Consultate
www.uil.it/immigrazione
. Aggiornamento quotidiano sui temi
di
interesse di cittadini e lavoratori stranieri
Newsletter periodica d’informazione
(aggiornata alla data del 6
settembre 2012)
Regolarizzazione immigrati irregolari, ancora incertezze sulla
procedura: domande dal 15 settembre 2012
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti pag.
2
Regolarizzazione, domande dal 15 di settembre pag.
2
Procedura di regolarizzazione: nota di
Guglielmo Loy, Segr. Conf. Uil pag.
2
Regolarizzazione: un affare per big pag.
3
Lettera patronati CEPA al Ministero
dell’Interno pag.
3
Carta blu UE: al via la procedura online
pag. 4
Riforma del Lavoro la circolare che raddoppia i
permessi di soggiorno pag. 4
Immigrazione e Lavoro: il 7,4% delle imprese è
gestito da immigrati pag. 6
Discriminazioni: è grave il ridimensionamento
di UNAR pag. 7
Giurisprudenza – Immigrazione e
cittadinanza per residenza pag. 9
A cura del Servizio
Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento
Politiche Migratorie
Rassegna
ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL
Tel.
064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
Roma,
12 settembre 2012, ore 12 sede UIL nazionale
Riunione
Tavolo Immigrazione
(Giuseppe
Casucci)
Roma,
14 settembre 2012, ore 16, Sala del Carroccio, Campidoglio
Gruppo
Assembleare Capitolino Aggiunto – Convegno sulle procedure di
regolarizzazione dei lavoratori stranieri
(Giuseppe
Casucci, Pilar Saravia)
Roma,
19 settembre 2012, ore 10, sede CNEL
Presentazione
del rapporto OCSE “International Migration Outlook 2012”
(Giuseppe
Casucci, Angela Scalzo)
Varese,
19 settembre 2012, ore 9.30
Convegno
UIL/ITAL Varese su immigrati e cittadinanza
(Guglielmo Loy)
Venezia, 20 settembre 2012, ore 9.30
Convegno
UIL/Ital Veneto su immigrati e cittadinanza
(Guglielmo Loy)
Roma,
26-27 settembre, Bruxelles
ITUC - Meeting on the “12 by 12” campaign on
domestic work”
(Giuseppe
Casucci)
Regolarizzazione
La procedura di regolarizzazione dei lavoratori stranieri
irregolari, appare inutilmente complessa ed onerosa. Urge la pubblicazione del
decreto attuativo.
Nota di Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL
Roma, 6 settembre 20102 - I
ritardi nella pubblicazione del decreto attuativo del procedimento di
regolarizzazione di lavoratori stranieri irregolari ed alcuni aspetti contenuti
nello stesso rischiano, a parere della UIL, di trasformare questa importante iniziativa di emersione dal
lavoro nero, in un possibile flop con la conseguente mancata emersione di
migliaia di lavoratori stranieri che da mesi o anni lavorano e vivono accanto a
noi, in una condizione di assenza virtuale di diritti.
Preoccupazione in tal senso è
stata espressa ieri dal CEPA, il gruppo di patronati che fanno capo a Cgil,
Cisl, Uil e Acli, in una lettera inviata al Ministro dell’Interno. Tra gli
aspetti contenuti dal dlgs che la UIL considera problematici:
a) Il
decreto si applica a stranieri presenti in Italia dal 31/12/2011 che possano
dimostrarlo attraverso documentazione pubblica. La condizione posta ci appare
irragionevole, in quanto se un immigrato è entrato irregolarmente, è difficile
che disponga di certificati emessi da autorità pubblica, tranne che non abbia
avuto la ventura di finire in ospedale o abbia iscritto il figlio a scuola. Ci
sembrerebbe preferibile, invece, accettare la dichiarazione del datore di
lavoro, come già avvenuto in precedenti occasioni.
b) I
limiti di reddito richiesti per presentare la domanda (30 mila euro) sono molto
alti, così com’è alto il costo previsto per accedere alla regolarizzazione. Non
vorremmo che, come successo in passato, molti datori di lavoro finiscano per
far pagare il conto al lavoratore immigrato ;
c) Ci
appare discriminatoria la preclusione alla regolarizzazione dei rapporti di
lavoro a tempo parziale (tranne il lavoro domestico), anche considerato che,
attualmente sul mercato, prevalgono le forme di lavoro atipiche;
Questi aspetti, se non
corretti, potrebbero frenare
l’accesso alla procedura di “ravvedimento oneroso” e far perdere a molte migliaia di stranieri irregolari,
l’occasione di avere una condizione di vita e di lavoro degni. La UIL chiede
dunque che il decreto attuativo giunga celermente (data anche la vicinanza
della data del 15 settembre) e contenga quei chiarimenti necessari a rendere
maggiormente fruibile la procedura in atto di emersione dal lavoro irregolare.
Dal 7 settembre è possibile versare il contributo con l’F24.
Roma,
3 settembre 2012 - Questione di giorni, o forse di ore per leggere il testo
ufficiale del decreto interministeriale previsto dal decreto
legislativo n. 109 del 16 luglio 2012, che dovrà
fornire le indicazioni circa le modalità di presentazione della dichiarazione
di emersione del rapporto di lavoro e quelle necessarie per la regolarizzazione
delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e
fiscale pari almeno a sei mesi, nonché i limiti di reddito di lavoro di lavoro
richiesti per l’emersione del rapporto di lavoro. Il decreto, già approvato il
29 agosto dal ministro dell’Interno di concerto con il ministro del Lavoro e
delle Politiche sociali, con il ministro per la Cooperazione internazionale e
l’Integrazione e con il ministro dell’Economia e delle Finanze, attende il
visto della Corte dei conti per andare subito in Gazzetta ufficiale. Il
provvedimento, però, a quanto è dato sapere, non fornirà chiarimenti sul punto
più controverso dell’art. 5 (e sicuramente quello più importante per stabilire
il diritto o meno di accedere alla regolarizzazione) e cioè quali siano gli
organismi pubblici i cui documenti possano attestare la presenza del lavoratore
straniero sul territorio nazionale dal 31 dicembre 2011. Sembra perciò
confermata la volontà del Governo di restringere quanto più possibile l’ambito
di applicazione della norma in quanto, a partire dal costo della pratica per
proseguire con le difficoltà di prova della presenza, non sembrano proprio
ipotizzabili i grandi numeri che hanno caratterizzato i precedenti
provvedimenti di regolarizzazione.
