CONSIDERAZIONI SULL'EMENDAMENTO (ART.9-TER)

RIGUARDANTE I LAVORATORI EXTRACOMUNITARI

E SUL DECRETO-LEGGE 22 GIUGNO 1993, N.200,

CONCERNENTE I LAVORATORI STAGIONALI EXTRACOMUNITARI

Con riferimento ai principali contenuti dell'articolo 9-ter e a quelli del decreto-legge n.200 sui lavoratori stagionali extracomunitari, si ritiene opportuno far rilevare quanto segue.

 

Regolarizzazione di lavoratori extracomunitari

Uno dei principali obiettivi della legge Martelli e' quello di porre sotto il controllo dello Stato l'immigrazione nella sua totalita', e di evitare cosi' la formazione di un'area di irregolarita'. A questo scopo, oltre a stabilire un provvedimento di sanatoria delle situazioni di irregolarita' pregresse, essa prevede l'emanazione di un decreto governativo annuale (il cosiddetto decreto sui flussi) per la definizione dei criteri di ammissione dei lavoratori immigrati e delle misure atte al loro inserimento sociale. Si dispone quindi di uno strumento legislativo potenzialmente in grado di individuare, anno per anno, un punto di incontro equilibrato tra la domanda di inserimento lavorativo e l'effettiva ricettivita' del nostro mercato del lavoro.

Tra gli elementi da valutare nel determinare i flussi per l'anno seguente, la legge Martelli annovera, al quarto comma dell'articolo 2, il numero delle richieste dei permessi di soggiorno per lavoro avanzate da stranieri gia' presenti in Italia con permesso ad altro titolo. Si riconosce, cioe', come l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, quand'anche avvenga al di fuori di una rigida programmazione, debba essere considerato positivamente, in quanto esso facilita, piuttosto che intralciare, il confronto tra immigrazione e mercato del lavoro. Rientra, quindi, nello spirito della legge il tener conto di quanti, avendo trovato possibilita' di inserimento lavorativo, aspirano alla regolarizzazione della propria posizione, e il subordinare al soddisfacimento di tali richieste l'autorizzazione di ulteriori flussi in ingresso.

I decreti sui flussi per i primi tre anni di applicazione della Martelli hanno invece limitato, in sostanza, al meccanismo della chiamata nominativa le possibilita' di accesso regolare al lavoro per gli stranieri extracomunitari. La chiamata nominativa, riguardando a rigore lavoratori residenti all'estero, vede, di fatto, limitata la propria efficacia alle attivita' lavorative del settore dell'industria medio-grande, ovvero a quelle ad alto contenuto tecnico, per le quali l'incontro tra domanda e offerta puo' prescindere dall'instaurarsi di un rapporto fiduciale tra lavoratore e datore di lavoro. Tali attivita' non coprono che una parte, in molte regioni italiane invero trascurabile, delle reali possibilita' di impiego di mano d'opera immigrata.

L'esistenza di queste possibilita', unitamente all'improponibilita' di un'effettiva chiusura delle frontiere, ha fatto si' che il processo di immigrazione-inserimento continuasse senza flessioni, ma anche senza conseguenze traumatiche sul mercato del lavoro.

Le limitazioni imposte dal decreto sui flussi hanno cosi' relegato in condizioni di irregolarita' un gran numero di immigrati, entrati formalmente per motivi di turismo e trattenutisi in Italia una volta trovato inserimento nel mondo del lavoro sommerso.

Con l'eccezione di coloro che, alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi, hanno potuto trovare regolarizzazione intraprendendo l'inutilmente complesso iter burocratico della chiamata nominativa (che richiede un temporaneo ritorno del lavoratore nel paese d'origine), questi lavoratori, pur contribuendo allo sviluppo economico del paese, restano totalmente esposti allo sfruttamento e privi delle piu' elementari forme di protezione.

Il fenomeno assume connotazioni ancora piu' preoccupanti laddove l'assorbimento di mano d'opera e' affidato ad attivita' di lavoro stagionale, dal momento che le condizioni di irregolarita' frenano la mobilita' territoriale dei lavoratori e per lunghi periodi congelano forza lavoro in condizioni di scarsa produttivita' e di esposizione alla contaminazione criminale.

