Sui reati degli immigrati due pesi e due misure
il Sole, 21-06-2010
Michele Ainis
Una legge e una sentenza. In Italia gli immigrati camminano così: un passo indietro per via legislativa, un passo avanti per via giudiziaria. Il primo pacchetto sicurezza (luglio 2008) ha introdotto l'aggravante della clandestinità, castigando con una pena accresciuta fino a un terzo i reati commessi dagli immigrati irregolari. Il secondo pacchetto sicurezza (luglio 2009) ha aggiunto il reato di clandestinità, punendolo con un'ammenda da 5 a 10mila euro. Sicché due passi indietro, fin quando nei giorni scorsi la Consulta ha decretato il passo avanti: via l'aggravante, rimane però il reato d'immigrazione clandestina, d'altronde contemplato in quasi tutti gli Stati europei.
Il centrodestra ha reagito facendo spallucce, tanto il bersaglio grosso (il reato) è uscito indenne dalla mannaia della Consulta, l'aggravante non era che un dettaglio, un orpello di cui possiamo fare a meno. Dimenticando tuttavia il rullo di tamburi con cui due estati fa lo stesso centrodestra aveva salutato questo nuovo tipo d'aggravante, eretta a simbolo del "cattivismo" contro gli immigrati teorizzato dal ministro dell'Interno. Ma soprattutto cadendo in un difetto di prudenza, perché non conosciamo ancora le motivazioni delle due pronunzie costituzionali, quelle saranno rese pubbliche questa settimana. E se in relazione al reato di clandestinità la Corte confezionasse un'"interpretativa di rigetto", come si dice in gergo? Se cioè affidasse ai giudici - come trapela da qualche indiscrezione, e come suggerisce un criterio di buon senso - di valutare caso per caso l'applicazione del reato?
Infatti quando l'immigrato viene colpito da un decreto di espulsione, l'ordine di allontanamento viene poi sottoscritto dal questore, e a quel punto gli tocca fare le valigie, rientrando nel proprio paese. Ma il viaggio costa, e del resto la polizia italiana non ha gli uomini né i mezzi per l'accompagnamento coattivo alla frontiera di tutti i clandestini. Anzi, in molti casi non esiste neppure una frontiera con l'Italia: se sei un indiano, se sei un cinese o un maghrebino. Devi cavartela da solo, ma non puoi farlo se non hai un euro in tasca, se versi in uno stato d'indigenza totale. In questa ipotesi la violazione dell'ordine d'allontanamento (e perciò il reato di clandestinità) potrebbe ben essere scusata per l'esistenza di un "giustificato motivo", che poi di volta in volta spetterebbe al giudice apprezzare. E se c'è l'esimente significa che non c'è il reato.
Insomma conviene attendere le motivazioni, dato che il trionfo del cattivismo verso gli immigrati potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Qualche osservazione, tuttavia, possiamo fin da adesso spenderla nei riguardi dell'aggravante della clandestinità. Quali che saranno gli argomenti che la Corte metterà nero su bianco nella propria decisione, è innegabile che quest'ultima fa piazza pulita dell'unica circostanza aggravante comune introdotta dopo l'entrata in vigore del codice Rocco. Un'aggravante odiosa, e per una somma di ragioni. Proviamo a elencarle.
Primo: i delitti commessi dai clandestini si trasformavano in altrettanti "delitti d'autore", puniti per lo status soggettivo del reo, anziché per la gravità del fatto commesso. Ma l'articolo 25 della Costituzione àncora la sanzione penale al "fatto"; e del resto una donna stuprata non si sentirà più rincuorata se a violentarla è stato un italiano piuttosto che uno straniero.
Secondo: ogni analogia con la latitanza - l'altra aggravante di status prevista dal nostro ordinamento - in questo caso è fuori luogo. Per difendere la novità legislativa, a suo tempo il sottosegretario Mantovano si era chiesto quale differenza mai vi fosse tra il sottrarsi alla carcerazione o all'espulsione; ma la differenza esiste eccome. Nel primo caso il latitante è stato già colpito da un provvedimento giudiziario che ne accerta la pericolosità sociale; qui invece la pericolosità è presunta, riecheggiando uno stile normativo battezzato dal fascismo.
Terzo: per i suoi stessi connotati, l'aggravante di clandestinità offende quindi il principio di eguaglianza. Più precisamente, viola il divieto di discriminare in base alle "condizioni personali", come recita l'articolo 3 della Costituzione; e al tempo stesso offende la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articoli 2 e 7), la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (articolo 14), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (articolo 26). D'altronde la Consulta aveva già affermato a chiare lettere che il principio di eguaglianza, se riferito alla libertà personale, non tollera discriminazioni fra stranieri e cittadini (sentenza n. 62 del 1994).
