Con decreto del 2/2/2008
Abdelrahim Abdelaziz Shaaban era citato davanti al Tribunale di Roma per
rispondere del reato di cui allĠart. 13 comma 13 D. L.vo 286/1998. AllĠudienza
dellĠ 11/2/2009, nella contumacia dellĠimputato, venivano ammesse le prove che
non potevano essere assunte nelle udienze successive per lĠassenza reiterata ed
ingiustificata dei testimoni. Solo il 29/9/2010 era esaminato il teste Davide
Gizzi, funzionario dellĠUfficio Immigrazione della Questura di Roma, venivano
acquisiti al fascicolo del dibattimento i documenti depositati dalle parti e,
su istanza della difesa, il processo era rinviato al 9/5/2011, udienza in cui, sentite
le conclusioni del Pm e della difesa, il Giudice dava lettura del dispositivo
riservandosi sui motivi.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
¤1 Il fatto
Sulla base della testimonianza
del funzionario dellĠUfficio Immigrazione della Questura di Roma e dai
documenti acquisiti al fascicolo
del dibattimento, emerso che lĠimputato, Abdelrahim Abdelaziz Shaaban il
giorno 8/9/2006 si era presentato presso lĠUfficio immigrazione al fine di
richiedere Òil permesso di soggiorno per lavoro subordinato flussi 2005Ó.
Compiuti gli
accertamenti preliminari, tra cui i riscontri fotodattiloscopici, era risultato
che lĠuomo, sotto lĠalias di Abdelrohim Mostafa (di nazionalit israeliana),
era stato colpito da un decreto di espulsione del Questore di Bolzano del
25/9/2003, con ordine di immediato accompagnamento alla frontiera a mezzo della
forza pubblica ed avvertimento del divieto di reingresso in Italia per 10 anni
senza autorizzazione del Ministero degli Interni pena lĠarresto da sei mesi ad
un anno e nuova espulsione.
Contestualmente,
dalla medesima Autorit, era stato emesso nei confronti dello straniero anche lĠordine
di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, con una motivazione
prestampata, in lingua italiana, in cui si dava atto dellĠ impossibilit di
eseguire lĠaccompagnamento alla frontiera:
-
per
la necessit di procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla sua
identit;
-
per
la necessit di acquisire un valido documento per lĠespatrio;
-
per
indisponibilit di un vettore;
-
per
impossibilit di trattenimento presso un Centro di Permanenza Temporanea.
Il Questore di Bolzano
informava, altres, lo straniero che qualora si fosse trattenuto nel territorio
dello Stato in violazione dellĠordine, sarebbe stato punito con la pena
dellĠarresto da sei mesi ad un anno e si sarebbe proceduto a nuova espulsione
con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica e nel caso
fosse stato trovato ancora sul territorio dello Stato gli sarebbe stata
applicata la pena della reclusione da uno a quattro anni.
Dalla fotocopia dei
documenti allegati nellĠistanza di permesso di soggiorno risulta che Abdelrahim
Abdelaziz Shaaban, sotto dette generalit, era munito di passaporto rilasciato
il 10/7/2006 dallĠAutorit egiziana e da visto di ingresso rilasciato il
28/8/2006 dal Consolato italiano di Alessandria dĠEgitto.
Risulta, quindi, per
tabulas che
lĠimputato, essendo stato espulso dal territorio italiano (con decreto di
espulsione del 25/9/2003) ed avendo lasciato lo stesso (vedi passaporto
rilasciato in Egitto il 10/7/2006), vi ha poi fatto rientro dopo soli tre anni (quantomeno
dallĠ11/9/2006, data di presentazione dellĠistanza di permesso di soggiorno
alla Questura di Roma) senza la speciale autorizzazione del Ministro
dellĠInterno, realizzando una condotta che appare formalmente riconducibile nellĠambito
della fattispecie incriminatrice di cui allĠart. 13 comma 13 D. L.vo n. 286/98.
Va, tuttavia,
rilevato che, per configurare una responsabilit penale per il reato indicato,
occorre che il decreto del Prefetto (nella specie del Questore che a tal uopo
delegato per la Provincia di Bolzano) con il quale stata disposta
lĠespulsione dellĠimputato dal territorio dello Stato sia conforme non solo
alla disciplina interna, ma anche a quella dellĠUnione Europea, quando direttamente
applicabile negli Stati membri, ed in primis alla direttiva 2008/115/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, Òrecante norme e
procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di
paesi terzi il cui soggiorno irregolareÓ, anche detta direttiva
rimpatri.
¤
2 La sequenza procedimentale: il
d.lgs. n. 286 del 1998 (artt. 13 e 14) e la direttiva rimpatri 2008/115
Nel testo unico in
materia di immigrazione prevista la seguente sequenza procedimentale nei
confronti del cittadino di Paese terzo irregolarmente soggiornante in Italia:
- emissione di un decreto
di espulsione
immediatamente esecutivo[1]
da
parte del Prefetto (art. 13, comma 2, D.lgs. n. 286/1998; analogo alla cd. decisione
di rimpatrio di cui alla direttiva) che nella specie, trattandosi della
Provincia di Bolzano, viene per emesso dal Questore. Esso contiene, di solito,
e comunque nella specie, anche il divieto di reingresso nel territorio
italiano per un termine di dieci anni in assenza di una speciale autorizzazione
del Ministro dellĠInterno, corredato dalla previsione della sanzione
penale.
