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di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del 6 settembre 2012)

 

Regolarizzazione immigrati irregolari, ancora incertezze sulla procedura: domande dal 15 settembre 2012

 

 

Sommario

 

Saiba mais... Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti                                                                       pag. 2

Saiba mais... Regolarizzazione, domande dal 15 di settembre                                                                        pag. 2

Saiba mais... Procedura di regolarizzazione: nota di Guglielmo Loy, Segr. Conf. Uil                                      pag. 2

Saiba mais... Regolarizzazione: un affare per big                                                                                             pag. 3

Saiba mais... Lettera patronati CEPA al Ministero dell’Interno                                                                        pag. 3

Saiba mais... Carta blu UE: al via la procedura online                                                                                     pag. 4

Saiba mais... Riforma del Lavoro la circolare che raddoppia i permessi di soggiorno                                      pag. 4

Saiba mais... Immigrazione e Lavoro: il 7,4% delle imprese è gestito da immigrati                                        pag. 6

Saiba mais...  Discriminazioni: è grave il ridimensionamento di UNAR                                                                        pag. 7                   

Saiba mais... Giurisprudenza – Immigrazione e cittadinanza per residenza                                                     pag. 9

                   

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it                                                                                                 Anno X -  n. 28



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma, 12 settembre 2012, ore 12 sede UIL nazionale

Riunione Tavolo Immigrazione

(Giuseppe Casucci)

Roma, 14 settembre 2012, ore 16, Sala del Carroccio, Campidoglio

Gruppo Assembleare Capitolino Aggiunto – Convegno sulle procedure di regolarizzazione dei lavoratori stranieri

(Giuseppe Casucci, Pilar Saravia)

Roma, 19 settembre 2012, ore 10, sede CNEL

Presentazione del rapporto OCSE “International Migration Outlook 2012” 

(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)

Varese, 19 settembre 2012, ore 9.30
Convegno UIL/ITAL Varese su immigrati e cittadinanza
(Guglielmo Loy)

Venezia, 20 settembre 2012, ore 9.30
Convegno UIL/Ital Veneto su immigrati e cittadinanza
(Guglielmo Loy)

Roma, 26-27 settembre, Bruxelles

ITUC - Meeting on the “12 by 12” campaign on domestic work” 

(Giuseppe Casucci)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Regolarizzazione

 


La procedura di regolarizzazione dei lavoratori stranieri irregolari, appare inutilmente complessa ed onerosa. Urge la pubblicazione del decreto attuativo.

Nota di Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL


Roma, 6 settembre 20102 - I ritardi nella pubblicazione del decreto attuativo del procedimento di regolarizzazione di lavoratori stranieri irregolari ed alcuni aspetti contenuti nello stesso rischiano, a parere della UIL,  di trasformare questa importante iniziativa di emersione dal lavoro nero, in un possibile flop con la conseguente mancata emersione di migliaia di lavoratori stranieri che da mesi o anni lavorano e vivono accanto a noi, in una condizione di assenza virtuale di diritti.

Preoccupazione in tal senso è stata espressa ieri dal CEPA, il gruppo di patronati che fanno capo a Cgil, Cisl, Uil e Acli, in una lettera inviata al Ministro dell’Interno. Tra gli aspetti contenuti dal dlgs che la UIL considera problematici:

a)     Il decreto si applica a stranieri presenti in Italia dal 31/12/2011 che possano dimostrarlo attraverso documentazione pubblica. La condizione posta ci appare irragionevole, in quanto se un immigrato è entrato irregolarmente, è difficile che disponga di certificati emessi da autorità pubblica, tranne che non abbia avuto la ventura di finire in ospedale o abbia iscritto il figlio a scuola. Ci sembrerebbe preferibile, invece, accettare la dichiarazione del datore di lavoro, come già avvenuto in precedenti occasioni.

b)    I limiti di reddito richiesti per presentare la domanda (30 mila euro) sono molto alti, così com’è alto il costo previsto per accedere alla regolarizzazione. Non vorremmo che, come successo in passato, molti datori di lavoro finiscano per far pagare il conto al lavoratore immigrato ;

c)     Ci appare discriminatoria la preclusione alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro a tempo parziale (tranne il lavoro domestico), anche considerato che, attualmente sul mercato, prevalgono le forme di lavoro atipiche;

Questi aspetti, se non corretti,  potrebbero frenare l’accesso alla procedura di “ravvedimento oneroso” e far perdere  a molte migliaia di stranieri irregolari, l’occasione di avere una condizione di vita e di lavoro degni. La UIL chiede dunque che il decreto attuativo giunga celermente (data anche la vicinanza della data del 15 settembre) e contenga quei chiarimenti necessari a rendere maggiormente fruibile la procedura in atto di emersione dal lavoro irregolare.



Dal 7 settembre è possibile versare il contributo con l’F24.

Regolarizzazione: domande  dal 15 settembre, ma ancora incertezze sulla documentazione per attestare la presenza dello straniero dal 31/12/2011.


