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Sentenza n. 5727 del 26 ottobre 2011 Consiglio di Stato

Diniego rinnovo permesso di soggiorno - condanna irrevocabile per sfruttamento della prostituzione (art.81,110 ed art. 3, n.8, della legge 20 febbraio 1958, n. 75)

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm..
sul ricorso numero di registro generale 6649 del 2011, proposto da: *****, rappresentata e difesa dall'avv. Aldo Cantelli, con domicilio eletto presso Ivan Pupetti in Roma, viale di Vigna Pia, 60;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VI n. 00359/2011, resa tra le parti, concernente DINIEGO RINNOVO PERMESSO DI SOGGIORNO

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 settembre 2011 il Cons. Alessandro Palanza e udita per la parte resistente l’avvocato dello Stato Bruni;

Sentita la stessa parte ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

1. *****, cittadina cinese, ha impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, il decreto del Questore di Caserta del 27 luglio 2010, notificato il 6 settembre 2010, con il quale è stata respinta l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, da lei presentata in data 12 marzo 2009, motivato da una condanna riportata dalla ricorrente, in data 27 giugno 2006, del tribunale di Monza, divenuta irrevocabile il 31 ottobre 2006, per sfruttamento della prostituzione (art.81,110 ed art. 3, n.8, della legge 20 febbraio 1958, n. 75).

2. Il T.A.R. di Napoli ha respinto il ricorso in questione interpretando le vigenti disposizioni di legge, sulle basi di un’ampia giurisprudenza, nel senso che la condanna per uno dei reati previsti dall’articolo 4 del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, tra cui rientrano i reati concernenti la prostituzione, costituisce un automatico impedimento, ai sensi del successivo articolo 5, comma 5, al rinnovo del permesso di soggiorno e non richiede un’autonoma valutazione della pericolosità sociale.

3. Avverso detta decisione la signora ***** ha proposto atto di appello, rilevando in particolare come la sentenza del T.A.R. non abbia preso in considerazione:

- la significativa attività di lavoro oggi svolta in forma di impresa dalla ricorrente, che ha aperto diversi negozi in varie città dell’area vesuviana;

- il fatto che la ricorrente abbia avuto tre figli in Italia che frequentano regolarmente la scuola, e che pertanto abbia una posizione analoga a chi ha effettuato ricongiungimento familiare ai fini della applicazione delle disposizioni dell’art. 5, comma 5, secondo periodo, del D.lgs. n. 286/1998;

- che il reato commesso abbia avuto carattere unico e occasionale e risalga ad epoche oramai remote e che vi sono i presupposti per presentare, appena trascorsi i cinque anni, istanza di riabilitazione.

- che sia evidente l’assoluta assenza di pericolosità sociale dell’appellante, confermata dal lungo periodo trascorso dall’unico reato commesso senza altre segnalazioni di rilevanza penale.

In sostanza l’autorità amministrativa ha adottato un provvedimento privo della necessaria istruttoria, motivato solo dall’automatismo degli effetti della condanna, senza considerare la situazione familiare e la effettiva pericolosità sociale.

4. La causa è passata in decisione nell’udienza del 16 settembre 2011.

Il Collegio, dato il prescritto preavviso, alle parti ha ritenuto di poter decidere direttamente nel merito.

5. Il Collegio osserva che, come correttamente posto in rilievo dal T.A.R., l'art. 4, comma 3, del D.lgs. n. 286/1998, implicitamente richiamato, ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, dall’art. 5, comma 5, del medesimo decreto legislativo, individua specifiche ipotesi preclusive dell'ingresso e della permanenza dello straniero in Italia, tra le quali rientrano le condanne penali per reati concernenti la prostituzione . In tali casi la normativa vigente individua come fatto ostativo la condanna senza attribuire alcun rilievo agli aspetti richiamati nell’appello, quali la unicità o occasionalità della condanna e l’ attività di lavoro regolarmente svolta dall’appellante, anche in forma di autonoma attività di impresa.

E’ vero però che l’articolo 5, comma 5, secondo periodo (testo introdotto dal decreto legislativo n. 5/2007 in attuazione di una direttiva europea), prescrive che quando il soggetto abbia esercitato il ricongiungimento familiare “si [tenga] anche conto della natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari con il paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”.

La ratio di tale disposizione è volta a determinare una fase di attenzione, nel procedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, ove si verifichi la divisione di nuclei familiari, dopo che vi è stato un precedente procedimento di ricongiungimento.

Alla luce di detta ratio, la giurisprudenza si sta orientando per una interpretazione relativamente estensiva del disposto dell’art. 5, comma 5, nella parte introdotta dal d.lgs. n. 5/2007. In pratica, si tende ad equiparare allo straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, lo straniero il cui stato di famiglia sia identico a quello che risulterebbe da una procedura di ricongiungimento; procedura peraltro non attuata ma solo perché non ve ne sia stato effettivo bisogno.

Questo è appunto il caso dell’attuale appellante. Il suo nucleo familiare include tre figli in tenera età, tutti conviventi con la madre. Non vi è dubbio che se in mera ipotesi taluno di essi si fosse trovato all’estero, l’interessata avrebbe avuto il diritto al ricongiungimento, chiedendo che quelli la raggiungessero in Italia. Questa procedura non vi è stata per la semplice ragione che i figli sono nati in Italia e convivono con la madre dalla nascita. Sarebbe irragionevole ed iniquo se un nucleo familiare con queste caratteristiche ricevesse una tutela minore di quella che la legge accorda ad un nucleo di uguale composizione che però per (ri)costituirsi sia dovuto passare attraverso una procedura di ricongiungimento. Semmai sarebbe ragionevole accordare una tutela maggiore, anziché minore, al nucleo venuto ad esistenza in Italia per effetto della nascita dei figli da una madre immigrata.

6. Il provvedimento impugnato in primo grado appare dunque illegittimo in quanto nella sua motivazione non sono state introdotte quelle valutazioni discrezionali che il decreto legislativo n. 5/2007 richiede a tutela delle famiglie dei migranti.

Di conseguenza l’appello va accolto ed in riforma della sentenza appellata il provvedimento amministrativo deve essere annullato. S’intende che restano salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione, che però dovranno conformarsi ai criteri sopra accennati; e cioè mettere in ragionata comparazione le esigenze di pubblica sicurezza e di prevenzione dei reati (tendo conto anche della maggiore o minore gravità dei precedenti penali, etc.) con la doverosa tutela della famiglia.

7. L’appello è pertanto accolto. Si ravvisano giusti motivi che consentono di compensare le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate per i due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 settembre 2011
         

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/10/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Mercoledì, 26 Ottobre 2011

 
 
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