazioni
estensive che possano rispondere a situazioni ordinarie di
completamento del ciclo scolastico o del percorso formativo del minore (da
ultime pronunce n. 5856 e 5857/2010). Dall'altro, recenti pronunce (sentenza n.
22080/2009 e ordinanza n. 823/2010) hanno invece adottato soluzioni diverse,
volte ad interpretare la norma come fondata sull'esigenza, sempre ed in ogni
caso, di rispondere alle esigenze di protezione dell'interesse del minore a
vivere con entrambi i genitori.
La Corte di Cassazione, sez. I, con
l'ordinanza n. 8881 del 14 aprile 2010, pur sposando la prima tesi, rileva che
tale difformità di posizioni in seno alla giurisprudenza della Suprema
Corte crea un ‘ obiettiva incertezza giuridica riguardo alla questione e dunque
ritiene opportuno rimettere gli atti al suo presidente affinchè rimetta la questione
alle Sezioni Unite.
Corte
di Cassazione, sez. I, ordinanza n. 8881 Sulla
questione si veda un commento
dell'Avv. Nazzarena Zorzella, del Foro di Bologna |
DIRITTI
SOCIALI
Tribunale di Verona: il cittadino marocchino regolarmente soggiornante in
Italia ha diritto alle indennità per i ciechi ex lege n. 382/70 anche se non è
titolare di carta di soggiorno
La clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale prevista
dagli accordi di associazione euromediterranei tra CEE e Marocco ha diretta
applicazione nell’ordinamento italiano in quanto norma di diritto comunitario.
Con ordinanza n. 745/2009 depositata il
14.01.2010, il giudice del lavoro di Verona ha accolto il ricorso proposto da
un cittadino marocchino avverso il diniego opposto dall'INPS al riconoscimento
dell'indennità speciale per i ciechi parziali prevista dalla legge n. 382/1970,
per il mancato possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per
lungo soggiornanti previsto dall'art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000. Il
giudice del lavoro di Verona ha accolto le istanze del ricorrente, secondo le
quali la norma di cui alla legge n. 388/2000 che prevede per gli stranieri
extracomunitari la condizione del possesso della carta di soggiorno o permesso
di soggiorno CE per lungo soggiornanti di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 286/98
ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali che costituiscono diritti
soggettivi ai sensi della legislazione vigente, incluse quelle per
i ciechi, non deve trovare applicazione nei confronti dei
lavoratori di nazionalità marocchina regolarmente residenti in Italia. Questo
perché tali lavoratori possono godere del principio di parità di trattamento in
materia di sicurezza sociale previsto dall'art. 65 primo comma dell'Accordo di
Associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri e il Regno del
Marocco firmato a Bruxelles il 28 gennaio 1996.E' opportuno ricordare al
riguardo l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di
Giustizia Europea, secondo la quale la nozione di "sicurezza
sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei - ed ancor
prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti- deve essere intesa
allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento Ce n. 1408/71.
Come abbiamo visto in precedenza, tale regolamento, dopo le modifiche apportate
dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, include nella nozione di
"sicurezza sociale" le "prestazioni speciali a carattere non
contributivo",
[incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con
disabilità,
[...] ed elencate nell'allegato II bis", che per quanto concerne
l‘Italia, menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti
soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale
cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi
civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai
pensionati per inabilità. Inoltre, in virtù della dinamica
espansiva della nozione di sicurezza sociale da parte della giurisprudenza comunitaria,
la sfera di applicazione ratione materiae del Regolamento
comunitario n. 1408/71 deve intendersi estesa a tutte le prestazioni sociali a
carattere non contributivo previste dal diritto interno qualora i criteri e
requisiti soggettivi e oggettivi per l'erogazione delle medesime siano fissati
dalla legislazione e non derivino invece da una valutazione
individualizzata delle condizioni di bisogno delle persone lasciata alla
discrezionalità degli enti locali , anche qualora lo Stato membro non
provveda all'aggiornamento dell'apposito elenco di cui all'allegato II bis del
regolamento comunitario e pertanto dette prestazioni non vi vengano
incluse.La norma sulla parità di trattamento in materia di sicurezza
sociale contenuta negli accordi euro mediterranei di associazione tra CE e
Marocco è dunque a pieno titolo una norma di immediata e diretta applicazione
negli ordinamenti interni degli Stati membri dell'UE e pertanto, qualsiasi
norma di diritto interno ad essa incompatibile deve trovare disapplicazione,
senza necessità di un suo rinvio alla Corte Costituzionale.