- esecuzione dellĠespulsione da parte
del Questore:
a) con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4,
D.lgs. n. 286/1998);
b) ovvero, se ci
non possibile, anche per fattori estranei alla volont dello straniero quali la
difficolt nellĠidentificazione o la mancanza di documenti per il viaggio, con trattenimento
presso un centro di identificazione e di espulsione (art. 14, comma 1, D.lgs.
n. 286/1998);
c) ovvero, in caso di
impossibilit di trattenimento o di maturazione del termine massimo di
trattenimento di 180 giorni, anche in questo caso per fattori estranei alla
volont dello straniero, come la mancanza di posti disponibili:
-
emissione di un ordine di allontanamento dallo Stato da parte del Questore entro cinque giorni
(art. 14, comma 5 bis, D.lgs. n. 286/1998);
-
in caso di inottemperanza a detto ordine: arresto obbligatorio, assoggettabilit
a misura cautelari coercitive e a procedimento penale con pene sino a quattro
anni (art. 14, comma 5 ter) e sino a cinque anni (art. 14, comma 5 quater), e
lĠemanazione di un nuovo ordine di espulsione con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica, che, nellĠipotesi in cui non possa
essere eseguito, potr determinare lĠemanazione di un nuovo ordine di
allontanamento del Questore, la cui violazione comporter lĠirrogazione di una
ulteriore sanzione penale (art. 14 comma 5 ter terzo e ultimo periodo), con
possibilit di una rinnovata applicazione di una misura cautelare, generandosi
cos una catena potenzialmente infinita di provvedimenti restrittivi della
libert personale finch non venga a cessare la permanenza in Italia dello
straniero.
Come si
puoĠ notare dalla lettura dellĠart. 14 comma 5 ter terzo periodo il SECONDO
nuovo ordine di espulsione con accompagnamento alla frontiera puoĠ essere emesso
dal Prefetto ÒSALVO che lo straniero si trovi in stato di detenzione in
carcereÓ;
- in
caso di reingresso nel territorio italiano, entro 10 anni, senza autorizzazione
del Ministro dellĠInterno: arresto obbligatorio, assoggettabilit a misura
cautelari coercitive e a procedimento penale con pene sino a quattro anni (art.
13, comma 13) e lĠemanazione di un nuovo ordine di espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica;
- in
caso di SECONDO reingresso: arresto obbligatorio, assoggettabilit a misura
cautelari coercitive e a procedimento penale con pene sino a cinque anni (art.
13, comma 13 bis seconda parte), ma questa volta la norma non impone lĠemissione
di nuovo ordine di espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera.
La direttiva rimpatri 2008/115 prevede,
invece, nella stessa ipotesi di presenza irregolare, una diversa sequenza
procedimentale:
á partenza
volontaria della persona irregolarmente dimorante sul
territorio in un termine compreso tra 7 e 30 giorni (art. 7 ¤ 1 direttiva
2008/115/CE);
á in
caso di mancata collaborazione allĠ esecuzione della decisione di
rimpatrio, possibilit per gli Stati membri di comprimere, secondo criteri di
proporzionalit e di stretta necessit (art. 8 ¤ 4 della direttiva), i diritti
di libert dellĠinteressato con strumenti di compressione via via crescenti, fino
allĠuso di misure coercitive;
á se
nessuna misura coercitiva pu essere efficacemente impiegata gli Stati membri
possono trattenere il cittadino, soltanto per preparare il rimpatrio
e/o effettuare lĠallontanamento (a
condizione che vi sia il pericolo di fuga ovvero nel caso in cui lĠinteressato
eviti o ostacoli la preparazione del rimpatrio o dellĠallontanamento). Il
trattenimento deve essere assoggettato a periodici riesami (art. 15 ¤ 3) ha una
durata massima (art. 15 ¤ 5), eventualmente prorogabile (art. 15 ¤ 6 che
delinea i termini massimi per la proroga e le condizioni in cui essa ammessa);
á cessazione
del trattenimento nel caso non vi sia pi una ragionevole
prospettiva di esecuzione della decisione di rimpatrio (art. 15 ¤ 4 direttiva
2008/115/CE), prospettiva che potrebbe venire meno anche semplicemente per la
incapacit o lĠimpossibilit per lo Stato di provvedervi;
á divieto
di ingresso, autonomo dalla decisione di rimpatrio, per non pi di cinque
anni (art. 11 ¤ 2 direttiva 2008/115/CE, salvo il caso dello straniero che
costituisca grave minaccia), quando non sia stato concesso un periodo per la
partenza volontaria o non sia stato ottemperato allĠobbligo di rimpatrio o in
altri casi (art. 11 ¤ 1 direttiva 2008/115/CE)
Anche da una semplice lettura delle sopra indicate sequenze
procedimentali emerge, in modo evidente, il contrasto tra i due sistemi.
NellĠordinamento italiano previsto un provvedimento espulsivo immediatamente
esecutivo con accompagnamento alla frontiera (art. 13 commi 3 e 4) mentre in
quello europeo stabilita una pluralit di modi per eseguire lĠallontanamento,
che va dalla partenza volontaria
allĠaccompagnamento coattivo, connotati da una gradualit e
proporzionalit crescente.
¤
3 la Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 2008, come interpretata dalla sentenza della Corte di giustizia UE, 28
aprile 2011, El Dridi (C-61/11 PPU)
La
giurisprudenza italiana, con una ricchissima attivit interpretativa, si
posta il problema della diretta applicabilit nel nostro ordinamento della
Direttiva 2008/115/CE e della sua compatibilit con le fattispecie penali
previste dal D. Lvo 286/1998, sino a richiedere alla Corte di Giustizia
dellĠUnione Europea, con pi questioni pregiudiziali (tutte relative allĠart.