Nel frattempo l’Agenzia delle entrate, con risoluzione 85/E del 31 agosto, ha
adottato le procedure per il pagamento del contributo di 1000 euro che potrà
essere versato mediante modello di pagamento “F24 Versamenti con elementi
identificativi”, reperibile oltre che sul sito internet
dell’Agenzia delle entrate anche sui siti internet del Ministero dell’interno,
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero per la
cooperazione internazionale e l’integrazione e dell’Inps. I corrispondenti
codici tributo saranno operativamente efficaci dal 7settembre 2012.
(R.M.)
Sanatoria esclusa per le microimprese. Infatti, chi fattura
sotto i 30 mila euro non può regolarizzare l'eventuale rapporto di lavoro in
nero tenuto con un cittadino extracomunitario, perché non soddisfa il requisito
reddituale cui è condizionata l'ammissione alla procedura di emersione.
La
condizione del reddito. I
soggetti che possono presentare domanda di regolarizzare sono tutti i datore di
lavoro, italiani, comunitari o extracomunitari (ma con carta di soggiorno), che
soddisfino un determinato requisito reddituale. Tale requisito, fissato dal
decreto interministeriale di attuazione della sanatoria, distingue due ipotesi
a seconda del tipo di rapporto di lavoro che deve essere regolarizzato: lavoro
dipendente o lavoro domestico. Inoltre, prevede un'ipotesi esonerativa: quella
del lavoro domestico per assistenza (badanti). Infatti, la verifica dei requisiti
reddituali non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o handicap
che ne limitano l'autosufficienza, qualora effettui la dichiarazione di
emersione per uno straniero addetto alla sua assistenza.
Le
due ipotesi. Nel
primo caso (sanatoria lavoro dipendente in tutti i settori tranne quello
domestico) il requisito reddituale per il datore di lavoro persona fisica, ente
o società è di 30 mila euro di «reddito imponibile» (quindi reddito al netto
degli oneri deducibili, ossia dell'importo indicato al rigo RN4 del modello
Unico). In alternativa, l'ammissione alla sanatoria è comunque consentita
in presenza di un «fatturato» di pari importo; questa seconda via pare una
ciambella di salvataggio per coloro che non arrivano a dichiarare 30 mila euro.
Nel secondo caso (regolarizzazione domestici) sono previsti due limiti:
a) il
primo per il nucleo familiare composto da un solo soggetto percettore di
reddito ed è fissato a 20 mila euro di «reddito imponibile»; anche in questo
caso, pertanto, si fa riferimento al rigo RN4 di Unico o al rigo 14 del modello
730-3;
b) il
secondo per i nuclei familiari composti da più soggetti percettori di reddito
ed è fissato a 27 mila euro di «reddito imponibile» (rigo RN4 di Unico o rigo
14 del 730-3); in tal caso i redditi di coniuge e parenti entro il secondo
grado possono concorrere a raggiungere il limite, anche se non conviventi.
In
tutte le ipotesi, il reddito imponibile o il fatturato da considerare è quello
risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio
dell'anno precedente (anno 2011).
CENTRO
PATRONATI (CE-PA)
ACLI - INAS - INCA
– ITAL
Lettera
al Ministro dell’Interno
Gentile Ministro Cancellieri,
I Patronati del CEPA esprimono la loro preoccupazione per
l’assenza di norme attuative
previste dal D.Lgs 109/2012 e necessarie alla operabilita’
nell’ambito dell’art.5 del decreto stesso per l’accesso alla regolarizzazione
prevista per i datori di lavoro. La mancanza delle informazioni necessarie ad
effettuare le opportune valutazioni per l’accesso allo strumento legislativo,
rischia di vanificare l’obiettivo prioritario della norma che nella sua
generalità ha come scopo l‘emersione del lavoro nero, l’aggravamento delle pene
per i datori di lavoro coinvolti e la denuncia delle situazioni di sfruttamento
che coinvolgono i lavoratori stranieri. Tra le precisazioni necessarie,
sottolineiamo la necessità di normare il passaggio di cui all’art.5 nella parte
che prevede l’attestazione della presenza del lavoratore in Italia al
31/12/2011. L’assenza di queste precisazioni pone i Patronati nella
impossibilita’ di fornire un servizio di
informazione adeguato, di agevolare l’uso dello strumento di
emersione, di accedere alle procedure per presentare le domande con il rischio
reale di trasformare una opportunità di crescita civile in un improduttivo
ricorso al contenzioso con la pubblica amministrazione. Confidiamo pertanto nel
Suo intervento affinché sia celermente portata a termine la necessaria
normazione accessoria e siano messe in atto le opportune procedure informative
nei confronti degli enti coinvolti.
