04 luglio 2013

“Voltare le spalle a migliaia di migranti ha fatto solo danni”
Boldrini: “La visita del Papa a Lampedusa è uno schiaffo all’egoismo”
La Stampa, 04-07-2013
Giacomo Galeazzi (vatican insider)
«La visita del Papa a Lampedusa è un messaggio epocale, che restituisce dignità alle migliaia di vittime della guerra a bassa intensità che da quindici anni si combatte nel Mediterraneo». Ma è anche «un monito contro le campagne ideologiche che disgregano la coesione sociale denunciando un’inesistente invasione e diffondono la paura chiamandoli gli immigrati clandestini invece che rifugiati o richiedenti asilo». Per la presidente della Camera, Laura Boldrini, è sia «un segnale storico» sia «un’emozione personalissima» il viaggio di Francesco nell’isola dove per anni ha portato l’aiuto dell’Onu ai «boat people» in fuga da persecuzioni e disperazione.
Papa Francesco ha deciso di visitare lunedì Lampedusa «sconvolto» dall’ultima tragedia del mare. Cosa la spinse la prima volta nell’isola?
«Nel 2002 raggiunsi il centro di accoglienza allestito sulla pista d’atterraggio. Stanze minuscole, somali scampati alla morte e con le flebo al braccio. Chiesi ad uno di loro se avrebbe rifatto la traversata che stava per ucciderli. Mi rispose che a Mogadiscio ogni mattina che usciva di casa non aveva la sicurezza di farvi ritorno. Col viaggio aveva rischiato una volta sola. Poi nel 2009 la tradizione italiana di salvare vite fu calpestata dai respingimenti indiscriminati in alto mare contro la Convenzione di Ginevra».
Il momento più drammatico?
«Mi indignò e mi deluse quel tradimento del diritto internazionale che sbarrò la strada a donne e bambini senza identificarli e impedendo la domanda di asilo. Da sempre Lampedusa è un crocevia: già nel ’700 il filosofo Diderot descrisse le due lampade che si accendevano nell’isola (una per la Madonna, una per Maometto) a seconda di chi arrivava. Laggiù ho visto tanti migranti baciare la terra: è il luogo in cui si rinasce. Se potessero, non giocherebbero alla roulette russa su quelle carrette e rimarrebbero a casa loro».
L’Italia sconta le troppe domande pendenti dei richiedenti asilo?«No, nel tempo la procedura è migliorata, è stata decentrata e funziona bene. I numeri lo dimostrano. Il vero problema è l’integrazione. Concedere la protezione dello Stato a chi chiede asilo e poi negargli l’accompagnamento necessario per diventare autonomo significa condannarlo a vivere ai margini e senza prospettive. Inoltre è fittizio l’antagonismo che si è voluto spargere come zizzania tra locali e immigrati. Lampedusa è in difficoltà per la carenza di servizi e non a causa degli sbarchi. Si è alimentata l’erronea convinzione che le risorse per lo sviluppo dell’isola siano state dirottate sull’accoglienza e invece sono due voci di bilancio distinte. Inseguono la pace, scappano da regimi che negano i diritti umani».
Quali sono le colpe delle istituzioni?
«La visita di Francesco scuote l’indifferenza dell’occidente e conforta le famiglie che non hanno neppure un corpo da seppellire. È un ponte verso il genere umano che non può vivere in sicurezza in casa propria ed è costretto a rischiare la vita. Soprattutto alle donne che in questi viaggi da incubo vengono spesso sottoposte ad abusi da predoni, da trafficanti, e nei centri di detenzione. Lungo il percorso per arrivare in Italia molte ragazze hanno preso malattie incurabili dopo che le loro famiglie avevano fatto sacrifici immensi per farle partire».
Servono nuove norme sulla cittadinanza?
«È sotto gli occhi di tutti. Costituisce un pericoloso anacronismo che una legge sulla cittadinanza non prenda atto che in Italia vivono quattro milioni di immigrati ai quali sono preclusi i diritti civili. Ciò crea animosità e già il presidente Napolitano ha esortato i partiti ad uscire dalla dannosa contrapposizione ideologica che impedisce di dare risposte serie. Gestire l’immigrazione con una logica di difesa ha creato solo danni. Un’ impostazione basata sulla paura costituisce un boomerang micidiale. Negli Usa il figlio di un immigrato da un villaggio del Kenya è stato eletto per due volte presidente, mentre da noi la ministra Kyenge viene sottoposta ad attacchi inaccettabili solo per il colore della pelle. L’Italia deve ancora fare molta strada. Il Papa parla al mondo intero e può fare molto appellandosi a chi ha la responsabilità di decidere. Ci insegna l’attenzione agli ultimi e pone l’attenzione sull’altra parte del mondo, quella cui restituisce dignità».
Intanto però sono ripresi gli sbarchi. Vede una nuova emergenza?
«No. La lente va allargata. Dobbiamo uscire dalla dimensione dell’emergenza. Da noi gli sbarchi via mare accadono da 15 anni, sono strutturali, situazioni che si ripetono. L’emergenza è in Giordania dove si sono ammassati centinaia di migliaia di rifugiati e non le centinaia che arrivano in Italia. L’emergenza sono i regimi da cui scappano perché non ci sono diritti umani. È mistificatorio parlare di emergenza-sbarchi da noi. Dobbiamo trattare la questione in modo strutturale, mettere a sistema le buone pratiche e far tesoro dell’esperienza accumulata negli anni. Gli allarmismi e la sindrome d’assedio danneggiano la coesione sociale. Non siamo l’unico paese a farci carico dei migranti. C’è un vittimismo non giustificato dai numeri. Non sono clandestini, sono rifugiati. E non è certo l’Italia il punto più esposto».
Quale significato «politico» attribuisce al viaggio del Pontefice?
«È uno schiaffo all’egoismo e alla chiusura miope. Ho incontrato il Papa con mia figlia alla sua prima udienza. Mi ha fatto un’impressione potentissima, un carisma straordinario, una persona forte dei suoi valori e sentimenti. Con uno sguardo buono e limpido, che guarda lontano».
Si aspettava questo gesto?
«Sì. È un messaggio che arriverà non solo in Italia ma anche oltre i confini nazionali. Sono veramente colpita e grata al Pontefice per questo viaggio. la decisione di recarsi nell’isola siciliana è in linea con la sensibilità mostrata fin dall’inizio da Francesco».