14 comma 5 ter), una pronuncia chiarificatrice che intervenuta, in relazione
solo ad una tra quelle sollevate (la questione pregiudiziale proposta dalla Corte
dĠAppello di Trento con procedura dĠurgenza), con la sentenza 28 aprile 2011,
El Dridi C-61/11 PPU.
Prima di
esaminare i punti essenziali di questa, al fine di valutarne lĠimpatto anche con
riguardo alla definizione del presente processo, si ritiene necessario premettere che lĠItalia:
a) ha violato lĠobbligo
di attuazione della direttiva rimpatri 2008/115, la cui data di scadenza era
prevista al 24/12/2010, mantenendo ferma una legislazione, come quella contenuta
nel decreto legislativo 286/1998, con essa del tutto in contrasto, perch connotata
da condizioni diverse e pi restrittive, rispetto al minimum fissato dalla
legislazione europea;
b) non si avvalsa
della clausola di riserva prevista dallĠart. 2 e, in particolare, per quello che in questa sede
interessa, al ¤ 2 lett. b) che consente agli Stati
membri di non applicare la direttiva ai soggetti Òsottoposti
a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in
conformit della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di
estradizioneÓ;
opzione il cui esercizio, considerate le conseguenze restrittive che ne
derivano, puoĠ esprimersi solo con fonti normative che, in termini inequivoci
ed espressi, manifestano la volont dello Stato membro di escludere determinati
soggetti o situazioni dalla disciplina della fonte sovraordinata. Se, dunque, non stato esplicitamente limitato
dallo Stato italiano lĠambito di applicabilit della citata direttiva rimpatri
ai casi in cui ci sarebbe potuto avvenire (espulsione come conseguenza di un
reato), ne consegue che la disciplina della stessa , ad oggi, estesa a
tutti i casi di espulsione, senza limitazione alle sole espulsioni
amministrative.
¤
3.1: lĠ incompatibilit della sanzione penale prevista dagli artt. 13 commi 13
e 13 bis con il sistema sovraordinato europeo
Il
procedimento argomentativo seguito dalla Corte di Giustizia (da ora CGE), per
pervenire alla declaratoria di incompatibilit dellĠart. 14 comma 5-ter del D.
Lvo 286/1998 rispetto alla direttiva rimpatri, parte proprio dallo scopo perseguito dalla
disciplina europea, scopo costituito dallĠ Òattuazione di unĠefficace
politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni
affinch le persone interessate siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno
rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignitÓ (¤ 31), con il
limite per lo Stato membro di derogare soltanto prevedendo condizioni pi
favorevoli per lo straniero (¤ 33).
Perch
detto scopo possa concretamente essere perseguito dagli Stati membri, la CGE,
ponendo fine ad un dibattito apertosi nella giurisprudenza e nella dottrina
italiana, ha espressamente riconosciuto effetto diretto agli articoli 15 e
16 della direttiva[2], che disciplinano
la misura del trattenimento (ÒTrattenimento ai fini dellĠallontanamentoÓ). Per fare questo,
la Corte ha richiamato i suoi precedenti, secondo cui, allorch lo Stato non
abbia recepito, o non abbia recepito correttamente, una direttiva entro il
termine previsto – come appunto il caso dellĠItalia, ma non solo -, i
singoli sono legittimati ad invocare, contro lo Stato, le disposizioni della
direttiva che appaiano incondizionate e sufficientemente precise (¤ 46), come
indubbiamente sono gli articoli 15 e 16, l dove fissano requisiti, modalit e
limiti del trattenimento. Al riguardo si riporta testualmente il ¤ 47 della
sentenza El Didri: ÒÉgli artt. 15 e 16 della direttiva 2008/115,É., come
si evince dal punto 40 della presente sentenza, sono incondizionati e
sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perch
gli Stati membri li possano mettere in attoÓ.
Altrettanto
incondizionato e sufficientemente preciso si ritiene, per le stesse
motivazioni, anche lĠart. 11 della direttiva, che non era oggetto della
questione sottoposta allĠesame della CGE, e che riguarda il divieto di ingresso
(vedi infra).
Da
ci consegue che il giudice italiano, che allo stesso tempo giudice
dellĠUnione Europea, tenuto a riconoscere allo straniero i diritti che il
legislatore avrebbe dovuto garantirgli entro il termine fissato per il
recepimento della direttiva, ovverosia entro il 24/12/2010, mediante
lĠapplicazione di questa.
Ma
il nucleo davvero significativo della citata sentenza, anche ai fini della
presente decisione, riguarda le ricadute della direttiva rimpatri, pi
complessivamente, sul sistema penalistico degli Stati membri, tra cui
ovviamente il nostro.
La
CGE sottolinea, al ¤ 53, come il diritto dellĠUnione, pur non incidendo sulla
legislazione penale e di procedura penale, che , infatti, rimessa alla
competenza degli Stati membri, possa comunque riverberare i propri effetti su
tale ambito giuridico che non deve Òcompromettere la realizzazione degli
obiettivi di una direttiva e Éprivare questĠultima dellĠeffetto utileÓ (¤ 55).
Con
specifico riguardo poi agli ordinamenti interni Òin tema di immigrazione
clandestina e di soggiorno irregolare, [gli Stati membri ] devono fare in modo
che la propria legislazione in materia rispetti il diritto dellĠUnioneÓ (cos la seconda
parte del ¤ 54 della sentenza della CGE).