Per tale ragione, dunque, il giudice del
lavoro di Verona ha condannato l'INPS all' l'erogazione a favore del cittadino
marocchino dell'indennità speciale per ciechi parziali, con decorrenza dalla
data di presentazione dell'istanza, inclusi gli interessi legali.
Clausole di "non
discriminazione" in materia di sicurezza sociale sono contenute anche
negli Accordi di Associazione euromediterranei stipulati tra
la Comunità Europea e rispettivamente la Repubblica Tunisina e l'Algeria,
tutti ratificati con legge e vincolanti per l'Italia in quanto membro
dell'Unione Europea. Un'analoga clausola di parità di trattamento in
materia di sicurezza sociale è contenuta nella Decisione del Consiglio di applicazione
dell'Accordo di Associazione CE-Turchia.
L'ordinanza del Tribunale di Verona segna
un secondo precedente favorevole alla diretta applicazione della clausola di
parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta in uno degli
Accordi di associazione euro mediterranei che la prevedono. Il primo precedente
è stata l'ordinanza del Tribunale
di Genova del 3 giugno 2009.
Tribunale
di Verona, ordinanza dd. 14.01.2010 n. 745/09 Per
ulteriori approfondimenti: L'accesso
alle prestazioni di assistenza sociale |
PENALE
Corte di Cassazione: Al contrario di "sporco negro", l’ingiuria
“Italiano di merda” non ha una connotazione razzista perché nel contesto
italiano non può essere associata ad un pregiudizio di inferiorità razziale
Secondo la Corte di Cassazione, al contrario dell'espressione "sporco
negro", l'ingiuria "italiano di merda" non ha una
connotazione razzista e dunque non determina l'applicazione della circostanza
aggravante prevista dalla legge n. 205/1993 ("legge Mancino").
Secondo la Suprema Corte infatti,
l'ingiuria connotata in termini razzisti implica una esteriorizzazione
immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avendo riguardo al
comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato
sulla razza, l'origine etnica o il colore (Cassazione, sez. V, 11 luglio 2006,
n. 37609), che dunque veicoli l'espressione di un pregiudizio di
inferiorità e di negazione dell'uguaglianza. Se, dunque, l'espressione
"sporco negro" integra l'aggravante della connotazione razzista
dell'ingiuria perché è correlata nel contesto territoriale ad un pregiudizio di
inferiorità razziale, come riconosciuto dalla Cassazione con la sentenza n.
9381/2006, lo stesso- secondo la cassazione- non può dirsi per la frase
ingiuriosa "italiano di merda" in quanto nel comune sentire del
nostro Paese il riferimento all'italiano non è connaturato ad una situazione di
inferiorità, essendo la comunità etnica italiana maggioritaria e
politicamente egemone nel nostro Paese.
Così ha deciso la Corte di Cassazione,
nella sentenza della sez. V., n. 11590 dd. 25 marzo 2010, respingendo il
ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Trieste avverso la
sentenza del Giudice di pace di Pordenone.
Corte
di Cassazione, sez. V penale, sentenza n. 11590 dd. 25 marzo 2010 |
Apostasia e
reato penale di minaccia grave. Una sentenza del Tribunale di Bologna
E' grave la minaccia proferita nei confronti di una persona per aver
abbandonato la fede islamica, se a commetterla è un credente islamico e quindi
consapevole che l’apostasia è passibile di morte secondo la legge islamica. Il
giudice penale di Bologna, con sentenza depositata già il 24 giugno 2009, ha
pronunciato condanna nei confronti di un cittadino marocchino per il delitto
di minaccia grave di cui all'art. 612 c. 2 c.p. commesso nei
confronti di una connazionale cui aveva indirizzato alcune lettere per posta
elettronica nelle quali la accusa di essere una musulmana apostata divenuta
cristiana, esprimendo giudizio di valore negativi nei suoi confronti e della
fede cristiana e concludendo che Allah l'avrebbe punita .Poiché la minaccia può
consumarsi anche con locuzioni verbali che in modo indiretto rappresentino il
male minacciato (minaccia implicita), secondo il giudice di Bologna la frase
incriminata, per cui Allah avrebbe punito la donna a causa della
sua apostasia, concretizzerebbe il reato di minaccia di morte. Il giudice
penale di Bologna ha ritenuto infatti che l'autore della minaccia,
essendo un credente islamico, doveva certamente essere consapevole del fatto
che l'apostasia è passibile di morte secondo la legge islamica, e negli
ordinamenti di vari Stati islamici, incluso il Marocco all'epoca dello
svolgimento dei fatti, facendo così sussistere l'elemento soggettivo del dolo.
