REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Pisa

 

dott.ssa Elisabetta Tarquini ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa iscritta al N. RG. 1080/2008 discussa allĠudienza del 27.9.2010

 

promossa

 

da Murataj Hane, elettivamente domiciliata in Pisa, Via Oberdan n. 41, presso lo studio degli Avv. Umberto Cerrai e Paolo Bartalena, che la rappresentano e difendono per procura a margine del ricorso introduttivo

 

contro

 

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Pisa, P.zza Guerrazzi n. 17, presso la sede di Pisa dellĠIstituto, rappresentato e difeso ex lege 248/2005 dal proprio funzionario Dott. Franca Bartolini

 

contro

 

Ministero dellĠEconomia e delle Finanze in persona del Ministro pro tempore

                                                                     

-       contumace -

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

 

            Con ricorso depositato il 29.9.2008, Hane Murataj conveniva il Ministero dellĠEconomia e delle Finanze e lĠI.N.P.S. davanti a questo giudice del lavoro, allegando di avere richiesto in sede amministrativa, il 29.11.2007, la corresponsione dellĠindennitˆ di accompagnamento, con esito negativo, avendo la competente commissione medica, con accertamento 12.2.2008 (comunicato con lettera consegnata il 17.4.2008), ritenuto conservata la sua autonomia nel compimento degli atti quotidiani della vita.

Assumeva, al contrario, la ricorrente il proprio diritto a vedersi corrispondere la prestazione a suo tempo richiesta, data la gravitˆ delle sue affezioni e chiedeva, nei confronti di entrambi i convenuti, lĠaccertamento della sua condizione di totale dipendenza da terzi e la condanna dellĠINPS a corrisponderle lĠindennitˆ di accompagnamento con la decorrenza di legge, allĠaccoglimento della domanda de qua non ostando, nella prospettazione attrice, la circostanza che ella non fosse titolare di carta di soggiorno (pur essendo legalmente presente sul territorio nazionale, in quanto in possesso di permesso di soggiorno).

Argomentava infatti la difesa attrice lĠirrilevanza del predetto requisito ai fini dellĠattribuzione della prestazione oggetto di causa, lĠart. 80 della 388/2000, che ne aveva introdotto la previsione, dovendo essere disapplicato, in quanto contrario al generale principio di non discriminazione di cui allĠart. 14 della Convenzione europea dei diritti dellĠuomo e delle libertˆ fondamentali, resa esecutiva in Italia con L. 848/1955.

Costituitosi ritualmente il contraddittorio, il Ministero dellĠEconomia restava contumace, mentre resisteva lĠI.N.P.S. contestando la fondatezza delle domande e chiedendone il rigetto, previa verifica della loro tempestiva proposizione ex lege 269/2003.

Disposta ed eseguita CTU medico legale ed acquisiti alcuni documenti, allĠudienza di cui in epigrafe i difensori discutevano richiamandosi ai loro atti e la giudicante pronunciava sentenza come da separato dispositivo di cui dava lettura, attesa la complessitˆ della questione.

Ci˜ posto in fatto, e documentato essere stato introdotto il giudizio nel termine di cui al comma 3 dellĠart 42 del D.L. 269/2003, deve innanzi tutto rilevarsi come oggetto dellĠaccertamento giudiziale sia nella specie esclusivamente il diritto dellĠattrice allĠattribuzione dellÔindennitˆ di accompagnamento, atteso il tenore delle conclusioni di cui in ricorso, nelle quali la domanda di accertamento  con chiarezza diretta non alla declaratoria dellĠesistenza di un allegato status di invalido, ma allĠaffermazione della sussistenza dei requisiti di uno specifico diritto, in ipotesi derivante dallo stato invalidante, ed appare, quindi, esclusivamente strumentale alla domanda di condanna al pagamento di detta provvidenza.

EĠ, quindi, necessariamente solo in relazione al descritto contenuto delle pretese che deve individuarsi il soggetto legittimato a contraddirvi.