LĠeventuale
norma penale che non realizzi lĠeffetto utile della direttiva, consistente
nellĠesecuzione del rimpatrio dello straniero irregolare, e contrasti con essa,
dovr essere disapplicata, rectius non applicata, da parte del giudice interno;
fatto, comunque, salvo il diritto dello Stato membro di adottare, ai sensi
dellĠart. 8 n. 4 della direttiva, anche misure coercitive (indicate come Òaccompagnamento
coattivo alla frontieraÓ).
Solo
quando queste non abbiano raggiunto il loro risultato, ovverosia il rimpatrio, subentrer
anche il diritto di prevedere sanzioni penali - necessariamente non
detentive - nei confronti dello straniero inottemperante, dotate della capacit
di dissuasione dal continuare a soggiornare illegalmente nel territorio dello
Stato (¤ 52).
Seguendo
sempre il percorso interpretativo tracciato dalla CGE, di tutta evidenza che lĠeventuale
sanzione penale detentiva, conseguenza o di
una semplice condotta di mancata cooperazione dello straniero alla procedura di
rimpatrio (con lĠinosservanza allĠordine di allontanamento: art. 14) o di una
violazione di carattere formale (come il successivo rientro prima del termine senza
autorizzazione del Ministro dellĠInterno art. 13), quasi sempre, come nel caso
in esame, senza alcun previo tentativo da parte dello Stato di provvedere
allĠaccompagnamento coattivo alla frontiera o ad altre forme coercitive pi
gradate, si pone, per sua stessa natura, in contrasto con lĠeffetto utile stabilito
dagli articoli 15 e 16 della direttiva (¤¤ 55-59), alla luce del principio di
leale cooperazione tra Stati membri e Unione.
DĠaltra
parte, se lĠobbiettivo dello Stato, di fronte ad una condizione di accertata
irregolarit del cittadino di Paese terzo che abbia fatto rientro senza
autorizzazione ministeriale nello Stato, quello dellĠallontanamento di questi
dal territorio, risulta non solo incompatibile con il sistema dellĠUnione, ma
anche palesemente irragionevole, costoso ed inefficace, il farraginoso
meccanismo previsto dallĠart. 13 commi 13 e 13 bis (arresto obbligatorio;
giudizio direttissimo, applicabilit della custodia cautelare durante il
processo, irrogazione di una pena detentiva fino a 4/5 anni) che si inserisce,
peraltro, in via incidentale, nellĠambito del procedimento amministrativo di
espulsione, non consentendo lĠobiettivo finale dellĠallontanamento dello
straniero, cui lo Stato , invece, tenuto in forza della direttiva (¤ 59).
EĠ utile al riguardo riportare testualmente i ¤
58 e 59 della sentenza che, si ritiene, costituiscano il nucleo della
pronuncia:
Ò58
Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di
ovviare allĠinsuccesso delle misure coercitive adottate per procedere
allĠallontanamento coattivo conformemente allĠart. 8, n. 4, di detta
direttiva, una pena detentiva, come quella prevista allĠart. 14,
comma 5‑ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perch un
cittadino di un paese terzo, dopo che gli stato notificato un ordine di lasciare
il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine
scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi
devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di
rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.
59 Una tale
pena,
infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalit di
applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dellĠobiettivo
perseguito da detta direttiva, ossia lĠinstaurazione di una politica efficace
di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno
sia irregolare. In particolare, come ha rilevato lĠavvocato generale al
paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella
oggetto del procedimento principale pu ostacolare lĠapplicazione delle misure
di cui allĠart. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare
lĠesecuzione della decisione di rimpatrioÓ
La
ragione del sistema coercitivo scelto dal legislatore italiano ben
esplicitata nella Presa di posizione dellĠAvvocato generale Jan Mazak, del I
aprile 2011, nel processo El Didri in cui, dopo essere stato individuato il
punto in comune tra la direttiva 2008/115 ed il decreto legislativo
n. 286/998 (prevedere la possibilit che il cittadino di un paese terzo
che soggiorna irregolarmente nel territorio di uno Stato membro non ottemperi
allĠordine dellĠautorit pubblica di lasciare il territorio nazionale nel
termine prescritto), si conclude che le conseguenze che derivano dallĠinottemperanza
allĠordine sono profondamente diverse:
- nel sistema della direttiva
2008/115 pu determinare, ai sensi dellĠart. 15, n. 1, il
trattenimento del cittadino di un paese terzo quale misura necessaria per
eseguire la decisione di rimpatrio e semprech non possano essere efficacemente
applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive;
- nel decreto
legislativo n. 286/1998 detto comportamento qualificato come reato
punibile con la pena della reclusione da uno a quattro anni e la relativa
sanzione detentiva, per ci solo, non
puoĠ avere i connotati del trattenimento di cui allĠart. 15 della direttiva, perch
non finalizzata al rimpatrio, ma alla sua stessa espiazione.
Detto
diverso trattamento trova la propria ratio nella prevalenza per lo
Stato italiano, Òdi punire la violazione di un ordine dellĠautorit che
costituisce una grave lesione dellĠordine pubblico e, di conseguenza, tale pena
non una misura coercitiva destinata a dare esecuzione alla decisione di
rimpatrio, ma costituisce una reazione repressiva dellĠordinamento giuridico,
subordinata alla verifica della mancanza di un giustificato motivo per la
violazione di un ordine dellĠautoritÓ (cos la Presa di pozione al ¤ 40).
Lo
stesso avviene nellĠipotesi delittuosa di cui allĠart. 13 comma 13 (e 13 bis
seconda parte) del D. Lvo 286/1998 in cui lo straniero:
- espulso dallo
Stato italiano;
- viene rimpatriato
(volontariamente o a mezzo di accompagnamento coattivo) con obbligo di non
tornare entro 10 anni o comunque per un periodo non inferiore a 5 anni
(articolo 13 comma 14) salva la speciale autorizzazione del Ministro
dellĠInterno;
- fa rientro nel
territorio prima del termine fissato dal Prefetto senza autorizzazione.
