Sentenza carceri
Una riflessione dal servizio carcere del Naga:
proposte e ununica soluzione possibile
Marted 8 gennaio 2013. La Corte europea dei diritti
dell'uomo di Strasburgo ha condannato l'Italia, con una sentenza definita
"pilota", per aver violato l'art. 3 della Convenzione europea sui
diritti dell'uomo che vieta negli istituti circondariali e di detenzione la
tortura e il trattamento inumano e degradante.
Da quanto si evince dalla lettura della sentenza, le
condizioni delle carceri italiane sono giudicate assolutamente al di sotto
degli standard richiesti dalla Convenzione per un'accettabile detenzione
conforme ai principi fondamentali dei diritti delle persone. In Italia il
sovraffollamento degli istituti di pena ha raggiunto il 143% il che significa
che in media ogni detenuto ha a disposizione meno di 3 metri quadrati per
vivere e muoversi in una cella di 16-17 metri quadri in cui convivono, talvolta
per diciotto ore al giorno, 6 o persino 9 persone. In una situazione di questo
genere, che caratterizza la maggioranza delle prigioni italiane, le condizioni
igienico sanitarie e i servizi elementari sono a dir poco precari e in molti
casi assenti.
Lo stato intollerabile della detenzione nelle carceri
italiane, contestato pi volte dagli organismi comunitari, messo sotto accusa
dagli operatori del settore, dalle associazioni, dagli amministratori locali,
dai politici sino alle pi recenti esternazioni del Presidente della Repubblica
e a clamorosi atti di denuncia civile, stato condannato da un atto formale di
uno dei pi alti organi giurisdizionali dell'Unione europea. La sentenza della
Corte ha accolto il ricorso di 7 detenuti delle carceri di Busto Arsizio e di
Piacenza che hanno denunciato i suddetti istituti di pena e il Ministero della
Giustizia per aver dovuto subire, nel corso di prolungati periodi di
detenzione, condizioni di vita inaccettabili (spazi assolutamente
insufficienti, assenza di acqua calda, scarsa illuminazione, ecc). Accogliendo
i ricorsi la Corte ha sostenuto che non poteva non riconoscere che le
condizioni della detenzione sofferte dai detenuti configuravano il reato di
"trattamento inumano e degradante".
La Corte ha condannato l'Italia a pagare ai sette
detenuti un risarcimento per danni morali pari a centomila euro. Quindi ha
ammonito lo Stato italiano a porre rimedio entro un anno ad una situazione che
la Corte definisce talmente strutturale e sistemica da aver suscitato, oltre ai
sette che sono stati recepiti dalla sentenza, altre centinaia di ricorsi che
attendono un giudizio e che, se accolti, configurano un risarcimento iperbolico
di 64 milioni di euro.
Che fare?
In attesa che il Ministero della Giustizia e gli
organi preposti, di questo e del futuro governo, diano qualche segnale di
discontinuit rispetto all'assoluta indifferenza che ha contrassegnato
l'atteggiamento delle autorit competenti, il buon senso e la decenza morale
suggeriscono l'adozione assolutamente urgente di alcune misure elementari.
Innanzi tutto l'amnistia per i reati minori, con condanne almeno sino a due
anni, in modo da svuotare effettivamente e immediatamente le carceri dalla
massa di detenuti che stazionano in prigione in condizioni brutali alcuni per
brevi o brevissimi periodi di tempo. Quindi, una serie di soluzioni alternative
per chi in attesa di giudizio in modo da attenuare una delle cause principali
della saturazione carceraria.
Poi lo stanziamento immediato dei fondi regionali e
statali per adottare con sistematicit, come esorta la sentenza della CEDU,
misure diverse dalla carcerazione e per affrontare, al di fuori di una logica
volgarmente repressiva, i problemi della tossicodipendenza e della marginalit.
Infine, al cuore del problema, abrogazione e riforma, rispettivamente, della
legge Fini Giovanardi sul consumo e spaccio di sostanze stupefacenti; della
legge ex Cirielli sulla recidiva; del codice penale, e della Legge Bossi Fini
che fa del dispositivo carcerario il baricentro della legislazione e della
politica sull'immigrazione.
A fronte di una situazione che, sottolinea la
sentenza della CEDU, ha oltrepassato il limite della tortura e
dell'intollerabile, ora di rovesciare le strutture nodali dell'impianto
sicuritario e criminale delle politiche penali e carcerarie promosse, da oltre
venti anni, dalle classi politiche italiane.
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