In proposito merita rilevare come il legislatore, dopo lĠentrata in vigore della L. 537/1993 e del D.P.R. 698/1994, sia nuovamente intervenuto sulla disciplina delle prestazioni di invaliditˆ civile prima con il D. Lgs. 31.3.1998 n. 112, nellĠambito di un disegno normativo diretto al trasferimento alle regioni ed agli enti locali di tutte le funzioni ed i compiti amministrativi nella materia dei servizi sociali, con alcune eccezioni, quindi con la L. 23.12.1998 n. 448, collegato alla legge finanziaria 1999, ancora con il D.L. 30.9.2003 n. 269 (entrato in vigore il 2.10.2003 e convertito con modificazioni nella L. 24.11.2003 n. 326), ed infine con il D.L. 30.9.2005 n. 230, convertito con modificazioni nella L. 2.12.2005 n. 248.

Pi specificamente, alla lettera n) dellĠart. 129 del decreto legislativo 112/1998 erano conservate allo Stato le funzioni di Òrevisione delle pensioni, assegni e indennitˆ spettanti agli invaliditˆ civili e la verifica dei requisiti sanitari che hanno dato luogo a benefici economici di invaliditˆ civileÓ.

A norma del successivo art. 130, era invece trasferita allĠI.N.P.S. (che doveva provvedervi a mezzo di un apposito fondo), a decorrere dal 3.9.1998 - centoventesimo giorno successivo allĠentrata in vigore della legge - la funzione di erogazione delle prestazioni di invaliditˆ civile, mentre la concessione dei nuovi trattamenti era rimessa alla regioni.

Prevedeva, poi, il comma terzo dello stesso articolo come Òfermo restando il principio della separazione della fase dellĠaccertamento sanitario e quello della concessione dei benefici economici, di cui allĠart. 11 della L. 24.12.1993 n. 537, nei procedimenti giurisdizionali ed esecutivi, relativi alla concessione delle prestazioni e dei servizi, attivati a decorrereÓ dal 3.9.1998 Òla legittimazione passiva spetta alle regioni, ove il procedimento abbia ad oggetto le provvidenze concesse dalle regioni stesse ed allĠI.N.P.S. negli altri casi, anche relativamente a provvedimenti concessori antecedenti al termineÓ sopra indicato.

Mentre lĠart. 37 comma 5 della L. 448/1998 espressamente attribuiva al Ministero del Tesoro la legittimazione passiva Ònei procedimenti giurisdizionali relativi ai verbali di visita emessi dalle commissioni mediche di verifica, finalizzati allĠaccertamento degli stati di invaliditˆ civile, cecitˆ civile e sordomutismo, nonchŽ ai provvedimenti di revoca emessi dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economicaÓ, disposizione che la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass., 2.4.2004 n. 6565, con ampia motivazione) ha da tempo interpretato come riferibile alle sole controversie relative allĠaccertamento della permanenza del diritto ai benefici di invaliditˆ a fronte della revoca disposta in sede amministrativa, ipotesi diversa da quella di cui  processo.

Successivamente lĠart. 42 del citato D.L. 30.9.2003 n. 269 (convertito con modificazioni nella L. 24.11.2003 n. 326), dopo aver disposto che Ògli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali concernenti l'invaliditˆ civile, la cecitˆ civile, il sordomutismo, l'handicap e la disabilitˆ ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, devono essere notificati anche al Ministero dell'economia e delle finanzeÉsia presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'articolo 11 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, sia presso le competenti direzioni provinciali dei servizi vari del MinisteroÓ, ha previsto che Ònei predetti giudizi il Ministero dell'economia e delle finanze e' litisconsorte necessario ai sensi dell'articolo 102 del codice di procedura civileÓ.

            Infine lĠart. 10 del D.L. 230/2005 ha disposto, per quanto qui interessa, che: ÒL'Istituto nazionale della previdenza sociale subentra nell'esercizio delle funzioni residuate allo Stato in materia di invaliditˆ civile, cecitˆ civile, sordomutismo, handicap e disabilitˆ, giˆ di competenza del Ministero dell'economia e delle finanzeÒ, prevedendo tuttavia che Òla data di effettivo esercizio da parte dell'I.N.P.S. delle funzioni trasferiteÓ sia stabilita Òcon uno o pi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decretoÓ e che Òfino alla data stabilita con i decreti di cui al comma 2, resta fermo, in materia processuale, quanto stabilito dall'articolo 42, del D.L. 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla l. 24.11.2003 n. 326Ò.

