21 ottobre 2010

MULTICULTURALISMO NON E' DEMOCRAZIA
MUSULMANI D'EUROPA
Corriere della Sera, 21-10- 2010
ANGELO PANEBIANCO
La dichiarazione del cancelliere Angela Merkel («il multiculturalismo è fallito») è stata interpretata da tutti come una constatazione di fatto sugli errori della politica dell'immigrazione
tedesca degli ultimi decenni ma anche come il segnale di una svolta imminente. Anche in Germania, come in tutto il resto dell'Europa, la questione degli immigrati è ora un problema politico di prima grandezza: dare risposte incoerenti con le domande dell'opinione pubblica può significare perdere le elezioni. È la nuova grande questione che divide, e dividerà a lungo, le democrazie europee e che va ad aggiungersi alle più tradizionali divisioni sui temi economici.
Partiti anti-immigrati sorgono come funghi e fanno pienoni elettorali in tanti Paesi europei. Dove questo non accade è solo perché i partiti più tradizionali, già insediati, hanno indurito per tempo il loro approccio all'immigrazione. Due giorni fa, il Sole 24 Ore ha pubblicato un'utile inchiesta sulle politiche europee dell'immigrazione mostrando un quadro assai differenziato. Si va dai Paesi fino ad oggi più accoglienti, come la Svezia o l'Olanda (che però stanno sperimentando forte rivolte anti-immigrati) a quelli più chiusi come la Grecia. Ma non è difficile immaginare che le varie democrazie europee, adattandosi alle domande delle loro opinioni pubbliche, col tempo finiscano tutte per convergere su politi-
che selettive, che mettano più filtri, e più rigorosi, di quelli utilizzati nel recente passato.
C'è la reazione delle opinioni pubbliche ma c'è anche un'incertezza obiettiva su come fronteggiare il problema. Nessuna delle due strade fin qui adottate, quella originariamente francese dell'assimilazionismo (chi arriva deve spogliarsi della precedente identità per abbracciare identità e cultura del Paese ospitante) e quella, originariamente anglosassone, del multiculturalismo, sembra funzionare. Il multiculturalismo, soprattutto, ben prima che lo riconoscesse la Merkel, appariva più un sogno da idealisti che una politica realisticamente praticabile. 11 multiculturalismo prevede infatti che le varie culture presenti sul territorio vengano preservate, anche con leggi apposite, e che le diverse comunità culturali si autogovernino per tutti gli aspetti che riguardano la tutela della propria identità. Una società multiculturale è una società segmentata, divisa in tante comunità culturali che, si suppone, non sentendosi minacciate nelle proprie tradizioni, siano in grado di coesistere pacificamente. Ma il punto è che una società siffatta è difficilmente compatibile con la democrazia. Salvo specialissime eccezioni, può essere tenuta insieme solo con un alto grado di coercizione, in modo non democratico. Per questo, il multiculturalismo non è una politica adatta per le democrazie europee. Gran Bretagna, Olanda, Germania avevano scelto quella strada e ne hanno verificato l'impraticabilità.
Ma se la via francese (l'assimilazionismo) è difficilissima e quella multiculturale impraticabile, che fare allora? Assistere passivamente al montare dei conflitti?
Il problema della maggiore o minore capacità di convivenza con la nuova immigrazione dipende non da uno ma da un insieme di fattori: la qualità e il rigore dei filtri predisposti (le politiche stretto), i cicli economici, la capacità di offrire servizi agli immigrati che lavorano, la capacità di reprimere i comportamenti illegali, eccetera. Ma dipende anche dalle tradizioni di provenienza e appartenenza degli immigrati. È inutile girarci intorno. Ci sono immigrati che, per la tradizione di provenienza, possono trovare un loro ruolo nei Paesi ospitanti (e col tempo, potranno forse anche essere assimilati nel senso francese del termine. E, se non loro, i loro figli) con relativa facilità. Episodi di intolleranza, anche gravi, ci sono e ci saranno. Ma nel complesso, molti immigrati, soprattutto dell'Est europeo, riusciranno ad inserirsi con successo nelle società europeo-occidentali. C'è però il caso dell'islam. Non è casuale che proprio ai musulmani (e non agli altri immigrati) si faccia sempre riferimento quando si constata il fallimento del multiculturalismo. Ciò che ovunque in Europa si teme è che una crescita eccessiva delle comunità musulmane, grazie anche al differenziale demografico, finisca per imporre le trasformazioni più forti nelle regole di convivenza delle società europee. La domanda di cui nessuno conosce la risposta è la seguente: cosa può succedere quando due grandi civiltà, altrettanto forti e orgogliose, come quella
europea-cristiana (oggi anche liberale e democratica) e quella islamica, che si ispirano a principi e norme antitetiche, e che, anche per questo, si sono aspramente combattute attraverso i secoli, si trovano a condividere lo stesso territorio e lo stesso spazio politico? La risposta dipenderà in parte da noi europei, dagli atteggiamenti che assumeremo e dalle politiche che adotteremo. Ma, in larga parte dipenderà anche dalla evoluzione del mondo islamico. Se il ciclo fondamentalista (connesso al cosiddetto «risveglio islamico») che ha investito l'islam mondiale negli ultimi decenni non si esaurirà presto, dovremo attenderci aspri conflitti e fortissime tensioni anche in Europa (altro che pacifica convivenza multiculturale). Se invece quel ciclo, raggiunto un picco e punte di massima espansione, andrà ad esaurirsi, come è possibile che prima o poi accada, allora nasceranno forse esperimenti inediti e interessanti: la democrazia potrà misurare il proprio successo anche sulla sua capacità di favorire la piena adesione dei musulmani immigrati alle regole della società aperta e libera. Oggi ciò non appare probabile. Ma è lecito, per lo meno, sperarlo.