Roma, 3 settembre 2012 - Questione di giorni, o forse di ore per leggere il testo ufficiale del decreto interministeriale previsto dal decreto legislativo n. 109 del 16 luglio 2012, che dovrà fornire le indicazioni circa le modalità di presentazione della dichiarazione di emersione del rapporto di lavoro e quelle necessarie per la regolarizzazione delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale pari almeno a sei mesi, nonché i limiti di reddito di lavoro di lavoro richiesti per l’emersione del rapporto di lavoro. Il decreto, già approvato il 29 agosto dal ministro dell’Interno di concerto con il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, con il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione e con il ministro dell’Economia e delle Finanze, attende il visto della Corte dei conti per andare subito in Gazzetta ufficiale. Il provvedimento, però, a quanto è dato sapere, non fornirà chiarimenti sul punto più controverso dell’art. 5 (e sicuramente quello più importante per stabilire il diritto o meno di accedere alla regolarizzazione) e cioè quali siano gli organismi pubblici i cui documenti possano attestare la presenza del lavoratore straniero sul territorio nazionale dal 31 dicembre 2011. Sembra perciò confermata la volontà del Governo di restringere quanto più possibile l’ambito di applicazione della norma in quanto, a partire dal costo della pratica per proseguire con le difficoltà di prova della presenza, non sembrano proprio ipotizzabili i grandi numeri che hanno caratterizzato i precedenti provvedimenti di regolarizzazione.
Nel frattempo l’Agenzia delle entrate, con risoluzione 85/E del 31 agosto, ha adottato le procedure per il pagamento del contributo di 1000 euro che potrà essere versato mediante modello di pagamento “F24 Versamenti con elementi identificativi
”, reperibile oltre che sul sito internet dell’Agenzia delle entrate anche sui siti internet del Ministero dell’interno, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero per la cooperazione internazionale e l’integrazione e dell’Inps. I corrispondenti codici tributo saranno operativamente efficaci dal 7settembre 2012. 
(R.M.)


 


Regolarizzare è un affare per big

Regolarizzare è un affare per bigDi Daniele Cirioli, Italia Oggi


Sanatoria esclusa per le microimprese. Infatti, chi fattura sotto i 30 mila euro non può regolarizzare l'eventuale rapporto di lavoro in nero tenuto con un cittadino extracomunitario, perché non soddisfa il requisito reddituale cui è condizionata l'ammissione alla procedura di emersione.

La condizione del reddito. I soggetti che possono presentare domanda di regolarizzare sono tutti i datore di lavoro, italiani, comunitari o extracomunitari (ma con carta di soggiorno), che soddisfino un determinato requisito reddituale. Tale requisito, fissato dal decreto interministeriale di attuazione della sanatoria, distingue due ipotesi a seconda del tipo di rapporto di lavoro che deve essere regolarizzato: lavoro dipendente o lavoro domestico. Inoltre, prevede un'ipotesi esonerativa: quella del lavoro domestico per assistenza (badanti). Infatti, la verifica dei requisiti reddituali non si applica al datore di lavoro affetto da patologie o handicap che ne limitano l'autosufficienza, qualora effettui la dichiarazione di emersione per uno straniero addetto alla sua assistenza.

Le due ipotesi. Nel primo caso (sanatoria lavoro dipendente in tutti i settori tranne quello domestico) il requisito reddituale per il datore di lavoro persona fisica, ente o società è di 30 mila euro di «reddito imponibile» (quindi reddito al netto degli oneri deducibili, ossia dell'importo indicato al rigo RN4 del modello Unico). In alternativa, l'ammissione alla sanatoria è comunque consentita in presenza di un «fatturato» di pari importo; questa seconda via pare una ciambella di salvataggio per coloro che non arrivano a dichiarare 30 mila euro. Nel secondo caso (regolarizzazione domestici) sono previsti due limiti:

a) il primo per il nucleo familiare composto da un solo soggetto percettore di reddito ed è fissato a 20 mila euro di «reddito imponibile»; anche in questo caso, pertanto, si fa riferimento al rigo RN4 di Unico o al rigo 14 del modello 730-3;

b) il secondo per i nuclei familiari composti da più soggetti percettori di reddito ed è fissato a 27 mila euro di «reddito imponibile» (rigo RN4 di Unico o rigo 14 del 730-3); in tal caso i redditi di coniuge e parenti entro il secondo grado possono concorrere a raggiungere il limite, anche se non conviventi.

In tutte le ipotesi, il reddito imponibile o il fatturato da considerare è quello risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi o dal bilancio di esercizio dell'anno precedente (anno 2011).


 


CENTRO PATRONATI (CE-PA)

ACLI - INAS - INCA – ITAL

Lettera al Ministro dell’Interno


Gentile Ministro Cancellieri,

I Patronati del CEPA esprimono la loro preoccupazione per l’assenza di norme attuative

previste dal D.Lgs 109/2012 e necessarie alla operabilita’ nell’ambito dell’art.5 del decreto stesso per l’accesso alla regolarizzazione prevista per i datori di lavoro. La mancanza delle informazioni necessarie ad effettuare le opportune valutazioni per l’accesso allo strumento legislativo, rischia di vanificare l’obiettivo prioritario della norma che nella sua generalità ha come scopo l‘emersione del lavoro nero, l’aggravamento delle pene per i datori di lavoro coinvolti e la denuncia delle situazioni di sfruttamento che coinvolgono i lavoratori stranieri. Tra le precisazioni necessarie, sottolineiamo la necessità di normare il passaggio di cui all’art.5 nella parte che prevede l’attestazione della presenza del lavoratore in Italia al 31/12/2011. L’assenza di queste precisazioni pone i Patronati nella impossibilita’ di fornire un servizio di

informazione adeguato, di agevolare l’uso dello strumento di emersione, di accedere alle procedure per presentare le domande con il rischio reale di trasformare una opportunità di crescita civile in un improduttivo ricorso al contenzioso con la pubblica amministrazione. Confidiamo pertanto nel Suo intervento affinché sia celermente portata a termine la necessaria normazione accessoria e siano messe in atto le opportune procedure informative nei confronti degli enti coinvolti.