            Il comma 6 dello stesso art. 10 prevede altres“ che ÒA decorrere dalla data di effettivo esercizio da parte dell'I.N.P.S. delle funzioni trasferite gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali in materia di invaliditˆ civile, cecitˆ civile, sordomutismo, handicap e disabilitˆ, nonchŽ le sentenze ed ogni provvedimento reso in detti giudizi devono essere notificati anche all'I.N.P.S. La notifica va effettuata sia presso gli Uffici dell'Avvocatura dello Stato, É, sia presso le sedi provinciali dell'I.N.P.S. Nei procedimenti giurisdizionali di cui al presente comma l'I.N.P.S.  litisconsorte necessario ai sensi dell'articolo 102 del codice di procedura civile e, limitatamente al giudizio di primo grado,  rappresentato e difeso direttamente da propri dipendentiÓ.

            EĠ noto peraltro come lĠeffettivo trasferimento delle competenze in materia di invaliditˆ civile allĠINPS sia avvenuto solo con il D.PC.M. 30.3.2007 (pubblicato su G.U. 26.5.2007), il cui art. 5 comma 4 ha disposto, per quanto qui di interesse, che Òl'I.N.P.S. subentra al Ministero dell'economia e delle finanze nelle controversie instaurate a decorrere dalla data del 1Ħ aprile 2007, ancorchŽ riferite a rapporti sorti anteriormente alla medesima dataÒ.

EĠ dĠaltra parte orientamento giurisprudenziale da ritenersi ormai consolidato (cfr. nel periodo di vigenza della sola L. 537/1993 Cass. Sez. un., 1Ħ.7.2000, n. 483, e per il periodo successivo allĠentrata in vigore del D.Lvo 112/1998, la giˆ citata Cass. 6565/04 e da ultimo Cass. 27.8.2004, n. 17070) quello secondo cui, pur richiamando lĠart. 130 del D.Lvo 112/1998 la costruzione bifasica del processo avente ad oggetto lĠaccertamento del diritto alle prestazioni di invaliditˆ civile, giˆ affermata dalla L. 537/1993, anche dopo il riordino del sistema dellĠinvaliditˆ civile lĠinteressato non sia tenuto alla proposizione di due distinti procedimenti, il primo diretto allĠaccertamento dellĠinvaliditˆ, il secondo al pagamento delle prestazioni per lĠeffetto dovute.

Ed anzi deve dirsi jus receptum lĠinsegnamento della Suprema Corte (cfr. ancora Cass., 2.4.2004 n. 6565) secondo cui, riferibile la separatezza delle fasi di accertamento sanitario e di concessione dei benefici economici solo al procedimento amministrativo, allĠesito dellĠentrata in vigore del D.Lvo 112/1998 (che non contiene alcuna disciplina dellĠazione di mero accertamento dellĠinvaliditˆ, contrariamente a quanto previsto dal previgente D.P.R. 698/1994), oggetto del processo di invaliditˆ civile sia tornato ad essere (come giˆ secondo la disciplina antecedente il D.P.R. 698/1994) esclusivamente il diritto alle prestazioni di invaliditˆ civile, rispetto al quale la verifica della condizione invalidante rappresenta un presupposto di mero fatto, come tale, secondo i principi, insuscettibile di formare autonomo oggetto di giudicato.

Quanto, allora, allĠindividuazione dei soggetti passivamente legittimati nei giudizi aventi detto oggetto, si  detto come il comma 3 dellĠart. 130 del D.Lvo 112/1998 (in alcun modo toccato dalla disciplina dettata in subiecta materia dal collegato alla finanziaria 1999) giˆ disponesse che legittimato passivo Ònei procedimenti giurisdizionali ed esecutivi, relativi alla concessione delle prestazioni e dei serviziÓ fosse lĠI.N.P.S., salvo che la provvidenza fosse stata concessa dalle regioni, evenienza questa suscettibile di accadimento solo dopo il compiuto trasferimento delle relative funzioni, intervenuto con il D.P.C.M. del 22.12.2000, pubblicato su G.U. n. 43 del 21.2.2001, e quindi nella specie senzĠaltro irrilevante non essendo neppure allegato essere stata lĠattrice titolare di benefici di invaliditˆ attribuiti in data successiva al 21.2.2001.