L'IMMIGRAZIONE E LA TRAPPOLA DELLA LINGUA

L'INTEGRAZIONE SECONDO IL GOVERNO
l'Unità, 21-10-2010
Livia Turco
SENATORE PD
Dove è finito iL tanto sbandierato programma del governo per la lingua e la cultura italiana per gli immigrati? Di programmi, e risorse, non c'è traccia; esistono solo le meritorie iniziative di Regioni, volontariato e Comuni. C'è invece all'attenzione della conferenza Stato-Regioni e del Consiglio di Stato un decreto attuativo della legge 94 del 2009, il pacchetto sicurezza Maroni-Berlusconi, che introduce il reato di immigrazione clandestina. Attraverso queste norme il governo italiano promuove una politica a punti che non ha eguali in Europa e che va in lotta di collisione con i principi contenuti della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue. Infatti, secondo la Maroni-Berlusconi, l'immigrato con più di 16 anni al momento dell'ingresso in Italia stipula un accordo di integrazione in base al quale deve apprendere, entro due anni, la lingua e la cultura italiana pena l'espulsione. Criterio di integrazione prevalente non è più il lavoro, il reddito, il rispetto della legalità ma la conoscenza della lingua e della cultura italiana. Misura paradossale e discriminatoria, che denunciamo con tutta la nostra forza. Se guardiamo all'Europa vediamo che l'Italia è un caso isolato. Infatti, negli ultimi anni diversi Paesi membri hanno introdotto programmi di cosiddetta "integrazione civica" con l'obiettivo non di sganciare l'ingresso dalle esigenze del mercato del lavoro, da un sistema di quote di ingresso, ma come requisito aggiuntivo per l'accesso allo status di residente di lunga durata. Si tratta della definizione di un contratto di integrazione sul modello proposto da Giuliano Amato nell'ultimo governo Prodi, legato ad una adesione ai principi democratici dello Stato di diritto e alla conoscenza della lingua. Questo è ciò che accade in Europa. Di fronte alla individuazione della conoscenza della cultura del Paese ospite quale fattore prioritario di integrazione e addirittura di permanenza nel nostro Paese (perché ripeto con tutta l'indignazione possibile, l'immigrato viene espulso se non sa correttamente l'italiano), il minimo di decenza da parte del governo avrebbe voluto che si stanziassero risorse e programmi per la cultura italiana, che si promuovessero corsi con le aziende e si attivasse la scuola pubblica. Di tutto ciò il governo non ha fatto niente. Il regolamento attuativo del pacchetto sicurezza prevede infatti che i programmi di lingua e cultura italiana siano a somma zero.
Per questo il Pd presenta una proposta alternativa che prevede la cancellazione di questa norma discriminatoria e antieuropea e la previsione di un programma nazionale di lingua e cultura italiana con stanziamenti pubblici e privati (20 milioni annui) e un incentivo all'immigrato che partecipa ai corsi medesimi consistente nell'anticipazione della carta di soggiorno per chi frequenta i corsi e supera la prova finale nei primi tre anni di permanenza in Italia