Papa Francesco a Lampedusa non vuole nessun politico
Corriere della sera, 04-07-2013
Gian Guido Vecchi
CITTÀ DEL VATICANO — Gli ultimi sono arrivati a Lampedusa l'altra notte, 227 persone su un barcone alla deriva nel Canale di Sicilia, volti scavati, ragazzini, quattro bimbi, donne incinte, una nave della Marina militare li ha salvati a 70 miglia dall'isola e le motovedette li hanno sbarcati sul molo di Punta Favarolo, proprio dove lunedi incontreranno il Papa. Non tutti, chiaro, nella parrocchia di San Gerlando spiegano che Francesco parlerà con una cinquantina di naufraghi, scelti a rappresentare i 460 che ora stanno nel centro di accoglienza dell'isola. Bergoglio ha compiuto una scelta epocale, nel suo primo viaggio da pontefice pregherà per le troppe vittime — si calcolano 20 mila affogati senza nome in 25 anni — e lancerà in mare una corona di flori; vuole «incoraggiare gli abitanti dell'isola e fare appello alla responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e sorelle in estremo bisogno» ed è con loro, abitanti e naufraghi, che vuole parlare. Cosi la Santa Sede ha fatto sapere da subito che Francesco non desiderava ci fossero autorità, politici o istituzioni varie, se non quelle locali. Oltre, naturalmente, al parroco don Stefano Nastasi, che in marzo invitò il Papa appena eletto, anch'egli «figlio dell'emigrazione», padre Federico Lombardi ha spiegato che il Francesco avrebbe visto l'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro — con il quale celebrerà la messa — e il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. Punto. «La visita si realizzerà nella forma più discreta possibile», come in forma privata. Che è quanto è stato ripetuto a una quantità di notabili che in queste ore si è fatta avanti: «H Santo Padre non lo desidera».
Seimila abitanti, tremila turisti, altre migliaia prenotati.in questi giorni: a Lampedusa calcolano si potrebbe
arrivare a «13-15 mila persone», non c'è più un posto in aereo, traghetto o albergo. Si prepara un'accoglienza semplice, «un incontro con la dimensione quotidiana dell'isola», spiega il parroco. Un falegname, Francesco Tuccio, sta realizzando un pastorale da donare al Papa, intagliato nel legno dei barconi. Francesco ha deciso di partire dopo aver saputo dei 95 naufraghi che due settimane fa hanno trovato aggrappati alle gabbie dei tonni. Un gesto rivolto all'Europa e al mondo. «Ci si deve interrogare sui comportamenti dei governi, specialmente in relazione alie condizioni e ai luoghi all'interno dei Paesi riservati a queste persone sfollate», ha scritto ieri sull'Osservatore Romano il cardinale Antonio Maria Vegliò. «Cristo è presente sull'isola in coloro che sono arrivati e nella popolazione locale che li accoglie».
 