In
detto caso la norma prevede, in prima battuta, che lo straniero deve essere
punito, previo arresto obbligatorio e rito direttissimo, con la pena da uno a
quattro anni di reclusione e solo una volta scontata la sanzione Ò nuovamente
espulso con accompagnamento immediato alla frontieraÓ.
LĠart.
13 comma 13 bis seconda parte (seconda trasgressione al reingresso) dopo avere
previsto la sanzione (da uno a cinque anni di reclusione) non fa neanche menziona
della successiva espulsione a differenza del comma che lo precede.
In
questo modo viene disvelato come il Òdiritto penale dellĠimmigrazioneÓ, ed in
particolare gli artt. 13, commi 13 e 13 bis, e 14, commi 5 ter e quater, non sia
altro che lo strumento attraverso il quale si compie una prova di forza tra
lĠAutorit, che impone lĠordine di non rientro nel territorio italiano (art.
13) o di rimpatrio (art. 14), e lo straniero che non lo rispetta, con la
conseguente criminalizzazione della trasgressione (art. 13) o dellĠ
inottemperanza (art. 14) che viene punita con una pena detentiva capace di prevalere
sullĠopposta esigenza di eseguire lĠespulsione.
Nella
scelta tra interessi divergenti costituiti, da un lato, dallĠesercizio della
potest punitiva dello Stato, con conseguente trattenimento dello straniero
irregolare per lĠesecuzione della pena detentiva e, dallĠaltro lato, da
unĠefficace politica di rimpatrio degli stranieri irregolari, lo Stato
italiano, con il sistema di cui agli artt. 13 e 14 del Testo Unico
Immigrazione, sceglie inequivocabilmente il primo, con inevitabile e deliberato
travolgimento del secondo.
Se
a ci si aggiunge che, nel caso in esame, nei confronti di Abdelrahim Abdelaziz Shaaban non era stato neanche tentato
lĠaccompagnamento coattivo alla frontiera o il trattenimento presso un Centro
di identificazione al fine di provvedere successivamente al suo rimpatrio, di
tutta evidenza che la sanzione penale detentiva , in sostanza, lĠunico
strumento predisposto dallĠordinamento interno per fare fronte alla presenza
irregolare dellĠimputato che prima ha persino ottemperato, volontariamente e
con mezzi propri, allĠespulsione, e poi ha trasgredito lĠordine di rientro per
violazione del termine e assenza dellĠautorizzazione; con tutto ci che ne
consegue in termini di irragionevolezza del sistema e di ovvia incompatibilit
con la finalit perseguita dalla direttiva 2008/115, per come interpretata
dalla Corte di Giustizia con la sentenza El Didri.
¤
3.2: lĠ incompatibilit del procedimento amministrativo di cui allĠart. 13
commi 3 e 4 presupposto della fattispecie penale di cui allĠart. 13 comma
13 e 13 bis seconda parte D. Lvo
286/98
Valutato
il profilo dellĠ incompatibilit finalistica e di sistema dellĠart. 13 comma 13
con la direttiva rimpatri, si passa adesso ad esaminare il profilo della
ritenuta incompatibilit procedimentale, con la medesima disciplina dellĠUE
(sinteticamente riportata al ¤ 2 cui si rinvia): a) del decreto di espulsione
emesso il 25/9/2003 dal Questore di Bolzano (Autorit competente per la
provincia di Bolzano in luogo del Prefetto), con divieto di reingresso in
Italia per 10 anni senza autorizzazione del Ministero degli Interni; b) del
contestuale ordine di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni,
emesso dalla medesima Autorit nei confronti di Abdelrahim Abdelaziz Shaaban.
A
fronte di un sistema europeo improntato sulla gradualit crescente nellĠuso
delle misure coercitive (vedi artt. 7, 8 e 15 della direttiva rimpatri) che
vanno dalla partenza volontaria allĠaccompagnamento coattivo (ultima e pi
grave forma di allontanamento), proprio in ragione del contemperamento tra
efficace azione di controllo dei flussi migratori e tutela dei diritti di
libert dei cittadini di Paesi terzi; lĠart. 13 della disciplina interna prevede,
invece, lĠimmediata esecuzione del provvedimento di espulsione con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ed applicazione,
quindi, della massima forma coercitiva prevista dalla direttiva, senza alcuna
gradualit e proporzionalit rispetto, peraltro, al medesimo interesse
perseguito. Il sistema del D. L.vo 286/1998 strutturato secondo condizioni deteriori
e diverse rispetto a quelle tassativamente stabilite dagli articoli 15 e 16
della direttiva, con una incompatibilit tra il sistema sovraordinato del
diritto dellĠUnione e lĠordinamento interno che involge non solo il profilo
finalistico, ma prima ancora quello procedimentale.
Infatti,
da questi due angoli visuali, non vi dubbio che lĠart. 13, commi 3,4 e 13,
cos come tutte le disposizioni del Testo Unico sullĠimmigrazione relative al
procedimento espulsivo, abbia subto una radicale modifica dallĠapplicazione
della direttiva rimpatri 2008/115, come interpretata dalla sentenza della Corte
di Giustizia, proprio nella logica funzionalistica che informa complessivamente
detta pronuncia.