Distinti saluti. La Presidente CE-PA
(Morena
Piccinini)
Inoltro telematico delle richieste di nulla osta
lavoro per i lavoratori stranieri altamente qualificati. Tutte le informazioni
nella circolare del dipartimento Libertà civili e Immigrazione
www.interno.it
Dall'8 agosto chi è interessato potrà richiedere on line il nulla osta al lavoro
per ottenere la Carta blu Ue, la nuova tipologia di permesso di soggiorno per i
lavoratori stranieri altamente qualificati introdotta dal decreto legislativo
28 giugno 2012, n.108. Per accedere alla procedura telematica per l'invio delle
domande agli Sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture competenti,
spiega il dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione nella circolare 3
agosto 2012, è necessario registrarsi al servizio di invio telematico sul sito
web https://nullaostalavoro.interno.it,
indicando il proprio indirizzo di posta elettronica. Completata la fase di
registrazione si accede all'area Richiesta moduli, dove è possibile compilare
il modulo di richiesta nullaosta al lavoro per il rilascio della Carta Blu Ue
(Modulo BC). Per inviarlo è necessario aver indicato tutti i dati obbligatori
richiesti – tra i quali il contratto di lavoro o la proposta di lavoro
vincolante, il titolo di istruzione e la relativa qualifica superiore,
l’importo annuale lordo, calcolato in base ai parametri indicati dalla
normativa - e poi cliccare sul bottone 'Invia'. L'utente può aiutarsi con le
guide alla compilazione on line e verificare i dati immessi. L'avvenuta
ricezione del modulo sarà subito disponibile direttamente dalla home page
dell’utente. Dopo il rilascio del nulla osta - non oltre 90 giorni dall'inoltro
della domanda - il lavoratore straniero può recarsi allo Sportello unico per
sottoscrivere il contratto di soggiorno. Tutte le informazioni su ambito di
applicazione della normativa, requisiti e modalità di accesso alla procedura on
line si trovano nel decreto legislativo 108/2012 e nella circolare esplicativa.
Scarica:
·
Per i lavoratori altamente qualificati arriva la 'Carta
Blu Ue' (25/7/2012)
Uno dei capitoli meno conosciuti
della nuovariforma del lavoro è
quello riguardante gli immigrati e il welfare. Molti lavoratori stranieri, infatti, giungono in Italia
in cerca di un nuovo lavoro, salvo, però, perderlo dopo pochi mesi: mai come
oggi, infatti, anche gli stranieri si imbattono nelle conseguenze della
crisi economica, tanto è vero che alcune indagini recenti hanno messo in luce
come stia prendendo piede il fenomeno dell’abbandono
del suolo italiano da
parte della popolazione non autoctona. Le nuove misure sono illustrate nella circolare 5792/2012 diramata dal Ministero dell’Interno. Ora, infatti, con
l’entrata in vigore, lo scorso 18 luglio, della
nuova legge sul lavoro firmata dal ministro Elsa Fornero,
anche per i dipendenti extracomunitari sono stati contemplati alcuni ammortizzatori sociali più incisivi, che tengono
conto sia del momento di crisi occupazionale ed economica, sia dello stato di
precarietà in cui molti immigrati sono costretti a vivere svolgendo lavori
saltuari o poco sicuri. Questa misura, che modifica il Testo unico sugli
immigrati o decreto legislativo
286/1998, è finalizzato a favorire il reintegro lavorativo della forza lavoro straniera già presente sul territorio nazionale.
In particolare, la durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione è stata
raddoppiata, passando dai precedenti sei mesi a un anno di permanenza regolare
per chi ha perso l’occupazione. E non è tutto: qualora l’immigrato licenziato,
per esempio, usufruisca di misure di sostegno del reddito,
come Cig o indennità di disoccupazione, il permesso di soggiorno resta in
vigore fino all’esaurimento dell’ammortizzatore sociale. Anche in caso di dimissioni del lavoratore, poi, la libera
circolazione di un anno per lavoro subordinato resta pienamente in vigore. C’è,
infine, un altro sistema per restare in regola all’interno dei confini italiani
pur in assenza temporanea di occupazione: dimostrare, secondo quanto stabilito
all’articolo 29 del Testo Unico per l’immigrazione, di godere di un reddito minimo annuo proveniente da fonti lecite. Questa
somma, in ogni caso, non potrà essere inferiore all’ammontare dell’assegno
sociale, al fine di assicurare all’immigrato una regolare permanenza anche in
stato di temporanea disoccupazione. Queste
misure sono l’anticamera della sanatoria che prenderà il via il 15
settembre, quando verranno aperte le liste per
regolarizzare l’altra faccia della medaglia dell’immigrazione, quella del lavoro nero. Infatti, i datori di lavoro potranno
essenzialmente pagare un conguaglio di mille euro per ogni cittadino straniero non in
regola con i documenti di soggiorno, che riesca a dimostrare di trovarsi nel
suolo italiano almeno dal 31 dicembre 2011. La linea di inclusione del governo Monti verso
la popolazione immigrata è insomma tracciata con forza e punta a prevenire sia
le condizioni di sfruttamento che i crescenti fenomeni di abbandono della penisola.
Leggi la circolare 5792/2012 del
Ministero dell’Interno
http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2012/08/minint_circ5792_09072012.pdf
Permessi di soggiorno, nulla
osta al lavoro, ricongiungimento familiare e cittadinanza:
Poteri sostitutivi al Capo
dell’Ispettorato del Viminale in caso di inerzia di questure e prefetture.
Roma, 3 settembre 2012 - I
cittadini, ovviamente compresi gli stranieri, che si ritengono vittime un
ritardo o un’inadempienza burocratica possono avvalersi di una figura, interna
all’amministrazione, che si sostituirà al dirigente o al funzionario
inadempiente. Lo ha reso possibile la nuova normativa, introdotta in materia di
semplificazione e di sviluppo (decreto legge 9 febbraio 2012 n. 5, convertito
nella legge n. 35/2012), che ha modificato e integrato l’articolo 2 della legge
7 agosto 1990, n. 241. La normativa ha carattere generale, e riguarda perciò
tutti i procedimenti amministrativi, compresi quelli di interesse per i
cittadini stranieri, ed in particolare i permessi di soggiorno, i nulla osta al
lavoro ed al ricongiungimento familiare, le cittadinanze. Pertanto, “decorso
inutilmente il termine per la conclusione del procedimento... il privato può
rivolgersi al responsabile di cui al comma 9-bis perché, entro un termine pari
alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento
attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario”.