Tribunale
penale di Bologna, sentenza 24 giugno 2009 |
GIURISPRUDENZA
EUROPEA
Secondo la Corte di Strasburgo la legislazione turca viola l’art. 9 della Convenzione
europea dei diritti dell’Uomo. La decisione della Corte su un ricorso promosso
da un cittadino turco di fede alevita.
La Corte di Strasburgo, con la sentenza
del 2 febbraio 2010 (ricorso n. 21924/05, Sinan Isik c. Turchia), ha
concluso che la legislazione turca che prevede l'obbligo di una dichiarazione
dinanzi alle autorità di stato civile della propria fede religiosa, ai fini
della menzione della medesima sulla carta di identità, fatta salva la
possibilità di richiedere che nessuna menzione di appartenenza venga riportata
nell'apposito spazio, viola il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e
di fede religiosa di cui all'art. 9 della Convenzione europea dei diritti
dell'Uomo.
Secondo la Corte di Strasburgo, infatti,
l'art. 9 della Convenzione europea in materia di libertà religiosa
proibisce qualsiasi atto da parte delle autorità statuali volto ad obbligare la
persona a dichiarare o divulgare pubblicamente la propria fede religiosa o le
proprie convinzioni. Ulteriormente, secondo la Corte europea, la menzione delle
convinzioni religiose nella carta di identità o in altri documenti
ufficiali, unitamente all'uso frequente di tali documenti nei rapporti
istituzionali, espone gli interessati a rischi di discriminazione, ponendosi dunque
in contrasto con gli standard internazionali in materia di diritti umani.
Il ricorso dinanzi alla Corte di
Strasburgo è stato originato da un caso di un cittadino turco di fede alevita
(una minoranza religiosa influenzata dal sufismo) che aveva richiesto alle
autorità turche che la menzione "islam" riportata nella casella
relativa all'appartenenza religiosa sulla sua carta di identità venisse
sostituita da quella "alevita" o, in subordine, non venisse fatta
menzione della fede religiosa nella carta di identità dei cittadini turchi.
L'istanza era stata respinta dalle autorità amministrative e giudiziarie turche
dopo il parere espresso da un organo ministeriale turco, la direzione degli
affari religiosi, che aveva rigettato l'istanza con la motivazione che il movimento
religioso alevita sarebbe una tendenza interna all'islam ovvero
un'interpretazione particolare dell'islam influenzata dal sufismo, ma non una
religione a sé stante. Anche a questo riguardo, la Corte di Strasburgo
ricorda nella sentenza la sua linea interpretativa consolidata, secondo la
quale "il dovere di neutralità e di imparzialità dello Stato è
incompatibile con qualsiasi potere di apprezzamento dello Stato riguardo alla
legittimità dei credi religiosi", per cui in caso di conflitti all'interno
di movimenti religiosi, "le autorità non possono privilegiare delle
interpretazioni della religione a scapito di altre, o adottare delle misure che
mirino a costringere una comunità divisa o una parte di essa a porsi, contro la
sua volontà, sotto una direzione unica", bensì le autorità possono o
hanno anche l' obbligo di adoperarsi affinchè tali gruppi, opposti gli
uni agli altri, si tollerino vicendevolmente.