E' evidente come l'incancrenirsi di situazioni di irregolarita', in un contesto di inattuabilita' e inaccettabilita' di qualunque provvedimento generalizzato di espulsione, renda in pratica irrealizzabile la tutela di diritti fondamentali della persona in fatto di condizioni di lavoro, salute e integrita' del nucleo familiare; tutela che non puo' essere subordinata alla regolarita' della posizione a riguardo del soggiorno.

Va tenuto nella debita considerazione, poi, il fatto che il mancato rispetto dei minimi salariali e delle disposizioni in materia fiscale e contributiva, oltre a costituire un danno economico palese per il lavoratore e per lo Stato, finisce per rappresentare un fattore di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari, italiani o stranieri che siano.

Un provvedimento legislativo che favorisca l'emersione dalle condizioni di irregolarita', oltre a costituire una giusta risposta ad esigenze di carattere fondamentale del lavoratore immigrato, si muove sulla linea di un piu' efficace governo del fenomeno. La concessione di un permesso di soggiorno consegna infatti all'immigrato un patrimonio di diritti la cui conservazione e' strettamente associata al perdurare dell'inserimento nel mondo del lavoro e all'osservanza di un preciso quadro di doveri. Costituisce quindi un efficace deterrente, ove ve ne sia bisogno, contro il ricorso a scorciatoie prive di qualsiasi rilevanza per l'economia nazionale o, peggio, estranee ad un ambito di legalita'.

Conviene rilevare come, contrariamente a quanto si teme da piu' parti, l'effetto di richiamo indotto da un provvedimento di regolarizzazione ha dimensioni trascurabili se riferito al dato complessivo sull'immigrazione in Italia.

A sostegno di questa tesi possono essere considerati i dati forniti dal Centro Accoglienza Stranieri della Caritas di Roma, che, non avendo vincoli giuridici che lo costringano a discriminare tra immigrati regolari e irregolari, ha a disposizione un campione sufficientemente rappresentativo dell'effettiva situazione italiana. L'afflusso di nuovi utenti per gli anni '89-'92 (prima, durante e dopo l'ultima sanatoria) si e' mantenuto pressocche' costante, con fluttuazioni relative dell'ordine del 10%: si sono registrate, infatti, approssimativamente 9.200 presenze nel 1989, 10.400 nel '90, 9.000 nel '91, 10.400 nel '92.

 

Autocertificazione

Tenendo presente il carattere fondamentale dei diritti messi a repentaglio dal perdurare di condizioni di irregolarita', e' auspicabile che, tra le condizioni sufficienti per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, il provvedimento legislativo annoveri, accanto alla dimostrazione di disponibilita' di regolare occupazione, l'autocertificazione attestante l'esistenza di un rapporto di lavoro irregolare.

In favore di questa affermazione militano le considerazioni seguenti.

a) La limitazione alla sola disponibilita' di regolare occupazione consentirebbe la regolarizzazione di quanti lavorano alle dipendenze di datori di lavoro scrupolosi: quegli stessi, in buona sostanza, che oggi intraprendono il complesso e costoso iter della chiamata nominativa dall'estero.

Se, sotto certi aspetti, e' innegabile che questo produrrebbe un'utile semplificazione delle attuali procedure, e' altresi' vero che resterebbero irrimediabilmente esclusi tutti coloro che dipendono da datori di lavoro disonesti o, quanto meno, poco sensibili. E' da ritenersi infatti che, essendo lasciata all'arbitrio del datore di lavoro la dimostrazione richiesta, il lavoratore irregolare non soltanto non avrebbe alcun modo di far valere le proprie ragioni, ma potrebbe addirittura ricavare un danno dal semplice avanzamento della richiesta. Il datore di lavoro potrebbe, infatti, non limitarsi a negare la propria disponibilita' all'assunzione, ma procedere al licenziamento del lavoratore, preferendogli un sostituto meno esigente. Si creerebbe cosi' una condizione di concorrenza in favore di quanti rinuncino all'emersione dall'irregolarita'.

b) Il comprendere l'autocertificazione tra le condizioni sufficienti rappresenta un'adeguata soluzione del problema. In questo caso, infatti, il lavoratore puo' esplorare l'effettiva disponibilita' all'assunzione in modo molto piu' prudente, ben sapendo che, in caso di risposta negativa, potra' comunque procedere autonomamente all'autocertificazione.