Il ministro dell’Interno, con decreto 31 luglio 2012, ha individuato nel
titolare dell’Ispettorato generale di amministrazione (Iga), prefetto
Francescopaolo Di Menna, la figura apicale cui affidare tale potere
sostitutivo, tenuto conto che il medesimo ufficio si occupa anche di rilevare i
procedimenti non conclusi nei termini di legge. Gli interessati possono
richiedere l’intervento del prefetto Francescopaolo Di Menna servendosi del
seguente indirizzo di posta elettronica ispettorato.generale@interno.it.
Il prefetto Di Menna “in caso di ritardo, comunica senza indugio il nominativo
del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento
disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti
collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza alle
disposizioni del presente comma, assume la sua medesima responsabilità oltre a
quella propria.
(R.M.)
Immigrazione
e Lavoro
Aziende
straniere in crescita di 26mila unità a fronte di un calo di oltre 28mila
imprese italiane. L'analisi della Fondazione Leone Moressa
Roma -
31 agosto 2012 - Su 6 milioni di imprese operanti in Italia nel 2011, 454mila
sono condotte da stranieri, cioè il 7,4% del totale. Nonostante la crisi, le
imprese straniere hanno registrato a fine anno un saldo positivo di oltre
26mila unità, al contrario delle aziende italiane che sono, invece, diminuite
di oltre 28mila imprese. Quando avviano un’attività imprenditoriale, gli
stranieri preferiscono costituirla insieme a connazionali (oppure avviando
direttamente imprese individuali per conto proprio) piuttosto che mettersi in
società con italiani.
Sono alcuni
dei risultati a cui è pervenuta la Fondazione Leone Moressa, che ha analizzato
i dati sulle imprese iscritte alle Camere di Commercio italiane classificando
come “aziende straniere” le
imprese che vedono persone non nate in Italia detenere almeno il 50% delle
quote di proprietà e delle cariche amministrative a seconda della tipologia
d’impresa, facendo propria la definizione fornita da Infocamere stessa. I dati
anticipano alcuni dei contenuti del Secondo Rapporto sull’Economia
dell’Immigrazione che verrà presentato nel mese di ottobre a Venezia.
Per settori di
attività. Più di 156mila aziende straniere (34,4% del totale)
si concentrano nel settore del commercio, cui fa seguito quello delle
costruzioni con quasi 125mila (27,5%) e quello dei servizi con più di 89mila
unità produttive (19,7%). Ma è nell’edilizia che la presenza straniera si fa
più marcata: infatti su 100 imprese di questo settore, quasi 14 sono condotte
da imprenditori nati all’estero. Nel commercio questa percentuale si abbassa al
10,1%, seguita da alberghi e ristoranti (7,7%) e dalla manifattura (6,3%). Per
la quasi totalità dei settori, il grado di imprenditorialità risulta essere
esclusivo in oltre il 90% dei casi, eccetto il settore dei servizi in cui gli
stranieri sembrano un po’ più propensi a lavorare con italiani.
Per regione. Con più di 85mila imprese è la
Lombardia la regione che presenta il maggior numero di aziende condotte da
stranieri (18,9% del totale), seguita dal Lazio (11,2%) e dalla Toscana (10%).
Ma è proprio in Toscana che si registra il maggior peso di queste imprese sul
totale delle aziende presenti nel territorio: infatti su 100 attività
produttive, 11 sono gestite da immigrati (10,9%). In questa classifica seguono
il Friuli Venezia Giulia (9,5%) e la Liguria (9,4%). In tutte le regioni, per
oltre il 90% delle aziende condotte da stranieri il grado di imprenditorialità
risulta esclusivo.
Dinamiche.
Le imprese straniere chiudono il 2011 con un saldo totale positivo di 25.567
unità, vale a dire con un tasso di progresso del 5,9% a fronte di un tasso del
-0,5% delle imprese italiane, che contano un saldo negativo di oltre 28mila
unità. A livello regionale, mostrano un particolare dinamismo in termini di
sviluppo imprenditoriale straniero la Liguria (8,2%), la Campania e il Lazio
(8,1%). Anche i settori mostrano delle differenze: nei servizi, infatti, il
saldo è positivo sia per le imprese italiane (+85.532) che per le imprese
straniere (+14.360), mentre negli altri comparti si è registrato un bilancio
positivo per le aziende condotte da stranieri e negativo per quelle condotte da
italiani. Per esempio, nel commercio le aziende straniere sono aumentate di
6.600 unità, mentre quelle italiane hanno subito una perdita di oltre 40mila
imprese. Stesse considerazioni valgono per il settore delle costruzioni dove
l’anno si chiude con un saldo di +4.399 per le imprese straniere e di -17.561
per le imprese italiane.
27mila lavoratori stranieri hanno utilizzato i voucher nel
2011.Buoni lavoro aumentati di oltre il 60% nell’arco di un anno.
