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Sentenza n. 7506 del 21 settembre 2011 Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Rigetto della domanda di concessione della cittadinanza italiana - insufficiente livello di integrazione nell'ambiente nazionale - esistenza di contatti con associazioni integraliste islamiche

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio


(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10600 del 2010, proposto da:
*****, rappresentato e difeso dagli avv. Massimo Felici, Chiara Busani, con domicilio eletto presso Massimo Felici in Roma, via Montebello,109;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto del Ministro dell’Interno – Sottosegretario di Stato - K10/76987 del 2/9/2010 di rigetto della domanda di concessione della cittadinanza italiana.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2011 la dott. Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il ricorrente, cittadino del Marocco, risiede legalmente in Italia da oltre venti anni.

In data 23/9/04 ha presentato alla Prefettura di Modena la richiesta di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 della L. 5/2/92 n. 91.

L’Amministrazione gli ha inviato il preavviso di diniego, ma la nota non gli è mai pervenuta ed è stata restituita al mittente per compiuta giacenza.

Con il decreto impugnato, il Ministero dell’Interno gli ha negato la concessione della cittadinanza italiana.

Avverso detto provvedimento il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:

1. Illegittimità per carente, omessa e contraddittoria motivazione. Eccesso di potere.

Lamenta il ricorrente la carente motivazione del provvedimento. Il precedente giudiziario richiamato nell’atto sarebbe del tutto inesistente in quanto la denuncia penale si sarebbe conclusa in data 18/1/05 con il provvedimento di archiviazione del G.I.P. presso il Tribunale di Modena, perché il fatto non sussiste.

Il Ministero non avrebbe svolto i dovuti accertamenti sull’esito della denuncia prima di negare la concessione della cittadinanza.

2. Violazione di legge in relazione all’art. 9 comma 1 della L. 91/92 – Carenza di istruttoria e di motivazione – Manifesta irragionevolezza e travisamento dei fatti.

Sostiene il ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe esaminato adeguatamente la sua posizione, in quanto non vi sarebbe a suo carico alcun elemento preclusivo, e la sua condotta di vita sarebbe stata tale da legittimare un giudizio positivo sulla sua stabile integrazione nel tessuto sociale.

3. Violazione del contraddittorio per omessa e irregolare notifica del preavviso di diniego ex art. 10 bis della L. 241/90 e successive modifiche ed integrazioni.

Lamenta il ricorrente la sua mancata partecipazione al procedimento per effetto dell’omessa consegna del preavviso di diniego.

Sostiene che il mancato ricevimento della raccomandata sarebbe imputabile ad un disservizio della P.A. e che ciò gli avrebbe impedito di partecipare al procedimento.

Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso e chiede anche la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio depositando tutti gli atti del procedimento, ivi compresi i pareri acquisiti in sede istruttoria.

Il Ministero ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per infondatezza.

All’udienza pubblica del 12 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il presente ricorso il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Ministero dell’Interno – Sottosegretario di Stato – gli ha negato la concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione.

Il provvedimento impugnato risulta basato su due presupposti:

- il parere negativo reso dal Prefetto di Modena, sulla base delle risultanze del rapporto informativo della Questura di Modena, nel quale è stato evidenziato che lo straniero ha dimostrato un insufficiente livello di integrazione nell’ambiente nazionale;

- il deferimento da parte del Commissariato di P.S. di Sassuolo, in data 2/11/04, alla Procura della Repubblica di Modena per il reato di interruzione di pubblico servizio.

In data 24/12/2010, prima della trattazione della domanda cautelare alla Camera di Consiglio del 25 gennaio 2011, l’Avvocatura erariale ha depositato tutti gli atti del procedimento, ivi compresi i pareri resi dal Prefetto di Modena e dalla Questura di Modena, dai quali può evincersi in modo chiaro la ragione in base alla quale è stato reso il giudizio negativo.

La Questura di Modena, infatti, con nota del 10/5/06, nel confermare quanto già espresso dal Commissariato di Sassuolo, ha dichiarato che il ricorrente “risulta essere in contatto con gruppi dell’integralismo islamico operanti nella città di Torino, pertanto la concessione della cittadinanza italiana potrebbe in qualche modo favorire il cittadino straniero nelle sue attività a sostegno delle politiche eversive dei vari gruppi islamici”

Dagli atti di causa è emerso infatti che la Questura di Modena ha rilasciato informazioni sul ricorrente alla D.I.G.O.S. della Questura di Torino – relativamente ad un procedimento relativo ad attività di indagini su gruppi terroristici di matrice islamica in Europa.