DĠaltra parte, introdotto il presente giudizio in data successiva allĠentrata in vigore, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, del D.P.C.M. 30.3.2007, deve ritenersi che trovi applicazione nella specie il disposto dellĠart. 10 del D.L. 230/2005, cos“ lĠIstituto di previdenza, giˆ titolare dellĠobbligo di corrispondere la generalitˆ delle prestazioni economiche di invaliditˆ civile per quanto appena esposto, essendo divenuto unico legittimato passivo nelle controversie relative a dette prestazioni, per avere assunto anche le funzioni, essenzialmente in materia di accertamento sanitario, rimaste di pertinenza statale secondo la disciplina previgente.

Invero, il trasferimento di dette funzioni importa con tutta evidenza la sopravvenuta estraneitˆ del Ministero dellĠEconomia al procedimento amministrativo di attribuzione dei benefici di invaliditˆ civile, cos“ essendo venuta meno la necessitˆ (ritenuta dal legislatore del D.L. 269/2003) di assicurare la partecipazione ai giudizi di invaliditˆ civile di un soggetto diverso dal titolare dellĠobbligo di corrispondere le prestazioni de quibus.

NŽ pu˜ farsi questione della perdurante partecipazione necessaria del Ministero convenuto anche ai giudizi introdotti dopo il 26.5.2007 in ragione della menzione, di cui al citato art. 10 del del D.L. 230/2005, dellĠINPS quale Òlitisconsorte necessarioÓ nei giudizi nei quali trovi applicazione ratione temporis la disciplina de qua.

Ed invero la chiara determinazione del legislatore di trasferire ogni funzione in materia di invaliditˆ civile giˆ di pertinenza statale allĠINPS importa necessariamente che la permanenza di una giuridica necessitˆ di partecipazione ai giudizi introdotti successivamente al detto trasferimento di un soggetto divenuto estraneo anche al procedimento amministrativo per la concessione dei benefici di cui si discute fosse espressamente prevista.

In contrario la disposizione dellĠart. 10 non fa alcun cenno al Ministero dellĠEconomia come litisconsorte necessario, essa riferendo lĠespressione invece allĠINPS, cos“ il dictum della legge essendo agevolmente riferibile alle ipotesi nelle quali lĠIstituto non sia titolare dellĠobbligo di corrispondere provvidenze di invaliditˆ civile (come accade quanto al riconoscimento del diritto allĠesenzione dalla spesa sanitaria, ovvero al riconoscimento dellĠhandicap o del diritto allĠiscrizione degli elenchi del collocamento obbligatorio).

EĠ in tali ipotesi, ad avviso della decidente, che, per effetto della disposizione dellĠart. 10 del D.L. 230/2005, lĠIstituto, a decorrere dal 27.5.2007,  tenuto a subire le controversie, pur non essendo titolare del rapporto giuridico controverso, e ci˜ in ragione delle funzioni da esso ente svolte nella fase amministrativa di accertamento sanitario e nelle quali  subentrato ex lege al Ministero dellĠEconomia con la decorrenza sopra indicata, in tali casi la legittimazione necessaria dellĠINPS rispondendo alle stesse finalitˆ (di partecipazione al giudizio del responsabile della fase di accertamento sanitario) cui era ispirata la legittimazione necessaria del Ministero dellĠEconomia nel regime previgente.

Deve allora concludersi che, in tutte le liti, come quella di specie, dirette allĠottenimento delle prestazioni economiche di invaliditˆ civile ed introdotte dopo il 26.5.2007 lĠINPS sia unico legittimato passivo.

In confronto del convenuto Ministero il giudizio deve pertanto concludersi con una decisione di mero rito di difetto di legittimazione passiva.

Nel merito e quanto alle domande azionate in confronto dellĠINPS, al termine della propria indagine il CTU ha ritenuto la ricorrente affetta da un grave deficit statico dinamico idoneo a renderle impossibile, alla data dellĠaccertamento peritale, la deambulazione senza lĠaiuto di una accompagnatore, la condizione de qua essendo attendibilmente insorta nel gennaio 2009.

Le conclusioni in tal modo raggiunte dal CTU vanno condivise dalla decidente e poste a base della presente pronuncia, essendo fondate sui dati obiettivi emersi nel corso dell'indagine peritale, valutati alla stregua di esatti criteri di scienza medico-legale correttamente applicati alla fattispecie; esse sono inoltre sostenute da una motivazione priva di vizi logici cui le parti non hanno mosso alcuna censura.