Venezia, 27
agosto 2012 - La recente riforma del lavoro prevede che i compensi del lavoro
accessorio siano validi per il computo del reddito necessario al rilascio o al
rinnovo del permesso di soggiorno al fine di favorire l’integrazione dei
lavoratori stranieri. Per questo motivo, la Fondazione Leone Moressa ha ritenuto
utile analizzare questa tipologia di lavoro. Un sempre maggiore utilizzo dei
voucher potrebbe infatti stimolare in qualche caso l’emersione di lavoro
sommerso in alcuni settori (ad esempio in agricoltura o nel lavoro domestico),
ma soprattutto potrebbe dare la possibilità ai lavoratori stranieri di disporre
di una somma monetaria che permetta loro il rinnovo del permesso di soggiorno,
cosa che prima della riforma non poteva essere fatta. Nel 2011 ad aver
utilizzato il sistema dei voucher sono stati 27 mila lavoratori stranieri, pari
al 13% di tutti i soggetti inquadrati con questa tipologia di lavoro. Dal 2010
il numero di stranieri è quasi duplicato (+49%) passando da 18mila posizioni a
27mila. In termini di numero di voucher venduti a lavoratori stranieri si
tratta di 1,6milioni di unità nel 2011; questi sono aumentati nell’arco di un
anno di oltre il 60%. Per ogni singolo lavoratore straniero sono stati
acquistati mediamente 62,3 voucher nel 2011. Questo volume grosso modo
corrisponde ad un compenso lordo per ciascun lavoratore di 623€ (se si
considera che un voucher vale 10€). A livello aggregato si tratta, nel solo
2011, di quasi 17 milioni di € erogati agli stranieri per le loro prestazioni
occasionali tramite il sistema dei buoni lavoro. Tale sistema è particolarmente
diffuso tra le donne straniere, che rappresentano più della metà dei lavoratori
stranieri che nel 2011 hanno utilizzato i buoni lavoro (52,0%). La regione che
annovera il maggior numero di stranieri con lavoro accessorio è il Veneto che
da solo raccoglie il 14,7% del totale, seguito da Lombardia (13,5%) e Piemonte
(13,4%). Ma sono il Friuli Venezia Giulia e la Liguria le regioni in cui si
annovera una maggiore presenza di stranieri in questo sistema: nella prima area
il peso straniero è del 18,6%, nella seconda il 18,1%. Nel comparto agricolo
viene fatto maggior utilizzo dei voucher, sia per quanto riguarda i lavoratori
stranieri (20,2%) che gli italiani (27,5%). Ma è nel comparto del lavoro
domestico che il peso degli stranieri si fa più evidente: oltre un lavoratore
su due infatti è immigrato (56,1%), seguito dai lavori di giardinaggio, pulizia
e manutenzione (19,9%).
Scarica
lo studio completo Il lavoro occasionale accessorio
Discriminazioni
Lo scrivono in una lettera al ministro Elsa Fornero, le
principali Federazioni europee impegnate sul fronte della disabilità, della lotta
al razzismo, dei diritti delle donne e delle persone anziane.
«Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la decisione
del vostro Governo di ristrutturare l’UNAR(Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni
Razziali) e di tagliare il budget ad esso destinato».
Dopo l’analogo appello lanciato in luglio da numerose sigle
dell’associazionismo italiano, tra cui laFISH (Federazione
Italiana per il Superamento dell’Handicap), tutte impegnate nell’affermazione
dei diritti e della dignità delle
persone e contro ogni violenza ediscriminazione, che negli ultimi tre anni hanno
condiviso un percorso di crescita, di conoscenza reciproca e di condivisione di
obiettivi, guardando all’UNAR come a un importante punto di riferimento, arriva
questa volta dall’estero una lettera indirizzata al ministro
del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero,
che fa anche riferimento alla Direttiva del Consiglio d’Europa 2000/43/EC (Council Directive 2000/43/EC of 29 June 2000 implementing the
principle of equal treatment between persons irrespective of racial or ethnic
origin), sulla necessità di implementare i pari diritti tra tutte
le persone. «L’articolo 13 di quella Direttiva – si legge infatti nel
messaggio – chiede agli Stati Membri dell’Unione Europea di avviare
specifici organismi, utili a promuovere il pari trattamento e a combattere ogni discriminazione, basata sulla
razza o sull’origine etnica. Si tratta di strutture estremamente importanti per
implementare le leggi antidiscriminatorie, per dare sostegno alle vittime di
discriminazioni e per coordinare il lavoro dei Governi e di altri organismi
statali in direzione dell’uguaglianza».
Sono quattro organizzazioni assai significative e
rappresentative di molti milioni di Cittadini
europei, quelle che firmano la lettera. Si tratta infatti dell’EDF (European Disability Forum), dell’ENAR (European Network Against Racism),
dell’EWL (European Women’s Lobby) e di AGE Platform Europe,
ovvero delle principali Federazioni continentali impegnate rispettivamente sul
fronte della disabilità,
della lotta al
razzismo, dei diritti delle donne e
di quelli delle persone
anziane.
«Durante gli ultimi dieci anni – si scrive ancora – l’UNAR ha
giocato un ruolo molto importante per l’applicazione concreta, in
Italia, della Direttiva Europea sull’uguaglianza, diffondendo buone prassi,
sostenendo persone vittime di discriminazioni e creando nuove occasioni di
dialogo e positive opportunità per la società italiana». «Possiamo capire
– si aggiunge – che in questa grave fase di crisi economica e
finanziaria, il vostro Governo debba rivedere i criteri della spesa pubblica e
tuttavia un ridimensionamento dell’UNAR rischia di avere un grave impatto sulle
capacità dell’Ufficio di continuare le proprie attività, ciò che può
ripercuotersi negativamente sulle pari opportunità di tante persone che già
stanno pagando fortemente la crisi, a causa della riduzione dei loro redditi,
delle pensioni, dei servizi di sostegno e delle opportunità di lavoro, senza
parlare dell’aumento di comportamenti discriminatori e di attacchi xenofobi».
«Chiediamo quindi al Governo Italiano – conclude la lettera, firmata da Carlotta Besozzi,
direttore dell’EDF, Michael Privot,
direttore dell’ENAR, Sonja Lokar,
presidente dell’EWL e Anne-Sophie Parent, segretario generale di AGE
Platform Europe – di assumersi la responsabilità di non ridimensionare
l’UNAR e di mantenere la tutela e le pari opportunità per tutte le persone che
vivono e lavorano in Italia». (S.B.)
30 agosto 2012
di Paolo Hutter | 2 settembre 2012. : Il Fatto Quotidiano
Il coniuge extracomunitario dello stesso sesso ha ildiritto di risiedere regolarmente in Italia.
