ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLA NECESSITA' DI MISURE PER LA REGOLARIZZAZIONE DEI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI E SUL MECCANISMO DI AUTOCERTIFICAZIONE

 

Regolarizzazione

- Un provvedimento riguardante la possibilita' di regolarizzazione per i lavoratori extracomunitari che, irregolarmente presenti sul territorio italiano, siano pero' impiegati in attivita' lavorative e' compatibile con quanto disposto dal terzo comma dell'articolo 2 della Legge 39/1990, laddove si stabilisce che sia emanato, ogni anno, un decreto per la determinazione dei flussi in ingresso di lavoratori extracomunitari e per il loro inserimento socio-culturale. Quest'ultimo aspetto, evidentemente, riguarda i lavoratori presenti sul territorio nazionale e consente che siano presi provvedimenti atti a riportare in un circuito di regolarita' quanti ne siano usciti.

Inoltre, il quarto comma dello stesso articolo annovera, tra gli elementi da valutare nel determinare i flussi per l'anno seguente, il numero delle richieste dei permessi di soggiorno per lavoro avanzate da stranieri gia' presenti in Italia con permesso ad altro titolo. Rientra, quindi, nello spirito della Legge 39 il tener conto di quanti aspirano alla regolarizzazione della propria posizione lavorativa e il subordinare al soddisfacimento di tali richieste l'autorizzazione di ulteriori flussi in ingresso.

- L'effetto di richiamo indotto da un provvedimento di regolarizzazione ha dimensioni trascurabili se riferito al dato complessivo sull'immigrazione in Italia.

A sostegno di questa tesi possono essere considerati i dati forniti dal Centro Accoglienza Stranieri della Caritas di Roma, che, non avendo vincoli giuridici che lo costringano a discriminare tra immigrati regolari e irregolari, ha a disposizione un campione sufficientemente rappresentativo dell'effettiva situazione italiana. L'afflusso di nuovi utenti per gli anni '89, '90 e '91 (prima, durante e dopo l'ultima sanatoria) si e' mantenuto pressocche' costante, con fluttuazioni relative dell'ordine del 10%: si sono registrate, infatti, approssimativamente 9.200 presenze nel 1989, 10.400 nel '90, 9.000 nel '91; i dati relativi al periodo Gennaio-Ottobre '92 consentono inoltre di prevedere per l'anno in corso un dato confrontabile con quello del '90.

- Una normativa sul lavoro stagionale, certamente auspicabile, costituirebbe una risposta solo parzialmente adeguata al problema dell'irregolarita'. Riguarderebbe, infatti, efficacemente solo i lavoratori provenienti dall'Africa Settentrionale, dal Medio Oriente e dall'Europa dell'Est, per i quali il ritorno in patria a stagione conclusa comporta una spesa accettabile. Con riferimento al campione esaminato dalla Caritas di Roma, il numero complessivo di immigrati provenienti da queste tre aree ammonta al 39% del totale per il '90, al 33% per il '91.

- La concessione di un permesso di soggiorno consegna all'immigrato un patrimonio di diritti la cui conservazione e' strettamente associata al perdurare dell'inserimento nel mondo del lavoro e all'osservanza di un preciso quadro di doveri. Costituisce quindi, oltre che una giusta risposta ad esigenze di carattere fondamentale, un efficace deterrente, ove ve ne sia bisogno, contro il ricorso a scorciatoie prive di qualsiasi rilevanza per l'economia nazionale o, peggio, estranee ad un ambito di legalita'.

 

Autocertificazione

Nell'auspicabile eventualita' che si riconosca la necessita' di favorire l'emersione degli immigrati dalle condizioni di irregolarita', e' bene che tra le condizioni sufficienti per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato sia annoverata, accanto alla dimostrazione di disponibilita' di regolare occupazione, l'autocertificazione attestante l'esistenza di un rapporto di lavoro irregolare.

In favore di questa affermazione militano le considerazioni seguenti.

- La limitazione alla sola disponibilita' di regolare occupazione consentirebbe la regolarizzazione di quanti lavorano alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi: quegli stessi, in buona sostanza, che oggi intraprendono il complesso e costoso iter della chiamata nominativa dall'estero.