Distinti saluti. La Presidente CE-PA

(Morena Piccinini)


 


Immigrazione

Al via la procedura on line per richiedere la Carta blu Ue

Inoltro telematico delle richieste di nulla osta lavoro per i lavoratori stranieri altamente qualificati. Tutte le informazioni nella circolare del dipartimento Libertà civili e Immigrazione


www.interno.it Dall'8 agosto chi è interessato potrà richiedere on line il nulla osta al lavoro per ottenere la Carta blu Ue, la nuova tipologia di permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri altamente qualificati introdotta dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n.108. Per accedere alla procedura telematica per l'invio delle domande agli Sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture competenti, spiega il dipartimento per le Libertà civili e l'immigrazione nella circolare 3 agosto 2012, è necessario registrarsi al servizio di invio telematico sul sito web https://nullaostalavoro.interno.it, indicando il proprio indirizzo di posta elettronica. Completata la fase di registrazione si accede all'area Richiesta moduli, dove è possibile compilare il modulo di richiesta nullaosta al lavoro per il rilascio della Carta Blu Ue (Modulo BC). Per inviarlo è necessario aver indicato tutti i dati obbligatori richiesti – tra i quali il contratto di lavoro o la proposta di lavoro vincolante, il titolo di istruzione e la relativa qualifica superiore, l’importo annuale lordo, calcolato in base ai parametri indicati dalla normativa - e poi cliccare sul bottone 'Invia'. L'utente può aiutarsi con le guide alla compilazione on line e verificare i dati immessi. L'avvenuta ricezione del modulo sarà subito disponibile direttamente dalla home page dell’utente. Dopo il rilascio del nulla osta - non oltre 90 giorni dall'inoltro della domanda - il lavoratore straniero può recarsi allo Sportello unico per sottoscrivere il contratto di soggiorno. Tutte le informazioni su ambito di applicazione della normativa, requisiti e modalità di accesso alla procedura on line si trovano nel decreto legislativo 108/2012 e nella circolare esplicativa.

Scarica:

·                         La circolare esplicativa del dipartimento Libertà Civili e Immigrazione 3 agosto 2012

·                         Decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108

·                         Per i lavoratori altamente qualificati arriva la 'Carta Blu Ue' (25/7/2012)



Riforma del lavoro e immigrati: la circolare che raddoppia i permessi

Uno dei capitoli meno conosciuti della nuova riforma del lavoro è quello riguardante gli immigrati e il welfare.


1410923650Uno dei capitoli meno conosciuti della nuovariforma del lavoro è quello riguardante gli immigrati e il welfare. Molti lavoratori stranieri, infatti, giungono in Italia in cerca di un nuovo lavoro, salvo, però, perderlo dopo pochi mesi: mai come oggi, infatti, anche gli stranieri si imbattono nelle conseguenze della crisi economica, tanto è vero che alcune indagini recenti hanno messo in luce come stia prendendo piede il fenomeno dell’abbandono del suolo italiano da parte della popolazione non autoctona. Le nuove misure sono illustrate nella circolare 5792/2012 diramata dal Ministero dell’Interno. Ora, infatti, con l’entrata in vigore, lo scorso 18 luglio, della nuova legge sul lavoro firmata dal ministro Elsa Fornero, anche per i dipendenti extracomunitari sono stati contemplati alcuni ammortizzatori sociali più incisivi, che tengono conto sia del momento di crisi occupazionale ed economica, sia dello stato di precarietà in cui molti immigrati sono costretti a vivere svolgendo lavori saltuari o poco sicuri. Questa misura, che modifica il Testo unico sugli immigrati o decreto legislativo 286/1998, è finalizzato a favorire il reintegro lavorativo della forza lavoro straniera già presente sul territorio nazionale. In particolare, la durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione è stata raddoppiata, passando dai precedenti sei mesi a un anno di permanenza regolare per chi ha perso l’occupazione. E non è tutto: qualora l’immigrato licenziato, per esempio, usufruisca di misure di sostegno del reddito, come Cig o indennità di disoccupazione, il permesso di soggiorno resta in vigore fino all’esaurimento dell’ammortizzatore sociale. Anche in caso di dimissioni del lavoratore, poi, la libera circolazione di un anno per lavoro subordinato resta pienamente in vigore. C’è, infine, un altro sistema per restare in regola all’interno dei confini italiani pur in assenza temporanea di occupazione: dimostrare, secondo quanto stabilito all’articolo 29 del Testo Unico per l’immigrazione, di godere di un reddito minimo annuo proveniente da fonti lecite. Questa somma, in ogni caso, non potrà essere inferiore all’ammontare dell’assegno sociale, al fine di assicurare all’immigrato una regolare permanenza anche in stato di temporanea disoccupazione. Queste misure sono l’anticamera della sanatoria che prenderà il via il 15 settembre, quando verranno aperte le liste per regolarizzare l’altra faccia della medaglia dell’immigrazione, quella del lavoro nero. Infatti, i datori di lavoro potranno essenzialmente pagare un conguaglio di mille euro per ogni cittadino straniero non in regola con i documenti di soggiorno, che riesca a dimostrare di trovarsi nel suolo italiano almeno dal 31 dicembre 2011. La linea di inclusione del governo Monti verso la popolazione immigrata è insomma tracciata con forza e punta a prevenire sia le condizioni di sfruttamento che i crescenti fenomeni di abbandono della penisola.

Leggi la circolare 5792/2012 del Ministero dell’Interno

http://www.leggioggi.it/wp-content/uploads/2012/08/minint_circ5792_09072012.pdf


 


Permessi di soggiorno, nulla osta al lavoro, ricongiungimento familiare e cittadinanza:

Poteri sostitutivi al Capo dell’Ispettorato del Viminale in caso di inerzia di questure e prefetture.