Da
un lato si ravvisa una evidente compromissione dellĠobiettivo perseguito
dallĠart. 8 n.1, rappresentato dal privilegiare lĠesecuzione della decisione di
rimpatrio dello straniero irregolare rispetto a forme di coercizione della sua
libert personale che la ostacolano e violano il principio di proporzione (vedi
il ¤ che precede); dallĠaltro lato emerge lĠassenza della obbligatoria
gradualit procedurale del regime espulsivo che costituisce, peraltro, il
presupposto dell'elemento normativo della fattispecie penale oggetto del
presente processo.
Al
riguardo si richiama il ¤ 50 della sentenza l dove sostiene che ÒÉla
procedura di allontanamento prevista dalla normativa italiana in discussione
nel procedimento principale differisce notevolmente da quella stabilita da
detta direttivaÓ.
In
questo modo la Corte di Giustizia ha voluto sancire un principio interpretativo
che va ben oltre lĠesame del solo articolo 14 e che coinvolge e travolge il
sistema della legislazione interna nel regime delle espulsioni, l dove manca
del tutto una forma graduale e proporzionale delle stesse in un crescendo di
limitazioni e coartazioni delle volont dello straniero irregolare che non puoĠ
mai giungere, comunque, fino allĠapplicazione di una sanzione penale detentiva
incompatibile con lĠobiettivo.
¤
3.3: lĠ incompatibilit del sistema di reingresso dellĠart. 13 comma 13 D. Lvo 286/98 con lĠart. 11 della
direttiva rimpatri
Un ulteriore
profilo di contrasto viene ravvisato anche tra lĠart. 13 comma 13 del D. Lvo
286/1998, in cui lĠordine di espulsione del Prefetto contiene il divieto di reingresso
nello Stato (per un periodo di 10 anni senza la speciale autorizzazione del
Ministro dellĠInterno, salva la possibilit di prevedere un termine pi breve
ma comunque non inferiore a 5 anni) e lĠart. 11 della direttiva rimpatri.
QuestĠultima,
da ritenersi norma ad effetto diretto avuto riguardo alla specificit e
precisione del suo contenuto che non richiede ulteriori adempimenti ed
interventi da parte dello Stato membro, stabilisce una disciplina in tema di
reingresso che, diversamente dalla nostra, non prevede alcuna automaticit tra decisione
di rimpatrio e divieto di reingresso.
Infatti,
ai sensi del citato art. 11, detto divieto puoĠ essere previsto in tre ipotesi:
a) quando non stato
concesso un periodo per la partenza volontaria (vedi art. 7 ¤ 4 che fa riferimento ai casi di straniero
sostanzialmente pericoloso[3]);
b) quando lo straniero
non ha ottemperato, nel termine, allĠordine di rimpatrio;
c) negli altri
casi.
Il
divieto di reingresso, peraltro, oltre a tenere conto di tutte le circostanze del
caso concreto non puoĠ durare oltre cinque anni (art. 11 ¤ 2), salvo che il
cittadino costituisca un pericolo per lĠordine pubblico, la sicurezza pubblica
o la sicurezza nazionale.
Anche
tra dette disposizioni (art. 13 del D. L.vo 286/1998 e art. 11 della direttiva
rimpatri), che hanno lo stesso ambito applicativo, in quanto riguardano il
medesimo caso - quello cio dellĠordine dato allo straniero irregolarmente
presente di non rientrare nello Stato - vi un insanabile contrasto, avuto
riguardo al contenuto di maggiore favore previsto dalla disciplina europea che,
per ci solo, ne determina unĠapplicabilit retroattiva[4].
Si
pensi, in particolare:
- alla mancanza di
automaticit tra decisione di rimpatrio e divieto di reingresso;
- alla previsione di
un obbligo di reingresso solo in casi in cui lo straniero ha dato prova, in
concreto, di una condotta gravemente negativa e dimostrativa di una volont di
pervicace violazione degli ordini dellĠAutorit in relazione alla permanenza
irregolare (rischio di fuga, domanda di soggiorno fraudolenta, soggetto
pericoloso);
- ad una durata del
divieto di reingresso valutata tenendo conto del caso concreto e che, comunque,
non puoĠ superare il termine massimo di cinque anni;
- alla revocabilit
del divieto quando lo straniero dimostri di avere ottemperato volontariamente
ad una decisione di rimpatrio (art. 11 ¤ 4).
A questo
ultimo riguardo si sottolinea che, nel caso oggetto del presente processo, si perverrebbe
al paradosso che, se non fosse disapplicato lĠatto amministrativo presupposto
della fattispecie penale di cui allĠart. 13 comma 13 del D. Lvo 286/1998, Abdelrahim
Abdelaziz Shaaban sarebbe passibile di essere sottoposto ad una sanzione penale
detentiva grave, in relazione proprio allĠipotesi in cui la direttiva 115 prevede,
in capo agli Stati membri, la revocabilit del divieto del rimpatrio.
Infatti,
come risulta dagli atti, lĠimputato aveva ottemperato volontariamente
allĠordine di espulsione ed aveva dimostrato documentalmente di avere fatto
ritorno nel proprio Paese, lĠEgitto.
¤
3.4: effetti dellĠ incompatibilit del sistema previsto dallĠart. 13 del D. Lvo
286/98
Il
sopravvenuto ritenuto contrasto della disciplina espulsiva prevista dal D. L.vo
286/98 con la direttiva rimpatri impone al Giudice la non applicazione, per
sopravvenuta illegittimit, dellĠart. 13 di tale D. L.vo che attribuisce al
Prefetto e al Questore la potest amministrativa sulla base della quale sono
emessi lĠordine di espulsione e lĠintimazione a lasciare il territorio dello
Stato, atti-presupposto per lĠapplicazione della fattispecie penale in questa
sede contestata.
