NOTA SULLA PROGRAMMAZIONE ANNUALE DEI FLUSSI DI INGRESSO IN ITALIA DEGLI STRANIERI EXTRA-COMUNITARI

In vista dell'emanazione del decreto governativo sulla programmazione dei flussi di ingresso in Italia degli stranieri extra-comunitari e in considerazione delle posizioni espresse dal Gruppo ad hoc per la Programmazione dei Flussi, si ritiene opportuno far rilevare quanto segue.

 

Una politica dell'immigrazione che si proponga di affrontare compiutamente il fenomeno non puo' prescindere da un costante aggiornamento del quadro normativo che consenta di individuare un punto di incontro equilibrato tra la domanda di ingresso di lavoratori migranti e la ricettivita' del paese ospitante, e che impedisca il formarsi di una immigrazione sotterranea, sottratta al controllo dello Stato. Un affrontamento non sufficientemente realistico del problema della disciplina dei flussi, infatti, consentendo la crescita all'interno della societa' di una popolazione priva di un quadro definito di diritti e di doveri, vanifica ogni tentativo di contrastare la tendenza naturale alla costituzione di una classe subalterna su base puramente etnica.

A fronte di una domanda di ingresso la cui intensita' non ha mai dato segni di diminuzione, i decreti sui flussi per gli anni '91 e '92 hanno limitato, in sostanza, al meccanismo della chiamata nominativa le possibilita' di accesso regolare in Italia per lavoro.

Detti provvedimenti, piuttosto che ottimizzare l'incontro tra immigrazione e mercato del lavoro, hanno finito con l'ostacolare la realizzazione di tale incontro.

La chiamata nominativa, infatti, riguardando a rigore lavoratori residenti all'estero, vede limitata la propria efficacia alle attivita' lavorative del settore dell'industria medio-grande, ovvero a quelle ad alto contenuto tecnico, per le quali l'incontro tra domanda e offerta puo' prescindere dall'instaurarsi di un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro. Tali attivita', peraltro, non coprono che una parte, in molte regioni italiane invero trascurabile, delle reali possibilita' di impiego di mano d'opera immigrata.

L'esistenza di queste possibilita', unitamente all'improponibilita' di un'effettiva chiusura delle frontiere, ha fatto si' che il processo di immigrazione-inserimento continuasse senza flessioni, ma anche senza conseguenze traumatiche sul mercato del lavoro.

Le limitazioni imposte dal decreto sui flussi hanno pero' relegato in condizioni di irregolarita' un gran numero di immigrati, entrati formalmente per motivi di turismo e trattenutisi in Italia una volta trovato inserimento nel mondo del lavoro sommerso.

Con l'eccezione di coloro che, alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi, hanno potuto trovare regolarizzazione intraprendendo l'inutilmente complesso iter burocratico della chiamata nominativa (che richiede un temporaneo ritorno del lavoratore nel paese d'origine), questi lavoratori, pur contribuendo allo sviluppo economico del paese, restano totalmente esposti allo sfruttamento e privi delle piu' elementari forme di protezione.

Il fenomeno assume connotazioni ancora piu' preoccupanti laddove l'assorbimento di mano d'opera e' affidato ad attivita' di lavoro stagionale, dal momento che le condizioni di irregolarita' frenano la mobilita' geografica dei lavoratori e per lunghi periodi congelano forza lavoro in condizioni di scarsa produttivita' e di esposizione alla contaminazione criminale.

E' evidente come l'incancrenirsi di situazioni di irregolarita', in un contesto di inattuabilita' e inaccettabilita' di qualunque provvedimento generalizzato di espulsione, renda in pratica irrealizzabile la tutela di diritti fondamentali della persona in fatto di condizioni di lavoro, salute e integrita' del nucleo familiare; tutela che non puo' essere subordinata alla regolarita' della posizione a riguardo del soggiorno.

Va tenuto nella debita considerazione, poi, il fatto che il mancato rispetto dei minimi salariali e delle disposizioni in materia fiscale e contributiva, oltre a costituire un danno economico palese per il lavoratore e per lo Stato, finisce per rappresentare un fattore di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari.

 

 

 

Alla luce di queste considerazioni appare indispensabile che si intervenga efficacemente per favorire l'emersione dalle condizioni di irregolarita', riconoscendo come, una volta avvenuto l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, dalla regolarizzazione del rapporto di lavoro derivino unicamente effetti positivi, resi ancora piu' evidenti quando questa comporti anche la regolarizzazione del soggiorno.

E' necessario che il prossimo decreto sui flussi recepisca tale istanza, consentendo il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato a quanti, trovandosi attualmente in Italia in condizioni irregolari, siano impiegati in attivita' di lavoro dipendente.

Tenendo presente il carattere fondamentale dei diritti messi a repentaglio dal perdurare di condizioni di irregolarita', e' opportuno che il decreto preveda la concessione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, non soltanto ove sia dimostrata la disponibilita' di un datore di lavoro alla regolare assunzione, ma anche quando il lavoratore produca autocertificazione attestante l'esistenza di un rapporto di lavoro irregolare.

Questa condizione meno rigida, unitamente alla disposizione che il rilascio del permesso per lavoro avvenga contestualmente alla presentazione dell'autocertificazione, e' stata sperimentata di recente, con successo, nella imponente operazione di rinnovo dei permessi di soggiorno ed ha il merito di sottrarre il lavoratore irregolare al possibile ricatto da parte del datore di lavoro.

E' anche opportuno che il decreto preveda la possibilita' di indirizzare al lavoro stagionale, dotandoli di un apposito permesso temporaneo, lavoratori irregolarmente presenti in Italia e attualmente privi di occupazione, oltreche', naturalmente, i lavoratori in regola con le norme sul soggiorno e tuttora iscritti alle liste di collocamento.