Roma, 3 settembre 2012 - I cittadini, ovviamente compresi gli stranieri, che si ritengono vittime un ritardo o un’inadempienza burocratica possono avvalersi di una figura, interna all’amministrazione, che si sostituirà al dirigente o al funzionario inadempiente. Lo ha reso possibile la nuova normativa, introdotta in materia di semplificazione e di sviluppo (decreto legge 9 febbraio 2012 n. 5, convertito nella legge n. 35/2012), che ha modificato e integrato l’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241. La normativa ha carattere generale, e riguarda perciò tutti i procedimenti amministrativi, compresi quelli di interesse per i cittadini stranieri, ed in particolare i permessi di soggiorno, i nulla osta al lavoro ed al ricongiungimento familiare, le cittadinanze. Pertanto, “decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento... il privato può rivolgersi al responsabile di cui al comma 9-bis perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario”.
Il ministro dell’Interno, con decreto 31 luglio 2012, ha individuato nel titolare dell’Ispettorato generale di amministrazione (Iga), prefetto Francescopaolo Di Menna, la figura apicale cui affidare tale potere sostitutivo, tenuto conto che il medesimo ufficio si occupa anche di rilevare i procedimenti non conclusi nei termini di legge. Gli interessati possono richiedere l’intervento del prefetto Francescopaolo Di Menna servendosi del seguente indirizzo di posta elettronica ispettorato.generale@interno.it. Il prefetto Di Menna “in caso di ritardo, comunica senza indugio il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza alle disposizioni del presente comma, assume la sua medesima responsabilità oltre a quella propria.
(R.M.)


 

Immigrazione e Lavoro


Il 7,4% delle imprese è gestito da immigrati

Aziende straniere in crescita di 26mila unità a fronte di un calo di oltre 28mila imprese italiane. L'analisi della Fondazione Leone Moressa 


Roma  - 31 agosto 2012 - Su 6 milioni di imprese operanti in Italia nel 2011, 454mila sono condotte da stranieri, cioè il 7,4% del totale. Nonostante la crisi, le imprese straniere hanno registrato a fine anno un saldo positivo di oltre 26mila unità, al contrario delle aziende italiane che sono, invece, diminuite di oltre 28mila imprese. Quando avviano un’attività imprenditoriale, gli stranieri preferiscono costituirla insieme a connazionali (oppure avviando direttamente imprese individuali per conto proprio) piuttosto che mettersi in società con italiani.

Sono alcuni dei risultati a cui è pervenuta la Fondazione Leone Moressa, che ha analizzato i dati sulle imprese iscritte alle Camere di Commercio italiane classificando come “aziende straniere” le imprese che vedono persone non nate in Italia detenere almeno il 50% delle quote di proprietà e delle cariche amministrative a seconda della tipologia d’impresa, facendo propria la definizione fornita da Infocamere stessa. I dati anticipano alcuni dei contenuti del Secondo Rapporto sull’Economia dell’Immigrazione che verrà presentato nel mese di ottobre a Venezia. 
Per settori di attività. Più di 156mila aziende straniere (34,4% del totale) si concentrano nel settore del commercio, cui fa seguito quello delle costruzioni con quasi 125mila (27,5%) e quello dei servizi con più di 89mila unità produttive (19,7%). Ma è nell’edilizia che la presenza straniera si fa più marcata: infatti su 100 imprese di questo settore, quasi 14 sono condotte da imprenditori nati all’estero. Nel commercio questa percentuale si abbassa al 10,1%, seguita da alberghi e ristoranti (7,7%) e dalla manifattura (6,3%). Per la quasi totalità dei settori, il grado di imprenditorialità risulta essere esclusivo in oltre il 90% dei casi, eccetto il settore dei servizi in cui gli stranieri sembrano un po’ più propensi a lavorare con italiani.
Per regione. Con più di 85mila imprese è la Lombardia la regione che presenta il maggior numero di aziende condotte da stranieri (18,9% del totale), seguita dal Lazio (11,2%) e dalla Toscana (10%). Ma è proprio in Toscana che si registra il maggior peso di queste imprese sul totale delle aziende presenti nel territorio: infatti su 100 attività produttive, 11 sono gestite da immigrati (10,9%). In questa classifica seguono il Friuli Venezia Giulia (9,5%) e la Liguria (9,4%). In tutte le regioni, per oltre il 90% delle aziende condotte da stranieri il grado di imprenditorialità risulta esclusivo.
Dinamiche. Le imprese straniere chiudono il 2011 con un saldo totale positivo di 25.567 unità, vale a dire con un tasso di progresso del 5,9% a fronte di un tasso del -0,5% delle imprese italiane, che contano un saldo negativo di oltre 28mila unità. A livello regionale, mostrano un particolare dinamismo in termini di sviluppo imprenditoriale straniero la Liguria (8,2%), la Campania e il Lazio (8,1%). Anche i settori mostrano delle differenze: nei servizi, infatti, il saldo è positivo sia per le imprese italiane (+85.532) che per le imprese straniere (+14.360), mentre negli altri comparti si è registrato un bilancio positivo per le aziende condotte da stranieri e negativo per quelle condotte da italiani. Per esempio, nel commercio le aziende straniere sono aumentate di 6.600 unità, mentre quelle italiane hanno subito una perdita di oltre 40mila imprese. Stesse considerazioni valgono per il settore delle costruzioni dove l’anno si chiude con un saldo di +4.399 per le imprese straniere e di -17.561 per le imprese italiane.



Fondazione Moressa

Il lavoro occasionale accessorio (voucher o buoni lavoro) come modalità di occupazione dei lavoratori stranieri

27mila lavoratori stranieri hanno utilizzato i voucher nel 2011.Buoni lavoro aumentati di oltre il 60% nell’arco di un anno.


