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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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18.10.2013

Tribunale di Torino: Discriminatoria l’esclusione dei cittadini stranieri di Paesi terzi non membri UE dalle selezioni per il personale delle imprese del trasporto pubblico urbano

 
Anacronistico ed illegittimo continuare ad applicare una norma risalente alla legge del 1931 sulle 'corporazioni'.
 
Tribunale di Torino, ordinanza 13 ottobre 2013 (rgl. n. 7026/2012 - 831/2013) (451.2 KB)
Il parere e la raccomandazione dell'UNAR in materia di accesso degli stranieri ai rapporti di lavoro nelle imprese del trasporto locale (26.10.2007) (708.46 KB)
 

Il Tribunale di Torino, sez. lavoro, con l’ordinanza dd. 13 ottobre 2013 (Rgl. n. 7026/2012 – 831/2013), ha parzialmente accolto il ricorso anti-discriminazione presentato da un rifugiato congolese regolarmente residente in Italia contro la locale impresa di trasporti pubblici urbani GTT s.p.a.  a causa dell’esclusione disposta da quest’ultima dalla procedura di selezione per autisti indetta nel 2010 per la mancanza del requisito della cittadinanza comunitaria europea.

L’azienda per i trasporti pubblici locali di Torino aveva giustificato la propria decisione affermando che essa doveva ritenersi doverosa attuazione dell’art. 10 del regolamento allegato A del Regio Decreto n. 148/1931 (meglio conosciuto come legge sulle ‘corporazioni fasciste’), il quale ha previsto il requisito della cittadinanza italiana per l’ammissione al servizio in prova del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione e la cui applicazione è stata estesa alle imprese pubbliche del trasporto urbano e locale in forza di quanto previsto dalla legge n. 628/1952. Secondo la GTT s.p.a. di Torino, tale normativa non sarebbe stata mai abrogata e doveva pertanto  ritenersi tuttora in vigore.

Il giudice del lavoro di Torino non ha condiviso la tesi dell’azienda torinese, condividendo invece quanto già affermato, in analogo procedimento,  dal Tribunale di Milano, nell’ordinanza 20 luglio 2009, per il quale la norma risalente al 1931 - e il correlato requisito di cittadinanza per accedere a tali posizioni lavorative - doveva ritenersi implicitamente abrogata a seguito dell’evoluzione normativa intervenuta in particolare con l’art. 2 del d.lgs. n. 286/98 (T.U. immigrazione) e con il principio di parità di trattamento tra lavoratore migrante regolarmente soggiornante e lavoratore nazionale anche nell’ambito dell’accesso al lavoro in esso contenuto per effetto dell’adesione e ratifica del nostro Paese alla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 143/1975.

Il giudice del lavoro di Torino ha sottolineato del resto la contraddittorietà del comportamento tenuto dalla GTT s.p.a. di Torino nel sostenere, da un lato, la permanenza in vigore della norma originaria del 1931  nei confronti dei  cittadini di Stati terzi non membri UE,  riconoscendo invece, dall’altro, il necessario coordinamento della medesima con le nuove regole generali  in materia di accesso al lavoro introdotte nell’ordinamento italiano in virtù dell’adesione dell’Italia al processo di integrazione europea e quindi del principio di libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea .

Il giudice del lavoro di Torino ha invece respinto la richiesta di risarcimento del danno da discriminazione proposta dal rifugiato congolese. Il giudice del lavoro di Torino ha aderito alla tradizionale dottrina e giurisprudenza secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale è subordinato all’onere  ricadente sul danneggiato di dimostrare  l’entità delle conseguenze dannose asseritamente subite (‘danno-conseguenza’), non essendo invece configurabile  alcuna fattispecie risarcitoria di danni collegabili all’evento in sé (in re ipsa o ‘danno-evento’). Una parte della dottrina e della giurisprudenza, peraltro, non condivide tale orientamento affermando come esso mal si concili con le specificità della tutela antidiscriminatoria e  con il sistema delle sanzioni previsto dalle direttive europee anti-discriminatorie , le quali  contemplano anche il criterio della dissuasività. Di recente,  la sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Accept contro Romania, 25 aprile 2013 causa C-81/12, ha affermato –con riferimento all’analogo principio contenuto nella direttiva 2000/78-  che “la severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono e comportare, in particolare, un effetto realmente deterrente”, per cui “una sanzione meramente simbolica non può essere considerata compatibile con un’attuazione corretta ed efficace della direttiva n. 2000/78”. (paragrafi 63 e 64). In altri termini, un mero accertamento della discriminazione da parte del giudice non accompagnato da alcuna misura effettivamente sanzionatoria nei confronti di colui che l’ha perpetuata, non potrebbe assolvere a quei obblighi e standard del diritto antidiscriminatorio di fonte europea riguardo ai rimedi previsti a tutela delle vittime della discriminazione affinchè tali rimedi possano dissuadere e prevenire il  ripetersi di analoghe discriminazioni in futuro.