Ne segue lĠaccoglimento delle domande attrici nei termini delle dette conclusioni, non ostandovi la circostanza, pacifica in causa, che la ricorrente non fosse, nŽ alla data della domanda amministrativa, nŽ nel gennaio 2009 titolare di carta di soggiorno (oggi permesso CE per soggiornanti di lungo periodo), e ci˜ giˆ in ragione della data del suo ingresso sul territorio nazionale quale risulta dal permesso di soggiorno (gennaio 2005), pur essendo legalmente presente sul territorio nazionale in quanto in possesso appunto di permesso di soggiorno.

Sul punto  noto come il comma 19 dellĠart. 80 della L. 23.12.2000 n. 388 stabilisca che Òl'assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiornoÓ ed oggi, per effetto del D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

La disposizione de qua  stata peraltro oggetto di diverse pronunce di illegittimitˆ costituzionale.

Pi specificatamente il giudice delle leggi ne ha dapprima ritenuto la contrarietˆ a Costituzione nella parte in cui la norma escludeva il diritto alle prestazioni di invaliditˆ civile in favore degli stranieri extracomunitari in quanto privi dei requisiti di reddito giˆ stabiliti per la carta di soggiorno ed ora previsti dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (cfr. la sentenza 29-30 luglio 2008, n. 306 relativa allĠindennitˆ di accompagnamento; e la sentenza 14-23 gennaio 2009, n. 11 relativa alla pensione di inabilitˆ); quindi con la pronuncia 26-28 maggio 2010, n. 187 ha pi radicalmente affermato lĠillegittimitˆ costituzionale della disposizione de qua in quanto subordina al requisito della titolaritˆ della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dellĠassegno mensile di invaliditˆ di cui allĠart. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118.

In detta ultima decisione ha invero ritenuto la Corte che la norma in esame, nel subordinare il diritto alle prestazioni previdenziali che costituiscono diritti soggettivi e siano dirette a soddisfare bisogni primari della persona, fra i quali appunto l'assegno di invaliditˆ previsto dall'art. 13 della legge n. 118 del 1971, alla titolaritˆ della carta di soggiorno, e dunque al requisito della presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, introduca un ulteriore requisito idoneo a generare una discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino, in contrasto con i principi enunciati dall'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertˆ fondamentali, e dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, adottato a Parigi il 20 marzo 1952, secondo l'interpretazione che di essi  stata offerta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Ha argomentato invero il giudice delle leggi come Òla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo abbia, in varie occasioni, avuto modo di sottolineare come la Convenzione non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite e concesse, la relativa disciplina non potrˆ sottrarsi al giudizio di compatibilitˆ con le norme della Convenzione e, in particolare, con l'art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori (in tal senso, Stec ed altri contro Regno Unito, decisione sulla ricevibilitˆ del 6 luglio 2005; Koua Poirrez contro Francia, sentenza del 30 settembre 2003; Gaygusuz contro Austria, sentenza del 16 settembre 1996; Salesi contro Italia, sentenza del 26 febbraio 1993). Al tempo stesso, la Corte di Strasburgo ha anche sottolineato l'ampio margine di apprezzamento di cui i singoli Stati godono in materia di prestazioni sociali, in particolare rilevando come le singole autoritˆ nazionali, in ragione della conoscenza diretta delle peculiaritˆ che caratterizzano le rispettive societˆ ed i correlativi bisogni, si trovino, in linea di principio, in una posizione privilegiata rispetto a quella del giudice internazionale per determinare quanto risulti di pubblica utilitˆ in materia economica e sociale. Da qui l'assunto secondo il quale la Corte rispetta, in linea di massima, le scelte a tal proposito operate dal legislatore nazionale, salvo che la relativa valutazione si riveli manifestamente irragionevole (Carson ed altri contro Regno Unito, sentenza del 16 marzo 2010; Luczak contro Polonia, sentenza del 27 novembre 2007). A proposito, poi, dei limiti entro i quali opera il divieto di trattamenti discriminatori stabilito dall'art. 14 della Convenzione, la stessa Corte non ha mancato di segnalare il carattere relazionale che contraddistingue il principio, nel senso che lo stesso non assume un risalto autonomo, Çma gioca un importante ruolo di complemento rispetto alle altre disposizioni della Convenzione e dei suoi protocolli, perchŽ protegge coloro che si trovano in situazioni analoghe da discriminazioni nel godimento dei diritti garantiti da altre disposizioniÈ (da ultimo, Orsus ed altri contro Croazia, sentenza del 16 marzo 2010). Il trattamento diviene dunque discriminatorio - ha puntualizzato la giurisprudenza della Corte - ove esso non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole; non realizzi, cio, un rapporto di proporzionalitˆ tra i mezzi impiegati e l'obiettivo perseguito (ad es., Niedzwiecki contro Germania, sentenza del 25 ottobre 2005). Non senza l'ulteriore puntualizzazione secondo la quale soltanto Çconsiderazioni molto forti potranno indurre a far ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalitˆÈ (da ultimo, Si Amer contro Francia, sentenza del 29 ottobre 2009, ed i precedenti ivi citati)Ó.