Questo a prescindere dal fatto che l’Italia non
riconosca ilmatrimonio contratto all’estero: il coniuge
omosessuale sposato all’estero è considerato familiare di cittadino comunitario
grazie alle norme sulla libera circolazione in Europa e ai pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo. Così è
successo che la questura di Milano ha rilasciato, nello stesso giorno in cui è
stato richiesto, senza ostacoli, il permesso di soggiorno al coniuge serbo di
un cittadino italo-canadese. Tutto “in base alle norme sulla libera
circolazione dei cittadini europei e i loro famigliari”. La storia è quella di
Adrian, italo-canadese, e Djiordje, serbo, che si sono sposati in Canada nel
2009 ma da qualche tempo risiedono in Italia. Seguiti dall’Associazione Radicale Certi
Dirittihanno presentato la richiesta di permesso di soggiorno
alla Questura di Milano. Niente ha potuto neanche una circolare ministeriale
del 2007 che vieta ai Comuni la trascrizione dei matrimoni tra persone dello
stesso sesso contratti all’estero anche da cittadini italiani. E c’è chi dice
che sull’orientamento della questura milanese abbia ha pesato anche l’approvazione, da parte delComune di Milano, del registro delle unioni civili. Yuri Guaiana,
segretario dell’Associazione
Radicale Certi Diritti, commenta: “La decisione della questura
di Milano rinforza la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che nel febbraio
scorso, per la prima volta in Italia, aveva decretato, in accoglimento di un
nostro ricorso, il rilascio del permesso di soggiorno per un ragazzo uruguayano
regolarmente sposato in Spagna con un italiano”. Ma in Italia le cose non vanno
tutte nella stessa direzione: “La Questura di Rimini, che dal 17 maggio 2012
sta bloccando il rilascio del permesso di soggiorno ad un cittadino cubano
sposato in Spagna da un italiano, dovrebbe prendere esempio. Sarebbe anche ora
che questa contraddizione per la quale si rilasciano permessi di soggiorno per
motivi famigliari a coniugi dello stesso sesso, senza che il loro matrimonio
contratto all’estero venga riconosciuto in Italia si risolva e che il governo
permetta ai coniugi dello stesso sesso di vedere pienamente riconosciuto il
proprio stato civile in Italia”. La vicenda delle coppie omosessuali sposate
all’estero è un’altra spallata al catenaccio che ha bloccato finora in Italia
qualunque riconoscimento delle coppie gay. I casi di italiani o italiane che si
sposano all’estero con partner dello stesso sesso stanno aumentando. Per quanto
riguarda la partita politico-legislativa in Italia, ormai sembra tutta puntata
sul prossimo Parlamento anche se formalmente ci sono ancora
proposte di legge nelle Commissioni dell’attuale Parlamento. Nei prossimi
giorni si capirà se continua o si arena la proposta di iniziativa popolare “Una volta per tutti“,
presentata a Milano a giugno. La proposta – elaborata dal gruppo del
Padova Gay Village diAlessandro Zan –
prevede che le coppie possano scegliere tra tre diversi istituti: le unioni civili, ipatti civili di solidarietà, le unioni di fatto. Qualche esponente politico gay ha
partecipato alla presentazione, ma il mondo associativo Lgbt complessivamente si è sentito tagliato fuori
e ha considerato come un cedimento inaccettabile l’assenza del vero e proprio
matrimonio gay dalla proposta. Il testo della proposta di legge è uscito poche
settimane fa e si è così scoperto che l’unione civile nella proposta Una Volta per
Tutti sarebbe un istituto, riservato alle coppie dello stesso sesso,
equipollente a un matrimonio. C’è persino la previsione di una sorta di
adozione semiautomatica dei figli di un partner da parte dell’altro
partner. Resta che a questione “figli” sarà il punto caldo di qualunque legge
in proposito, anche se riguarda solo una parte delle coppie lesbiche e
gay. La “Unione civile” del progetto Una volta per tutti,
proposta molto avanzata, prevede tra l’altro la ridefinizione della disciplina
in materia di cognome, prevedendo che gli uniti civilmente possano scegliere di
aggiungere al proprio quello dell’altro unito civilmente, la modifica
delle norme in materia di filiazione e potestà dei genitori, prevedendo che
l’unito civilmente sia legalmente genitore del figlio concepito durante
l’unione civile dall’altra parte dell’unione, anche facendo ricorso a tecniche
di riproduzione assistita o di maternità surrogata all’estero; previsione
della possibilità per l’unito civilmente di adottare i figli nati dall’altra
parte dell’unione prima della celebrazione dell’unione civile, in assenza di
riconoscimento dell’altro genitore naturale; unificazione delle disposizioni in
materia di affidamento dei figli in caso di scioglimento dell’unione per
assicurare parità di trattamento tra i figli nati da un matrimonio e quelli
nati da un’unione civile. Il “patto civile di solidarietà”, invece, e la
“unione di fatto” nel progetto di legge sono istituti aperti anche alle coppie
eterosessuali che non si vogliono sposare e comunque – pur non
occupandosi così precisamente dell’aspetto figli – prevedono diritti
significativi, come la possibilità di far avere il permesso di soggiorno al partner extracomunitario (senza
bisogno di andarlo a sposare all’estero…) e l’equiparazione al coniuge
nell’eredità. Ma che la “Unione civile” di “Una volta per tutti” sia di fatto
un matrimonio non ha mutato, anzi ha reso ancora più critica, la posizione
delle associazioni Lgbt che oggi vogliono rivendicare esplicitamente, senza
cautele diplomatiche, la parità attraverso il matrimonio.
Per il 15 settembre è stata convocata a Roma una
assemblea nazionale dei principali soggetti Lgbt che dovrebbe portare al lancio
di una proposta di legge di iniziativa popolare intitolata al matrimonio
egualitario. Bisognerà vedere se prevederà anche istituti intermedi –
come Una volta per tutti – o se, in nome
dell’eguaglianza, metterà anche le coppie omosessuali nel binario del divorzio
lungo se la coppia si vuole poi sciogliere.
Giurisprudenza
Immigrati
e cittadinanza per residenza. Discrezione della PA
Articolo di Francesca Del Giudice *
La
cittadinanza italiana si basa sul principio dello "ius sanguinis"
(diritto di sangue), secondo il quale il figlio nato da padre italiano o da
madre italiana è italiano.