Quarto: l'aggravante della clandestinità era ripetibile all'infinito, per qualunque reato commesso da un immigrato clandestino, dagli insulti per un parcheggio disputato alla rapina a mano armata. Ma la civiltà giuridica occidentale ha forgiato da millenni il principio del "ne bis in idem", che a sua volta vale per tutti, anche per gli stranieri che non parlano latino. Senza dire che l'ossessione della sicurezza, oltre a generare mostri giuridici, genera altresì l'abuso del diritto penale; e qui c'è un problema formidabile, che investe pure gli italiani.
Insomma, a questo punto gli immigrati hanno fatto un passo avanti; anzi due, se alla pronuncia della Consulta affianchiamo una recentissima sentenza della Cassazione penale (n. 22212 del 10 giugno). Che vi si trova scritto? Che l'immigrato in condizioni disagiate ha diritto a uno sconto di pena. Come a dire che la politica aveva introdotto l'aggravante della clandestinità, i tribunali l'hanno trasformata in attenuante.
Ricchezza e crescita contrastano i vecchi stereotipi
il Sole, 21-06-2010
Valeria Benvenuti
Sugli stranieri grava un'immagine stereotipata, ormai obsoleta. Quella secondo cui rappresentano un problema e insieme un onere per la collettività. Un problema di ordine sociale - pensiamo alla questione "sicurezza" piuttosto che alle dinamiche dell'esclusione sociale e ai nuovi "ghetti". E un onere dal punto di vista assistenziale, dato che - dopotutto - possono pure Usufruire dei servizi di welfare senza nulla dare in cambio. Un'immagine, dicevamo, ormai obsoleta, comunque da superare. E un percorso auspicabile è certamente quello di fondare qualsiasi riflessione e poi azione su una fotografia oggettiva della condizione degli stranieri in Italia che solo i numeri può restituire.
È proprio qui che la Fondazione Leone Moressa intende inserirsi. Contribuire alla decostruzione di questo stereotipo vuol dire infatti aggiungere al mosaico dei dati sugli stranieri già disponibile un nuovo tassello, come quello sui redditi dichiarati e sui contribuenti nati all'estero.
Procedendo con ordine, degli stranieri già sappiamo che contribuiscono alla formazione del Pil nazionale per l'11,1% pur essendo solamente l'8,2% degli occupati totali. Mantengono positivo il saldo demografico così come quello imprenditoriale. Sono giovani e fanno figli, cioè ringiovaniscono una popolazione "invecchiata" come quella italiana, e hanno spirito di intrapresa. Se molte aziende italiane cessano, molte aziende etniche nascono. Essendo giovani, gli stranieri sono pure una vera e propria risorsa per un sistema previdenziale in affanno. E c'è chi va oltre sostenendo che essi non costituiscono nemmeno un costo per la finanza pubblica. Anzi: se alcuni studi ipotizzano un beneficio fiscale nullo, per altri è addirittura positivo.
La spesa per il welfare a loro destinata (sanità, scuola, sicurezza, trasferimenti monetari eccetera) non supererebbe cioè gli importi contributivi e fiscali da loro stéssi elargiti. In sostanza: i servizi che ricevono
se li sarebbero pagati. E ancora, la Banca d'Italia ci dice che tra italiani e stranieri non vi è antagonismo, ma complementarietà occupazionale. Non rubano il posto di lavoro a nessuno, perlomeno immeritatamente. Ed ecco il nuovo tassello messo dalla Fondazione Leone Moressa sui redditi dichiarati e su numero di contribuenti nati all'estero. Scoprire che di tutti i contribuenti il 7,8% è straniero e che nel computo complessivo i redditi dichiarati ammontano al 5,2% del totale vuol dire poter affermare quanto gli stranieri siano - e con ogni probabilità continueranno sempre più ad essere - una parte importante della struttura sociale italiana. La rappresentazione dello straniero come colui che va a scuola, mangia, beve e va all'ospedale, il tutto pesando sulle spalle dello Stato, è sempre meno fondata. Anche e soprattutto perché produrre reddito, sia esso da lavoro dipendente, da impresa o da proprietà immobiliari, significa contribuire alla crescita complessiva dell'economia.