E facendo applicazione di detti principi la Corte ha ancora rilevato come Òal legislatore italiano sia senz'altro consentito di dettare norme, non palesemente irragionevoli e non in contrasto con gli obblighi internazionali, intese a regolare l'ingresso e la permanenza degli stranieri extracomunitari in Italia. Ed ɏ possibile, inoltre, subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata; una volta, per˜ É che il diritto a soggiornare alle condizioni predette non sia in discussione, non si possono discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadiniÓ.

Cos“ che ai fini dello scrutinio di legittimitˆ costituzionale, prosegue la citata pronuncia, Òassume valore dirimente, non tanto la configurazione "nominalistica" dello specifico strumento previdenziale che pu˜ venire in discorso, quanto, piuttosto, il suo concreto atteggiarsi nel panorama degli istituti di previdenza, cos“ da verificarne la relativa essenzialitˆ agli effetti della tutela dei valori coinvoltiÓ, ossia lĠattitudine delle singole prestazioni Òa consentire il concreto soddisfacimento dei bisogni primari inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che  compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perchŽ garanzia per la stessa sopravvivenza del soggettoÓ

Pare alla decidente indubitabile che un tale carattere di prestazione essenziale, in quanto diretta a soddisfare bisogni primari della persona, affermata dal Giudice delle leggi per lĠassegno di invaliditˆ civile, sia proprio anche dellĠindennitˆ di accompagnamento - spettante ai disabili non autonomamente deambulanti, o che non siano in grado di compiere da soli gli atti quotidiani della vita, per il solo fatto delle minorazioni - almeno ove, come nella specie, i disabili siano sprovvisti di reddito (la circostanza  dichiarata dallĠattrice in ricorso nelle forme di legge – cfr. in tal senso pag. 5 del suo atto introduttivo - ed  pacifica inter partes).

In tali condizioni (che sono si ripete quelle di causa)  di tutta evidenza come la prestazione de qua si iscriva, secondo il linguaggio del giudice delle leggi, Ònei limiti e per le finalitˆ essenziali che la Corte - anche alla luce degli enunciati della Corte di Strasburgo - ha additato come parametro di ineludibile uguaglianza di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello StatoÓ.

Ne segue la contrarietˆ della disposizione dellĠart. 80 della L. 388/2000 al precetto dellĠart. 14 della CEDU.

Pare poi alla decidente che ad una simile conclusione segua il potere-dovere del giudice di disapplicare la norma nazionale medesima, almeno quando essa, come nella specie, ostacoli il soddisfacimento del diritto tutelato dalla fonte internazionale in confronto dello Stato.

           Ed invero  noto come il contenuto dellĠart. 14 della CEDU (secondo cui Òil godimento dei diritti e delle libertˆ riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizioneÓ) si trovi, per quanto qui interessa, replicato nellĠart. 21 della Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione Europea a norma del quale ҏ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'etˆ o le tendenze sessualiÓ.

Mentre lĠart. 52 comma 3 della Carta dei Diritti fondamentali dellĠUnione prescrive che Òladdove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono eguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzioneÓ.

Infine a norma dellĠart. 6 del Trattato sullĠUnione Europea (come modificato dal Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1Ħ.12.2009) ÒL'Unione riconosce i diritti, le libertˆ e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattatiÓ.