Tuttavia, anche lo straniero, in possesso di
determinati requisiti, può acquistare la cittadinanza italiana. La materia è
attualmente regolata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, come modificata
dalla legge 94 del 2009, e successivi regolamenti. In base a questi è possibile
individuare due tipologie di concessione:
- concessione per matrimonio (art. 5 L. 91 del 5
febbraio 1992);
- concessione per residenza (art. 9 L. 91 del 5
febbraio 1992).
L'acquisto della cittadinanza per matrimonio non
comporta per la Pubblica Amministrazione l'esercizio di un potere
discrezionale. In questo caso, l'acquisto della cittadinanza, si configura come
diritto soggettivo, condizionato unicamente alla eventuale esistenza di
circostanze che comportano un pericolo per la sicurezza dello Stato o per
l'ordine pubblico, ad esempio la condanna per gravi delitti o segnalazioni che
attengono alla sicurezza dello Stato. Diversamente, l'acquisto della cittadinanza
per residenza non è un diritto ma una concessione in senso proprio: il
possesso dei requisiti prescritti dall'articolo 9 è un presupposto, sì
necessario, ma non sufficiente per l’emanazione del provvedimento (cfr. Cons.
di Stato parere n. 2487/1992 del 30.11.1992). Detta concessione infatti, non è
determinata da una valutazione dell'interesse dello straniero, bensì dalla
valutazione dell'interesse per lo Stato e per la Comunità nazionale ad
accogliere il nuovo cittadino richiedente. L'amministrazione, pertanto, ha
potere pienamente discrezionale.
Secondo l'art. 9 della L. 91 del 5 febbraio
1992, ai fini dell'istanza, il cittadino straniero deve possedere i seguenti
requisiti:
- nato in Italia e ivi residente legalmente da
almeno 3 anni (art. 9, c. 1, lett. A);
- figlio o nipote in linea retta di cittadini
italiani per nascita, e risiedere legalmente in Italia da almeno 3 anni (art.
9, c. 1, lett. A);
- maggiorenne, adottato da cittadino italiano, e
risiedi legalmente in Italia da almeno 5 anni, successivi all'adozione (art. 9,
c. 1, lett. B);
- aver prestato servizio, anche all'estero, per
almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato Italiano (nel caso di servizio
all'estero, non occorre stabilire la residenza in Italia e può essere
presentata domanda alla competente autorità consolare) (art. 9, c. 1, lett. C);
- cittadino U.E. e risiedere legalmente in
Italia da almeno 4 anni (art. 9, c. 1, lett. D);
- apolide o rifugiato e risiedere legalmente in
Italia da almeno 5 anni (art. 9, c. 1, lett. E);
- cittadino straniero e risiedere legalmente in
Italia da almeno 10 anni (art. 9, c. 1, lett. F).
Quale ulteriore requisito di carattere generale
è avere una disponibilità di redditi, prodotti sul territorio nazionale, il cui
ammontare non sia inferiore a quelli stabiliti dalla Decreto Legge 382/1989,
convertito in Legge 8/1990, come confermati dall'art. 2 della legge 549/1995.
Nel caso in cui il richiedente non possegga
redditi propri dovranno essere documentati i redditi degli altri componenti il
nucleo familiare. Al momento dell'adozione del decreto di concessione della
cittadinanza deve risultare la continuità della residenza sul territorio
italiano e il permanere della capacità reddituale nella misura minima di cui in
premessa.
Ricevuti i documenti attestanti i requisiti di
cui sopra, la Prefettura dispone di un termine di 730 gg. dalla data di
presentazione della domanda, se questa è stata presentata con la documentazione
regolare e completa, entro il quale deve emanare il proprio parere, positivo o
negativo, in ordine all'istanza formulata dallo straniero. Il carattere
negativo del parere determina il diniego della cittadinanza. Dunque, la Prefettura è
l'Amministrazione titolare del potere discrezionale sulla concessione.
Secondo la prevalente interpretazione,
non si tratta di discrezionalità tecnica bensì amministrativa, riferita a parametri
non specificamente identificati dalla legge e spesso vaghi(Cons. Stato Sez. I, n. 149 del 16 febbraio 2005).
L'Amministrazione, infatti, può negare la cittadinanza perché lo straniero non
possiede adeguate fonti di sussistenza, per difetto di integrazione, perché non
si riscontra un'autenticità dell'aspirazione a divenire cittadino italiano, o
addirittura di un non meglio precisato interesse della collettività o interesse
pubblico generale1.
Il carattere discrezionale della statuizione
dell'Amministrazione, oltre
ad essere esplicito nella lettera della legge (l’art. 9 della legge afferma che
la cittadinanza italiana “può essere concessa” allo straniero residente
legalmente nel nostro territorio per un periodo variabile in relazione alle
qualità o status posseduti), è
stato ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio Stato, sez. IV, 07 maggio
1999 n. 798; Cons. St., VI, 1 ottobre 2008, n. 4748; Consiglio Stato , sez. IV,
16 settembre 1999, n. 1474; Cons. St., Sez. III, 22 novembre 2011, n. 6143 ).
L'esercizio del potere discrezionale
tende a valutare l'avvenuta integrazione dello straniero. Gli elementi oggetto della - valutazione
discrezionale della Prefettura non sono definiti dalla legge, tuttavia la
giurisprudenza ha individuato alcuni indici dell'avvenuta integrazione:
- considerazioni anche di carattere
economico-patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza
(Consiglio di Stato, sez. IV, 16-09-1999, n. 1474);
- la serietà sia dell’intento ad ottenere la
cittadinanza italiana e le ragioni che inducono ad abbandonare la comunità di
origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua
italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e
contributivi. Non può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi
familiari, parte dei quali già residenti nel territorio italiano.