Non solo, ci si potrebbe aspettare un'incidenza addirittura più elevata se solo il lavoro sommerso venisse regolarizzato; operazione, questa, a tutela degli immigrati, ma anche a beneficio dell'intera collettività.
La politica ha il suo bel da fare e una gestione "informata" della questione immigrazione - tenendo ben monitorati i dati sugli stranieri e producendo le opportune riflessioni e valutazioni, senza dimenticare le diseguaglianze sociali - è il punto di partenza di qualsiasi percorso che voglia condurre nel nostro Paese ad una vera e sincera integrazione sociale ed economica.
Il matrimonio misto finisce in Tribunale
Il Consolato marocchino: chi sposa un'islamica deve convertirsi
La Stampa, 21-06-2010
Flavia Amabile
ROMA -Se amate una musulmana e non credete in nulla e nessuno o appartenete a una religione diversa, pensateci bene prima di sposarla. A lanciare questo avvertimento non è un cattolico o un indù, ma un musulmano doc come Mario Scialoja, consigliere del Centro islamico culturale d'Italia. «E' una fonte di guai», spiega.
I problemi infatti possono essere numerosi, come conferma il caso più recente, quello di un trentenne italiano, impiegato, e di una 26enne di origini marocchine che vivono a Laives, in provincia di Bolzano. Lei è in Italia dal 1998, perfettamente regolare, potrebbe sposarsi in qualsiasi momento, e quindi le è parso naturale dire di sì al suo fidanzato. Non ci sono ostacoli burocratici di sorta, tutto dovrebbe andare per il meglio. Invece quando si recano in comune la risposta è un rifiuto. Anzi, due: il primo da parte del consolato del Marocco prima e il secondo dal comune di Laives. E ora ad avere l'ultima parola e a decidere se il loro matrimonio si può fare sarà il tribunale di Bolzano. L'udienza è fissata il primo ottobre.
«Purtroppo la religione musulmana è rigorosa in casi come questo - spiega Scialoja -l'uomo musulmano può sposare una cattolica, un'ebrea, un indù, o chiunque desideri. Perché si presume che sia garantita la continuità dell'educazione ai principi dell'Islam. Per la donna è diverso: non può sposare altri che un musulmano se vuole che il suo matrimonio sia riconosciuto».
Il fenomeno è molto diffuso, più di quanto si immagini, basta fare un giro sui forum dei siti dedicati all'immigrazione e ai problemi delle coppie miste per rendersene conto. E, quindi, se proprio si decide che la donna dei propri sogni è una musulmana, dunque, che cosa si può fare? La strada più seguita è quella della conversione. «Abbiamo almeno due conversioni a settimana di questo tipo - racconta Scialoja - uomini che vengono da noi ad abbracciare la fede islamica soltanto per sposarsi.
Rappresentano il 90% circa delle nostre conversioni perché l'Islam non fa proselitismo. E, ad essere sincero, sono molto contrario, non mi piacciono».
Se invece il futuro marito non vuole convertirsi, come è accaduto al trentenne dì Laives, iniziano i guai. Perché il consolato del Marocco si è rifiutato di dare il nulla osta. «Sotto il profilo giuridico - spiega l'avvocato trentino Nicola Degaudenz, che assiste la coppia - l'assenza del nulla osta viene considerato un impedimento alla ceebrazione del matrimonio». Quindi, il rifiuto del comune alle pubblicazione. «Questa, per certi versi, - prosegue l'avvocato - è stata la fortuna della coppia, perché mi ha consentito di presentare ricorso al Tribunale di Bolzano».
Il Comune di Laives, ha seguito l'articolo 116 del Codice Civile, che prevede che un cittadino non italiano «che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all'ufficiale di stato civile una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese (in questo caso il consolato), dalla quale risulti che in base alle leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio».
L'avvocato Degaudenz, però, ha già seguito un caso simile alcuni anni fa di una coppia di Cles, in provincia di Trento. Nel ricorso l'avvocato Degaudenz ha sostenuto che il rifiuto del Comune è contrario all'articolo 19 della Costituzione italiana che sancisce la libertà religiosa.
In quel caso il Tribunale ha dichiarato contrario all'ordine pubblico italiano il divieto per una donna musulmana di contrarre matrimonio con un non musulmano. Perché non si tratta di una legge, ma di un «impedimento», alla stessa stregua della minore età o dei legami di parentela tra i futuri coniugi. La differenza religiosa non viene nemmeno menzionata.