Se, sotto certi aspetti, e' innegabile che questo produrrebbe un'utile semplificazione delle attuali procedure, e' altresi' vero che resterebbero irrimediabilmente esclusi tutti coloro che dipendono da datori di lavoro disonesti o, quanto meno, poco sensibili. E' da ritenersi infatti che, essendo lasciata all'arbitrio del datore di lavoro la dimostrazione richiesta, il lavoratore irregolare non soltanto non avrebbe alcun modo di far valere le proprie ragioni, ma potrebbe addirittura ricavare un danno dal semplice avanzamento della richiesta. Il datore di lavoro potrebbe, infatti, non limitarsi a negare la propria disponibilita' all'assunzione, ma procedere al licenziamento del lavoratore, preferendogli un sostituto meno esigente. Si creerebbe cosi' una condizione di concorrenza in favore di quanti rinuncino all'emersione dall'irregolarita'.

- Il comprendere l'autocertificazione tra le condizioni sufficienti rappresenta un'adeguata soluzione del problema. In questo caso, infatti, il lavoratore puo' esplorare l'effettiva disponibilita' all'assunzione in modo molto piu' prudente, ben sapendo che, in caso di risposta negativa, potra' comunque procedere autonomamente all'autocertificazione.

A condizione che il rilascio del permesso di soggiorno avvenga contestualmente alla presentazione dell'autocertificazione, il lavoratore puo', se lo ritiene opportuno, intraprendere una vertenza sindacale o, comunque, raccogliere elementi testimoniali a sostegno della propria autocertificazione.

Affidando, poi, il controllo della veridicita' dell'autocertificazione agli ispettorati provinciali del lavoro e alle sedi zonali dell'INPS, nell'ambito delle rispettive funzioni istituzionali, risulterebbe adeguatamente tutelata la posizione del lavoratore, giacche' esiste l'interesse, da parte di questi enti, a colpire l'evasione fiscale e contributiva che il rapporto di lavoro irregolare comporta. E' da notare che l'INPS, una volta accertata la fondatezza dell'autocertificazione, ha facolta' di procedere all'applicazione di sanzioni amministrative dotate di immediata esecutorieta' nei confronti del datore di lavoro (salvo l'esperimento, da parte di quest'ultimo, del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento), ai sensi dell'articolo 35 e seguenti della Legge 689/1981.

E' da aspettarsi che l'esistenza di condizioni cosi' favorevoli per il lavoratore induca molti datori di lavoro a dare la propria disponibilita' alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, stante il rischio che un'autocertificazione di cui essi non avrebbero immediata contezza inneschi procedure che si concluderebbero con sanzioni a loro carico.

- Disposizioni nel senso ora descritto (possibilita' di autocertificazione, rilascio contestuale del permesso di soggiorno, verifica ad opera dell'Ispettorato del Lavoro e dell'INPS) sono state adottate con successo dal Ministero dell'Interno in occasione dell'operazione di rinnovo dei permessi di soggiorno rilasciati nel corso della sanatoria del '90 (Circolari del Ministero dell'Interno del 2.12.1991 e del 8.1.1992).

- Il permesso di soggiorno rilasciato dietro presentazione di autocertificazione verrebbe revocato, qualora le affermazioni contenute nell'autocertificazione dovessero risultare non vere, a seguito del controllo da parte degli organismi competenti.

E' da notare come, ai sensi dell'articolo 476 e seguenti del Codice Penale, il lavoratore che produca autocertificazione non veritiera sia perseguibile penalmente.

Risulta cosi' drasticamente ridotto il rischio che lo strumento dell'autocertificazione venga utilizzato impropriamente da immigrati che non ne avrebbero titolo. La condizione di nascondimento nell'irregolarita' risulterebbe infatti preferibile ad una emersione temporanea, sostanzialmente priva di vantaggi se destinata a concludersi con la revoca del permesso e con possibili conseguenze sul piano penale.

Ancora piu' ridotto e', poi, il rischio che all'autocertificazione fraudolenta ricorrano soggetti dediti in realta' ad attivita' illegali. L'emersione dall'irregolarita' (ma in questo caso sarebbe forse piu' appropriato parlare di clandestinita') avrebbe infatti, per costoro, come unica conseguenza quella di palesarne agli uffici della Questura la presenza sul territorio nazionale, con l'individuazione di un domicilio: circostanza, questa, certamente non auspicabile per chi si dedichi ad attivita' criminose.

D'altronde, quand'anche soggetti del genere ottenessero un permesso di soggiorno, non verrebbe minimamente alterata la possibilita' per lo Stato di garantire la propria sicurezza e il proprio ordine, dovendosi considerare la semplice irregolarita' riguardo al soggiorno come la piu' debole (e, in questo caso, la meno significativa) tra le condizioni per l'espulsione. In altri termini, ove ricorrano le circostanze che richiedono l'applicazione del quinto comma dell'articolo 7 della Legge 39/1990 sull'espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera, il fatto che questi sia o meno titolare di un permesso di soggiorno e' del tutto irrilevante.