A condizione che il rilascio del permesso di soggiorno avvenga contestualmente alla presentazione dell'autocertificazione, il lavoratore puo', se lo ritiene opportuno, intraprendere una vertenza sindacale o, comunque, raccogliere elementi testimoniali a sostegno della propria autocertificazione.

Affidando, poi, il controllo della veridicita' dell'autocertificazione agli ispettorati provinciali del lavoro e alle sedi zonali dell'INPS, nell'ambito delle rispettive funzioni istituzionali, risulterebbe adeguatamente tutelata la posizione del lavoratore, giacche' esiste l'interesse, da parte di questi enti, a colpire l'evasione fiscale e contributiva che il rapporto di lavoro irregolare comporta. E' da notare che l'INPS, una volta accertata la fondatezza dell'autocertificazione, ha facolta' di procedere all'applicazione di sanzioni amministrative dotate di immediata esecutorieta' nei confronti del datore di lavoro (salvo l'esperimento, da parte di quest'ultimo, del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione di pagamento), ai sensi dell'articolo 35 e seguenti della Legge 689/1981.

E' da aspettarsi che l'esistenza di condizioni cosi' favorevoli per il lavoratore induca molti datori di lavoro a dare la propria disponibilita' alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, stante il rischio che un'autocertificazione di cui essi non avrebbero immediata contezza inneschi procedure che si concluderebbero con sanzioni a loro carico.

c) Disposizioni nel senso ora descritto (possibilita' di autocertificazione, rilascio contestuale del permesso di soggiorno, verifica ad opera dell'Ispettorato del Lavoro e dell'INPS) sono state adottate con successo dal Ministero dell'Interno in occasione dell'operazione di rinnovo dei permessi di soggiorno rilasciati nel corso della sanatoria del '90 (Circolari del Ministero dell'Interno del 2.12.1991 e del 8.1.1992).

d) Il permesso di soggiorno rilasciato dietro presentazione di autocertificazione verrebbe revocato, qualora le affermazioni contenute nell'autocertificazione dovessero risultare non vere, a seguito del controllo da parte degli organismi competenti.

E' da notare come, ai sensi dell'articolo 26 della Legge 15/1968, il lavoratore che produca autocertificazione non veritiera sia perseguibile penalmente.

Risulta cosi' drasticamente ridotto il rischio che lo strumento dell'autocertificazione venga utilizzato impropriamente da immigrati che non ne avrebbero titolo. La condizione di nascondimento nell'irregolarita' risulterebbe infatti preferibile ad una emersione temporanea, sostanzialmente priva di vantaggi se destinata a concludersi con la revoca del permesso e con possibili conseguenze sul piano penale.

Ancora piu' ridotto e', poi, il rischio che all'autocertificazione fraudolenta ricorrano soggetti dediti in realta' ad attivita' illegali. L'emersione dall'irregolarita' (ma in questo caso sarebbe forse piu' appropriato parlare di clandestinita') avrebbe infatti, per costoro, come unica conseguenza quella di palesarne agli uffici della Questura la presenza sul territorio nazionale, con l'individuazione di un domicilio: circostanza, questa, certamente non auspicabile per chi si dedichi ad attivita' criminose.

D'altronde, quand'anche soggetti del genere ottenessero un permesso di soggiorno, non verrebbe minimamente alterata la possibilita' per lo Stato di garantire la propria sicurezza e il proprio ordine, dovendosi considerare la semplice irregolarita' riguardo al soggiorno come la piu' debole (e, in questo caso, la meno significativa) tra le condizioni per l'espulsione. In altri termini, ove ricorrano le circostanze che richiedono l'applicazione del quinto comma dell'articolo 7 della Legge 39/1990 sull'espulsione dello straniero con accompagnamento alla frontiera, il fatto che questi sia o meno titolare di un permesso di soggiorno e' del tutto irrilevante.