Venezia, 27 agosto 2012 - La recente riforma del lavoro prevede che i compensi del lavoro accessorio siano validi per il computo del reddito necessario al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno al fine di favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri. Per questo motivo, la Fondazione Leone Moressa ha ritenuto utile analizzare questa tipologia di lavoro. Un sempre maggiore utilizzo dei voucher potrebbe infatti stimolare in qualche caso l’emersione di lavoro sommerso in alcuni settori (ad esempio in agricoltura o nel lavoro domestico), ma soprattutto potrebbe dare la possibilità ai lavoratori stranieri di disporre di una somma monetaria che permetta loro il rinnovo del permesso di soggiorno, cosa che prima della riforma non poteva essere fatta. Nel 2011 ad aver utilizzato il sistema dei voucher sono stati 27 mila lavoratori stranieri, pari al 13% di tutti i soggetti inquadrati con questa tipologia di lavoro. Dal 2010 il numero di stranieri è quasi duplicato (+49%) passando da 18mila posizioni a 27mila. In termini di numero di voucher venduti a lavoratori stranieri si tratta di 1,6milioni di unità nel 2011; questi sono aumentati nell’arco di un anno di oltre il 60%. Per ogni singolo lavoratore straniero sono stati acquistati mediamente 62,3 voucher nel 2011. Questo volume grosso modo corrisponde ad un compenso lordo per ciascun lavoratore di 623€ (se si considera che un voucher vale 10€). A livello aggregato si tratta, nel solo 2011, di quasi 17 milioni di € erogati agli stranieri per le loro prestazioni occasionali tramite il sistema dei buoni lavoro. Tale sistema è particolarmente diffuso tra le donne straniere, che rappresentano più della metà dei lavoratori stranieri che nel 2011 hanno utilizzato i buoni lavoro (52,0%). La regione che annovera il maggior numero di stranieri con lavoro accessorio è il Veneto che da solo raccoglie il 14,7% del totale, seguito da Lombardia (13,5%) e Piemonte (13,4%). Ma sono il Friuli Venezia Giulia e la Liguria le regioni in cui si annovera una maggiore presenza di stranieri in questo sistema: nella prima area il peso straniero è del 18,6%, nella seconda il 18,1%. Nel comparto agricolo viene fatto maggior utilizzo dei voucher, sia per quanto riguarda i lavoratori stranieri (20,2%) che gli italiani (27,5%). Ma è nel comparto del lavoro domestico che il peso degli stranieri si fa più evidente: oltre un lavoratore su due infatti è immigrato (56,1%), seguito dai lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione (19,9%).

 Scarica lo studio completo Il lavoro occasionale accessorio



Discriminazioni


E’ grave il ridimensionamento di UNAR

Lo scrivono in una lettera al ministro Elsa Fornero, le principali Federazioni europee impegnate sul fronte della disabilità, della lotta al razzismo, dei diritti delle donne e delle persone anziane.


«Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la decisione del vostro Governo di ristrutturare l’UNAR(Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e di tagliare il budget ad esso destinato».
Dopo l’analogo appello lanciato in luglio da numerose sigle dell’associazionismo italiano, tra cui laFISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), tutte impegnate nell’affermazione dei diritti e della dignità delle persone e contro ogni violenza ediscriminazione, che negli ultimi tre anni hanno condiviso un percorso di crescita, di conoscenza reciproca e di condivisione di obiettivi, guardando all’UNAR come a un importante punto di riferimento, arriva questa volta dall’estero una lettera indirizzata al ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero, che fa anche riferimento alla Direttiva del Consiglio d’Europa 2000/43/EC (Council Directive 2000/43/EC of 29 June 2000 implementing the principle of equal treatment between persons irrespective of racial or ethnic origin), sulla necessità di implementare i pari diritti tra tutte le persone. «L’articolo 13 di quella Direttiva – si legge infatti nel messaggio – chiede agli Stati Membri dell’Unione Europea di avviare specifici organismi, utili a promuovere il pari trattamento e a combattere ogni discriminazione, basata sulla razza o sull’origine etnica. Si tratta di strutture estremamente importanti per implementare le leggi antidiscriminatorie, per dare sostegno alle vittime di discriminazioni e per coordinare il lavoro dei Governi e di altri organismi statali in direzione dell’uguaglianza».

Sono quattro organizzazioni assai significative e rappresentative di molti milioni di Cittadini europei, quelle che firmano la lettera. Si tratta infatti dell’EDF (European Disability Forum), dell’ENAR (European Network Against Racism), dell’EWL (European Women’s Lobby) e di AGE Platform Europe, ovvero delle principali Federazioni continentali impegnate rispettivamente sul fronte della disabilità, della lotta al razzismo, dei diritti delle donne e di quelli delle persone anziane.
«Durante gli ultimi dieci anni – si scrive ancora – l’UNAR ha giocato un ruolo molto importante per l’applicazione concreta, in Italia, della Direttiva Europea sull’uguaglianza, diffondendo buone prassi, sostenendo persone vittime di discriminazioni e creando nuove occasioni di dialogo e positive opportunità per la società italiana». «Possiamo capire – si aggiunge – che in questa grave fase di crisi economica e finanziaria, il vostro Governo debba rivedere i criteri della spesa pubblica e tuttavia un ridimensionamento dell’UNAR rischia di avere un grave impatto sulle capacità dell’Ufficio di continuare le proprie attività, ciò che può ripercuotersi negativamente sulle pari opportunità di tante persone che già stanno pagando fortemente la crisi, a causa della riduzione dei loro redditi, delle pensioni, dei servizi di sostegno e delle opportunità di lavoro, senza parlare dell’aumento di comportamenti discriminatori e di attacchi xenofobi».
«Chiediamo quindi al Governo Italiano – conclude la lettera, firmata da Carlotta Besozzi, direttore dell’EDF, Michael Privot, direttore dell’ENAR, Sonja Lokar, presidente dell’EWL e Anne-Sophie Parent, segretario generale di AGE Platform Europe – di assumersi la responsabilità di non ridimensionare l’UNAR e di mantenere la tutela e le pari opportunità per tutte le persone che vivono e lavorano in Italia». (S.B.)