Deve allora concludersi che, in esito allĠentrata in vigore del Trattato di Lisbona, alla Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione deve attribuirsi efficacia diretta verticale in confronto degli Stati membri (lĠefficacia cio propria dei trattati) nellĠambito di applicazione della Carta stessa, come definito dal suo art. 51, a norma del quale Òle disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli
organi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietˆ come pure
agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'UnioneÓ.

Ora  noto come, pacificamente rientrante tra le materie regolate dal diritto dellĠUnione quella della sicurezza sociale, la Corte di Giustizia adotti di tale nozione una lettura assai ampia, non limitata cio al novero delle prestazioni (di malattia, maternitˆ, invaliditˆ, vecchiaia, superstiti, infortuni, malattia professionale, disoccupazione e prestazioni per carichi di famiglia, cos“ giˆ secondo lĠambito di applicazione del Regolamento CEE 1408/1971 a norma del suo art. 4) erogate da assicurazioni sociali in favore dei lavoratori subordinati o loro aventi causa, ma comprensiva di ogni prestazione, erogabile in dipendenza delle condizioni di rischio tipico di cui allĠart. 4 del citato Regolamento, spettante al beneficiario individuato dalla legislazione nazionale in forza di una posizione legalmente definita che non consente cio allĠamministrazione erogatrice alcun margine di discrezionalitˆ sul piano della valutazione dello stato di bisogno del soggetto (questo orientamento si fa risalire a Corte di Giustizia, 22.6.1972, C1/72 Frilli; cfr. anche Corte di Giustizia 9.10.1974, Ca-24/1974 Biason; Corte di Giustizia 5.5.1983 C-139/82, Piscitello; Corte di Giustizia 20.6.1991, C-356/1989, Stanton Newton).

Pare allora alla decidente indubitabile che le provvidenze di invaliditˆ civile dellĠordinamento italiano, in quanto prestazioni oggetto di diritti soggettivi erogate in dipendenza di condizioni di rischio certamente comprese tra quelle di cui allĠart. 4 del Regolamento CEE 1408/1971, rientrino nella nozione di sicurezza sociale, come definita dalla Corte di Giustizia, la loro regolamentazione costituendo quindi materia di diritto dellĠUnione.

Ne deriva lĠimmediata soggezione del legislatore nazionale, nella relativa disciplina, alle norme dettate dalla Carta dei diritti fondamentali dellĠUnione, esse aventi nella specifica materia lĠefficacia propria dei trattati ex art. 6 del Trattato UE (come modificato dal Trattato di Lisbona).

In forza di detta efficacia diretta in subiecta materia il principio di non discriminazione di cui allĠart. 21 della Carta (interpretato ex art. 52 della Carta stessa alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo) impone al giudice nazionale la disapplicazione della norma interna contraria al detto principio, quale si  detto essere nella specie lĠart. 80 della L. 388/2000.

E disapplicata la norma nazionale confliggente con il divieto di discriminazione, le domande proposte in confronto dellĠI.N.P.S. vanno accolte secondo le risultanze della CTU, e lĠIstituto di previdenza condannato a corrispondere allĠattrice lĠindennitˆ di accompagnamento con decorrenza dal 1Ħ.1.2009, (data di insorgenza della condizione di invaliditˆ, cfr. sul punto Cass., 7.11.2003 n. 16755 e da ultimo Cass. Sez. Un., 5.7.2004, n. 12207), oltre interessi legali dalle singole scadenze a decorrere da tale data e fino al saldo.

