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Sentenza n. 4822 del 26 agosto 2011 Consiglio di Stato

Revoca carta di soggiorno e diniego rilascio permesso di soggiorno

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato


in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 6194 del 2011, proposto da:
*****, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Gambarino, con domicilio eletto presso Segreteria Consiglio Di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Questore di Brescia, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 00565/2011, resa tra le parti, concernente della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 00565/2011, resa tra le parti, concernente REVOCA CARTA DI SOGGIORNO E DINIEGO RILASCIO PERMESSO DI SOGGIORNO (decreto Questore di Brescia 27 marzo 2009, cat.A.12)-MCP-

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questore di Brescia e di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2011 il Cons. Pier Giorgio Lignani. Nessuno presente;

FATTO E DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, cittadino albanese presente in Italia con regolare permesso di soggiorno, ha chiesto il rinnovo del permesso medesimo, in prossimità della scadenza.

Il rinnovo è stato rifiutato con la motivazione che l’interessato aveva recentemente riportato una sentenza penale per un reato in materia di sfruttamento della prostituzione (in questo caso minorile) e che il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del testo unico n. 286/1998 qualifica precedenti penali di questo tipo come tassativamente ostativi del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno.

2. L’interessato ha proposto ricorso davanti al T.A.R. di Brescia, ma quest’ultimo con sentenza n. 565 del 15 aprile 2011 ha respinto il ricorso.

L’interessato propone ora appello davanti al Consiglio di Stato.

In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, assenti le parti, il Collegio ravvisa le condizioni per una definizione immediata della controversia e procede in tal senso.

3. Preliminarmente il Collegio rileva che si potrebbe prospettare l’inammissibilità del ricorso, in quanto esso risulta depositato oltre il trentesimo giorno dalla ultima notifica.

Tuttavia da tale questione – non discussa – si può prescindere in quanto il ricorso appare comunque infondato nel merito.

In punto di fatto non è controverso che il ricorrente abbia riportato una condanna penale per il reato di sfruttamento della prostituzione continuato e in concorso (artt. 81, 110 e 600-bis del codice penale). Precisamente è stato condannato alla reclusione per tre anni e due mesi, nonché alla multa di 8.000 euro, a seguito (a quanto pare) dell’applicazione dei benefici inerenti al rito abbreviato.

Ma se questo è vero, ne consegue che trova applicazione il combinato disposto degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del testo unico n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002.

Quanto all’interpretazione di queste disposizioni, la giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che esse comportano un tassativo divieto di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, senza margini per valutazioni discrezionali riferite alla gravità del reato nel caso concreto, all’indole pericolosa o meno del soggetto, e via dicendo.

Una certa apertura a simili valutazioni discrezionali, semmai, è stata introdotta da una linea giurisprudenziale della VI Sezione del Consiglio di Stato riferita ad una ipotesi peculiare: e cioè al caso che il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno si basi in concreto su una condanna penale remota nel tempo e sinora mai presa in considerazione a tal fine dall’autorità di pubblica sicurezza. E’ stato osservato che in tale ipotesi l’atteggiamento dell’amministrazione (concretatosi in reiterati rinnovi accordati de plano) non solo ha ingenerato un certo affidamento, ma ha altresì lasciato nascere e consolidare rilevanti situazioni di fatto (come ad esempio la formazione di una famiglia radicata nel territorio nazionale) che non possono non meritare una certa considerazione.

Questa linea giurisprudenziale, peraltro, non è pertinente nel caso in esame, perché qui la condanna penale ha preceduto solo di alcuni mesi il provvedimento impugnato.

4. Altra questione è quella delle modifiche apportate al citato art. 5, comma 5, dal decreto legislativo n. 5/2007, che vi ha introdotto un temperamento con riguardo ai casi dello straniero che abbia usufruito del ricongiungimento familiare (attivo o passivo), e dello straniero che sia presente in Italia da un considerevole periodo di tempo.

Nella specie, peraltro, il ricorrente nulla dice riguardo ad una particolare situazione di famiglia, sicché sotto questo profilo non vi è luogo a discutere. Invece egli invoca la lunga durata della sua presenza in Italia.

In proposito, si osserva che la disposizione introdotta dal d.lgs. n. 5/2007 non specifica quanto debba essere lungo, a questi fini, il periodo di soggiorno in Italia. Tuttavia si può supporre che il legislatore nazionale – pur senza citarla - abbia qui inteso uniformarsi alla direttiva comunitaria n. 109/2003 concernente la tutela dei soggiornanti di lungo periodo. In questa luce però la speciale tutela spetterebbe solo a chi abbia ottenuto formalmente il relativo status con il rilascio dell’apposito titolo (c.d. carta di soggiorno).

A tutto concedere, si può ipotizzare che il d.lgs. n. 5/2007 abbia voluto dare rilievo ad una presenza di durata sufficientemente lunga per poter chiedere la carta di soggiorno, anche a prescindere dal possesso degli ulteriori requisiti per ottenerla. Si tratterebbe dunque della durata di cinque anni.

Nella specie, il ricorrente deduce di essere entrato in Italia e di avere ottenuto il primo permesso di soggiorno nel corso del 1999. Rientrerebbe dunque nella sfera di applicazione della norma in esame.

5. Ciò posto, si osserva tuttavia che il provvedimento impugnato in primo grado, pur senza menzionare esplicitamente la norma, se ne dà comunque carico, in quanto attesta di avere verificato che «lo straniero non ha vincoli familiari con persone presenti sul territorio nazionale, vive con un amico e frequenta prevalentemente connazionali, non risulta positivamente inserito nel contesto sociale».

Quindi non si può dire che la Questura abbia assunto come dirimente il fatto della condanna penale, trascurando di valutare altri elementi.

6. Quanto al merito delle motivazioni testé citate, si osserva che non risultano positivamente contraddette dall’appellante, se non per quanto riguarda l’aspetto dell’”inserimento sociale” che a suo dire sarebbe emerso positivamente dagli atti del processo penale. Nondimeno, a questo proposito non si può sfuggire alla considerazione che dagli atti del processo penale è emerso soprattutto che l’interessato sfruttava abitualmente la prostituzione. A parte ciò, si potrà forse addebitare alla motivazione del Questore una certa sommarietà, ma il giudizio sulla sua adeguatezza non può prescindere dalla notevole gravità della condanna penale. Gravità che risulta sia dal titolo del reato che dall’entità della pena.

Inoltre conviene notare che il ricorrente non deduce, ad esempio, di aver perduto ogni riferimento e legame con la terra di origine; anzi da un documento prodotto dalla sua difesa (doc. 6) sembra doversi desumere che sia tuttora iscritto all’anagrafe del luogo di nascita, nello stato di famiglia dei genitori. A differenza di altre situazioni che vengono all’esame del giudice amministrativo, non si può dunque dire che il rientro nella patria di origine sia ostacolato dall’impossibilità di rintracciarvi legami familiari e relazioni sociali.

7. In conclusione, l’appello va respinto. Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, rigetta l’appello. Spese compensaate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2011 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore

Lanfranco Balucani, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/08/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Venerdì, 26 Agosto 2011

 
 
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