30 agosto 2012 



Milano, sposato all’estero con italiano: la questura dà il ‘soggiorno’ a un serbo

di Paolo Hutter | 2 settembre 2012. : Il Fatto Quotidiano


matrimonio omosessuale interna nuovaIl coniuge extracomunitario dello stesso sesso ha ildiritto di risiedere regolarmente in Italia. Questo a prescindere dal fatto che l’Italia non riconosca ilmatrimonio contratto all’estero: il coniuge omosessuale sposato all’estero è considerato familiare di cittadino comunitario grazie alle norme sulla libera circolazione in Europa e ai pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo. Così è successo che la questura di Milano ha rilasciato, nello stesso giorno in cui è stato richiesto, senza ostacoli, il permesso di soggiorno al coniuge serbo di un cittadino italo-canadese. Tutto “in base alle norme sulla libera circolazione dei cittadini europei e i loro famigliari”. La storia è quella di Adrian, italo-canadese, e Djiordje, serbo, che si sono sposati in Canada nel 2009 ma da qualche tempo risiedono in Italia. Seguiti dall’Associazione Radicale Certi Dirittihanno presentato la richiesta di permesso di soggiorno alla Questura di Milano. Niente ha potuto neanche una circolare ministeriale del 2007 che vieta ai Comuni la trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero anche da cittadini italiani. E c’è chi dice che sull’orientamento della questura milanese abbia ha pesato anche l’approvazione, da parte delComune di Milano, del registro delle unioni civili.  Yuri Guaiana, segretario dell’Associazione Radicale Certi Diritti, commenta: “La decisione della questura di Milano rinforza la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che nel febbraio scorso, per la prima volta in Italia, aveva decretato, in accoglimento di un nostro ricorso, il rilascio del permesso di soggiorno per un ragazzo uruguayano regolarmente sposato in Spagna con un italiano”. Ma in Italia le cose non vanno tutte nella stessa direzione: “La Questura di Rimini, che dal 17 maggio 2012 sta bloccando il rilascio del permesso di soggiorno ad un cittadino cubano sposato in Spagna da un italiano, dovrebbe prendere esempio. Sarebbe anche ora che questa contraddizione per la quale si rilasciano permessi di soggiorno per motivi famigliari a coniugi dello stesso sesso, senza che il loro matrimonio contratto all’estero venga riconosciuto in Italia si risolva e che il governo permetta ai coniugi dello stesso sesso di vedere pienamente riconosciuto il proprio stato civile in Italia”. La vicenda delle coppie omosessuali sposate all’estero è un’altra spallata al catenaccio che ha bloccato finora in Italia qualunque riconoscimento delle coppie gay. I casi di italiani o italiane che si sposano all’estero con partner dello stesso sesso stanno aumentando. Per quanto riguarda la partita politico-legislativa in Italia, ormai sembra tutta puntata sul prossimo Parlamento anche se formalmente ci sono ancora proposte di legge nelle Commissioni dell’attuale Parlamento. Nei prossimi giorni si capirà se continua o si arena la proposta di iniziativa popolare “Una volta per tutti“, presentata a Milano a giugno. La proposta – elaborata dal gruppo del Padova Gay Village diAlessandro Zan – prevede che le coppie possano scegliere tra tre diversi istituti: le unioni civili, ipatti civili di solidarietà, le unioni di fatto. Qualche esponente politico gay ha partecipato alla presentazione, ma il mondo associativo Lgbt complessivamente si è sentito tagliato fuori e ha considerato come un cedimento inaccettabile l’assenza del vero e proprio matrimonio gay dalla proposta. Il testo della proposta di legge è uscito poche settimane fa e si è così scoperto che l’unione civile nella proposta Una Volta per Tutti sarebbe un istituto, riservato alle coppie dello stesso sesso, equipollente a un matrimonio. C’è persino la previsione di una sorta di adozione semiautomatica dei figli di un partner da parte dell’altro partner. Resta che a questione “figli” sarà il punto caldo di qualunque legge in proposito, anche se riguarda solo una parte delle coppie lesbiche e gay. La “Unione civile” del progetto Una volta per tutti, proposta molto avanzata, prevede tra l’altro la ridefinizione della disciplina in materia di cognome, prevedendo che gli uniti civilmente possano scegliere di aggiungere al proprio quello dell’altro unito civilmente, la modifica delle norme in materia di filiazione e potestà dei genitori, prevedendo che l’unito civilmente sia legalmente genitore del figlio concepito durante l’unione civile dall’altra parte dell’unione, anche facendo ricorso a tecniche di riproduzione assistita o di maternità surrogata all’estero; previsione della possibilità per l’unito civilmente di adottare i figli nati dall’altra parte dell’unione prima della celebrazione dell’unione civile, in assenza di riconoscimento dell’altro genitore naturale; unificazione delle disposizioni in materia di affidamento dei figli in caso di scioglimento dell’unione per assicurare parità di trattamento tra i figli nati da un matrimonio e quelli nati da un’unione civile. Il “patto civile di solidarietà”, invece, e la “unione di fatto” nel progetto di legge sono istituti aperti anche alle coppie eterosessuali che non si vogliono sposare e comunque – pur non occupandosi così precisamente dell’aspetto figli – prevedono diritti significativi, come la possibilità di far avere il permesso di soggiorno al partner extracomunitario (senza bisogno di andarlo a sposare all’estero…) e l’equiparazione al coniuge nell’eredità. Ma che la “Unione civile” di “Una volta per tutti” sia di fatto un matrimonio non ha mutato, anzi ha reso ancora più critica, la posizione delle associazioni Lgbt che oggi vogliono rivendicare esplicitamente, senza cautele diplomatiche, la parità attraverso il matrimonio.