Per
pervenire a detta conclusione non si ignora che la dottrina e la giurisprudenza
amministrativistica sostengano che nella materia valga il principio del tempus
regit actum in
forza del quale Òla legittimit di un provvedimento amministrativo va
valutata con riferimento alle norme di legge in vigore al momento della sua
emanazione, non essendo configurabile unĠillegittimit sopravvenuta a seguito
di norme successive, a meno che la stessa non sia espressamente prevista da
una specifica norma dellĠordinamento ovvero non sopravvengono
norme di sanatoria anche in favore di situazioni su cui lĠamministrazione ha
gi provvedutoÓ[5].
Tuttavia,
il problema dellĠincidenza dello ius superveniens sugli atti
amministrativi va rivisitata proprio alla luce della primazia della fonte
europea direttamente applicabile sul diritto interno che impone, non solo ai
giudici nazionali, ma anche alle amministrazioni, di dare piena e completa
attuazione al diritto dellĠUE, compiendo ogni atto necessario a tal fine.
Al
riguardo bene richiamare due decisioni della Corte di Giustizia Europea che
delineano in modo chiaro ed univoco il percorso interpretativo e la gerarchia
delle fonti da rispettare:
a) Ònon in alcun
modo possibile sostenere che la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in
forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta e che
compito dei giudici nazionali garantire, debba negarsi agli stessi singoli nel
caso in cui la controversia abbia ad oggetto la validit di un atto
amministrativo. LĠesistenza di una siffatta tutela non pu dipendere dalla
natura della disposizione di diritto interno contrastante con il diritto
comunitarioÓ[6];
b) Òil principio del
primato del diritto comunitario esige che sia disapplicata qualsiasi
disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma
comunitaria, indipendentemente dal fatto che sia anteriore o posterioreÓ[7].
Se, per ragioni quantomeno di
logica, sullĠAutorit giudiziaria grava lĠobbligo di equiparare lĠatto
amministrativo alla norma nazionale in contrasto con il diritto dellĠUnione, anche
perch altrimenti Òsi creerebbe una discriminazione alla rovescia a danno
delle norme nazionaliÓ[8],
di tutta evidenza che anche il provvedimento amministrativo dovr essere
disapplicato ove non conforme alla disciplina europea Òindipendentemente dal
fatto che sia anteriore o posterioreÓ ad essa.
A ci bisogna aggiungere che
lĠordine di espulsione e la sua esecuzione sono atti per i quali non
applicabile il principio amministrativistico del tempus regit actum, sebbene siano
stati adottati antecedentemente al mutamento della normativa dellĠUE. Invero,
il suddetto principio esplica la propria efficacia allorch il rapporto cui
lĠatto inerisce sia irretrattabilmente definito, e diventi insensibile ai
successivi mutamenti della normativa di riferimento. Tale la circostanza non si
verifica nella specie in quanto lĠassetto prodotto da detti atti permane per il
solo fatto di costituire il presupposto applicativo di fattispecie
incriminatici capaci di determinare lĠirrogazione di sanzioni penali, peraltro
detentive[9].
In conclusione, se
lĠespulsione dello straniero non pu pi essere disposta secondo la procedura
prevista dagli artt. 13 e 14 dec. leg. 286/98, in quanto la stessa in
contrasto con le disposizioni dellĠUE per le ragioni esposte, non sanzionabile
penalmente un soggetto che non ha ottemperato alle prescrizioni contenute in un
precedente provvedimento amministrativo emanato sulla base di tali norme,
poich altrimenti lo stesso sarebbe ingiustamente discriminato rispetto agli
altri stranieri che siano raggiunti oggi dal medesimo provvedimento e che non
potrebbero essere puniti per la violazione delle prescrizioni contenute nello
stesso. Inoltre, una soluzione diversa sarebbe anche in contrasto con il
principio di offensivit in quanto la fattispecie penale continuerebbe a
tutelare lĠesercizio di una funzione amministrativa, che non pu pi
estrinsecarsi nelle forme previste dalla stessa norma penale (in questi termini
vedi Tribunale di Cagliari, sentenza del 14/1/2011, imp. Silla Mody, con
riferimento allĠart. 14 comma 5 ter e Tribunale di Napoli sentenza del
18/2/2011, imp. Perera Siriwardana Muthuporuthotage Dilidu Prasad Rapita, con riferimento
allĠart. 13 comma 13).
¤
4 La formula assolutoria
Dalle
sopra esposte argomentazioni consegue lĠassoluzione dellĠimputato dal reato di
cui allĠart. 13 comma 13 D. L.vo 286/1998 perch il fatto non sussiste, previa
disapplicazione dellĠ atto amministrativo complesso e presupposto, costituito
dal decreto di espulsione contenente il divieto di reingresso e dallĠordine di
allontanamento del Questore di Bolzano, emessi entrambi il 25/9/2003.
Detti
atti sono divenuti illegittimi perch emessi nel rispetto delle disposizioni dettate
dallĠart. 13 D. Lvo 286/1998, in materia di immediata esecutivit del decreto
di espulsione mediante accompagnamento coattivo e di divieto di reingresso
nello Stato prima di dieci anni senza autorizzazione del Ministro dellĠInterno;
disposizioni da ritenersi incompatibili con la sopravvenuta direttiva dellĠUE
2008/115, direttamente applicabile nel nostro ordinamento.