Dopo l’ordinanza del Tribunale di Torino, l’ASGI sottolinea ancora una volta la necessità che  il  Governo, il Parlamento e anche le parti sociali finalmente facciano quanto necessario e di loro competenza per disapplicare l’anacronistica norma risalente alle ‘leggi sulle corporazioni’ del 1931, dichiarandola implicitamente abrogata per effetto delle norme del TU immigrazione e degli obblighi internazionali ed europei alla parità di trattamento. Risulta che  ancora oggi la maggior parte, se non laa totalità delle imprese del trasporto pubblico urbano del nostro Paese continuano ad applicare l’anacronistica  norma del 1931 per escludere dalle selezioni per nuove assunzioni di autisti, meccanici e personale amministrativo, i cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea, regolarmente soggiornanti in Italia. Situazione analoga a quella di Torino si era registrata a Genova nel settembre del 2011, a seguito di una selezione pubblica avviata dalla locale azianda ATM spa (si veda in proposito la lettera inviata dall'ASGI all'azienda pubblica locale). Tuttavia, basta effettuare una ricerca su internet consultando i  regolamenti interni aziendali relativi alle procedure di selezione del personale ovvero gli avvisi di selezione pubblicati per rendersi conto come il requisito di cittadinanza italiana o comunitaria viene esplicitamente richiesto ovvero dissimulato da requisiti quali il godimento dei diritti civili e politici o il godimento dell'elettorato attivo ovvero il sibillino richiamo al R.D. n. 148/1931, senza ulteriori specificazioni.

Sebbene le norme del 1931 e della legge n. 628/1952 siano state sottoposte a processo di delegificazione per effetto della legge 12.07.1988, n. 270 (G.U. 16.07.1988, n. 166), con la quale  è stato cioè introdotto il principio per cui le prime possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria, la clausola di cittadinanza non è stata mai espressamente abrogata dai contratti nazionali collettivi di categoria sottoscritti dai sindacati e dalle organizzazioni datoriali di categoria. Questo nonostante gli appelli e le raccomandazioni che erano state rivolte alle organizzazioni sindacali e datoriali di categoria dall’ASGI e anche dall’Autorità nazionale per la parità di trattamento, ovvero l’UNAR (Ufficio Nazionale contro le Discriminazioni Razziali presso la Dipartimento Pari Opportunità- Presidenza del Consiglio dei Ministri) fin dal 2007 [in particolare si veda il parere e raccomandazioni dell'UNAR emanato il 26 ottobre 2007 a seguito della segnalazione e del parere dell'ASGI inviato il 10 luglio 2007].

Questo appare tanto più assurdo ed anacronistico nel momento in cui le imprese del trasporto pubblico urbano ed extraurbano sono delle società per azioni, sebbene a capitale pubblico, per cui i rapporti di lavoro al loro interno sono di carattere giuridico privato e non rientrano  nella ‘funzione pubblica’ regolata dal d.lgs. n. 165/2001. Appare tanto più paradossale tale vicenda nel momento in cui, con la legge europea 2013 (n. 97/2013 entrata in vigore lo scorso 4 settembre) la stessa ‘funzione pubblica’ è stata recentemente aperta ai cittadini di Paesi terzi non membri UE, almeno con riferimento alle categorie dei lungosoggiornanti, dei familiari di cittadini UE e dei rifugiati e titolari della protezione sussidiaria, in risposta alla minaccia di un procedimento di infrazione del diritto UE da parte della Commissione europea.

Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Alessandro Maiorca, del foro di Torino.

A cura del servizio antidiscriminazioni dell’ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 

 

 
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