Sicurezza Nel nuovo pacchetto anche stretta su prostituzione e accattonaggio
Pronto il piano di Maroni per espellere i comunitari
Corriere della Sera, 21-10-2010
Rimpatrio per chi non ha «reddito e dimora adeguati»
ROMA — Lo aveva annunciato quest'estate, nel pieno delle polemiche sulle espulsioni dei rom decise dalla Francia di Nicolas Sarkozy. E domani il ministro dell'Interno Roberto Maroni dovrebbe portare in Consiglio dei ministri le misure per l'allontanamento degli immigrati comunitari (compresi i rom), come già si fa adesso per gli extracomunitari. In realtà si tratta dell'ennesimo pacchetto sicurezza che dovrebbe contenere novità anche sull'accattonaggio, sulla prostituzione, con l'espulsione immediata per chi ha ricevuto il foglio di via, e sulla violenza negli stadi, con il ritorno dell'arresto per chi viene identificato con i filmati della polizia. I testi sarebbero stati illustrati al capo dello Stato lo scorso 5 ottobre. E dovrebbero essere due, un decreto legge (subito in vigore) e un disegno di legge da discutere in Parlamento. La norma più delicata è proprio quella sull'espulsione dei comunitari. Il rimpatrio riguarderebbe chi viola la direttiva europea che fissa i requisiti per chi vive in un altro Stato membro: reddito minimo, dimora adeguata, non essere a carico del sistema sociale del Paese che lo ospita, ad esempio con una pensione. Maroni ci aveva provato già due anni fa con un altro pacchetto sicurezza che doveva essere approvato velocemente per decreto e che poi invece, dopo i rilievi di Giorgio Napolitano, imboccò la via normale del disegno di legge. La norma sulle espulsioni dei comunitari alla fine saltò del tutto. Anche per la bocciatura da parte della commissione europea che, con il francese Jacques Barrot, osservò come in base al diritto comunitario l'unica sanzione possibile potesse essere l'invito ad andarsene. Quando quest'estate aveva annunciato la sua intenzione di «tornare alla carica», Maroni aveva detto che la misura «non sarebbe stata discriminatoria» perché le «espulsioni sarebbero state possibili non solo per i rom, ma per tutti i comunitari». È chiaro, però, che i requisiti fissati dalla direttiva comunitaria (reddito minimo e dimora adeguata) spesso sono violati proprio nei campi rom. Con una differenza importante rispetto alla Francia: molti rom che vivono nel nostro Paese sono cittadini non soltanto comunitari ma anche italiani. Nei loro confronti anche il nuovo pacchetto sicurezza non sarebbe applicabile.