 

Compatibilita' con le politiche comunitarie

Si afferma da piu' parti che l'adozione di misure intese a consentire la regolarizzazione di immigrati irregolarmente presenti sul territorio italiano contrasterebbe con gli impegni che l'Italia potrebbe, a breve, assumere nei confronti degli altri partners della Comunita' Europea con l'eventuale ratifica dell'Accordo di Schengen. Si sostiene infatti che l'effetto combinato della libera circolazione intra-europea, che l'Accordo e la relativa Convenzione di Applicazione mirano a realizzare, e di una regolarizzazione di immigrati sottratta ad una preventiva programmazione permetterebbe flussi indesiderati di lavoratori extracomunitari verso paesi gia' caratterizzati da alta densita' di popolazione immigrata.

E' possibile confutare questa tesi considerando che, per quanto concerne i cittadini extracomunitari, la suddetta Convenzione di Applicazione prevede che la libera circolazione sia limitata a periodi di durata non superiore a tre mesi. Non si tratta quindi di una liberalizzazione delle migrazioni per lavoro interne ai territori della Comunita', non essendo di per se' legittimato lo stabilimento del lavoratore extracomunitario in un paese della Comunita' diverso da quello nel quale gli e' stato rilasciato il titolo di soggiorno.

Ne segue che il fatto di riportare lavoratori extracomunitari in condizioni di regolarita' rispetto al soggiorno in Italia non incide minimamente sui tassi di immigrazione dei partners europei: laddove i lavoratori in questione tentassero di stabilire la propria attivita' lavorativa in altro paese della Comunita', potrebbero a buon diritto essere espulsi non dissimilmente dal caso di lavoratori originariamente irregolari.

Sempre in riferimento al quadro delle politiche comunitarie potrebbe essere sollevato, in linea di principio, un problema di carattere piu' generale: il fatto, cioe', che un provvedimento di regolarizzazione contrasti con obiettivi e principi fondamentali del Trattato CEE. Se cosi' fosse, pur essendo considerati, a tutt'oggi, di competenza degli stati membri i settori concernenti accesso, soggiorno e occupazione dei lavoratori extracomunitari (v. risoluzione del Consiglio, giugno 1985, in Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee, 26 luglio 1985, n.C 186), il Consiglio sarebbe legittimato, dall'articolo 100 del Trattato ad adottare direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni vigenti in materia negli stati membri. Potrebbe emergere, cosi', un imbarazzante contrasto tra l'indirizzo comunitario e quello assunto dal Legislatore italiano.

Sembrano rilevanti, in proposito,

- il principio della libera circolazione delle persone;

- il principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari;

- l'obiettivo della tutela dell'occupazione dei lavoratori comunitari.

Riguardo al primo di questi punti valgono le considerazioni svolte a proposito dell'Accordo di Schengen, confortate dall'affermazione, contenuta nel rapporto della Commissione sull'atttuazione del mercato interno (23 novembre 1990) secondo la quale "il beneficio concesso ad un cittadino extracomunitario di potersi muovere liberamente tra stati membri non comporta alcun diritto di residenza o lavoro nell'ambito della Comunita', perfino per quei cittadini extracomunitari cui e' stato riconosciuto tale diritto in un particolare stato membro".

Riguardo ai punti successivi sembra evidente come tanto l'occupazione quanto la libera circolazione dei lavoratori comunitari possano risultare danneggiate dalle condizioni di concorrenza sleale ai danni del lavoratore regolare che accompagnano il formarsi ed il persistere di aree di occupazione irregolare. Disposizioni che mirino al rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne rispetto all'immigrazione clandestina possono parzialmente contrastare la tendenza all'accrescimento di tali aree, ma non danno, di per se', un contributo al loro risanamento. Provvedimenti che favoriscano la regolarizzazione delle situazioni di lavoro nero incidono invece direttamente sul fenomeno e, lungi dal porsi in contrasto con i principi del Trattato CEE, sono quindi auspicabili nella prospettiva di una sua piena attuazione. Essi appaiono, anzi, come l'unica via percorribile laddove (ed e' il caso italiano) provvedimenti di espulsione di dimensioni proporzionate al bacino di irregolarita' risultino improponibili.