Per il 15 settembre è stata convocata a Roma una assemblea nazionale dei principali soggetti Lgbt che dovrebbe portare al lancio di una proposta di legge di iniziativa popolare intitolata al matrimonio egualitario. Bisognerà vedere se prevederà anche istituti intermedi – come Una volta per tutti – o se, in nome dell’eguaglianza, metterà anche le coppie omosessuali nel binario del divorzio lungo se la coppia si vuole poi sciogliere.


 

 

 

Giurisprudenza

 


Immigrati e cittadinanza per residenza. Discrezione della PA

Articolo di Francesca Del Giudice *


La cittadinanza italiana si basa sul principio dello "ius sanguinis" (diritto di sangue), secondo il quale il figlio nato da padre italiano o da madre italiana è italiano.
Tuttavia, anche lo straniero, in possesso di determinati requisiti, può acquistare la cittadinanza italiana. La materia è attualmente regolata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, come modificata dalla legge 94 del 2009, e successivi regolamenti. In base a questi è possibile individuare due tipologie di concessione:
- concessione per matrimonio (art. 5 L. 91 del 5 febbraio 1992);
- concessione per residenza (art. 9 L. 91 del 5 febbraio 1992).
L'acquisto della cittadinanza per matrimonio non comporta per la Pubblica Amministrazione l'esercizio di un potere discrezionale. In questo caso, l'acquisto della cittadinanza, si configura come diritto soggettivo, condizionato unicamente alla eventuale esistenza di circostanze che comportano un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l'ordine pubblico, ad esempio la condanna per gravi delitti o segnalazioni che attengono alla sicurezza dello Stato. Diversamente, l'acquisto della cittadinanza per residenza non è un diritto ma una concessione in senso proprio: il possesso dei requisiti prescritti dall'articolo 9 è un presupposto, sì necessario, ma non sufficiente per l’emanazione del provvedimento (cfr. Cons. di Stato parere n. 2487/1992 del 30.11.1992). Detta concessione infatti, non è determinata da una valutazione dell'interesse dello straniero, bensì dalla valutazione dell'interesse per lo Stato e per la Comunità nazionale ad accogliere il nuovo cittadino richiedente. L'amministrazione, pertanto, ha potere pienamente discrezionale. 
Secondo l'art. 9 della L. 91 del 5 febbraio 1992, ai fini dell'istanza, il cittadino straniero deve possedere i seguenti requisiti:
- nato in Italia e ivi residente legalmente da almeno 3 anni (art. 9, c. 1, lett. A); 
- figlio o nipote in linea retta di cittadini italiani per nascita, e risiedere legalmente in Italia da almeno 3 anni (art. 9, c. 1, lett. A); 
- maggiorenne, adottato da cittadino italiano, e risiedi legalmente in Italia da almeno 5 anni, successivi all'adozione (art. 9, c. 1, lett. B); 
- aver prestato servizio, anche all'estero, per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato Italiano (nel caso di servizio all'estero, non occorre stabilire la residenza in Italia e può essere presentata domanda alla competente autorità consolare) (art. 9, c. 1, lett. C); 
- cittadino U.E. e risiedere legalmente in Italia da almeno 4 anni (art. 9, c. 1, lett. D); 
- apolide o rifugiato e risiedere legalmente in Italia da almeno 5 anni (art. 9, c. 1, lett. E); 
- cittadino straniero e risiedere legalmente in Italia da almeno 10 anni (art. 9, c. 1, lett. F). 
Quale ulteriore requisito di carattere generale è avere una disponibilità di redditi, prodotti sul territorio nazionale, il cui ammontare non sia inferiore a quelli stabiliti dalla Decreto Legge 382/1989, convertito in Legge 8/1990, come confermati dall'art. 2 della legge 549/1995.
Nel caso in cui il richiedente non possegga redditi propri dovranno essere documentati i redditi degli altri componenti il nucleo familiare. Al momento dell'adozione del decreto di concessione della cittadinanza deve risultare la continuità della residenza sul territorio italiano e il permanere della capacità reddituale nella misura minima di cui in premessa.
Ricevuti i documenti attestanti i requisiti di cui sopra, la Prefettura dispone di un termine di 730 gg. dalla data di presentazione della domanda, se questa è stata presentata con la documentazione regolare e completa, entro il quale deve emanare il proprio parere, positivo o negativo, in ordine all'istanza formulata dallo straniero. Il carattere negativo del parere determina il diniego della cittadinanza. Dunque, la Prefettura è l'Amministrazione titolare del potere discrezionale sulla concessione. 
Secondo la prevalente interpretazione, non si tratta di discrezionalità tecnica bensì amministrativa, riferita a parametri non specificamente identificati dalla legge e spesso vaghi(Cons. Stato Sez. I, n. 149 del 16 febbraio 2005). L'Amministrazione, infatti, può negare la cittadinanza perché lo straniero non possiede adeguate fonti di sussistenza, per difetto di integrazione, perché non si riscontra un'autenticità dell'aspirazione a divenire cittadino italiano, o addirittura di un non meglio precisato interesse della collettività o interesse pubblico generale1.
Il carattere discrezionale della statuizione dell'Amministrazione, oltre ad essere esplicito nella lettera della legge (l’art. 9 della legge afferma che la cittadinanza italiana “può essere concessa” allo straniero residente legalmente nel nostro territorio per un periodo variabile in relazione alle qualità o status posseduti), è stato ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio Stato, sez. IV, 07 maggio 1999 n. 798; Cons. St., VI, 1 ottobre 2008, n. 4748; Consiglio Stato , sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474; Cons. St., Sez. III, 22 novembre 2011, n. 6143 ).
L'esercizio del potere discrezionale tende a valutare l'avvenuta integrazione dello straniero. Gli elementi oggetto della - valutazione discrezionale della Prefettura non sono definiti dalla legge, tuttavia la giurisprudenza ha individuato alcuni indici dell'avvenuta integrazione: 
- considerazioni anche di carattere economico-patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 16-09-1999, n. 1474);