Immigrazione senza controllo

Europa, 21-10-2010
MASSIMO LIVI BACCI
Superavano i 4,2 milioni, secondo l'Istat, gli stranieri residenti nel nostro paese all'inizio del 2010, con un aumento di oltre un terzo di milione rispetto al consuntivo di un anno prima.
Alla chiusura del 2010, il loro numero avrà superato i quattro milioni e mezzo; contando la galassia degli irregolari - persone che hanno ecceduto il tempo concesso dal visto di entrata, persone già regolari ma con permesso di soggiorno scaduto, persone che hanno varcato i confini illegalmente - si supera probabilmente la cifra tonda di cinque milioni. Una buona parte dei nuovi iscritti in anagrafe erano, in realtà, persone già dimoranti in Italia, legalizzate con la sanatoria per "colf e badanti" di fine 2009. Le indagini sulle forze di lavoro rivelano che gli stranieri occupati continuano ad aumentare, mentre gli italiani occupati scendono, e che tra i primi la disoccupazione è, sì, aumentata, ma in misura relativamente modesta, nonostante che la crisi economica stia mordendo nel profondo l'economia.
Sembra che, nel frattempo, il governo stia preparando un "decreto flussi" - non emanato nel 2009 -per lavoratori subordinati, per un numero d'ingressi consistente (150 mila-170 mila). Presumibilmente un'alta quota di questi posti saranno destinati a persone già dimoranti irregolarmente in Italia, che dovranno poi uscire dal paese alla chetichella per rientrarvi muniti di regolari visti d'ingresso. Ogni decreto flussi finisce, pertanto, per essere una sorta di sanatoria "rateale": la politica migratoria è una fabbrica d'irregolarità (perché il percorso legale di entrata è impervio e rigido, perché i permessi di soggiorno sono troppo brevi, perché la macchina amministrativa è sottodimensionata rispetto a un fenomeno di massa), e le sanatorie (vere o mascherate) sono l'unico strumento per non farla deragliare.
Il governo fa finta che tutto vada bene. Vanta i successi nel frenare gli sbarchi sulle coste e fa finta che le modalità, concordate con la Libia, per le intercettazioni e i respingimenti in mare non siano in grave contrasto con la Convenzione di Ginevra e con il diritto del migrante di avanzare domanda di asilo: ma a chi potrebbe mai rivolgerla se in Libia, dallo scorso maggio, all'Unhcr è vietato di operare e se non ci sono altre istituzioni abilitate? Il ministro Maroni, in una recente audizione al Comitato interparlamentare Schengen, ha detto che tutto va per il meglio, ma ha ammesso che sarebbe   favorevole   a insediare in Libia una Commissione territoriale per l'asilo qualora il governo libico acconsentisse   e l'Unione europea fosse d'accordo - con ciò ammettendo indirettamente che la sorte dei respinti in mare (o degli impediti a partire dalla Libia) è assai nera. Ci farebbe piacere sapere se il ministro degli esteri è d'accordo, e se il capo del governo abbia intenzione di impiegare un po' della sua influenza sull'amico Gheddafi - tra un'esibizione equestre ed un banchetto - per ottenere una benevola considerazione di questa proposta.
Sempre nella stessa audizione, Maroni si è rimangiato le mezze ammissioni fatte qualche mese prima circa la possibilità di intervenire sulla normativa del pacchetto sicurezza, almeno per la parte in clamorosa contraddizione con la direttiva rimpatri dell'Unione europea. Questa prevede che la via maestra per ridurre   l'irregolarità sia quella di indurre il migrante, magari con incentivi, a rientrare volontariamente nel proprio paese.  Saggia disposizione che, oltre ad evitare traumi penosi, fa risparmiare i costi delle espulsioni. In Italia non si può: l'irregolarità è un reato, e chi volesse rimpatriare non può farlo, prima deve essere condannato e poi espulso!  Maroni ha cambiato idea:  nessun intervento  sulla (pessima) legge, meglio le espulsioni, alla faccia dell'efficienza e del risparmio per il pubblico erario.
Il paese ha cinque milioni di stranieri; economie e famiglie sarebbero in gravi difficoltà senza di loro; nemmeno la gravissima crisi ha represso una domanda di lavoro straniero diffusa. Ma il governo continua a considerare l'immigrazione come un fastidioso accidente e non come un fenomeno strutturale da governare con lungimiranza ed equità. Il paese pagherà il conto che ogni anno che passa rende più salato.



A DOMANDA RISPONDO
ROMANO 0 RUMENO
il Fatto Quotidiano, 21-10-2010
Furio Colombo
Caro Colombo, mi chiedo, giorno dopo giorno, dove è finita la dignità. Vorrei chiederti: ma cosa sarebbe successo se a Roma, nell'episodio di violenza della metro, a colpire con un pugno fosse stato un ragazzo RUMENO contro una ragazza Italiana? Si sarebbero accesi tutti i riflettori, tutti avrebbero detto "ecco il bastardo", basta rumeni, tutti cattivi e sarebbe senza dubbio in carcere. Ora invece, è successo l'opposto, il ragazzo italiano ha ucciso una donna, una mamma, che come colpa è rumena. I riflettori non si accendono, anzi, gli amici e parenti del ragazzo dicono "è un bravo ragazzo, lasciamolo stare". Lasciamolo stare? Ma come mai uno che ammazza con un pugno, che è già fra l'altro stato denunciato poche settimane prima per lesioni, è sempre beato a casa, riceve gli amici, e continua la sua vita tranquillo? Come mai l'opinione pubblica non si indigna per lui e si sarebbe indignata se fosse stato lui il rumeno? La giustizia è uguale per tutti? Ma che razza di gente stiamo diventando?
Anne
CI SONO  DUE domande importanti in questa lettera. Cercherò di rispondere non senza avere notato che nessuna televisione, nessun giornale, nessun collega si è posto il problema. Può essere visto in due modi: se era rumeno il ragazzo. Se era italiana la vittima. Inutile fingere. Il "ragazzo italiano" (quello della terribile storia vera) non ha una cattiva stampa, niente di proporzionato al pugno vile e potente che ha buttato a terra una persona già priva (a causa del pugno) di conoscenza. Le telecamere ci danno non un presunto colpevole ma l'esecutore materiale di un delitto. Un ufficiale di Marina presente per caso e rapido nel capire, ha fermato "il ragazzo" che se ne stava andando tranquillamente. A giudicare dalla solidarietà e dalle ovazioni dei coetanei amici, "il ragazzo" appare essere del tutto consapevole della forza del suo pugno, apprezzato e approvato da persone come lui, "ragazzi" italiani dediti alla violenza. Se non fosse stato italiano, il nostro "eroe" sarebbe un mostro, foto e tatuaggi pubblicati dovunque e promesse di espulsione immediate dall'Italia di tutto il suo gruppo o etnia. Quanto alla vittima, se italiana, la celebrazione, i fiori, le immagini, le dichiarazioni di ministri e di vescovi ci avrebbero tenuti occupati per giorni. Ma la cosa più importante è questa. L'assassino di una donna italiana, persino se italiano, per i media sarebbe stato subito "un balordo" e ci saremmo tutti interrogati sul vuoto nella vita dei nostri giovani. E, vi assicuro, nessuno avrebbe osato inscenare il teatrino della solidarietà all'assassino. Devo ripetere, con lo stesso stupore, la seconda domanda di Anne: ma che razza di gente stiamo diventando?