 

Lavoro stagionale

L'introduzione di una normativa sul lavoro stagionale e' motivata da due principali obiettivi:

a) favorire la mobilita' degli immigrati da paesi vicini per i quali risulti economicamente vantaggioso un soggiorno temporaneo in Italia, evitando cosi' un dannoso prolungamento della permanenza, nei periodi di scarsa attivita' lavorativa, in regioni spesso tormentate dal fenomeno della criminalita' organizzata;

b) costituire, in congiunzione con la programmazione annuale dei flussi, un ulteriore canale di emersione dall'irregolarita'.

A riguardo di quest'ultimo obiettivo, e' necessario quindi che si preveda la possibilita' di indirizzare al lavoro stagionale lavoratori irregolarmente presenti in Italia e attualmente privi di occupazione, oltreche', naturalmente, i lavoratori in regola con le norme sul soggiorno e tuttora iscritti alle liste di collocamento.

E' bene comunque sottolineare come l'ipotesi di limitare un provvedimento legislativo alla definizione di disposizioni sul lavoro stagionale darebbe luogo ad una risposta solo parzialmente adeguata al problema dell'irregolarita'. Riguarderebbe, infatti, efficacemente solo i lavoratori provenienti dall'Africa Settentrionale, dal Vicino Oriente e dall'Europa dell'Est, per i quali il ritorno in patria a stagione conclusa comporta una spesa accettabile. Con riferimento al campione esaminato dalla Caritas di Roma, il numero complessivo di immigrati provenienti da queste tre aree ammonta al 39% del totale per il '90, al 33% per il '91.

Circa il primo obiettivo, e' opportuno che il permesso di soggiorno per lavoro stagionale si configuri in modo chiaramente distinto da quello per lavoro subordinato a carattere continuativo, e che abbia, d'altra parte, durata sufficientemente lunga, in modo da risultare economicamente vantaggioso per il lavoratore, a fronte delle spese da sostenere per il viaggio di ritorno nel paese d'origine.

E' utile che si faccia valere un diritto di precedenza, in fase di concessione dei permessi, per chi e' reduce da precedenti esperienze di lavoro stagionale in Italia.

Tale diritto, infatti, se opportunamente condizionato al rispetto delle norme sul soggiorno, puo' costituire il fattore di incentivazione della regolarita' di cui si e' detto in precedenza.

Sembra importante, infine, allo scopo di favorire ulteriormente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevedere la possibilita' per il lavoratore stagionale di ottenere, in presenza di un'offerta di lavoro regolare, l'usuale permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato.

 

Il decreto-legge n.200 sul lavoro stagionale

Le istanze fin qui discusse trovano adeguata risposta nelle disposizioni contenute nell'emendamento (art.9-ter) apportato dalla Camera al decreto-legge in sostegno dell'occupazione, emendamento in seguito approvato in forma lievemente modificata anche dalla Commissione Lavoro del Senato. Del tutto inadeguato appare invece il decreto-legge 22 giugno 1993, n.200, recante norme in materia di lavoro stagionale di cittadini extracomunitari sul territorio nazionale, attualmente in fase di conversione in legge.

Obiettivo principale dell'emendamento e' infatti quello di favorire al massimo grado l'emersione dalle condizioni di irregolarita' dei cittadini stranieri extracomunitari di fatto inseriti nel mercato del lavoro, allo scopo di evitare lo sfruttamento di tali lavoratori e di impedire il mantenimento di condizioni di concorrenza sleale ai danni dei lavoratori regolari. L'emendamento prevede cosi' la possibilita' di regolarizzazione con rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato della durata di due anni per quanti dimostrino la disponibilita' di un'offerta di lavoro, come pure per coloro che siano in grado di autocertificare lo svolgimento di attivita' di lavoro subordinato. E' previsto anche che quanti, avanzando richiesta di regolarizzazione, non rientrino nelle categorie per le quali e' contemplato il rilascio di un permesso di lunga durata, possano tuttavia ottenere un permesso di soggiorno temporaneo per lavori a carattere stagionale della durata di sei mesi. Le modalita' di assegnazione e le caratteristiche di tale permesso, previsto dalla legge 39/1990, sono definite dall'emendamento in modo tale da dare al Governo anno per anno, in sede di programmazione dei flussi, uno strumento efficace per combattere la stagnazione delle sacche di irregolarita'.