Se
allĠautorit giudiziaria preclusa lĠapplicazione (inapplicazione) delle norme che disciplinano il procedimento
amministrativo di espulsione e di reingresso di cui allĠart. 13, per la
supremazia del diritto dellĠUnione sul diritto interno ritenuto confliggente,
ne consegue che la stessa Autorit giudiziaria deve provvedere alla
disapplicazione degli atti amministrativi emessi nella sua osservanza e che, costituendone
il presupposto, fanno venire meno lĠintegrazione del fatto materiale tipico del
delitto contestato.
Motivi riservati in 30
giorni
P.Q.M.
Visto lĠart. 530
c.p.p.
ASSOLVE
Abdelrahim
Abdelaziz Shaaban, sedicente, dal reato ascrittogli, previa disapplicazione
dellĠatto amministrativo presupposto, perch il fatto non sussiste.
Motivi riservati in 30
giorni
Roma 9/5/2011
Il
Giudice
[1] Eccezione:
lĠ ipotesi, prevista dallĠart. 13 comma 5 dec. leg. n. 286/98, dello straniero
trattenutosi nel territorio italiano con permesso di soggiorno scaduto da pi
di sessanta giorni di cui non sia stato chiesto il rinnovo, per la quale
prevista unĠintimazione a lasciare il territorio entro 15 giorni. Anche in tal caso non stabilita
alcuna proroga del termine per la partenza volontaria.
[2] Articolo 15
Trattenimento
1. Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente
applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono
trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio
soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in
particolare quando:
a) sussiste un rischio di fuga o
b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la
preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento.
Il trattenimento ha durata quanto pi breve possibile ed
mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle
modalit di rimpatrio.
2. Il trattenimento disposto dalle autorit amministrative o
giudiziarie.
Il trattenimento disposto per iscritto ed motivato in fatto
e in diritto.
Quando il trattenimento disposto dalle autorit
amministrative, gli Stati membri:
a) prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimit del
trattenimento su cui decidere entro il pi breve tempo possibile dall'inizio
del trattenimento stesso,
b) oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato
il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame
giudiziario la legittimit del trattenimento su cui decidere entro il pi breve
tempo possibile dall'avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati
membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla
possibilit di presentare tale ricorso.
Il cittadino di un paese terzo interessato liberato
immediatamente se il trattenimento non legittimo.
3. In ogni caso, il trattenimento riesaminato ad intervalli
ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o
d'ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame
sottoposto al controllo di un'autorit giudiziaria.
4. Quando risulta che non esiste
pi alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine
giuridico o per altri motivi o che non sussistono pi le condizioni di cui al
paragrafo 1, il trattenimento non pi giustificato e la persona interessata
immediatamente rilasciata.
5. Il trattenimento mantenuto
finch perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario
ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro
stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non pu superare i sei
mesi.
6. Gli Stati membri non possono
prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non
superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei
casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo,
l'operazione di allontanamento rischia di durare pi a lungo a causa:
a) della mancata cooperazione da
parte del cittadino di un paese terzo interessato, o
b) dei ritardi nell'ottenimento
della necessaria documentazione dai paesi terzi.
Articolo 16
Condizioni di trattenimento
1. Il trattenimento avviene di
norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non
possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro
di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i
cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.
2. I cittadini di paesi terzi
trattenuti hanno la possibilit — su richiesta — di entrare in
contatto, a tempo debito, con rappresentanti legali, familiari e autorit
consolari competenti.
3. Particolare attenzione
prestata alla situazione delle persone vulnerabili. Sono assicurati le
prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie.
4. I pertinenti e competenti
organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno
la possibilit di accedere ai centri di permanenza temporanea di cui al
paragrafo 1, nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini
di paesi terzi in conformit del presente capo. Tali visite possono essere
soggette ad autorizzazione.
5. I cittadini di paesi terzi
trattenuti sono sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei
loro diritti e obblighi. Tali informazioni riguardano anche il loro diritto, ai
sensi della legislazione nazionale, di mettersi in contatto con gli organismi e
le organizzazioni di cui al paragrafo 4.
[3] Art.
7 ¤ 4 della direttiva . ÒSe sussiste il rischio di fuga o se una domanda di
soggiorno regolare stata respinta in quanto manifestamente infondata o
fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico,
la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono
astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno
inferiore a sette giorni.Ó
[4] Corte di Giustizia Europea 29.04.1999, C-224/97
[5] Consiglio di Stato
17.10.2003 n. 6361
[6] Corte di Giustizia
Europea 29.04.1999, C-224/97 cit: il caso oggetto della citata sentenza appare,
sul punto, esemplare. Un soggetto austriaco, nel 1990, otteneva
lĠautorizzazione dallĠamministrazione locale di allestire 200 posti barca sul
lago di Costanza, dovendo per limitare la loro fruibilit a non oltre 60
soggetti residenti allĠestero. Nel 1996, al privato veniva comminata una
sanzione amministrativa per aver violato tale divieto, risultando essere 62 i
posti barca messi a disposizione di persone non residenti in Austria. La Corte
di Giustizia ha ritenuto che il provvedimento autorizzatorio, pur se legittimo
nel 1990, fosse divenuto contrastante con il diritto comunitario a partire
dallĠadesione alla U.E. dellĠAustria (avvenuta nel 1995), cosicch esso andava
disapplicato Ònella valutazione della legittimit di unĠammenda irrogata per
inosservanza di tale divieto dopo la data di adesioneÓ.
[7] Corte di Giustizia
Europea 09.09.2003, C-198/01.
[8] Consiglio di Stato
21.02.2005, n. 579.
[9] Consiglio
di Stato, Adunanza Plenaria - sentenza 10 maggio 2011 n. 8