Provincia, cento progetti per l'integrazione

la Repubblica, 21-10-2010
CHIARA RIGHETTI
Indagine in sedici Comuni dell'hinterland: oltre metà dei residenti vorrebbe concedere agli stranieri il diritto di voto amministrativo. Dalle scuole alle imprese, ecco cosa finanziano i 7 milioni di palazzo Valentini
Sette milioni per 104 progetti: sono i numeri del piano sull'immigrazione della provincia di Roma, presentato nei giorni scorsi dal presidente Nicola Zingaretti e da Claudio Cecchini, assessore alle Politiche sociali. "Su 104 interventi finanziati - spiega Cecchini - 64 ricadono nel Comune di Roma, gli altri 39 sul resto del territorio provinciale". Quanto agli ambiti d'intervento, quasi metà delle iniziative (45) riguarda centri d'accoglienza e integrazione sociale; al secondo posto ci sono i progetti per l'inserimento scolastico (31), seguiti da quelli per l'educazione interculturale e l'orientamento ai servizi. Ma ci sono anche cinque case d'accoglienza, un centro servizi, un incubatore d'impresa e tre progetti per promuovere l'associazionismo degli stranieri.
Infine tre realtà gestite "in proprio" da palazzo Valentini, per un impegno di spesa complessivo di 2,5 milioni. "Per essere protagonisti - argomenta Cecchini - e non solo osservatori rispetto a un fenomeno ormai inarrestabile che va governato, scoraggiando l'immigrazione clandestina ma garantendo opportunità d'inserimento a chi sceglie quella regolare". Il primo progetto, spiega, "riguarda i 13 Csi, Centri servizi per l'immigrazione (tre a Roma e dieci in provincia) dove, con l'aiuto di molti lavoratori di origine straniera, offriamo agli immigrati assistenza in 42 lingue su tutti i problemi quotidiani". Il secondo è un centro nato per aiutare gli stranieri decisi a mettersi in proprio e ha già contribuito alla nascita di numerose imprese, dal catering al facchinaggio alla ristorazione. Infine c'è l'Osservatorio provinciale sulle migrazioni: il prossimo rapporto sarà presentato a metà dicembre.
Intanto, stando ai dati dell'indagine "Periferie comuni", realizzata da Provinciattiva e dedicata ai Comuni della "prima cintura" romana, l'integrazione nel territorio avanza rapidissima. Quasi più che nella Capitale. Il rapporto ha coinvolto 16 Comuni che circondano Roma nei quali, alla fine del 2008, gli stranieri residenti erano oltre 50mila, il 9,2% della popolazione, con una crescita superiore al 300% rispetto al 2001 (ma con punte del 400% ed oltre ad Ardea, Palestrina, Tivoli). Una particolarità: contrariamente alla realtà romana, estremamente frammentata dal punto di vista dei paesi d'origine, nella "cintura" dell'hinterland il peso delle prime tre nazionalità degli stranieri è tra un minimo del 48% (Frascati) e un massimo del 78-79% (a Palestrina, Tivoli, Zagarolo, dove il "peso" dei romeni è ancora più determinante).
Quanto all'integrazione, oltre un intervistato su due la giudica "ormai compiuta" per i non italiani che vivono sul suo territorio, mentre solo uno su 5 ritiene ancora un problema "acuto", e ne dà prevalentemente la colpa agli stessi stranieri che se ne starebbero "sempre per conto loro". Di più: il 69% del campione ritiene che siano necessarie politiche attive per l'integrazione degli immigrati; il 60% considera la loro presenza un'occasione positiva di confronto; il 52% è favorevole a concedere il diritto di voto amministrativo dopo alcuni anni di residenza. Restano una minoranza (18-27%) forme di resistenza più o meno accentuate, legate a stereotipi del tipo "gli stranieri ci tolgono il lavoro".