Il decreto-legge in questione, invece, trascura completamente il problema dell'immigrazione irregolare a carattere stanziale, non consentendo alcuna possibilita' di regolarizzazione del soggiorno per motivi di lavoro subordinato. Una possibilita' di rientrare in un circuito di regolarita' sembra, invero, prevista al comma 2 dell'articolo 2, laddove si dispone che per l'assegnazione dei permessi per l'anno 1994 possano far valere un diritto di precedenza tutti coloro che siano usciti dal territorio italiano entro il 30 ottobre 1993 e che abbiano fatto ritorno nel paese di origine. Tale possibilita', che riguarda evidentemente solo l'immigrazione a carattere stagionale, e' comunque da considerarsi di improbabile attuazione, per le ragioni che seguono.

- Il permesso di soggiorno temporaneo per lavori a carattere stagionale e' disciplinato, nel decreto-legge, in modo tale da prevederne l'assegnazione solo nell'ambito di accordi bilaterali che il Governo Italiano e' autorizzato a stipulare con governi di paesi interessati. E' quindi da escludersi che la previsione di un diritto di precedenza per il rientro in Italia possa costituire un reale incentivo per quegli immigrati irregolari provenienti da paesi con i quali non sia stipulato, entro il 30 ottobre prossimo, un accordo bilaterale.

- Secondo quanto stabilito dal decreto, il diritto di precedenza puo' essere fatto valere da chi sia in grado di dimostrare documentalmente di essere uscito dal territorio italiano entro la data fissata. Il decreto pone cosi' gli stranieri di fronte a due esigenze contrastanti: quella di far emergere ufficialmente la loro presenza irregolare, e quella di non incorrere in sanzioni, da cui il decreto stesso non li esclude, che ne precluderebbero il rientro in Italia. Sembra inverosimile, poi, che un cittadino straniero extracomunitario in posizione irregolare rispetto al soggiorno possa esigere dagli operatori di frontiera l'apposizione sul passaporto di un timbro di uscita, con data, che la legge non prescrive.

- Nel decreto si afferma (art.2, co.2) che la precedenza e' realizzata rispetto ai connazionali mai entrati in Italia per motivi di lavoro. Nell'ipotesi che tale disposizione debba ritenersi applicata anche alla situazione transitoria relativa a coloro che ottemperano all'obbligo di uscita entro il 30 ottobre 1993, appare chiaro che, tra gli stranieri irregolarmente presenti in Italia, riuscirebbero a far valere il diritto di precedenza unicamente coloro che in passato hanno soggiornato regolarmente in Italia per motivi di lavoro. Restando esclusi tutti quelli che hanno fatto ingresso formalmente per motivi di turismo ovvero clandestinamente e che costituiscono la stragrande maggioranza degli stranieri in posizione irregolare, l'incentivo all'uscita rappresentato dalla norma in questione finirebbe col sortire un effetto irrilevante sulla realta' dell'immigrazione irregolare.

Si noti, d'altra parte, che l'ipotesi opposta - che non sia necessario, cioe', l'aver maturato un soggiorno regolare per motivi di lavoro - non sembra ammissibile, giacche' produrrebbe certamente un effetto di richiamo di portata ben piu' vasta di quello che un provvedimento di regolarizzazione nella forma prevista dall'emendamento puo' generare. Il cittadino straniero residente all'estero ricaverebbe infatti solo vantaggi dal fare ingresso nel territorio italiano, dal momento che il semplice uscirne entro il 30 ottobre potrebbe tradursi in una agevolazione delle procedure per l'ottenimento di un visto per lavori stagionali.