L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative all’acquisto di
cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine
pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988);
- l’amministrazione, ai fini della concessione
della cittadinanza italiana allo straniero legalmente residente in Italia da
almeno dieci anni, può prendere in considerazione tutte le situazioni utili per
valutare un’avvenuta integrazione dello straniero; pertanto, sono rilevanti
eventuali sentenze penali intervenute a carico degli interessati, in relazione
ai fatti a cui tali condanne si riferiscono sia al loro eventuale ripetersi
(Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 9374, del 20 ottobre 2004,).
Per comprendere l'ampiezza di tale
discrezionalità si pensi che il diniego può essere determinato oltre che dai
motivi inerenti la sicurezza della Repubblica anche da mancanza del periodo di
residenza legale, insufficienza dei redditi del nucleo familiare, presenza di
precedenti penali, insufficiente livello di integrazione e scarsa conoscenza
della lingua italiana. In particolare, estremamente
aleatorio risulta essere il giudizio sul livello di integrazione.
Sebbene in Italia, dal 1992, non sia più prevista la presenza di un test atto a
stabilire il livello d'integrazione dell'immigrato, solitamente la polizia
propone alcune domande al candidato e sulla base delle risposte decide.
L’ampia discrezionalità riconosciuta
all’Amministrazione, tuttavia, non può tramutarsi in mero arbitrio. Sulla questione dei limiti alla discrezionalità il
primo argomento riguarda l'obbligo di motivazione in caso di diniego, il
Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995. Per il Consiglio
di Stato l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia
discrezionalità, deve indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base
delle proprie determinazioni.
Più recentemente, il Consiglio di Stato - VI
Sezione – sentenza n. 1788 del 25 marzo 2009, ha indicato alcuni parametri in ordine all'esercizio
del potere discrezionale. Il collegio, riconosce l’amplissima
discrezionalità concessa all'Amministrazione a fronte dell’istanza volta alla
concessione della cittadinanza, potendo valutare con rilevanti margini di
apprezzamento la sussistenza di uno specifico interesse pubblico al rilascio
della concessione.
Tuttavia, ritiene, che le valutazioni poste in
essere dall’Amministrazione dell’Interno in relazione alla sussistenza di uno
status illesae dignitatis (morale e civile) in capo al richiedente, possono
essere censurate in sede giurisdizionale solo se affette da profili di palese
irragionevolezza o di evidente abnormità.
Successivamente il Consiglio di Stato –
Sezione III – del 5 giugno 2012, n. 3306, ha ribadito l'obbligo di motivazione del
diniego e la sua
sindacabilità con riferimento ai vizi della violazione di legge o dell’eccesso
di potere, quanto meno con riferimento alle figure sintomatiche di maggior
rilevanza quali l’errore sui fatti o la manifesta incongruità o illogicità. In
particolare, la citata sentenza, ha formulato dei criteri di valutazione della
discrezionalità in merito al possesso da parte dello straniero dei requisiti
reddituali. Nel caso di specie si ritiene che ai fini della valutazione del
requisito reddituale non si possa tenere conto esclusivamente del reddito
personale in senso stretto e non anche delle condizioni economiche della
famiglia nel suo complesso. Secondo il Consiglio di Stato, infatti resta nella
discrezionalità dell’amministrazione valutare se, in concreto, le condizioni
della famiglia siano tali da far ritenere che l’interessato goda non solo
nell’attualità, ma anche come ragionevole previsione per il futuro, di un
sostegno economico adeguato. L’amministrazione potrà dunque valutare
discrezionalmente se il reddito familiare sia quantitativamente sufficiente,
prevedibilmente stabile, di provenienza lecita, regolarmente dichiarato ai fini
fiscali, etc.
Sul criterio dell'integrazione il Consiglio di Stato è intervenuto
con la sentenza 14.01.2011 n° 1037, sez. VI, secondo la quale “Fermo restando che ai sensi
dell’art. 9 legge n. 91 del 1992 il provvedimento di concessione della
cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente
discrezionali circa l'esistenza di un' avvenuta integrazione dello straniero in
Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità
nazionale, va tuttavia sottolineato che il sindacato giurisdizionale sul
corretto esercizio del potere, avendo natura estrinseca e formale, ben può e
deve verificare la ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio,
oltre alla veridicità dei fatti posti a fondamento della determinazione amministrativa
e alla sussistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica,
coerente e ragionevole.”
Dunque alla base della discrezionalità
dell'amministrazione è necessario non solo che la motivazione alla base della
scelta appaia logica, coerente e ragionevole ma è altresì necessaria una
approfondita istruttoria.
Altro elemento rilevante ai fini della
determinazione dell'integrazione dello straniero in Italia riguarda l'esistenza
di procedimenti penali a carico del richiedente. Sebbene l'articolo 9 L. 91/1992 non
preveda la necessità per l'istante di produrre anche il casellario giudiziale,
l'amministrazione nella sua discrezionalità può consultare la relativa
documentazione in suo possesso. In questo caso la valutazione
dell'Amministrazione è scevra di parametri rigidi, e ciò nel corso degli ultimi anni
ha portato in giurisprudenza ad interpretazioni contrastanti. Da un lato, infatti, si è sostenuto
che il casellario giudiziale di cui è in possesso l'amministrazione non è
quello valido tra privati, e che nonostante il richiedente sia in possesso di
un casellario giudiziale rilevante apparentemente “pulito”, (perché sono
intervenute cause che hanno estinto il reato, ad esempio è stata rimessa
querela, è intervenuta riabilitazione o la prescrizione), la documentazione in
possesso dell'Amministrazione continua a contenere menzione del passato
penalmente rilevante dell'istante. Dall'altro, la sentenza del Tar Lazio, n.
5665 del 19 giugno 2012, permette di argomentare a contrario che l'avvenuta
estinzione del reato o la riabilitazione dell'istante permetterebbe l'acquisto
della cittadinanza.
* legale, collaboratrice Aduc