Soccorso barcone con 300 persone a largo isola Malta
Internazionale, 04-07-2013
Roma, 4 lug. (TMNews) – Un pattugliatore della Guardia costiera italiana e uno della Guardia Costiera maltese hanno soccorso ieri pomeriggio circa 300 migranti che si trovavano a bordo di un barcone alla deriva a 38 miglia a sud ovest di Malta.
L’allarme era stato lanciato dal sacerdote eritreo don Mosè Zerai che aveva telefonato alla centrale operativa di Roma della Guardia Costiera.
Tra i migranti presenti a bordo, alcuni feriti sono stati trasbordati sul pattugliatore italiano e successivamente trasferiti su un elicottero maltese per essere trasportati d’urgenza in un centro ospedaliero di Malta.
Gli altri migranti, in totale 265, tra cui donne e bambini, sono stati trasbordati su due motovedette della Guardia Costiera maltese e sono giunti nel porto di La Valletta questa mattina.



Non esistono bimbi di serie B
Ogni bambino deve essere curato Anche se è figlio di «irregolari»
l'Unità, 04-07-2013
Umberto Ambrosoli
Coordinatore Patto Civico e Pd Regione Lombardia

Caro direttore, voglio sottoporre alla sua attenzione e a quella dei lettori de l’Unità l’istruttivo caso di una Lombardia «eccellente» in tante cose, ma non nella tutela dei fanciulli: qualora siano bambini, figli di stranieri senza permesso di soggiorno, essi infatti non hanno alcun diritto alla assistenza pediatrica.
E proprio nella Lombardia, patria di tante battaglie per i diritti dei cittadini, la maggioranza Leghista-Pdl disposta a litigare e a dividersi quando si tratta di nomine, si ricompatta per un pregiudizio ideologico e mostra la più sprezzante chiusura invece di aprirsi ad una scelta di civiltà. La mozione che abbiamo presentato in Consiglio regionale sulla parità di trattamento pediatrico tra bambini italiani e bambini figli di immigrati irregolari, ha una storia molto lunga e deve suonare come l’ennesimo, se non definitivo, campanello d’allarme rispetto a un tema che a molti cittadini lombardi e alla coalizione di centrosinistra sta molto a cuore, ma che trova invece la totale indifferenza della attuale maggioranza di potere.
Un testo similare a questo era stato già presentato dal Partito democratico nella scorsa legislatura. Siamo tornati senza indugi sul tema non solo per una sensibilità che ci accomuna a tanti cittadini, ma anche per permettere alla nostra Regione di superare questa vera e propria arretratezza. Infatti lasciare senza assistenza pediatrica un bambino in ragione del suo status di figlio di persona non in regola con il permesso di soggiorno, è di per sé una barbarie. Lo dicono i medici, lo dicono le associazioni a tutela degli immigrati, ma lo dice soprattutto la nostra coscienza: un bambino non può vedersi negato un diritto fondamentale garantito in ogni società civile, a partire dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, meglio nota come Convenzione New York del 1989. Convenzione che ci ricorda come quello della tutela dei fanciulli sia autentico termometro per svelare il grado di verità di chi dice di volere delle politiche che abbiano al centro la persona.
Ma cosa è intervenuto di nuovo? Perché abbiamo riproposto questa mozione? Non è stata una mozione «ideologica», come qualcuno della maggioranza ha affermato nel dibattito. C’è infatti una precisa disposizione governativa che nel frattempo è intervenuta. L’accordo fra il governo centrale e le Regioni del 20 dicembre 2012 sottolinea a proposito che: 1) sul territorio nazionale è stata riscontrata una difformità di risposta in tema di accesso alle cure da parte della popolazione immigrata; 2) che è necessario individuare, nei confronti di tale categoria di popolazione, le iniziative più efficaci da realizzare per garantire una maggiore uniformità, nelle Regioni e nelle Province autonome, dei percorsi di accesso e di erogazione delle prestazioni sanitarie, di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri sui livelli essenziali di assistenza; 3) che è infine opportuno raccogliere in un unico strumento operativo le disposizioni normative nazionali e regionali relative all’assistenza sanitaria agli immigrati, anche al fine di semplificare la corretta circolazione delle informazioni tra gli operatori sanitari.