Corte
europea dei diritti dell'Uomo, sentenza dd. 02.02.2010, caso Isik c. Turchia
(n. 21924/05) |
CEDU
- condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia in materia
di diritto ad un equo processo
Nel caso Udorovic c. Italia (ricorso
n. 38532/02), la CEDU con sentenza del 18 maggio 2010, ha accertato la
violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione che garantisce l’equità della
procedura, avendo la Corte d’Appello a suo tempo adita dal ricorrente, valutato
in modo inesatto fatti da ritenersi invece importanti.Il ricorso era stato
presentato da un cittadino italiano appartenente alla comunità zingara dei
Sinti che nel 1995 risiedeva in un campo nomadi di Roma, autorizzato dal
Comune. All’epoca la polizia municipale effettuò dei controlli e
successivamente l’autorità municipale ordinò lo sgombero del campo, sostenendo
che lo stesso non era fornito di acqua potabile e non era dotato di fognature.
Contro i provvedimenti del Comune, il ricorrente promosse due procedure, una
davanti all’autorità giudiziaria amministrativa e l’altra davanti all’autorità
giudiziaria ordinaria.Un primo ricorso fu infatti presentato al Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio (“T.A.R.”), che in data 19 gennaio 2000
accoglieva l’istanza di sospensiva del provvedimento impugnato. Il Comune di
Roma fece appello al Consiglio di Stato, che in data 20 marzo 2000 respinse
l’opposizione, confermando la decisione del T.A.R.Il ricorrente iniziò anche
una procedura davanti al Tribunale civile di Roma, ai sensi degli articoli 43 e
44 del decreto legislativo n. 286 del 1998. Secondo le disposizioni di legge
citate, la procedura si svolse in camera di consiglio. Con ordinanza del 12
marzo 2001, il Tribunale respinse il ricorso affermando che i provvedimenti
impugnati non erano discriminatori dato che avevano lo scopo di garantire la
salute pubblica dei cittadini residenti vicino al campo nonché quella degli
occupanti dello campo stesso. Il ricorrente fece opposizione, presentando
reclamo alla Corte d’Appello di Roma. In particolare il ricorrente lamentava
anche l’illegittimità di una decisione comunale del 1996. Anche tale procedura
si tenne in camera di consiglio, in conformità di legge. La Corte d’Appello di
Roma respinse il reclamo e inoltre, non si pronunciò sulla legittimità della
decisione del 1996.Il ricorrente si era lamentato dell’iniquità della procedura
svoltasi davanti all’autorità giudiziaria ordinaria dato che il processo si era
svolto in camera di consiglio. La CEDU non ha ravvisato per questa parte del ricorso
alcuna violazione, mentre invece ha accertato la violazione dell’articolo 6 § 1
della Convenzione perché la Corte d’Appello non ha statuito sulla parte della
domanda proposta dal ricorrente riguardante la legittimità della decisione del
1996.
Case Udorovic vs Italy |
APPROFONDIMENTI
DOCUMENTI E
RAPPORTI
Rapporto del Comitato per la prevenzione
della tortura (CPT) del Consiglio d'Europa sui respingimenti in mare effettuati
dall'Italia nel luglio 2009 e la risposta del Governo italiano.
20.05.2010
Rapporto della
Commissione europea sulle politiche europee in materia di immigrazione e asilo
Asilo, immigrazione, controllo delle frontiere e partnership con paesi di
origine e transito i temi principali del rapporto annuale.
Resa pubblica la sintesi del rapporto del
FRA, la cui versione completa sarà diffusa in giugno. Il rapporto è basato su
interviste con 336 minori richiedenti asilo e 302 adulti responsabili dei
servizi e mette in evidenza le deficienze del sistema di accoglienza.
Newsletter a cura di Silvia Canciani e
Walter Citti della segreteria
organizzativa dell’A.S.G.I. - Associazione per gli studi giuridici
sull’immigrazione
ASGI-
Segreteria Organizzativa - Udine - tel/fax +39.0432.507115 - cell.
3470091756 - e-mail, info@asgi.it
Ufficio
Formazione - Trieste - via Fabio Severo - 34100 - 040/368463 walter.citti@asgi.it
Sede
legale – Torino – via Gerdil 7 – tel/fax +39.0114369158
– e-mail, segreteria@asgi.it
www.asgi.it
CON IL CONTRIBUTO DELLA COMPAGNIA DI SAN PAOLO