Secondo i giudici «con tale omissione è probabile che il legislatore intendesse abrogare il principio sciaritico. La giurisprudenza ha tuttavia continuato a considerare proibito il matrimonio di una musulmana con un non musulmano». La parola per i fidanzati di Laives spetta al tribunale di Bolzano.
Bolzano L'amministrazione di Laives blocca la cerimonia perché manca il nullaosta del consolato del Marocco
Non si converte all'Islam, il Comune gli nega il matrimonio
Corriere della Sera, 21-06-2010
Francesco Alberti
MILANO—Non c'erano alternative, se davvero voleva sposare quella donna marocchina e musulmana con la quale lui, italiano e cattolico, era fidanzato da tempo. Avrebbe dovuto pronunciare, di fronte a testimoni rigorosamente maschi e islamici, la shahada: l'atto di fede in Maometto («Testimonio che non c'è divinità se non Allah e che Muhammad è il suo messaggero»). Convertirsi, insomma, al Corano. Soltanto abiurando la propria religione e accettando quella della fidanzata, l'uomo avrebbe infatti ottenuto il nulla osta al matrimonio da parte del consolato del Marocco, la cui legge prevede che la donna islamica (la norma non vale però per i maschi musulmani non possa sposare un infedele. Non solo: un'eventuale conversione del nostro connazionale avrebbe tolto dagli impacci pure l'italianissimo comune di Laives (Bolzano), dove la coppia vive, poiché, come prevede il codice civile, in assenza di una via lìbera alle nozze da parte del consolato marocchino, l'ufficiale di stato civile non può acconsentire alle pubblicazioni di matrimonio.
Il trentenne italiano, però, di convertirsi non aveva la minima intenzione. E così il progetto di nozze si è arenato in una palude di no: quello del consolato marocchino e, a cascata, in ossequio al codice civile, pure quello dei funzionari comunali di Laives. Un bel rompicapo. Ma i due innamorati (lei, 29 anni, vive in Italia dal '98) non si sono dati per vinti. Hanno contattato un legale esperto in matrimoni misti e daranno bat-taglia a colpi di codici: «Sì — afferma il loro avvocato, Nicola Degaudenz —, in questi casi l'unica strada è il ricorso in tribunale. Noi ci siamo rivolti a Bolzano, sono fiducioso ...». Al suo attivo, il legale può vantare un causa analoga andata in aula mesi fa a Trento e finita positivamente: «In quel caso, i giudici diedero il via libera alle nozze anche in assenza del nulla osta da parte del Paese di provenienza della donna (si trattava di una tunisina), sostenendo che altrimenti vi sarebbe stata una violazione dell'articolo 3 della Costituzione, quello sul principio d'uguaglianza. Inoltre hanno ritenuto che fosse contrario all'ordine pubblico italiano vietare a una musulmana di sposare un non musulmano». Comunque finisca la storia della coppia di Laives, il problema dei matrimoni misti e della difficile coesistenza tra i precetti del Corano e le leggi italiane resta in tutta la sua complessità. Un passo importante, in questo senso, è giunto nei giorni scorsi dalla Camera dove è stato approvato all'unanimità un emendamento al disegno di legge sulla semplificazione, che, modificando l'articolo 116 del codice civile, cancella di fatto, per l'italiano cattolico che sposa una musulmana, l'obbligo all'abiura della propria religione, se vuole ottenere il nulla osta dalle autorità dei Paese della sposa.
Come ha spiegato la parlamentare pdL Souad Sbai, promotrice della modifica, «in caso di rifiuto del nulla osta 0 decorsi i 90 giorni, l'ufficiale di stato civile è tenuto a verificare che le leggi del Paese dì provenienza di un coniuge non entrino in contrasto con l'ordine pubblico italiano perché in tal caso non possono essere applicate».
Niente più shahada, insomma. Resta il problema della tenuta dei matrimoni misti. Secondo dati recenti della fondazione «Migrantes» della Cei, 8 su 10 di queste unioni vanno in frantumi Ma qui le leggi possono poco: sono le differenze culturali, spesso, a far saltare la coppia.
Maroni: Europa si ispiri a nostro accordo con Libia
Non ci facciamo impressionare da professionisti antirazzismo
Virgilio, 20-06-2010
Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, considera l'accordo firmato da Italia e Libia per il contrasto dell'immigrazione clandestina come "un modello a cui l'intera Europa deve ispirarsi". Lo ha detto durante il suo intervento dal palco di Pontida per il tradizionale raduno della Lega Nord. "Continueremo così, non ci faremo impressionare dai professionisti dell'antirazzismo". Il responsabile del Viminale, nel tracciare il bilancio dell'attività di governo negli ultimi due anni, ha detto che sia sulla lotta alla mafia sia su quella all'immigrazione clandestina, si può dire "missione compiuta", ma "la soddisfazione più grande" è legata ai risultati raggiunti contro le "barche della vergogna" che sbarcavano a Lampedusa. "Oggi non ce n'è più neanche una", il centro di accoglienza dell'isola è vuoto e verrà presto messo a disposizione dei bambini della comunità locale.