In sostanza, dagli atti istruttori, è emerso un giudizio negativo sulla condotta del ricorrente – avendo la Questura rilevato l’esistenza di contatti con associazioni integraliste islamiche -, tali da comportare il rigetto dell’istanza.

Tutto il ricorso è invece basato sul presupposto secondo cui l’unico motivo di diniego di concessione della cittadinanza italiana sarebbe costituito dalla denuncia per il reato ex art. 340 c.p.; anche il secondo motivo - con il quale si lamenta l’irragionevolezza ed il travisamento dei fatti -, si limita genericamente a rilevare che la condotta del ricorrente sarebbe irreprensibile, non avendo egli alcuna pendenza penale.

Quanto al terzo motivo, riguarda soltanto le modalità con le quali è gli stato comunicato il preavviso di diniego.

Ne consegue che sul primo motivo di diniego, costituito dal parere negativo della Questura di Modena recepito dalla Prefettura di Modena, non è stata proposta alcuna specifica censura, neppure nella forma dei motivi aggiunti a seguito del deposito dei documenti istruttori, quando era ormai palese la ragione per la quale era stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza: il ricorrente si è limitato a contestare con memoria non notificata, e dunque non nelle forme di rito, quanto ritenuto dalla Prefettura di Modena in merito al suo contatto con gruppi dell’integralismo islamico.

Pertanto, sebbene sia corretto quanto rappresentato dal ricorrente con riferimento al secondo motivo posto a base del provvedimento impugnato (e cioè la denuncia per interruzione di pubblico servizio), in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto verificare l’esito della denuncia penale prima di prenderla in considerazione come elemento ostativo alla concessione della cittadinanza italiana, nondimeno resta incontestato il motivo fondamentale sul quale si basa il provvedimento di diniego: il cittadino straniero non avrebbe dimostrato un sufficiente livello di integrazione nell’ambiente nazionale in considerazione dei suoi contatti con ambienti dell’estremismo islamico, e dunque non vi sarebbe da parte dello Stato italiano alcun interesse ad attribuirgli la cittadinanza italiana.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, il provvedimento di concessione della cittadinanza è atto altamente discrezionale ed è condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con l’atto stesso si intende raggiungere.

E’ opportuno ribadire, richiamando la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lazio Sez. I Ter 1246/09), che i presupposti prescritti dall’art.9 della legge n.91 del 1992 consentono solo di avanzare l’istanza di naturalizzazione, ma non comportano l’automatica concessione della cittadinanza, in quanto al conferimento dello status civitatis italiano è collegata una capacità giuridica speciale propria del cittadino cui è riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici: una capacità alla quale si ricollegano anche doveri che non è territorialmente limitata e cui sono speculari determinati obblighi di facere gravanti sullo Stato comunità (cfr. su tale principio, Cons.St. n.196 del 2005).

Dunque la concessione della cittadinanza italiana – lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi – rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr., sul principio ex multis, Cons.St. n.798 del 1999).

Ne consegue che la norma dell’art.9 c. 1, lett. f) della legge n.91 del 1992 deve essere intesa come indicativa di una fattispecie affidata a valutazioni ampiamente discrezionali che implicano un delicato bilanciamento di interessi fra l’aspirazione di un residente straniero ad essere pienamente integrato nella comunità nazionale, e l’interesse di quest’ultima ad accogliere come nuovi cittadini solo i soggetti in grado di rispettarne le regole, ivi comprese quelle attinenti alla solidarietà sociale, nei termini previsti dalla Costituzione. La sintesi che può trarsi da tali principi è quella per cui l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è legittimo allorquando l’amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità e sia detentore di uno status illesae dignitatis morale e civile, nonché di un serio sentimento di italianità che escluda interessi personali e speculativi sottostanti alla concessione dello status di cui trattasi: concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa.

Occorre inoltre considerare che la concessione della cittadinanza è irrevocabile, e che quindi l’Amministrazione, prima di poter concedere allo straniero lo status di cittadino, deve essere assolutamente certa che il richiedente sia pienamente integrato in Italia e sia compiutamente appartenente alla comunità nazionale, atteso che una volta che lo straniero è divenuto cittadino, non può più essere espulso o sottoposto a controlli ove ritenuto pericoloso, e i suoi atti possono avere anche ripercussioni nei rapporti internazionali, in quanto atti commessi da un cittadino italiano nei confronti di soggetti appartenenti a paesi terzi.