Ma, soprattutto ed esplicitamente, l’allegato normativo, corposo e ricco di indicazioni, invita all’«iscrizione obbligatoria al Sistema Sanitario Regionale dei minori stranieri presenti sul territorio a prescindere dal possesso del permesso di soggiorno». A oggi per completezza di informazione questo «accordo Stato-Regioni» è stato recepito con atto formale da Lazio, Puglia, Liguria, Campania, Calabria e dalla Provincia Autonoma di Trento. Altre enti regionali ci risulta si stiano adeguando. Questo accordo tra Stato e Regioni è pensato proprio per uniformare le prassi concrete dei diversi territori e per garantire a tutti uno standard minimo di servizi e diritti. Quindi a Trento come in Puglia, uno straniero senza documenti può avere il medico di famiglia e il pediatra di libera scelta; egli come un qualsiasi cittadino italiano vede riconosciuto il suo diritto alla salute; in Lombardia no. Ora, molte associazioni o anche singoli medici ci informano che, nonostante un iniziale barlume di speranza fra gli operatori, queste indicazioni in Lombardia sono rimaste lettera morta. Non solo perché manca chiaramente un atto normativo di recepimento, ma anche perché le indicazioni ai presìdi territoriali non sono arrivate in maniera univoca e chiara. Ci troviamo quindi di fronte ad Aziende Sanitarie o addirittura a singoli ospedali che si comportano in modo difforme.
Da qui la nostra mozione che invitava tutto intero il Consiglio regionale a procedere senza indugi nel dare attuazione a queste novità e a dimostrare che la Lombardia, in tema di tutela del diritto alla salute, coltiva davvero l’eccellenza; quell’eccellenza di cui si continua a farsene vanto solo e unicamente quando fa comodo ai suoi governanti.
Saniamo questo ritardo che di eccellente non ha niente tra Regione Lombardia e altre regioni italiane e diamo a tutti i bambini, senza distinzioni di colore, religione, razza o status giuridico un accesso diretto alla salute, bene primario di ogni paese evoluto. Accettiamo e vinciamo la sfida per una politica che, attraverso la tutela dei bambini, abbia davvero al centro la persona.
È una battaglia di civiltà. E continueremo, anche insieme ai consiglieri del Pd, a portarla avanti in ogni istanza possibile.


 
LE LEGGI DEL CONGO
Politica estera
la Repubblica,
04-07-2013
ALESSANDRA LONGO
Come se la passano «í clandestini in Congo»? Per saperlo il quotidiano della Lega ha telefonato (senza fortuna) all'ambasciata Congolese a Roma e poi ha affidato a un suo giornalista la lettura del sito della Direzione generale dell'immigrazione di quel Paese. Obiettivo: dimostrare che mentre il ministro di origine congolese Kyenge vorrebbe «allargare le maglie della normativa» in Italia, laggiü «gli irregolari sono subito respinti». Titolo: «Nel Paese della Kyenge senza documenti non si entra e non si rimane». Segue un lungo elenco di condizioni per il «respingimento». Ti cacciano se non hai documenti di viaggio validi, se non hai mezzi di sostentamento, se sei una minaccia alla salute pubblica... Commenta «LaPadania»: evviva il Congo, «altro che accoglienza Italian style».

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