In ordine, infatti, alla decorrenza degli interessi ritiene questo giudice che, a seguito della sentenza costituzionale n. 196 del 27.4.1993, che ha esteso ai crediti per prestazioni di assistenza sociale obbligatoria la disciplina dell'art. 442 c.p.c., come modificato dalla pronuncia n. 156 del 1991 della stessa Corte, sia applicabile anche al credito di cui  processo l'indirizzo giurisprudenziale (giˆ affermatosi con Cass. 26.6.1987 n. 5679, in Foro It. Mass. 1987 e Cass. 9.3.1989 n. 1241, in Riv. inf. mal. prof. 1989, II, 7, e confermato, dopo la sentenza n. 156/91 della Corte Cost., da Cass. n. 3503/92, Cass. Sez. Un., 16.6.1993 n. 6700, in Notiz. giur. lav., 1994, 121, ed ancora da Cass.sez.lav., 23.3.1994, in Foro it. Mass., 1994), secondo il quale il dies a quo per la decorrenza degli interessi (ed eventualmente della rivalutazione) nei crediti previdenziali coincide con il 120Ħ giorno successivo alla presentazione della domanda di prestazione in sede amministrativa, termine previsto dall'art. 7 della L. 11.8.1973 n. 533 per di definizione - eventualmente nella forma del silenzio-rifiuto - della fase amministrativa, ovvero con la data del provvedimento di diniego (o di inesatta liquidazione) della prestazione richiesta, se emanato anteriormente al decorso di tale termine: nell'uno o nell'altro di quei momenti si realizzano, infatti, le condizioni legali per la responsabilitˆ dell'ente obbligato.

            NŽ alcuna innovazione ha comportato, sul punto, lĠentrata in vigore della L. 416/1991, che ha ricondotto il credito previdenziale (ed assistenziale) nellĠambito del principio nominalistico. Infatti tale disciplina, se ha mutato il regime del cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi legali, rendendolo assimilabile a quello previsto dallĠart. 1224 c.c., non ha tuttavia inciso sul peculiare regime di decorrenza degli accessori, nŽ sulla inclusione, costantemente ritenuta dalla giurisprudenza anche costituzionale, del credito previdenziale tra quelli nei quali la mora del debitore  ex re, producendosi automaticamente, senza alcuna necessitˆ di atti di diffida, alla data di maturazione del diritto o, quando, come nella generalitˆ dei casi lĠente abbia diritto ad uno spatium deliberandi, allo scadere di uno dei termini sopra indicati (sul punto ex plurimis Cass., 12.4.1999, n. 3581; Cass. 13.5.2002 n. 6882).

Peraltro nei casi, come quello di specie, nei quali i presupposti del diritto vengano ad esistenza in un momento successivo allo spirare del termine di 120 giorni dalla domanda, gli accessori prenderanno a decorrere, secondo i principi generali, dalla data di maturazione del credito, giacchŽ il termine sopra detto  fissato unicamente quale spatium deliberandi concesso allĠente per provvedere su di una domanda e non opera, quindi, nelle ipotesi (come appunto quella di insorgenza dello stato invalidante, ovvero di maturazione e prova dei requisiti socio-economici nel corso del procedimento amministrativo oltre i 120 giorni dalla domanda o del giudizio) in cui non sia prevista la necessitˆ di una nuova istanza in sede amministrativa (cfr. in tal senso giˆ Cass., 29.7.1995, n. 8332).

            Non vi  luogo a provvedere sulle spese di pertinenza del Ministero dellĠEconomia, convenuto, ma estraneo al giudizio per quanto sopra esposto, in ragione della dichiarata contumacia, mentre lĠaccertata decorrenza del beneficio, successiva anche allĠintroduzione del giudizio (cos“ la domanda essendo accoglibile solo in ragione della speciale disciplina di cui allĠart. 149 disp. att. c.p.c.), impone la compensazione anche delle spese di pertinenza delle altre parti.

Quelle di CTU, quindi, determinate come in separato decreto, dovranno gravare definitivamente sullĠAmministrazione legittimata passiva e giˆ anticipante ex lege in ragione della misura dei redditi dichiarati dallĠattrice.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 429 e 442 c.p.c, definitivamente decidendo, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, dichiara il difetto di legittimazione passiva del Ministero dellĠEconomia e condanna lĠI.N.P.S. a corrispondere alla ricorrente lĠindennitˆ di accompagnamento con decorrenza dal 1Ħ.1.2009, oltre interessi legali sui ratei arretrati dalle singole scadenze a decorrere da tale data e fino al saldo.

Dichiara compensate le spese processuali di pertinenza delle parti costituite, nulla sulle spese del contumace Ministero dellĠEconomia; pone definitivamente a carico dellĠI.N.P.S. le spese di CTU, liquidate come in atti.

Motivazione nei sessanta giorni.

Pisa, 27.9.2010

                                           Il Giudice del Lavoro

                                                                                  Dott.ssa Elisabetta Tarquini