Infine, occorre tener conto che il diniego di cittadinanza non è necessariamente connesso ai soli precedenti penali del richiedente, ma può ben fondarsi anche su valutazioni attinenti alla condotta di vita dello straniero, alle sue frequentazioni, in quanto l’istruttoria dei competenti uffici non si limita al mero accertamento di fatti penalmente rilevanti, ma si estende all’area di prevenzione dei reati.

Pertanto, il giudizio negativo reso dal Prefetto di Modena sull’insufficiente integrazione del ricorrente in Italia costituisce motivo idoneo a supportare il provvedimento di diniego di concessione della cittadinanza se non si provvede a censurarlo nelle forme di rito, dimostrando la sua palese illogicità, irrazionalità, o il travisamento dei fatti.

Come già rilevato in precedenza, nessuna specifica censura è stata invece dedotta al ricorrente al riguardo.

La giurisprudenza ha costantemente ritenuto che in qualora l'atto impugnato si basi su una pluralità di motivazioni autonome (c.d. atto plurimotivato), il ricorso con il quale non si contestino tutte le motivazioni deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, atteso che l'eventuale riconoscimento della fondatezza delle doglianze proposte non esclude l'esistenza e la validità della restante causa giustificatrice dell'atto (ex multis, T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 25 ottobre 2010 , n. 10015; T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 1 luglio 2008, n. 6346; T.A.R. Liguria Genova, Sez. I, 12 luglio 2007, n. 1393; T.A.R. Campania Napoli Sez. VII 8/4/2011 n. 2009)

In presenza di un provvedimento amministrativo sorretto da plurime motivazioni, ricade infatti su chi abbia interesse a rimuoverlo l'onere di contestarne integralmente e tempestivamente l'intero apparato giustificativo, pena altrimenti la definitiva inoppugnabilità dell'atto nelle parti non contestate, quando esse siano autonomamente in grado di supportarne validamente la dimensione motivazionale (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 10 febbraio 2011 , n. 240; T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 03 dicembre 2010 , n. 10729; Cons. Stato sez. IV, 13 novembre 1998 , n. 1524; T.A.R. Liguria Sez. II 11/4/2008 n. 543): il provvedimento impugnato, infatti continuerebbe a produrre i suoi effetti perché mantenuto in vita dal motivo non contestato e da solo sufficiente a giustificare la determinazione in esso contenuta. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 14 ottobre 2010 , n. 32810)

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Solo per completezza esplicativa ritiene il Collegio di dover aggiungere che non vi è stata alcuna irregolarità nella comunicazione del preavviso ex art. 10 bis della L. 241/90, né alcun disservizio da parte dell’Amministrazione dell’Interno, in quanto – secondo la giurisprudenza - nel caso di notificazione di un atto amministrativo effettuata con raccomandata con avviso di ricevimento, trova applicazione la regola del perfezionamento della comunicazione dopo il compimento del periodo di giacenza di trenta giorni, con l'attestazione (nelle forme rituali del rinvio al mittente della busta chiusa) di compiuta giacenza (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 01 aprile 2011 , n. 305).

Infatti, con il decorso del termine di trenta giorni previsto per la giacenza delle raccomandate (a mezzo del rilascio del relativo avviso), l'atto può essere ritenuto regolarmente comunicato, in applicazione dell'art. 1335 c.c., in combinato disposto con l'art. 40 comma 3, D.P.R. 29 maggio 1982 n. 655, la quale impone che le raccomandate che non abbiano potuto essere distribuite e non siano state chieste in restituzione dai mittenti debbano esser depositate presso l'Ufficio Postale di distribuzione per un periodo di giacenza (minimo) di trenta giorni; in tal senso, la comunicazione si perfeziona per il destinatario necessariamente secondo le due seguenti modalità alternative: a) allorché provveda al ritiro del piego; b) per fictio juris (ai sensi dell'art. 1335 c.c.), al momento della scadenza del termine di « compiuta giacenza » (T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 16 giugno 2009 , n. 1103).

Nel caso di specie, l’Avvocatura erariale ha depositato in giudizio la copia della busta dalla quale si evince chiaramente il mancato ritiro dell’atto per compiuta giacenza.

In conclusione, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2011         

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/09/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Mercoledì, 21 Settembre 2011

 
 
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