- la serietà sia dell’intento ad ottenere la cittadinanza italiana e le ragioni che inducono ad abbandonare la comunità di origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi. Non può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi familiari, parte dei quali già residenti nel territorio italiano. L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative all’acquisto di cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988);
- l’amministrazione, ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero legalmente residente in Italia da almeno dieci anni, può prendere in considerazione tutte le situazioni utili per valutare un’avvenuta integrazione dello straniero; pertanto, sono rilevanti eventuali sentenze penali intervenute a carico degli interessati, in relazione ai fatti a cui tali condanne si riferiscono sia al loro eventuale ripetersi (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 9374, del 20 ottobre 2004,).
Per comprendere l'ampiezza di tale discrezionalità si pensi che il diniego può essere determinato oltre che dai motivi inerenti la sicurezza della Repubblica anche da mancanza del periodo di residenza legale, insufficienza dei redditi del nucleo familiare, presenza di precedenti penali, insufficiente livello di integrazione e scarsa conoscenza della lingua italiana. In particolare, estremamente aleatorio risulta essere il giudizio sul livello di integrazione. Sebbene in Italia, dal 1992, non sia più prevista la presenza di un test atto a stabilire il livello d'integrazione dell'immigrato, solitamente la polizia propone alcune domande al candidato e sulla base delle risposte decide. 
L’ampia discrezionalità riconosciuta all’Amministrazione, tuttavia, non può tramutarsi in mero arbitrio. Sulla questione dei limiti alla discrezionalità il primo argomento riguarda l'obbligo di motivazione in caso di diniego, il Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995. Per il Consiglio di Stato l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia discrezionalità, deve indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base delle proprie determinazioni. 
Più recentemente, il Consiglio di Stato - VI Sezione – sentenza n. 1788 del 25 marzo 2009, ha indicato alcuni parametri in ordine all'esercizio del potere discrezionale. Il collegio, riconosce l’amplissima discrezionalità concessa all'Amministrazione a fronte dell’istanza volta alla concessione della cittadinanza, potendo valutare con rilevanti margini di apprezzamento la sussistenza di uno specifico interesse pubblico al rilascio della concessione.
Tuttavia, ritiene, che le valutazioni poste in essere dall’Amministrazione dell’Interno in relazione alla sussistenza di uno status illesae dignitatis (morale e civile) in capo al richiedente, possono essere censurate in sede giurisdizionale solo se affette da profili di palese irragionevolezza o di evidente abnormità.
Successivamente il Consiglio di Stato – Sezione III – del 5 giugno 2012, n. 3306, ha ribadito l'obbligo di motivazione del diniego e la sua sindacabilità con riferimento ai vizi della violazione di legge o dell’eccesso di potere, quanto meno con riferimento alle figure sintomatiche di maggior rilevanza quali l’errore sui fatti o la manifesta incongruità o illogicità. In particolare, la citata sentenza, ha formulato dei criteri di valutazione della discrezionalità in merito al possesso da parte dello straniero dei requisiti reddituali. Nel caso di specie si ritiene che ai fini della valutazione del requisito reddituale non si possa tenere conto esclusivamente del reddito personale in senso stretto e non anche delle condizioni economiche della famiglia nel suo complesso. Secondo il Consiglio di Stato, infatti resta nella discrezionalità dell’amministrazione valutare se, in concreto, le condizioni della famiglia siano tali da far ritenere che l’interessato goda non solo nell’attualità, ma anche come ragionevole previsione per il futuro, di un sostegno economico adeguato. L’amministrazione potrà dunque valutare discrezionalmente se il reddito familiare sia quantitativamente sufficiente, prevedibilmente stabile, di provenienza lecita, regolarmente dichiarato ai fini fiscali, etc.
Sul criterio dell'integrazione il Consiglio di Stato è intervenuto con la sentenza 14.01.2011 n° 1037, sez. VI, secondo la quale “Fermo restando che ai sensi dell’art. 9 legge n. 91 del 1992 il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l'esistenza di un' avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, va tuttavia sottolineato che il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere, avendo natura estrinseca e formale, ben può e deve verificare la ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, oltre alla veridicità dei fatti posti a fondamento della determinazione amministrativa e alla sussistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.”
Dunque alla base della discrezionalità dell'amministrazione è necessario non solo che la motivazione alla base della scelta appaia logica, coerente e ragionevole ma è altresì necessaria una approfondita istruttoria.
Altro elemento rilevante ai fini della determinazione dell'integrazione dello straniero in Italia riguarda l'esistenza di procedimenti penali a carico del richiedente. Sebbene l'articolo 9 L. 91/1992 non preveda la necessità per l'istante di produrre anche il casellario giudiziale, l'amministrazione nella sua discrezionalità può consultare la relativa documentazione in suo possesso. In questo caso la valutazione dell'Amministrazione è scevra di parametri rigidi, e ciò nel corso degli ultimi anni ha portato in giurisprudenza ad interpretazioni contrastanti. Da un lato, infatti, si è sostenuto che il casellario giudiziale di cui è in possesso l'amministrazione non è quello valido tra privati, e che nonostante il richiedente sia in possesso di un casellario giudiziale rilevante apparentemente “pulito”, (perché sono intervenute cause che hanno estinto il reato, ad esempio è stata rimessa querela, è intervenuta riabilitazione o la prescrizione), la documentazione in possesso dell'Amministrazione continua a contenere menzione del passato penalmente rilevante dell'istante. Dall'altro, la sentenza del Tar Lazio, n. 5665 del 19 giugno 2012, permette di argomentare a contrario che l'avvenuta estinzione del reato o la riabilitazione dell'istante permetterebbe l'acquisto della cittadinanza. 

* legale, collaboratrice Aduc