Vigili urbani armati sugli autobus "Ce l'hanno con gli immigrati"

la Repubblica, 21-10-2010
PAOLO BERIZZI
Il Comune: "Dodici agenti contro bulli e scippatori". Ed è polemica. La Cgil: "Presenza ingiustificata. Su quelle linee non c'è allarme sicurezza"
Brescia - Delle due l'una: o a Brescia e dintorni hanno una fervida fantasia e non sanno più cosa inventarsi, o è la fantasia che di continuo bussa da queste parti. Dopo la telenovela padana di Adro (mensa anti-islam compresa), dopo i bonus affitti e bebé solo agli italiani.
Dopo il White Christmas di Coccaglio (via gli immigrati irregolari entro Natale), la schedatura degli appartamenti degli stranieri a Gavardo e i guanti igienici anti immigrati sugli autobus, ecco l'ultima trovata: vigili urbani - armati - sui mezzi pubblici. Sì, ancora gli autobus. Ufficialmente dovrebbe essere una specie di sceriffato anti bulli e "scrocconi". Ma siccome le linee in questione sono tra quelle più utilizzate dai cittadini stranieri - oltre che dagli studenti - viene da pensare.
L'idea è venuta all'amministrazione comunale, dalla quale dipende Brescia trasporti. Da questo mese in via sperimentale 12 agenti della polizia municipale saliranno a turno sui servizi di 15 linee (quelle reputate più insicure) per prevenire violenze, scippi, truffe. E per controllare biglietti e abbonamenti. Chi prenderà gli autobus della linee 12, 13, 1, 9, 3, 11, e tutte quelle che gravitano nella zona stazione, risponderà di eventuali irregolarità e comportamenti non urbani direttamente al vigile.
Da Brescia Trasporti fanno sapere che gli uomini in divisa - che si aggiungeranno ai controllori dell'azienda - avranno una funzione deterrente, o almeno si spera, contro i "portoghesi", intesi come imbucati.
Che a quanto pare - stando ai dati forniti dall'azienda municipalizzata - quest'anno sono aumentati dell'1% (dal 4,51% del 2009 al 5,54% del 2010). Le quasi 11mila multe appioppate negli ultimi dodici mesi ai bresciani d'origine e d'adozione che fanno i furbi sul biglietto, devono essere state considerate dagli amministratori (Pdl-Lega) un risultato ampiamente migliorabile. E così, dentro anche i vigili.
Forzatura, prova muscolare o buona amministrazione? Chissà. Di certo il provvedimento, come quelli che lo hanno preceduto, in particolare i guanti igienici usa e getta a disposizione dei passeggeri, sta già facendo discutere. "Teniamo a sottolineare che il controllo dei titoli di viaggio viene efficacemente svolto dal personale di Brescia trasporti - dicono Damiano Galletti e Stefano Malorgio della Cgil - e che non ci risulta che sugli autobus cittadini ci sia un clima di violenza tale da giustificare l'intervento della polizia municipale". Mettere vigili urbani armati sui mezzi pubblici "senza una seria necessità" - aggiungono - "non contribuisce a aumentare il grado di sicurezza ma anzi aumenta la percezione di un pericolo che in realtà non esiste". Alla Camera del lavoro bollano l'iniziativa come "una scelta populista e dispendiosa". E invitano a riflettere sul rischio di un ennesimo provvedimento che, in realtà, punta a prendere di mira i cittadini stranieri. Con molta fantasia e un audacia che ormai sa quasi di marchio territoriale.



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