Maroni: lotta all’immigrazione clandestina “missione compiuta”
Qui News, 20-06-2010
Carmelo Sorbera
Oggi giornata internazionale del profugo. Il ministro dell’Interno che durante la manifestazione del proprio partito, la Lega Nord, a Pontida dichiara: lotta all’immigrazione clandestina “missione compiuta”.
Una lettera di un gruppo di profughi eritrei, pubblicata dal Tg3 della Rai denuncia: non abbiamo avuto la possibilità di richiedere il diritto d’asilo, nel 2009 il Governo italiano ha siglato un accordo con la Libia, chi arriva Lampedusa viene riportato a Tripoli.
Oggi giornata internazionale del profugo in Italia la realtà è lapalissiana.
Pd: Goverrno rispetti rifugiati,smetta difendere Libia
Touadi: Il diritto di asilo in Italia è ormai morto
Virgilio, 21-06-2010
Roma, 20 giu. (Apcom) -"In Italia il diritto di asilo è morto: sacrificato sull'altare delle politiche della sicurezza ispirate dalla Lega Nord e dal sodalizio politico-affaristico di Berlusconi con il leader libico Gheddafi". Lo dichiara Jean-Leonard Touadi, parlamantare del Partito Democratico, in occassione della giornata mondiuale del Rifugiato che l'ONu celebra oggi.
"La sciagurata pratica dei respingimenti di massa rappresenta non soltanto una grave violazione della legalita' internazionale stigmatizzata da tutti gli organismi internazionali, ma pone il nostro Paese fuori dal dettato costituzionale e dalla tradizione di accoglienza del nostro Paese. Inoltre,- continua Touadi - con il Trattato di amicizia firmato con la Libia il governo ha deciso di consegnare nelle mani di un Stato totalitario il destino di migliaia di persone i cui diritti fondamentali sono quotidianamente violati, come accuratamente documentato da tutti gli organismi internazionali. Stupri, detenzioni in condizioni disumane, tortura e rimpatri forzati eseguiti in pieno deserto senza assistenza stanno trasformando il territorio libico in una Guantanamo personale di colui che si fregia del titolo di "re dell'Africa".
"Nella giornata dei rifugiati, non possiamo ne dobbiamo accontentarci di parole di circostanza che lasciano il tempo che trova. Il nostro Paese - aggiunge il parlamentare del Partito Democratico - deve ripristinare al piu' presto il diritto d'asilo consentendo agli aventi diritto la possibilita' di richiedere l'asilo applicando alla lettera l'articolo 33 della Convenzione di Ginevra che afferma senza ambiguita' il principio vincolante di non-respingimento. Chiediamo un'indagine accurata e non di circostanza del Parlamento italiano sulla sorte di migliaia di persone migranti presenti sul territorio libico; chiediamo la riapertura immediata degli uffici dell'Unhcr a Tripoli; infine la possibilita' di sospendere il Trattato di amicizia con la Libia se il regime di Gheddafi continua ad ignorare gli elementari doveri umanitari nei confronti delle persone migranti".
La Lega - conclude Touadi - si vanta nei sui manifesti di aver "fermato l'invasione". In realta' bisogna ribadire che meno del 10% dell'immigrazione irregolare arriva via mare, e quindi la politica dei respingimenti colpisce quei pochi che hanno titolo a chiedere l'asilo nel nostro Paese".
Immigrazione: corteo contro cie a Modena, una denuncia
Manifestanti con letame e bastoni in legno con nastro adesivo
ANSA, 20-06-2010
MODENA, - Uno studente, organizzatore della manifestazione a Modena contro i centri di identificazione ed espulsione, e' stato denunciato per danneggiamento. Si tratta di un modenese iscritto all'universita' di Bologna, che ha noleggiato il furgone in testa al corteo. Nel corso dei controlli della polizia sono state identificate tre persone che trasportavano sacchi di letame confezionati per essere utilizzati durante la manifestazione mentre a bordo di un pullman proveniente da Genova sono stati rinvenuti bastoni in legno avvolti in nastro adesivo. (ANSA).